2) I primi passi, i primi incontri, ancora nessun nano
"Raggiungere i capi del mondo"
Un auspicio che i miei piedi rifiutarono presto. Il quinto giorno barattai la coperta per un unguento lenitivo.
«A cosa serve dormire se non posso muovermi dal giaciglio?»
La frase ottenne l'ammirazione dello speziale e io ne approfittai per coinvolgerlo.
«Sai dove vado?» chiesi.
«Dove?»
«Al nord. E sai per cosa?»
Lo speziale rilassò le palpebre e si fece sfuggire un ghigno.
«Per le donne?»
«Le donne?» domandai perplesso.
«Sì, là ci sono le migliori.»
«No. Io vado al nord per incontrare i nani.»
Lo speziale non rispose, come se la mia perplessità gli si fosse riflessa contro. Strinse le labbra e batté le mani.
«Bene. Buon viaggio.»
«Non sto scherzando. Dico sul serio.»
«Va bene» mi assecondò.
Lo vidi incredulo e provai a insistere ma rispose regalandomi un cespo di menta, una fialetta di balsamo, un assaggio di liquore e poi due sorsate di sciroppo. Quando mi spinse verso la porta imboccandomi con un cucchiaio capii di essere sgradito.
«Lei è un uomo di cortesia, mi dispiace abbia frainteso. Ringrazio e saluto!»
Mi congratulai con la bocca impastata di melata. Uscii e lo speziale si assicurò di chiudermi la porta alle spalle prima rispondere
«Nessun fraintendimento. Salute a voi e mi saluti i nani.»
Mi girai e lo intravidi a osservarmi dalla finestrella. Provai a tornare verso la sua porta ma la sentii improvvisamente serrarsi.
Quella sera, in locanda, tenni la bocca chiusa.
Tornai sulla strada di buon mattino.
«Chi ti ha dato questo vaso di sale? La mamma?»
L'umorismo dell'uomo che mi stava rovesciando le tasche mi asciugò le parole in bocca. Le frasi di un malvivente possono nascondere verità ignorate da lui stesso.
L'uomo passò a spogliarmi mentre il complice puntava un pugnale al mio petto.
«Aspettate» mi trovai improvvisamente a dire «Già che frugate nei miei averi più intimi, potrei raccontarvi della mia missione.»
I due si fermarono e mi fissarono, uno sguardo spento e uno dal labbro pendente e gli occhi stanchi.
«Sto andando al nord per incontrare i nani.»
Mi ricordo che si guardarono in faccia prima di colpirmi in testa. Oppure si guardarono, risero e poi mi colpirono.
Comunque fosse andata, il frate che mi trovò e fasciò i tagli continuava a ripetere che non importava se avessero riso oppure no. Quando gli raccontai la mia missione lui non rise.
«I nani fanno parte della mitologia del nord, caro mio.» rispose.
Mi bendò il petto, le braccia e poi passò a bagnarmi i bernoccoli.
«Se dovessi cercarli in qualche luogo dovresti andare lì» continuava «Comunque non so se li troveresti.»
«La mitologia è scritta?»
«Qualcosa è scritto.»
Mi passò dell'acqua anche in bocca. Tossii, bevvi ancora e risposi
«Se è scritto non se lo saranno inventato.»
«No?»
Il tono del frate bastò a ricordarmi la voce del nonno:
"Quel nano mangiò venti vitelli interi!"
Il frate mi costrinse a letto per molte giornate, pur di tenermi a riposo promise di leggermi la mitologia dei nani. E lo fece, mi lesse tutta la mitologia che quel convento contenesse. Lesse anche altre cose, ma ebbi solo orecchie per i nani.
«Gimli, Bombur, Bifur, sono nomi fantastici.»
«Sì» rispose il frate col sorriso.
«Vorrei avere un nome da nano anche io.»
«Come ti chiami?»
Quella domanda mi spiazzò. Pensai a mia madre, mi vergognai di avere desiderato un altro nome.
«Rododendro» dissi.
«Come la pianta, bellissimo nome.»
Abbassai lo sguardo «Ci andrò comunque a nord.»
«Vai» rispose senza remore «Vai e se trovi i nani quando torni ci facciamo tutti e due un nome da nano.»
«Io vorrei Bimbur.»
Lasciai l'infermeria del convento con la stessa malinconia con cui avevo lasciato casa tre mesi prima. Ricordo ancora la voce del frate
«Rodo, stai attento per strada.» agitava le mani dal portone pur di salutarmi fino all'ultimo «Addio Bimbur» rideva.
Quella volta risi anch'io.
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