20) Roccia roccia roccia
Il sole non ci tocca
laggiù tra le tue braccia
roccia roccia roccia
nascosto dentro te.
Una marcetta, una canzone dura, scritta per nani coi picconi in spalla che scendono in cunicoli più bui del crepuscolo.
Il tuo manto mi ricopre
mi stringe sulle anche
monte monte monte
nascosto dentro te.
Lologgi cantava da quando il mio respiro s'era fatto corto, con la poca aria rimasta non riuscivo nemmeno a parlare. Cantava quella marcetta da lavoro con la voce dolce di una ninna nanna, come se quello che aspettavamo fosse il mio sonno.
Buio buio buio
la torcia mia si spegne
buio buio buio
il panico s'accende.
Sei sovrano in grotta
ma non su di me
sono nato nano
negli occhi luce c'è.
Roccia roccia roccia...
S'interruppe e ripeté «Roccia roccia... Roccia...» sfilò il braccio da dietro la mia schiena e lo sentii alzarsi, in mezzo alla stanza «Roccia!» la chiamò tanto convinto da sembrare potesse rispondere «C'è un doppio riflesso. Rodo, mi senti?» venne a toccarmi il petto che fremeva di tanti piccoli respiri, sussurrò «C'è un doppio riflesso, le rocce riflettono la mia voce una volta in tutte le direzioni ma due dal basso: c'è l'eco, l'eco di una caverna!»
Scrollai la testa «Come facciamo?» la voce mi uscì limpida e piena d'aria la stessa aria che non dava alcuna soddisfazione ai miei polmoni.
«Cerca un foro, una fessura, scava dove ti sembra che puoi, cerca un foro!»
«Cerco.» presi a gattonare, con le mani aperte.
«Canta!» ordinò Lologgi «Canta! Devo sapere che sei ancora sveglio.»
«Roccia roccia roccia...» nessuna fessura e nemmeno riuscivo a sperarci «Fammi da coperta...» l'ansia mi confondeva, andai a cercare anche sulle pareti.
«No! Solo sotto, Rodo.» mi corresse lui «Continua: Roccia roccia...»
«Roccia, sei la mia amica» la convinzione nel mio canto diminuì all'improvviso, come l'energia nelle mie gambe, oscillai e mi accasciai in avanti «La pietra è il mio cuscino... Roccia roccia...Dormo nella notte della mia montagna...» le mie dita frugavano in un punto del terreno, senza rifletterci, si tenevano impegnate mentre la mente si allontanava e i polmoni si contraevano.
«Rodo!» Lologgi toccò le mie dita «Rodo, l'aria è finita? Come fa la canzone? Continua la canzone, coraggio: Roccia ro...»
Non la sentii più.
Mi risvegliai inspirando, e inspirando ancora, quel ritornello in testa e un nome in bocca «Ror!» lo sputai, come il catarro formato dal tanto tossire «Quante volte ho detto roccia?» la testa doleva.
«Ho sfondato il terreno della cella e siamo finiti nella grotta che c'è sotto.» affermò Lologgi, notai il sorriso mostrarsi nella sua voce «Mi hai fatto preoccupare, ti sei fidato poco di me.»
«Mancava l'aria. Come hai sfondato il terreno?»
«È interessante, ora te lo spiego: hai trovato la fessura e ho staccato la mia gamba di legno, ce l'ho messa dentro, poi ci ho urinato sopra e quella si è gonfiata e ha spaccato la roccia.»
«Da... Davvero?»
«No!» rise che l'eco di quella caverna raddoppiò le sue risate «Urino calcinello? Uahahahah!»
«Io vorrei davvero sapere come abbiamo fatto a uscire, Lologgi.»
«Mi hai aiutato tu, se non mi avessi dato la voglia per cantare, non mi sarei mai accorto della caverna: ci hanno portato nella cella da sotto, non me lo aspettavo.»
«Il pavimento come lo hai sfondato?»
«Spaccare della pietra? Sono cavatore da quando ho mollato la mammella di mia madre, se non avessi spezzato mezzo braccio di pietra non sarei stato Lologgi.»
«Hai davvero una gamba di legno?»
«Di legno? Ma sei matto?» sbottò «Il legno se lo tengano gli alberi. Ce l'ho di ferro: l'ho fatta con un martello, qualche cuneo, qualche chiodo... ed è tutto separabile.»
«Cavatore.» mi carezzai il petto, il pungolo del soffocamento e il suo dolore lasciava poco a poco i miei polmoni, la contrazione me la sentivo risalire su per la trachea fino ad allontanarsi dalla mia bocca.
«Hai una faccia...» commentò Lologgi, ancora allegro «Ci respiri adesso, giusto? Io mi sento meglio.»
«Mi sono spaventato.»
«Ahahah!» Lologgi rise ancora.
«Tu non eri un fabbro?»
«Solo come passatempo.»
«Cosa? Campana è convinto che tu sia il più grande fabbro del mondo.»
«Un fabbro umano può aspirare a lavorare il ferro come me, e gli stringerei anche la mano e mi inchinerei se ci riuscisse. Ma un fabbro nano, intanto non lavora solo il ferro, ma deve anche aspirare a lavorare come un angelo del martello, o come uno spirito del magma. Un fabbro nano deve battere il martello su un coccio di granito e suscitarne un diamante.»
«E un cavatore nano come te? Cosa sa fare?»
«Con un chiodo e una mazzetta deve poter far crollare un pavimento. Ahah!»
«E poi?» chiesi, senza potermi trattenere e d'improvviso alla ricerca del mio diario di viaggio, con le mani a tentoni tra la ghiaia e le pietre spaccate, lo trovai coperto di polvere, per fortuna trovai il carboncino chiuso tra le pagine «Cosa fa un cavatore nanico?»
«Io, potrei...» finì di ridere e abbassò la voce «Potrei fare cose terribili. L'arte del cavatore è un poco come la magia, dico un'eresia perché la magia è schifosa e pericolosa, ma è un po' così.»
La magia è schifosa, e cavare un poco le assomiglia. Così scrissi sul diario, ignaro del senso di quel che scrivevo sicché non conoscevo né la magia di cui parlava, né il motivo per cui assomigliasse a cavare «Continua. Continua.» lo invitai troppo incuriosito per fermarlo.
«Nelle guerre tra nani, quelli che combattono di mestiere sono i cavatori. Usano picche, mazze, chiodi. Un cavatore può spaccare le rocce per le linee che preferisce, coi giusti attrezzi può...» lo sentì soffrire nel dirlo «...può spaccare in due una montagna.» parole che dovevano sorpassare un nodo in gola prima di uscire dalla sua bocca «La roccia è una bestia indomabile per chi non la conosca, un cavatore la conosce e la manipola, con la picca e con il chiodo, può spezzarle le gambe e girarle i denti in gola. Può far cascare cunicoli in testa ai nemici, può levare ponti sotto i piedi degli avversari, può sgretolare le mura ai castelli degli uomini, può colare frane e polvere sulle loro città.»
«Perché non sei scappato dai Buliperr spaccando un muro?»
«Ai tempi avevo ancora la mia gamba naturale e non quella di ferro con gli attrezzi.»
«Come hai perso la gamba?»
«Ragazzo!» schiarì la voce «Togliamoci da qui prima di chiacchierare.»
«Scusami.»
«Non ti preoccupare, tanto era un'altra storia che parlava di una grande roccia pericolante. Roccia qui e roccia là. Te la racconterò una volta liberi.»
I miei occhi non percepirono alcuna differenza tra la cella, la caverna sottostante o quel cunicolo, basso basso, che Lologgi diceva si trattasse di un passaggio di servizio
«Si nota per le pareti larghe, puoi portarci a braccia roba larga o lunga. Come te.»
«Sarà quello che hanno fatto.»
Camminava spedito il nano, svelto, piegato in due com'ero, con una mano sulla sua spalla, faticavo a stargli dietro e faticavo a immaginarmi come potesse riuscirci.
«Hai le gambe lunghe metà delle mie, vero?»
«Sì. Compenso un tantino con la lunghezza dei piedi.»
«Vai velocissimo...»
«È la marcia, e la grotta: quando sai dove mettere i piedi... Hop!» gli tirai la spalla di colpo.
«Scusa, mi sono inciampato.»
«Dovresti imparare a guardare attraverso il buio. Anzi, impara e impara in fretta.»
Rimasi zitto fintanto che Lologgi non piantò i piedi e io non sbattei la fronte sulla sua nuca durissima «Ahi!» ci sfregai le mani «Volevo dire, scusa.»
«Un lago.» sentì qualcosa sguazzare nell'acqua, forse la punta del suo piede «È un artificio dei nostri carcerieri.»
«Aspetta, la via è piena d'acqua o c'è un lago di fronte alla via?»
«C'è un lago davanti all'uscita. Questa è una cella per nani, e non si smentisce.»
«Attraversiamolo.»
«Tu» Lologgi mi posò una mano sulla spalla, poi mi abbracciò ai fianchi con la sua guancia premuta sull'ombelico «Andrai da solo figliolo.»
«Non me la sento. Vieni anche tu, no?»
«I nani sono fatti di roccia Rodo, e la roccia non galleggia...»
«Puoi camminare sul fondo...»
«Se conosco i nani, posso morire annegato molto prima di trovare il fondo di questo lago.»
Toccai l'acqua col piede, gelida e subito filtrata nella stoffa delle mie scarpe. Tolsi il diario dalla tasca, non lo avrei fatto bagnare a costo di morire, piuttosto di rimanere là sotto con Lologgi «Troverò chi può tirarti fuori di qui, Lologgi. Non posso proprio abbandonarti.»
«L'hai detta grossa, indovina chi può tirarmi fuori...»
«Ror» mi uscì spontaneo.
«Lui solo conoscerà il sistema di rocce o canali per levare di mezzo questo lago e boh, forse si crea un ponte o qualcosa di simile, ma non ne ho idea.»
«Ror si trova a Cava Inferno.»
«Si trova dentro Cava Inferno, dentro.» lo sentii scrollare la testa «Mi dispiace figliolo, tutti noi nani siamo prigionieri della montagna, della roccia, e di noi stessi. Ti stai caricando sulle spalle un guaio che io non ti voglio dare.»
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