27) Rododendro è morto

Io sono Baff Uncino, nano geologo sebbene qui scriva in veste di traduttore.

Piccolo appunto: sono abile nella traslitterazione dagli scritti umani alla scrittura runica, tuttavia qui mi limiterò a proseguire nella lingua usata fin ora, quella umana, in quanto non voglio inficiare l'unità del racconto qui contenuto.

Mi è stato ordinato, prima di leggere questo diario di viaggio, di annotare la sorte del precedente proprietario. E qui di seguito eseguo l'ordine.

Nel Dedalo dei pozzi e dei ponti, durante un esplorazione, io e la squadra cavatori percepimmo una vibrazione insolita nel pavimento e un sospiro molto vicino.

Per tema di un drago degli abissi, spegnemmo le lanterne e ci immobilizzammo, come statue di nani morti pietrificati.

Passò tra noi un giovane umano, con una barbetta folta, guardingo nell'avanzare ma ignaro. Strano notare che con sé portava una lanterna uguale alle nostre, ma ancor più strano immaginarsi come fosse giunto qui.

Lo lasciammo passare, il capo squadra non mosse un muscolo e noi lo imitammo. Ordine di Ror che nessuno scenda per la cava più di quanto non sia già sceso, ma il capo squadra non si mosse e nessuno di noi lo avrebbe contraddetto.

Parlò, il giovane umano, mentre lo seguiamo di soppiatto parlava da solo e ogni tanto si fermava a scrivere su questo libro che ora tengo in mano, tanto ero curioso di leggerlo che mi sembra d'aver tirato la sfortuna su di lui perché il libro mi giungesse.

Il giovane si diresse su uno dei nostri ponti sopra agli abissi, il capo squadra ci ordinò di seguirlo mentre lui lo aggirava per una seconda via.

Era puntellato da ferro il nostro ponte e possedeva una chiave di volta sensibile a un singolo colpo di mazza. Il giovane lo attraversò per metà prima di notare il capo squadra dall'altro lato che lo aspettava, l'umano raggelò dallo spavento.

«Chi sei?» domandò quello.

«Capo squadra cavatori, ordine di Ror bloccare chiunque scenda nella cava.»

«Io sono Rododendro del sud, mandato da Lologgi, porto un messaggio per Ror.»

Al nome Lologgi il capo squadra sollevò la mazza sulla spalla, la posizione di guardia dei guardaportali, noi ci schierammo all'altro capo del ponte.

«Puoi consegnarlo a me il messaggio.» dichiarò il capo squadra.

«Il messaggio è l'ordine di uscire da questo inferno, e se l'ordine non si accetta allora ve lo porto come il più insistente consiglio: uscite subito. Inoltre, questo messaggio lo porterò dritto a Ror, io solo posso farlo in quanto io ho conosciuto chi è riuscito a uscire dalla cava e solo io ho intenzione di imitarlo.»

«Lologgi? Scappare da Cava Inferno è una vergogna di cui solo lui è stato capace di farsi carico, fuggire al pericolo. Complimentoni. Adesso però fammi vedere se ne sei in grado anche tu: vattene in su, perché a scendere puoi solo morire.»

Il giovane non si voltò finché il capo squadra non lo incalzò di qualche passo, a quel punto ci notò dietro di lui, in dieci e nei suoi occhi lessi un repentino calcolo.

Quel giovane, Rododendro, tolse la sacca dalle spalle, e la lanciò in faccia al capo squadra, forse per distrarlo mentre lo caricava. Il capo squadra non perdette il bersaglio di mira e ruotata la mazza sulla chiave del ponte ne spaccò i sostegni. I mattoni della struttura caddero in un battere di ciglia, i piedi del giovane si scrollarono su un pavimento che gli fuggiva via, tese la mano ma il capo squadra non gliela afferrò.

Gridano gli umani quando cadono giù per i pozzi. Forte e a lungo tanto quanto è profondo il pozzo. Il loro attaccamento alla vita è mirabile, forse dovuto a un istinto, un istinto che richiede per un corpicino così gracile una maggior considerazione delle membra.

Seguendo quest'idea un nano, con le membra più robuste della terra, non farebbe la stessa scenata di strilli.

Chiesto al capo squadra cosa ne pensi, questi risponde: un nano mentre cade pensa alla pietra che non ha cavato e che non caverà mai più. Lui comunque non si ritiene esperto in materia in quanto ne ha visti morire di nani ma solo per crolli di gallerie, e quelli avvengono in un attimo, senza il tempo di gridare.

Qualcuno della squadra sussurra che magari, così leggero com'era, l'umano non è morto ma è rimbalzato, come quegli insetti che cadono da molto in alto senza morire.

Anche quest'ipotesi smentita dal giudizio del capo squadra, in quanto quel pozzo, del Dedalo dei pozzi e dei ponti, è un vicolo cieco delle profondità, da lì sotto bisognerebbe risalire per dei giorni prima di proseguire di nuovo in giù, e quel ragazzo, come aveva dimostrato poco prima, non possedeva la forza di volontà per risalire la Cava.

Auguriamo riposo in pace a quell'umano che arrivò a fondo nella terra più di qualunque suo simile.

Rododendro del sud, il suo nome, ecco che termino di leggere le cronache del suo viaggio e qui percepisco il valore di questo diario. Decidiamo di portare le informazioni riguardo Lologgi direttamente a Ror. Quindi iniziamo la discesa, siamo tutti eccitati.

Scesi sotto al piano di scavo nel quale dormivamo e lavoravamo, le pareti ci diventano estranee, i pavimenti ci mostrano le tracce delle bestie di cui abbiamo timore e l'odore dell'aria ci rimanda a quello dell'olio in combustione.

Abbiamo paura, le rocce irradiano la luce del loro calore nelle nostre pupille, abituate alla notte, caldi ciottoli sotto i nostri piedi. Nessuno credeva che Cava Inferno potesse spaventarci più, eppure quella è la sensazione che aleggia nell'aria, almeno in quella che respiro io, il capo invece marcia come un incendio di gas, sputa fervore da sotto i baffi come fosse il suo primo giorno in cava.

Trovato tesoro.

Il capo squadra ha scovato un filone d'oro tanto ricco da poter esistere solo nei sogni, eppure eccolo lì. A uno sguardo più attento mi accorgo si tratti di qualcosa di più complesso. Il filone segna la parete come la segnerebbero delle rune magiche, la loro luminescenza dorata incanta i miei occhi.

Ordine del capo squadra, riportare qui nel libro ciò che in quelle rune è raccontato, questo prima che si mettano a romperle per cavarne l'oro. In fretta riporto la storia scritta in quelle rune d'oro che stanno per essere staccate dai miei compagni. Ecco:

«Accadde che un dio della forza fecondò due dee, una sua moglie e di nascosto un'altra, la dea dell'oscurità»

Le due partorirono nello stesso momento, ignare l'una dell'altra, il dio della forza ordinò a entrambe che suo figlio fosse posato ai suoi piedi di notte, sicché le due donne non si notassero a vicenda.

Coi due figli ai suoi piedi il dio della forza raccolse il figlio illegittimo, quello nato dalla dea oscura, e lo portò sull'orlo della sua dimora per gettarlo sulla terra, in mezzo agli uomini.

La sorella del dio della forza, dea di saggezza, lo fermò per ravvederlo

Attento, fratello, se cacci tuo figlio sulla terra questi troverà madre e padre tra gli uomini, non amerà te ma amerà loro, e quando sarà cresciuto, forte quanto te, tornerà qui per vendicarsi del tuo abbandono.

Cosa dovrei fare? Chiese il dio della forza.

Uccidilo, anche se ne hai pietà, rispose la sorella, perché se non muore lui adesso, moriremmo tutti per mano sua, un giorno.

Il dio della forza, che sapeva di non possedere saggezza quanto la sorella, si fidò e strangolò il figlio illegittimo.

Però la madre di quel bambino, dea dell'oscurità, coi suoi occhi capaci di penetrare il buio non solo vide l'altra donna posare un altro figlio ai piedi del dio ma vide anche l'assassinio del proprio.

Pazza di collera progettò vendetta, mentre il dio ancora stava lontano, raccolse il figlio legittimo e giunta alle porte della dimora lo gettò tra gli umani, mescolato tra loro senza potersi distinguere.

Dov'è mio figlio? Tuonò il dio della forza. Dov'è? Chiese sua moglie. Dov'è il figlio? Chiese la sorella.

Non vi preoccupate, rispose la dea dell'oscurità, un giorno tornerà a voi cresciuto e adulto, vi cercherà, vi accecherà con la propria forza e allora porterà a voi la sua vendetta e con quella si compirà anche la mia.

Sto provando altra paura, riportata qui questa storia il libro sembra pesare di più, le pagine sprizzano fluorescenza tra le loro fessure. Si deve trattare di una leggenda in metafore, o forse di una storia in prosa. Non posso però immaginare chi l'abbia inscritta nella roccia.

È necessario incidere ogni runa e poi colarci sopra l'oro fuso per scrivere una cosa del genere su una parete. L'opinione del capo, figlio di abili fonditori, è che la vena d'oro da cui spuntano le rune sia stata prodotta dalla fusione dell'intero giacimento, rocce e oro assieme, e che le rune siano state incise con la pietra ancora liquida, un'operazione che necessita per lo meno di un vulcano attivo e di oro già presente, surreale da immaginare per un semplice geologo come me, ancor più surreale per un cavatore, eppure le rune di fronte a noi sono reali e anche l'oro che ne stanno staccando.

Riposo, con gli occhi rintanati tra le pagine di questo libro. I miei compagni picconano e martoriano la pietra del filone, io invece mi perdo nelle cronache di questo Rododendro, quell'uomo volato nel pozzo quando ancora non sapevo nulla di lui.

Mi lusinga la sua ammirazione per la mia razza e mi attrae la sua tenacia d'intenti, imperterrita sebbene, come io stesso vidi, non possedesse né i mezzi né il fisico per ottenere i traguardi che si auspicava.

Sento tremare il terreno, ma i miei compagni non si allarmano. Percepisco una brezza colare lungo il pavimento, fredda, dal cunicolo in salita, ma solo io me ne accorgo, seduto come sto.

Tra un colpo di picca e l'altro credo di sentire una voce, mi immagino sia la voce di quel giovane così come quando parlava da solo, ma me lo immagino soltanto. Riabbasso gli occhi sul libro e rileggo del drago, dell'orco e del principe. Noto allora che a questo scritto manca la genesi della razza che ammira, la aggiungerò io, in onore di Rododendro del sud. Morto in grotta come muoiono i nani.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top