38) La sirena

Scesi dalla piattaforma calata nel pozzo, sorpassata la volta di pietra, posammo i piedi su un pavimento liscio, le pareti levigate e il soffitto sorretto da colonne. I cunicoli angusti e le trappole non appartenevano a quella parte di Cava.

«Chi ha costruito questo luogo?»

«Devono essere stati i nani che sono scesi prima di noi, anche se non sono risaliti.» bisbigliò Jajapi.

«Allora avrebbero costruito loro tutte le trappole che abbiamo incontrato fin qui?»

«Sì.»

«Ma allora i mostri? Le bestie e le sirene?»

«Quelli crescono nelle oscurità a prescindere, Rodo.»

Ingoiai la saliva chiamata fuori da quel poco pane appena masticato. Le suole dei miei calzari posate piano, una e poi l'altra, l'unico rumore nei miei timpani.

«C'è il silenzio di un santuario...» mi fermai per ascoltare i passi di Jajapi, nulla «Hai la leggiadria di un felino.»

Si girò a guardarmi, fermi entrambi provai ad ascoltare cosa rimanesse nell'aria. Il mio respiro, raschiava sulle narici come quello di una bestia affannata, lo trattenni, un passo più vicino a lei e nulla di nuovo, Jajapi si nutriva d'aria senza emettere suono, traspirava al pari di una pianta e a guardarla non una pianta qualunque, non una lattuga, una patata o un albero, ma piuttosto qualcosa con grandi infiorescenze, un rampicante tenace con le corolle troppo alte per essere raggiunte, troppo almeno per chi non trovasse il coraggio di arrampicarsi per coglierle.

Riconobbi anche un fischio delle mie orecchie, suonato al ritmo del mio palpitare. Cercai, nelle guance candide di quella ragazza, il sospirar del vento sanguigno, il contrarsi di un cuore che desse un po' di semplicità a quel viso, quel viso altrimenti tanto altero da ricordare il paradiso, da lasciar credere ne provenisse, il suo viso come lei e i suoi capelli e il suo corpo, scesa su ali angeliche, per poi nasconderle sotto la mantellina, per poi intrufolarsi nella vita terrestre, anzi, infilarsi proprio nella terra e sporcare il dito curioso, intonso e morbido, teso contro la pelle ruvida di questi nani.

«Prima di Ror, cosa ti ha portata qui, Jajapi?»

«Non puoi capirlo. Una storia troppo lontana dai nomi che conosci e dal tuo mondo, troppo tempo fa.» si voltò per proseguire la strada «Vorresti scriverlo sul tuo diario di viaggio?»

«Può darsi.»

«Mi imbarazzerebbe.»

«Se me lo chiedi non lo farò.»

«Anche solo dirtelo mi imbarazza, Rodo, ma te lo dirò comunque, te lo dirò come i saggi di un tempo dicevano le verità più scomode: imbellettate in una prosa enigmatica e contorta. Sai perché lo facevano?»

«No, ma vorrei saperlo.»

«Perché non avevano il cuore di privare gli altri della verità, ma nemmeno la forza di subirne all'istante le conseguenze, così, dicendo la verità sotto forma di enigma, loro la consegnavano e non potevano sapere quando il messaggio sarebbe arrivato al destinatario.»

Annuii e proseguimmo la strada per un poco, quel metodo dei saggi di un tempo mi fu contorto da capire. Per pietà del mio comprendonio me lo immaginai come uno scambio di regali, i saggi dovevano fare regali molto brutti, delle verità, perciò le impacchettavano con mille nodi di spago, così da poter scappare prima che il destinatario li aprisse.

Entrammo in un salone, sul pavimento una cesta di pagnotte, dall'altro lato una parete di lava, colava dal soffitto e creava una cascata dalla superficie liscia e incandescente.

«Jajapi, non mi hai ancora risposto: come sei arrivata qui? Oltre all'aver incontrato Ror e tutto il resto, da dove sei giunta?»

«Ehm...» cercò le parole «Io arrivo dal crepuscolo, i miei occhi abituati alla notte conoscevano il pozzo d'odio fin nel suo fondo, sicché ad amor svelato, nulla potei che sollevare la testa e seguirlo senza sonno.»

«Capito.» tossì «Intendo grazie.»

«Ror» un borbottio che non provenne da me né da lei «Ror» mi sollevò il naso dalla cesta di pagnotte verso la parete di lava. Lì una sagoma nera, come l'ombra di qualcosa che vi stava dentro ma non bruciava «Ror» ripetei io.

Si trattava di un nano, con quella stazza che né un uomo né un orco e quell'altezza metà della norma tutta compensata dalla larghezza. Portava un'alta cresta quell'ombra e una barba folta che gli sagomava una grossa goccia sul petto.

«Ror» sibilò Jajapi prima di strizzarsi una mano sulla bocca.

«Chiamalo.» le sibilai io mentre mi scuoteva la testa «Ti conosce.» per qualche motivo convinto di non poterlo interpellare io di persona, io misero umano, e che Jajapi invece, elfica, potesse ossequiarlo e avvicinarlo a noi «Dai!»

«Ror, sono io...»

«Jajapi» l'ombra tirò fuori un chiodo lungo la metà di lei e lo posò sul pavimento per sollevarci sopra una mazza «anche qui? È l'ultima volta.»

«No, aspetta!»

L'ombra batté la mazza sulla testa del chiodo, il terreno tremò di colpo e crollò, ne rimasero pochi pilasti, uno al quale si reggeva lei, uno al quale mi avvinghiavo io e uno per la cesta, sotto di noi un altro pozzo questo con un fondo di lava incandescente.

«Jajapi!» le gridai «Jajapi tieniti!» col piccone in mano il mio solo braccio valeva comunque il doppio, forse il triplo e sul mio pilastro mi trovai ritto in poche mosse «Tieniti, forte, sto arrivando.»

«Ti prego» supplicò lei «Ho male alle dita.»

«Chi sei?» la voce di Ror mi pietrificò «Sei uno dei miei nani?»

«Non ho quest'orgoglio...» bisbigliai non trovai il coraggio di alzar di più la voce «Io sono Rododendro del sud, sono un umano, in viaggio per incontrare i nani.»

«Chi ti ha fatto scendere nella mia Cava?»

«Lologgi.»

«Non ti credo, umano del sud, non puoi averlo incontrato.»

«Invece sì: ho raggirato i tuoi nani, mi sono finto un ladro dei vostri tesori e loro mi hanno imprigionato con lui.»

«Ah» lo sentii sospirare e la sua ombra rimanere immobile sotto la cascata, ora attiravo la sua attenzione e un umano del sud non rappresentava più uno straniero di passaggio, un effetto del caso, recepii l'interesse attraversare la cascata e la stanza per focalizzarsi su di me per tenermi stretto tra spire invisibili e domandarmi perentorio «Con quale scopo ti sei fatto imprigionare?»

«Io sono alla ricerca del popolo dei nani.»

«E Lologgi ti avrebbe mandato qua? Impossibile: lui questa Cava l'avrebbe sigillata.»

«Lologgi sa che il fuoco vitale dei nani ormai è spento, ma sotto la cenere è nascosto ancora un tizzone ardente, tu Ror. Con Lologgi ho capito che non solo vi stavo cercando, ma sono qui per salvarvi.»

«Salvare il popolo dei nani?» sogghignò «Era la mia vocazione e se non ce l'ho ancora fatta io, non ce la può fare nessuno.»

Gli vidi voltarmi le spalle e gli gridai «Superbia!» bastò a fermargli il passo «Se credi di poter scendere all'inferno da solo e salvarti da solo, se lo credi sei già sconfitto.»

«Rodo! Sono in difficoltà...» fece Jajapi.

Mi voltai verso di lei se non che, anche con un piccolo tentativo, avrei rischiato la vita «Lo vedi, Ror, capo dei tuoi nani?»

«No.»

«Io mi sono fidato di Jajapi, altrimenti non sarei sceso fin qui. Lei ha bisogno di me adesso: tutti abbiamo bisogno!»

«Aiutami, Rodo.» chiamò ancora lei.

«Vieni ad aiutarla, Ror, non ce la facciamo da soli!»

Quello rimase dove si trovava, a mala pena girò le spalle verso di me «Io sono l'unico che potesse scendere tanto in questa cava.» fece «Da solo, incolume e ancora pronto a battaglia.»

«Ma prima o poi dovrai farti aiutare, come tutti.»

«No, io no.»

«Sbagli.» innervosito dovetti urlare, sembrava di bisticciare con un bambino, Jajapi di lì a poco poteva cadere mentre lui faceva i capricci.

«Colei a cui ti affidi» fece lui «è la ragione per cui non ti ascolto: raccontami, Jajapi non ha forse provato a ucciderti per tutto il tragitto?»

«Cosa intendi? Non c'è tempo per i discorsi!»

«Ti ha messo spesso in pericolo di vita, vero? E non sei l'unico con cui l'ha fatto: da decenni tenta di arrivare a me e sfrutta chi le capita a tiro per raggiungermi.»

«Ror» gracchiò lei «voglio essere una tua seguace, sono pronta!»

«Ti stai inventando una storia per giustificarti a lasciarci qui.» lo accusai «Lei mi ha benedetto, sono sopravvissuto alle trappole...»

«Benedetto?» ghignò Ror «Anche quelli prima di te erano "benedetti" e poi morti, tu sei stato fortunato.»

«Se quel che dici fosse vero, allora chi sarebbe questa splendida elfa?»

«Non è splendida e nemmeno un'elfa.» rise «È soltanto una delle sirene dei piani di sopra, ne hai viste altre vero?»

«Sì...»

«Lei le uccide per convincerti, perché è più furba delle altre: ha capito che nessun nano cede alle tentazioni del corpo, ma chiunque cadrebbe alla proposta di scendere nella Cava. È furba e pure ambiziosa visto che punta a me, il più forte di tutti nani.» non trovai parole per rispondergli nemmeno quando si congedò «Addio, umano del sud. Rifletti sui tuoi errori, io devo salvare il mio popolo.»

Andò via, quell'ombra nera sparì e io mi trovai in piedi, dopo un piccolo salto mi posi accanto alla cesta di pane, carezzai la crosta di una pagnotta ma ora mi mancava la fame.

«Rodo?» il lamentio di lei «Rodo, sei ancora lì?» non le risposi e lei pianse «Aiuto...»

«È vero quello che ha detto Ror?»

«Rodo! Ci sei ancora.»

«Jajapi, tu sei una sirena di Cava Inferno?»

«Sì. Sono una sirena degli abissi.»

«Non sei un'elfa.»

«No, Rodo, sono nata nel buio, non ho mai visto la luce.»

Raccolsi dalla cesta tutto il pane che mi stette sotto la camicia, il resto lo rovesciai sul pavimento, quella cesta sembrava robusta e magari, sperando che la cascata fosse abbastanza sottile, nascosto sotto quella sarei riuscito a passare senza sciogliermi.

«Ho paura» la voce di Jajapi si appigliò alle mie orecchie «Ho paura, Rodo.»

«Me lo hai detto spesso, una facile esca per chi è disponibile come me, forse troppo disponibile.»

«Rodo, io ti ho dato pane quando stavi morendo. Te ne ricordi?»

«Ecco! Ecco perché non me lo hai dato subito: ero una pedina, dovevi decidere se sacrificarmi oppure se ti fossi ancora utile.»

«E ho fatto la scelta giusta.» riuscivo a vedere la punta delle sue dita sbiancata sul pezzo di pavimento a cui si aggrappava.

«L'avresti fatta se io ora ti salvassi, altrimenti il tuo piano sarebbe fallito. Ma io ormai ne ho visti tanti di mostri e tu sei solo l'ultima delle loro mille forme.»

«Io parlo bene, Rodo, e tu sei un ingenuo, te lo confesso così come lo penso: ti avrei potuto raggirare come un bambino.»

«Lo hai fatto fin ora.»

«Ho centinaia di anni più di te e ho le armi per farlo. Lo farei anche ora, se volessi.»

«Infatti stai cercando di farlo.»

«Non ti avrei detto la verità, che sono una sirena e che tu sei un allocco.»

«Grazie. Addio.»

«Ma» mi richiamò «Ma pensaci un attimo, alle mille forme dei mostri di cui parli, credi che questi mostri non possano avere forma di nano e nome Ror? Non possano avere forma di umano e nome Rododendro?» singhiozzò «Io sono una sirena, ma dopo averti salvato col mio pane non morirò da mostro. Tu invece sei Rododendro, cantastorie del sud, ma lascerai me cadere nella lava, come farebbe un qualsiasi mostro.»

«Una sirena è capace di insinuare i più insidiosi dubbi nella mia mente, l'unica cosa che ti sconfigge è non farmene venire.»

«È vero.» esclamò «È vero io metto il dubbio, ma non posso costringere nessuno. Sei sempre e solo tu che decidi, Rodo.»

Saltai sulla sua colonna, mi chinai sulle sue mani e ne afferrai una. La aiutai senza problemi, anche perché lei si sollevò senza sforzo. Me la trovai petto contro petto, i talloni a sfiorare il bordo della colonna su cui posavamo i piedi.

«Ce la facevi da sola...» una spintarella e sarei volato nella lava.

«Sì, ce la facevo da sola.» bisbigliò lei «Ma non volevo farcela da sola.»

Attesi che lei stendesse le braccia e mi gettasse di sotto. Non lo fece. Saltammo nella piattaforma della cesta, la più ampia delle tre, appena posati i piedi lì mi allontanai. Misi la cesta tra noi, controllai i movimenti di Jajapi, le fissavo i fianchi e le mani, non gli occhi, per non rischiare che mi ipnotizzassero, solo il ricordo già mi annebbiava la mente.

«Non parlare.» le intimai, anche se non diceva nulla, le vidi stringere le dita «Scusami, ma devo capire, devo riordinare le idee.» controllai la lava, presi un respiro, ancora non mi trovavo caduto là sotto «Mi hai ingannato.

«Sì, è nella mia natura, ma...»

«Ma?» esclamai.

«Ma non sono un mostro.» le si strozzò la gola.

«Cerchi ancora di impietosirmi?»

Scrollò la testa «Perché dovrei?»

«Perché sei un mostro.»

«È molto che desidero essere un nana battezzata da Ror, questo è vero. E ho provato a esserla coi mezzi di un mostro. Però sei arrivato tu, ho letto il tuo diario e ho letto chi sei, ho provato stima per te. Perciò sono cambiata.»

«Così d'un tratto?»

«Ho voluto essere un nano a tutti i costi, per anni, ma in realtà quello che vorrei è semplicemente non essere un mostro.»

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