35) Il filo della storia
La trappola delle profondità, un marchingegno che non cercava più di celare il proposito per cui era progettato: uccidere intrusi maldisposti a spingersi più a fondo nella cava.
Passata la prima strettoia di quella trappola, sotto il macigno pericolante, notai subito il maligno ordimento di quella struttura, diamanti grandi come mattoni facevano da chiavi al soffitto a volta, il macigno pericolante si sosteneva a piccoli pilastri tagliati a uncino, facili da spingere e destabilizzare nel tentare il ritorno, di fronte a me invece una porta di metallo, alta due volte me e pesantissima. Provai a spingerla ma provocò talmente tanti tremori nel terreno che i pilastri del macigno scricchiolarono.
«Ehm» mi chinai per guardare attraverso la strettoia «Jajapi?»
«Sì?» le vidi la treccia penzolare a terra di fronte ai piedi prima che arrivasse il suo viso a testa in giù «Cosa c'è?»
«Questa non è una trappola mortale, ne ho già viste altre qua dentro.»
«Quindi posso venire?»
«Questa trappola ti chiede di sacrificare la libertà, Jajapi. Questo...» mi tirai un attimo dritto per prendere un respiro e dirglielo «Questo è un po' la morale di tutta questa maledetta cava, Jajapi: più vendi la tua libertà, più scendi verso i gioielli più grossi.» tornai a guardare nella strettoia e le vidi solo i piedi «Tu sei qui per i gioielli?»
«No!» spuntò di nuovo la sua faccia «Solo per i nani.»
«Almeno questo lo abbiamo in comune. Cos'altro hai detto che c'è in queste trappole?»
«Baratri, acqua, punte... e altre cose. E mi fanno tutte paura!»
«Beh Jaja, io devo proseguire. Tu rimani lì, quant'è vera la tua benedizione tornerò a prenderti assieme a Ror.»
Appena mi rivolsi alla porta, sentii i gemiti di Jajapi tra i piedi e poi lei che spuntava strisciando dalla strettoia. Risollevata accanto a me, si sbatté la polvere dallo stemma di Ror che portava sul petto e la tolse pure da schiena e treccia.
«Non...»
«Non mi far spiegare.» tagliò corto lei «Io voglio trovare Ror, e ho già visto troppi scendere senza risalire.»
«Ma io ho la tua benedizione. È diverso, no?»
Annuì a labbra strette, senza guardarmi negli occhi e prese a spingere la porta. In due esercitammo tanta forza da spalancarla, ma una volta spalancata questa sfuggì alle cerniere e tutto d'un blocco cadde sul pavimento.
Mi voltai giusto per vedere le vibrazioni raggiungere il macigno in bilico e farlo collassare sulla strettoia. Sigillata in un botto, il suo rimbombo attraversò le pareti e andò oltre, per stanze, pozzi e corridoi che potemmo solo sentire in lontananza.
Di fronte a noi la luminescenza naturale del magma, illuminava il soffitto di una sala circolare riempita di un lago di quella roccia fusa. Al centro del lago un pennacchio di roccia nera sulla quale stava in equilibrio una pietra, come una bilancia a due bracci. Un'estremità di questa poggiava di fronte a noi, l'altra invece pendeva nel vuoto.
«La trappola a bilancia...» bisbigliò Jajapi.
«In pratica, se io metto piede su questa estremità la roccia rimane ferma, ma pian piano che vado dall'altro lato... la roccia si inclina verso la lava.» notai un'altra porta là dall'altro lato.
«Qualcuno dovrebbe rimanere qui a farti da contrappeso mentre tu vai di là.»
«Un ostacolo spudoratamente pensato per dividere i gruppi. Ma sai una cosa?» mi voltai per andare verso la porta di metallo rimasta a terra «Io sono Rododendro del sud, contastorie benedetto dalle elfe? E allora non mi fermano mica qui.» piegate le ginocchia, infilate le dita sotto la porta la sollevai quel tantino da spostarla di mezza unghia «Mi dai una mano?» la supplicai con voce strozzata.
Assieme piazzammo la porta sull'estremità poggiata della bilancia, fissa quella attraversammo bellamente il ponte di roccia.
«Prima voi.» mi chinai.
«Ringrazio.» fece lei mentre posava il piede dall'altra parte.
Aprimmo la porta assieme e nella sala successiva non trovammo porte, soltanto una leva, piantata in centro a un'altra stanza circolare, con tre scheletri sdraiati attorno.
«Oh...» Jajapi ne carezzò il cranio «Ecco dov'erano finiti.»
«Loro...» mi sentii piccolo all'improvviso molto piccolo «Loro sono umani?»
«Sì, Rodo, non sei il primo umano che scende nella Cava Inferno.»
«E sono morti tutti e tre qui? Loro non li avevi benedetti?»
«Ehm» raschiò la voce da una raucedine che ancora non le avevo sentito «Non c'entro io, deve essere questa trappola: fatta perché un umano non possa superarla.»
«Pensavo che contro gli uomini bastassero le sirene di qualche piano più su per bloccarli.»
Mi puntò «E le donne allora?»
«Ah... Scusami, è che tra noi umani non mi riesco a immaginare una femmina che scenda fin qua sotto prima di essere fermata.» l'ho scritto ma non lo dissi davvero, non di fronte allo sguardo tagliente di Jajapi. In realtà dissi «Ah... È vero.» nient'altro.
Jajapi ribadì convinta «Eh. Voi, nel vostro universo maschile, avete una visione molto ristretta della realtà.»
«Credo tu abbia ragione.»
«Vi conviene svegliarvi.»
«Eh già.» sospirai «Allora, avevi detto che c'era una sola soluzione?» mi guardai intorno, la leva al centro per un attimo la trascurai, notai piuttosto l'angolo tra pavimento e pareti, vi trovai una fessura che sembrava separarli «Qualche indizio?»
«Ti posso dire che quella su cui siamo è una pietra galleggiante.»
«Così grande?»
«È stata fusa assieme di proposito. Perciò direi che sotto potrebbe esserci dell'acqua... stiamo galleggiando.»
«Quindi questo è un pozzo e la leva al centro servirà per...» guardai il soffitto a un braccio dal mio naso «...per farci scendere.»
Avvicinai la leva e tirai da un lato. In lontananza il gorgogliare d'acqua alla quale seguiva il sollevarsi del pavimento verso il soffitto, provai a piegare la leva dall'altro lato e il pavimento prese poco a poco a scendere.
«È molto lento...» commentò lei «Quando arriveremo in fondo?»
«Io credo che...» proprio dopo quella domanda posai gli occhi sugli scheletri, tolsi la sacca dalle spalle e guardai le scorte di cibo che ancora conteneva «Ho capito... Questi tre devono essere scesi finché potevano, poi hanno provato a tornare su, per fame e sete, ma tempo di risalire sono morti di sete.» guardai lei «Tu potrai arrivare in fondo e anche un nano, ma io no.»
Credo trascorsero sette giorni prima che mettessi le mani nella sacca, in preda alla fame, e non trovassi più nulla «Oh no...»
«Oh no!» Jajapi portò le mani alla bocca e mi guardò in pena «Hai di nuovo fame?»
«Sì...» abbandonai le braccia, inginocchiato di fronte alla sacca vuota.
«Ma di nuovo? Ti avevo detto di non mangiare tutto.»
«Jajapi...»
La guardai, lei intatta, pulita, indifferente, le sue guance come ceramica smaltata, la sua espressione ignara come quella di un bambino sopra un uomo che si sforza dalla fatica.
«Se facessi i tuoi... I tuoi bisognini meno spesso avresti meno problemi di pancia vuota.»
«Jajapi» non riuscivo più a pronunciare quel nome con riverenza, nemmeno con ammirazione, ora la chiamavo sconsolato come si chiama un asino fermo, che non ti vuole portare a casa, o come si chiama un gatto su una mensola, che non capisce perché dovrebbe scendere «Jajapi per favore...»
«Tra l'altro puzzano. Mi posso anche girare mentre li fai, ma sento comunque tutto.»
«Ma scusa, gli animali delle foreste elfiche non fanno mai nulla?»
«È tanto che non vedo foreste elfiche» soffiò dal naso arricciato «E chi le vuole vedere? Noiose in confronto a una cava nanica.»
«O a una piattaforma di pietra pomice che va giù» mi stesi sulla schiena «... e giù e giù e giù...» lassù in alto non vedevo più il soffitto, vedevo solo oscurità e sapevo che proseguiva per centinaia di altezze «...arriverai da sola, Jajapi.» aprii le braccia, con una mano toccai la parete, la sentii scorrere verso l'alto sotto le mie dita, con l'altra arrivai alle dita di uno scheletro e le strinsi, non mi spaventavano più ormai, anzi, ormai percepivo una sorta di fratellanza.
«Jajapi?»
«Sì?»
«Sono stato utile per te? Dopo che mi hai chiamato qui, almeno sono stato utile per te?»
«Sì... ma tu, senza saperlo, per cosa eri venuto?»
«Io?» corrugai la fronte prima di ricordarlo «Per i nani, ma soprattutto per questo, levai dal petto il mio diario e glielo porsi «Volevo una storia, da raccontare ai miei nipoti, una storia che li rendesse orgogliosi di essere miei nipoti e che li rendesse coraggiosi. Volevo che la mia storia parlasse di nani, perché loro, a mia sensazione, sono i più forti e coraggiosi di ogni battaglia.»
«Beh... Anche tu sei coraggioso, Rodo.» scrollai la testa «E poi, se resistessi a quest'ultima trappola a cui sopravvivono solo i nani, anche tu ti potresti dire un nano.»
Scrollai la testa e l'ultima acqua che ancora possedeva il mio corpo colò via con le lacrime «Sarebbe solo per finta, Jajapi. Ecco, molti credono che non esistano più le leggende, credono che in questo mondo non esistano cose fiabesche e fantasiose e leggendarie, come te, come i nani, come i mostri o come i draghi. Ma la verità è che esistono, soltanto che non riguardano noi umani, e non li riguarderanno mai... né leggenda, né fantasia, né furore di battaglia, né gloriosa vittoria né eroica sconfitta. Ci ho provato... ma purtroppo non esisterà una storia in cui Rododendro, un uomo e basta, potrà vivere la leggenda e tirarne le fila fino all'ultima riga.»
«Rododendro stai morendo?»
«Tieni tu il diario e se non hai voglia di leggerlo oltre la prima pagina, bè, tanto vale che lo butti, o brucialo, credo infiammerebbe bene, meglio di quanto potessero infiammare le storie che conteneva.»
«Non puoi morire, Rodo, hai la mia benedizione.» mi carezzò la fronte e io non riuscii a risponderle «Rodo?» ancora non mi usciva la voce, non mi bastavano le forze per dare impulso alla lingua, non mi bastava la voglia per sforzare le membra.
Jajapi si inginocchiò vicino a me e posò la mia testa sulle sue cosce, sembrava tenermi come volesse cullare il mio sonno, forse convinta che fingere che mi stessi addormentando sarebbe servito a qualcosa. Dietro le mie ciglia intrecciate, con la vista offuscata, le vidi leggere il mio diario, con la lampada in una mano e le palpebre sgranate sulle pagine, tirava indietro il mento sfogliava con un pollice e tornava a ficcare il naso tra le due guance del libro.
Forse mi addormentai davvero, forse no, tant'è che mi parve di svegliarmi quando percepii la voce di Jajapi declamare «...in cambio delle mie storie. Raccontavo...» traeva le sue parole dal mio scritto «Una buona storia può darti da mangiare, da bere, un giaciglio al caldo, una buona storia può aiutarti a lavorare più forte, o resistere a lungo, una buona storia ti fa sopravvivere.» detto questo Jajapi deglutì, posò il mio diario da un lato e guardò per aria, come cercasse di ricordare il filo di una trama lasciata in sospeso «Ti sbagli Rododendro, gli umani non sono mai stati fuori dalle leggende, anzi, è in tutti gli altri che abita la normalità e tutti gli altri diventano leggende solo quando incontrano gli umani.»
«Cosa vuoi dire?»
«Io, non sarei così avanti senza di te, tutte le persone e le creature che hai incontrato, e poi... e poi c'è anche Ror: tu non lo conosci abbastanza e questo al tuo diario manca.»
«Chi è Ror?»
«Ror è il figlio di due razze, Rodo, la madre nana, ma il padre era nato umano.»
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