31) Tuffo nel buio

«Te l'ho visto addosso appena sei entrato nella sala» Udorf parlava poco a poco sempre più forte «Sei qui per il mio stesso motivo, Rododendro, per Ror e per i suoi nani.»

«Appunto, io proseguirei oltre questo luogo, senza interferire coi morti...»

«Rododendro del sud, il seguito della cava è al centro di questa stanza, in fondo a un pozzo pieno di diamanti.» alzò la voce «E noi ci tufferemo dentro!» esclamò che tutte le facce lì attorno furono all'improvviso dirette su di noi «Sei veloce vero?» chiese il nano.

«Sì...» mi tremarono le ginocchia «Questo come potrebbe aiutare?»

«Io ero uno di quei lancieri» sollevò un elmo e se lo calcò sulla testa per poi chiudere la visiera di fronte al naso «Tocca tutte le gemme che puoi, falli arrabbiare...»

«No, io non posso...»

«Hai paura?» incontrai i suoi occhi illuminati dalla mia torcia «È questo il modo di passare Rododendro.»

«Sono migliaia.» bisbigliai.

«E hanno tutti la stessa debolezza: la rabbia li ha uccisi. Falli inferocire.»

Scattai, in fede alle parole di Udorf, dette con tanta tenacia da darmi la pelle d'oca, toccai tutte le gemme che vidi, dissacrai con le mie manate ogni lingotto e pepita che le statue tenevano in mano. Respiravo forte e battevo i piedi nelle mille svolte, tra una statua e l'altra, eppure riuscivo a sentire la pietra rianimarsi dietro di me, scricchiolare, rompere le giunture, alzarsi, scuotersi. Non mi voltai continuai a correre, sentivo tanto rumore da potermi immaginare una frana di pietra rotolare alle mie calcagna.

«Vai al centro, ragazzo!» la voce di Udorf «Mira al tesoro.»

«E i lancieri?» non mi rispose, mi fidai comunque.

Sceso per il leggero declivio diretto al centro della sala, le statue si strinsero di fronte a me, scavalcai le prime con un salto e sulle seconde salii sopra, per correrci, pestarne le teste, le mani e le loro armi alte e pietrificate.

Ecco poco più avanti le lance orientate verso di me che ci correvo contro, sollevate all'altezza del mio collo. A un passo da quelle saltai, ma non abbastanza in alto, Udorf colpì i lancieri prima che venissi trafitto. Sollevata la guardia su di me, lui li investì dal basso, corazzato di metallo infranse la roccia di cui erano fatti.

Caddi su un cumulo di diamanti, affondai i piedi, attorno a noi le statue si scatenarono, rianimate parvero tornare alla battaglia lasciata in sospeso.

«Scava!» gridò Udorf.

«Ho una sola mano!»

Uno scatto a testa bassa, Udorf investì il circolo di nani attorno a noi, lasciò le loro pietre a formare un muretto sulla quale il resto della folla incespicò per qualche attimo.

«Dove hai lasciato l'altra?» ruggì quello.

«In bocca a una serpe...» gli mostrai il moncone e intravidi qualcosa dietro la visiera, sulle sue iridi, forse rispetto.

«Ti aiuto io.» ficcò le braccia nei diamanti e se li gettò le spalle, i nani di pietra attratti da quel getto si azzuffarono per seguirlo, Udorf scagliò tutt'attorno le altre manciate «Sotto al cumulo dev'esserci una chiave.»

«Chiave?» lo imitai e con calci e schiaffi gettai i diamanti da tutte le parti «È l'esperienza più ricca e assurda della mia vita!

«Ahahah» Udorf sghignazzò, qualche manciata di quei diamanti se la cacciava pure in faccia «Attento dietro!

Mi voltai, un nano pietrificato col piccone alto verso di me, gli sbattei in faccia un centinaio di quelle pietre luccicanti, gliene tirai tante che ne venne coperto e i nani attorno lo aggredirono.

«Eccola!» Udorf puntò il dito su un puntello di ferro che spuntava verticale tra le gemme «La chiave.»

Mi tuffai in mezzo e cercai di sollevarlo, durissimo «Non riesco»

Uno dei lancieri, uno con ancora un paio di braccia da poter usare, afferrò Udorf, lo tirò nel mucchio e gli altri nani ne approfittarono per sorprenderlo. Combatteva lui, combatteva da dentro la sua corazza, di metallo tanto duro che i colpi vi rimbalzavano «Devi premere!» mi avvertì.

«Come...» provai col palmo della mano, ci misi il peso, ci pestai il piede, ma nulla. A un certo punto alzai il piccone e ce lo sbattei sopra.

Lo schiocco di una serratura, una botola che si apre sotto il cumulo di diamanti e io che volo giù, dentro a un pozzo. Non stetti a pensare quanto sarei caduto o dove, ormai la mia mente ragionava fredda anche in quelle situazioni, nuotai nella pioggia di diamanti che cadeva con me, rallentai la caduta col piccone contro la parete.

In un botto la torcia si spense, mi trovai affondato nell'acqua, i diamanti smisero di luccicare. Tornato in superficie sputai dalla bocca «Non saltare.» gridai «Non saltare, Udorf!»

«Perché?» i suoi passi sul bordo del pozzo lanciarono verso di me altri diamanti e pietrisco.

«C'è acqua in fondo al pozzo.» quello rimase in silenzio «Io scendo giù, Udorf.»

Quel nano tirò fuori una gemma da sotto il pettorale, sfregata tra le dita quella divenne fluorescente, la lasciò cadere verso di me, affondò un poco nell'acqua prima che la afferrassi.

«Laggiù non sarai solo Rododendro. Confido in te!»

«Tornerò con Ror, te lo prometto.»

Abbassai lo sguardo verso l'acqua nella quale nuotavo, la punta del naso si bagnava mentre attaccavo il mento al collo. Oscurità sotto quell'acqua, oscurità se non per quella gemma dalla luce verde che mi brillava in mano.

Le strettoie, le trappole, il labirinto, i mostri e le statue animate, e ora dovevo scendere sott'acqua.

Iniziai a pensare una cosa del mio viaggio in Cava Inferno: che non sarei tornato indietro, e oltre a pensarlo lo accettavo. Rassegnato al punto da non curarmi del mio diario, bagnato in quell'acqua, si sarebbe asciugato con le fiamme dei draghi che avrei incontrato dopo, oppure al fiato dei mostri più terrificanti, ciò che importava davvero è che io sarei rimasto, io sarei andato avanti e non mi sarei pietrificato.

Presi un respiro e infilai sotto la testa. Giù, mi ribaltai coi piedi in alto, quell'acqua pareva più calda di quella in cui nuotai in superficie.

La gemma fluorescente, tesa davanti a me, non illuminava nulla, se non la mia mano e il braccio. Diedi colpi di gambe per affondare di più ma ancora nulla, soltanto nero.

Voltato verso l'alto riconobbi il cerchio del pozzo e la superficie dell'acqua da cui ero sceso, ben illuminato dalla gemma malgrado le quattro o cinque lunghezze che distava, tornai con gli occhi alle profondità e ritrovai soltanto il buio. Un buio che, per quanto ne sapessi, poteva sprofondare per miglia, sotto di me, ma non soltanto, anche ai lati dove allungavo la gemma il pozzo si allargava e il buio tornava a dominare sulle distanze.

Tornai a raccogliere fiato. Riconobbi ancora i rumori della battaglia nella sala delle statue, botte e scoppi sovrastati da un solo grido, quello di Udorf, unico nano che ruggisse in quella battaglia.

Tornai sotto e seguii quella roccia che la gemma riusciva a illuminare. Con la schiena aderita alla parete del pozzo scesi, finché questa non piegò in orizzontale e divenne un soffitto, sotto di me nulla, se non un abisso d'acqua nera.

I polmoni mi diedero un singhiozzo, mi si strinse il collo, tornai indietro in preda alla paura di non ritrovare l'aria. Quando respirai di nuovo impiegai fin troppo a trovare di nuovo il coraggio, tanto che presi freddo al collo e alle orecchie bagnate.

Inspirai a fondo, mi scappò uno starnuto, inspirai di nuovo e tornai sotto. Dall'altro lato rispetto a prima, forse andai ancora più lontano, ma non trovai nulla e tornai indietro.

Ripetei queste esplorazioni decine di volte, fino a esasperarmi. Il naso mi colava, non sentivo le dita dei piedi, cominciavo a provare freddo, troppo.

«Dov'è la soluzione a questo schifoso passaggio?» non lo capivo «O forse non lo voglio capire...» guardai giù, tesi la mano e mollai la gemma.

Vidi la sua flebile luce affondare, allontanarsi da me e lasciarmi nell'oscurità. Poteva continuare così all'infinito, calare fino a scomparire e lasciarmi lì nel nulla. Trattenni il fiato, come stessi affondando io ed ecco che la gemma si fermò.

«Sì» tornai a respirare, col fiatone, ora sapevo di poter giungere fin là, su quel fondale dove la gemma si era posata «Ora devo solo riflettere, su come fare. Forse posso scendere ma devo controllare se riesco a tornare su...»

Notai la lucina affievolirsi, subito mi tornò in mente il gesto di Udorf, quella gemma andava sfregata per tenersi accesa «Oh no...» se si fosse spenta, allora sarebbe finita.

Inspirai e scesi, la paura formicolava nelle vene, irrigidiva quelle ginocchia che ora scuotevo per affondare giù, giù e giù ancora. Ancora non toccavo la lucina, eppure le tempie già mi pulsavano, il petto si contraeva, chiedeva aria, quell'aria che mi lasciavo alle spalle.

Eccola, posai un piede sul fondale, raccolsi la gemma, di nuovo luminosa nella mia mano, alzai lo sguardo e notai una galleria davanti a me.

Guardai in alto, verso quell'aria tanto distante da non vedersi, e poi di nuovo davanti, in quella galleria che, probabilmente, da qualche parte doveva portare.

Provare a tornare all'aria, senza sapere se l'avrei raggiunta, o esplorare quella galleria e magari trovare un vicolo cieco.

Stavo scommettendo la vita, ormai potevo affogare in ogni caso, dovevo solo decidere se affogare tornando indietro, oppure affogare puntando all'ignoto.

Voltarmi e cercare di recuperare ciò che avevo, oppure concludere il salto fatto e giocarmi anche l'ultimo soffio d'aria?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top