37) La cicatrice
«Se la barba di Ror raffigura la sua identità, la cicatrice invece rappresenta il suo obbiettivo.» l'elfa Jajapi guardava avanti mentre mi raccontava «Tutti i suoi nani conoscono quel simbolo, l'occhio tagliato, e se non lo portano addosso comunque lo ricordano vivido nella mente.»
«L'occhio tagliato...» le guardai il petto dove campeggiava quel simbolo in tinte rosse.
«Si racconta che l'ultimo re delle caverne, sotto una montagna chiamata Nostorre, convocò tutti i suoi condottieri.»
«Nostorre la conosco, è quella montagna crollata sul popolo dei nani.»
«Infatti quel re aveva già previsto quell'avvenimento, e non solo quello: il suo sangue regale aveva dato lui molte visioni nel buio del sonno, incubi sulla fine di tutta la sua razza. Incapace di sopportare tali visioni, incapace di assimilarle senza provare terrore, quel re incaricò tutti quei condottieri di trovare la Roccia Madre.»
«È una roccia di cui ho già sentito parlare credo...»
«Non è propriamente una roccia, è una fonte di vita. Come dalla gola di un vulcano esce lava per poi trasformarsi in pietra, così dalla Roccia Madre zampillerebbe sangue, sangue che in antichità, filtrato nella pietra, avrebbe dato vita ai primi nani.»
«I condottieri dovevano cercare la sorgente della loro vita.»
«Finché la sorgente esisteva, secondo il re, nessuna estinzione poteva raggiungerli. Quei condottieri partirono per ogni parte del mondo, secondo loro la sorgente doveva trovarsi molto a fondo nella terra oppure molto lontano. Nessuno tornò, se non Ror e all'ultimo re delle caverne portò la sua unica conquista, Cava Inferno, la cava più profonda mai esplorata. Tuttavia Ror confessò la sua reticenza ad entrarvi, piuttosto, propose al re, avrebbe raggiunto i confini della terra, scalato la cinta di ghiaccio che la circonda e cercato oltre a quella.»
«Davvero?»
«No, è un'assurdità, è come dire che piuttosto di entrarci avrebbe preso il volo in cielo e cercato dietro le nuvole. Ma l'ultimo re delle caverne temeva la fine, la temeva forse troppo, e non poteva guardarla arrivare. Prese il proprio martello, lo passò nella lava finché non divenne rosso incandescente e ne posò la testa sulla fronte di Ror, lì dove ora si trova la cicatrice. La troverai, gli disse, la Roccia Madre sarà il tuo destino e se vorrai la cercherai anche sotto i mari o dietro ai ghiacci, ma quando non saprai più dove cercarla, tu scenderai sul fondo di Cava Inferno e la cercherai lì, che sia la tua ultima tappa o la prima, tu andrai là sotto e salverai il nostro popolo dalla sua fine.»
«Quindi è una sorta di fattura, un destino imposto.»
«Non è una fattura, è un simbolo di lealtà al suo popolo: Ror ama i nani, perciò ama il loro ultimo re e perciò rispetta il suo ultimo ordine, e non potrà mai dimenticarlo, ce l'ha in fronte, e non potrà mai nasconderlo, perché tutti glielo vedranno.»
«Doveva scendere qua sotto solo per coerenza a se stesso, al suo essere un condottiero del re, possibile? Mi sembra un motivo futile per rischiare di non uscire di qui.»
«Ma rimanere fuori ed essere indicato come la ragione dell'estinzione dei nani? Quello non è peggio? I suoi fratelli che lo guardano e dicono, ecco, lui è quello che poteva fare l'ultimo tentativo ma non l'ha fatto, magari poteva salvarci tutti ma per ragione sua...»
Ror e la sua sola missione di scendere fino in fondo all'inferno, solo per controllare che lì non ci fosse una sorgente di vita. Quel simbolo sul sopracciglio e tutti i suoi seguaci, tutti votati all'ultimo tentativo, tutti con stampato quel simbolo come la promessa di non arrendersi nemmeno a fallimento fatto e avvenuto.
Mi tornò alla mente la mia pepita, ora abbastanza lontana nei ricordi da potermi osservare dall'alto in quei momenti in cui la portavo in mano e potermi giudicare con criterio. Ecco cosa mi prometteva Walgun, il drago che me la diede, la possibilità di non perdere mai, la possibilità di non dover guardare la morte, che fosse effettivamente la mia morte, oppure più semplicemente la morte delle mie ambizioni.
L'ultimo re delle caverne all'improvviso mi suonava come un titolo penoso, troppo altisonante per chi non era in grado di vedere la fine e accettarla, e apprenderla. Certo, nessuno è in grado di vederla e starle davanti, ritto e senza tremare, ma non affrontarla mai è un errore
«Ecco cosa penso di quel re» mi rombò la voce, lo stomaco vuoto sembrò darle risonanza «Vuoi sentirlo, Jajapi?» i muscoli induriti dai crampi non dolerono più, forti dal nulla, mi alzarono in piedi «Vuoi sentirlo?»
«S...» mi guardò con la testa chinata da un lato, come notasse un dettaglio nel mio aspetto, un'attrattiva nuova «Sì, voglio saperlo.»
«Quel re sbagliava a cercare una soluzione distante, lontana, come se per sopravvivere si dovesse scappare in un paradiso nascosto. Sbagliava: la morte prima o poi ci raggiunge tutti e se non si vuole venirne colpiti alle spalle bisogna smettere di scapparle.»
«Qual è la morte dei nani secondo te?»
«Io l'ho vista. È l'avarizia, è la testardaggine, è la loro furia imperterrita in combattimento, è la gelosia delle proprie cose e la smania di possederne altre, questa è la loro morte e... per la miseria! La morte di Ror sarà il suo orgoglio nel tener fede a una cicatrice, alle parole di un re scomparso, probabilmente... probabilmente scomparso per la morte che ti indico io ora, la stessa morte che gli mostravano quegli incubi che non si è sforzato di apprendere!»
«Rodo...» Jajapi infilò una mano sotto il colletto e ne tirò fuori un rettangolo di pane «... mangia questo.»
«Jajapi» la salivazione mi bagnò le labbra «avevi del cibo?»
«È un pane che credevo non potessi assimilare, ma mi sono ricreduta.» chinò gli occhi sul pavimento.
«Ti sei ricreduta grazie alle mie parole? Quale pane è commestibile a seconda di quel che dice chi lo mangia?»
«Questo è un pane speciale... Mangialo e basta.»
Lo morsi, lo masticai, ne mangiai, che fosse un pane elfico o meno mi ricordò la focaccia di casa mia. Jajapi ne tirò fuori anche dell'altro, tanto che mi tenne in vita, la sete infatti la sopivo con il gocciolare delle pareti umide, mancava solo quel pane, perché io sopravvivessi anche a quella prova.
«Grazie...» glielo dissi, ma con un nascosto riserbo che, visti i suoi occhi bassi, non nascosi così bene «Sembrava pane normale.»
«Non lo era.» mi puntò negli occhi, come controllasse che le credessi «Non lo era affatto.» solo ora le riconoscevo quella spanna d'altezza in meno rispetto a me, solo ora notavo la sclera bianca attorno alle sue iridi, una sciocchezza che però mi suggeriva un'idea: tutti, anche coloro che possiedono gli occhi più belli, hanno la sclera bianca. Un po' come dire che potrai anche parlare l'elfico ma alla fine mangiamo tutti pane e patate.
Jajapi deglutiva mentre i miei occhi continuavano a studiarla, riflettevo su queste cose, su di lei, e lei intanto guardava avanti, dritta, aspettava l'arrivo e il prossimo ostacolo come se non ci fosse nulla, come se io non stessi pensando di lei.
La volta di una grotta sorse nella parete e la piattaforma sulla quale calavamo da giorni le si fermò proprio di fronte.
«Ecco.» sospirai.
«Non sono mai arrivata così a fondo.»
«Davvero?»
«Cos...» piantò a metà il passo che stava facendo e controllò il mio viso «Hai qualcosa che non va, Rodo?»
«Ho cambiato aspetto durante la discesa?»
«Mi è sembrato di sì, ma può essere che sia stata io a conoscerti meglio e vederti in un modo nuovo.»
«Hai riconosciuto un Rodo che poteva mangiare il tuo pane?»
«Sì» esclamò lei «E se ti sembra così strano puoi anche decidere di lasciarmi sola. Di andartene via, anche con la mia benedizione, e basta.» storse il viso in una smorfia di pianto che io non potei reggere «Mollami, Rodo.»
«Scusa.» la supplicai «Scusa, Jajapi. A volte non capisco nulla...»
«Bene. Forse ti perdonerò.» stese il suo passo avanti «Andiamo.»
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