33) Bellissima Jajapi

E qui giungo al capitolo che più mi vergogno a raccontare. Fiducioso nella potenza della verità lo racconterò comunque, anche perché lo ometterei solo per orgoglio.

Ricordo, nei miei primi passi, appena uscito di casa, uno speziale che mi chiese se andassi al nord per le donne. Un episodio di poco conto, a quella domanda avevo risposto

«No» sconcertato che insinuasse qualcosa di così volgare.

C'era un altro episodio poi, ripenso a quella ragazza molto carina. Carina ma devo pensarci un po' prima di ricordare il nome, quella della cintura, aveva uno di quei nomi che accompagnano le forme abbondanti di chi mangia bene

«Gisella!» in verità confesso: prima di ricordarlo l'ho cercato nelle vecchie pagine del diario «Gisella in realtà non è un nome da donna paffuta.» tant'è che quella Gisella lo era, ed era anche carina. Ma lì per lì non mi interessava, nemmeno in quella occasione l'attrazione femminile mi aveva sfiorato.

Io dovevo puntare al nord, sempre dritto, io ero Rododendro, quello che cerca i nani. Ammetto, che in tutto questo viaggio cercai più i nani di quanto non abbia cercato compagnia femminile in tutta la mia vita. Il ché non è poi così grave, ma nemmeno molto virile.

«Oh! Non è vero, c'era anche quella ragazza di città.» quella che importunai per strada, quella che mi fece mettere alla gogna «Eppure l'avevo solo salutata.» credo.

In coda a questo resoconto delle mie relazioni col mondo femminile, avverto che vi sia stato un progredire. Se sono partito sbarbato e pudico, ora mi trovavo un dito di barba sul mento, un tantino di vello sul petto e un desiderio che premeva sulle anche, stringeva il ventre e batteva sulle brache

«Devi conoscere una fanciulla, in fretta!» mi gridava l'istinto. Per fortuna vostra, fanciulle là fuori, a quel punto mi trovavo già bloccato in Cava Inferno e là sotto, ironia della sorte, riuscivo a trovare soltanto nani.

Tuttavia trovo che la sorte si possa dire molto più cinica piuttosto che ironica, e una sorte proprio cinica, nel più forte zampillare di questi desideri di passione, portò al mio orecchio il canto di una donna.

Il gorgoglio di una fenice infuocata, il canto dei cigni immortali, la melodia sulle labbra delle donne guerriere, quelle che scendono dal cielo in groppa ai cavalli alati. Qualsiasi origine avesse, riverberava sulle pareti della grotta come potesse lisciarle, carezzava le mie guance e mi sollevava da terra.

Da poco uscito dall'acqua, da poco asciugato, mi scoprii a vagare per i tunnel, accompagnato per mano da quel canto, nemmeno capivo cosa dicesse, eppure mi sentivo chiamare per nome.

Ci sono voci, e soprattutto quella, che dipingono immagini dentro la mente di chi le ascolta, ognuno riceve immagini diverse, ma tutte sono potenti tanto più quanto la voce riesce a suscitarle nitide.

L'immagine che vedevo nella mia mente, a occhi chiusi, vista coi timpani, era di una donna regina della bellezza, e non della bellezza come semplice misura del piacevole, ma bellezza divina che ricama il proprio nome sul cuore di chi la osserva.

Per un attimo ripensai alla moglie di Grotber e, non volendo, mi immaginai all'origine di quella voce una strega orrenda. Sicché, quando percepii d'esser a un angolo da lei, dall'origine del canto, mi fermai e sporsi l'occhio.

Mi cadde il piccone, mi si sfilò la sacca dalle spalle, mi cascò il mento e caddi pure in ginocchio. Dietro quell'angolo cantava colei in cui riconobbi l'aspetto di una fata, figlia di madre natura, uno di quegli spiriti che intona la voce delle onde nella risacca e accorda i fili di vento sulle colline. Avvolta da un alone luminoso, vestita d'argento.

Appena vista mi dissi «Sposato a lei o altrimenti morto.» e riconobbi che, guardandola qualunque altro uomo avrebbe detto lo stesso.

«Mia signora» mi annunciai «Sono Rododendro del sud, vostro servo, fino alla morte.»

Di botto smise di cantare, e col mancar della sua voce parve mancare anche la luce attorno a lei «Sei pazzo?» mi venne in contro e mi puntò un piccone alla gola «Qui ci sono sirene, donne mostro e serpi attraenti. Potevo essere una di quelle.»

«Mostri coi seni?» ancora stordito non sapevo cosa stessi dicendo «Non sei una di quelli.»

«Lo so.» mi afferrò per la spalla e mi tirò in piedi «Prendi le tue cose. Dobbiamo andare.»

«Dove?»

«Ti stavo aspettando, ragazzo.»

Mi guardò negli occhi e sorrise, zaino in spalla, piccone in mano, l'avrei seguita anche nella lava «Andiamo.»

Capelli di fili finissimi avvolti in trecce rozze come quelle della barba di un nano, le dita affusolate di una mano fatta per pizzicare la cetra strette nervosamente al manico del piccone, il viso d'un angelo che ha unito lo sguardo di un cerbiatto alla tenerezza di un coniglio, corrugato in una fitta nervosa, e poi il seno, mi dispiace ma lo guardai, abbondante e tutto premuto sotto una corazza in piastre d'argento.

«Sì?» notò il vagare dei miei occhi su di lei.

«Chi siete voi, mia signora?»

«Sono Jajapi, nata elfa, purtroppo.»

«Purtroppo?» espirai senza voce prima di riuscire a dirlo «Siete il miracolo della natura più miracoloso che il mondo, l'intero mondo...» schiarii la voce «Cosa ci fate qui sotto?»

«Sono qui per trovare il capo dei nani.»

«Ma tu hai tutto, perché ti interessa quello?»

«I nani sono le creature più belle del creato» si voltò per parlarmi faccia a faccia, per un attimo fermi «Io troverò il capo dei nani per farlo...» non riuscivo a seguire, le stavo guardando le labbra «...perché i nani sono grandiosi e potrebbero...» sentii le mie scaldarsi, quelle di lei nemmeno si trovavano così lontane «... una progenie di nani, perciò una volta trovato, gli chiederò di sposarmi.»

«Cosa!» esclamai «Cioè, vuoi... volete sposare un nano?»

«Fate tutti quella faccia...» tornò a camminare e io le marciai dietro.

«Vuoi una progenie di nani?»

«Le persone della mia vita si dividono in due tipi, quelli che fanno la tua faccia: Cosa?» mi imitò con una smorfia «E i nani.»

Deglutii e glielo chiesi «E i nani cosa dicono a riguardo?»

«Che non gli piaccio.»

«Cosa!»

«Cosa?» mi fece di nuovo il verso «Tu sei una persona molto più "Cosa?" delle altre.»

«Ma è che io... Io ci vedo, porca miseria! Ma anche i nani dovrebbero saperci vedere.»

«I nani...» sulla nostra strada apparve una donna completamente nuda, i lunghi capelli rossi le coprivano appena il petto e dalle labbra usciva una nenia lieve lieve

«Uargh!»

L'elfa Jajapi le piantò il piccone in gola, poi glielo piantò nel cranio. La donna si rivelò la propaggine di un mostro dalle file di denti circolari, a decine, lei continuò a picconarlo finché il sangue di quello non le colorò l'intero viso.

«I nani» un attimo dopo riprese a camminare imperterrita «I nani sono diversi da voi umani, Rododendro» pronunciò il mio nome come sputasse dello sporco dalla bocca «Loro resistono alle tentazioni della carne: resistono al freddo, al dolore, resistono alla gola, al bisogno d'aria e pure al bisogno di compagnia la notte.

«Sì» me ne resi conto «un umano come me è molto debole... un po' ridicolo... Però sono arrivato fin qua sotto!»

«E arrivato qui saresti morto.» proprio in quel momento un'altra figura si parò di fronte a lei, anche questa bellissima, che per qualcosa le sembrava pure assomigliare. Jajapi ne fece scempio col piccone.

«Hai ragione.» mi asciugai via il sangue, schizzato fin sulla mia guancia dall'irruenza dei suoi colpi «Però so ammettere che hai ragione, questo quei testardi dei nani non lo saprebbero fare, vero? Perché io... Attenta!» dietro di lei vidi spuntare il muso di una serpe di fuoco, dello stesso genere di quello che s'era mangiato il mio braccio, corsi per tenerla a bada io e dimostrare che sapevo combattere.

Jajapi, con due passi che parevano appartenere a una danza, mi anticipò sul nemico e lo sconfisse con un giro di piccone. La punta entrava nell'occhio della bestia e usciva dall'altro, intanto Jajapi si asciugava la corazza. Sul petto un simbolo rosso, un cerchio con un punto al centro e un taglio che lo attraversava, come un occhio tagliato da una cicatrice.

«Allora?» fece lei.

«Stavo guardando... il simbolo.»

«È il simbolo di Ror, lui lo porta segnato sul sopracciglio.»

Quella donna, o meglio quella fata dei boschi, quell'elfa, lei, Jajapi, possedeva ogni cosa più bella che io potessi immaginare in una persona. L'apice della meraviglia: la bellezza di madre natura e la potenza di una valanga.

E io ero solo un ridicolo umano. Uno che sarebbe morto, stordito dal canto di quella sirena, attratto da quel gruppetto di funghi velenosi, o imbambolato di fronte ai seni di quel serpente costrittore ultraletale.

Mi sentii in difetto, così in difetto da volermi voltare e tornare a casa, per infilarmi in un buco di latrina. E così mi sentii fintanto che non chiesi

«Quindi i nani resistono a tutte queste sirene?»

«No, a loro non piacciono proprio. Se non gli piaccio io...»

«Non gli piaci tu?»

«Sì» Jajapi si carezzò il mento «Credo di dovermi far crescere della peluria... devo tagliarmi mezza gamba almeno, per essere più corta, più corta è, meglio è. E poi... poi spero che mi si rompa il naso, in qualche lotta: a loro piace un po' più schiacciato, un po' più largo...» agitò la mano di fronte al viso «È proprio questo il problema, capisci? Questo mio aspetto...» singhiozzò «Ci sarebbero mille cose da cambiare.»

«Ok, adesso mi sento l'unico sano di mente qua sotto.»

«Cosa hai detto?»

«Nulla. Solo che ho ritrovato la mia spina dorsale.»

Sospirò «Dici che al capo dei nani potrei piacere?»

«No.»

«No?» si accoccolò sul bordo della strada, si strinse le gambe al petto, io le offrii qualche razione di carne abbrustolita «È che...» singhiozzò lei «Dovrei anche ingrassare, di minimo... otto punzoni alla cinta.»

«Non ce la farai.»

«Io mangio mangio mangio... guardami» slacciò la corazza e fece aderire la camicia sulla vita «Rimango snella, sembro tornita dagli angeli...»

«Oh, che disgrazia.» misi in bocca un pezzo di carne per levarmi la saliva che rischiava di colare dalle mie labbra.

«Io non posso vivere così.»

«Devi uscire di qui: ti dirò, per quel che vedo, Ror non ti dirà mai di sì.»

«Ah certo, mi ha già rifiutata una volta.»

Cominciai a tossire, il pezzo di carne ficcato di traverso «Cosa?»

«Due volte in realtà...» riuscii solo a tossire di più mentre lei rincarava «Io non invecchio: glielo chiesi quando era giovane, ma mi rifiutò, riprovai anni dopo, ma si ricordava ancora di me, poi lo ho anticipato dentro Cava Inferno, qui e mentre scendeva gli ho detto "Sorpresa! Sono un tesoro segreto, mi hai conquistata."» singhiozzò «Ha tirato dritto.»

«Oh ma è ignobile!» ripresi a respirare normalmente «Sai cosa? Mollalo, mi è passata la voglia di andare a salvarlo, tu sei molto più importante.»

«Rododendro?» alzato lo sguardo sul mio io vidi rosa, la voce di Jajapi mi suonò soffice come una carezza di velluto «Rod, se mi aiutassi tu, saresti l'umano più nanico che abbia mai incontrato.»

«Lo farò, ti aiuto.»

«Avevi detto che sei mio servo.» inarcò le sopracciglia in su.»

«Lo sono. Lo sono. Lo sono» lo ripetei dieci volte, la mia volontà alla sua mercé, il mio cuore voltava faccia a suo comando.»

«Bene.» si alzò e mi accompagnò qualche svolta più avanti «Perché io sono rimasta bloccata qui...»

Di fronte a noi una cascata di magma sbarrava la galleria, spessa e densa da scaldare solo a guardarla, lasciava un unico corridoio libero, strettissimo, con un pavimento di cristallo, liscio che già mi ci vedevo scivolare.

«...avevo proprio bisogno di un ragazzo coraggioso che mi aiutasse a proseguire.»

«Ma se mi avvicino... mi scotterò di certo.» la guardai, lei mi sorrise, e io, mia vergogna, cedetti all'istante «Ok lo faccio.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top