13) Leprecauno

Comunque, su una sola cosa non inventai storie e non ne raccontai, sui nani. Perché le storie che avrei raccontato non mi tornassero indietro a sbarrarmi la strada, come le fiamme di un incendio appiccato da me stesso, che non mi tornassero davanti a occupare la bocca di coloro a cui chiedevo.

«È quello il piccolo uomo di cui parlavi?» indicai nella nebbia, sopra una collina fiorita, una figura in ombra, bassa quanto i cespugli attorno a lei.

«Sì!» esclamò il pastore che mi accompagnava per i suoi pascoli «È lui! Mi cavalca il cane la notte. Mi ruba le carote e mi bussa alla porta al mattino!» lanciò il bastone che magari riuscisse a colpirlo da una collina all'altra «Corrigli dietro!»

«Stia, buon uomo, non mi farò scappare quel tipo nemmeno dovessi morire.» gettato all'inseguimento, mi alleggerii del sacco e scaraventai via il bastone da cammino, muovevo passi rapidi come quelli della lince negli agguati che nemmeno il cane da pastore mi stette dietro. Piombato sul piccolo uomo mi accorsi dell'errore, si trattava di una pietra. Un sasso un tantino più grosso con un effetto di luce dato dall'ombra di un cespuglio, niente di più avvilente «Niente da fare.» urlai al pastore «Solo un sasso.» provai la sensazione di cacciare una fantasia, di inseguire un'idea fittizia. Sollevai il naso al cielo, oltre quella fosca nebbiolina

«L'arcobaleno» bisbigliai a fior di labbra nel vederlo sopra di me «Sembra prendermi in giro.» proprio come inseguire un arcobaleno, così pareva la mia ricerca, reale finché vedi quei colori e inutile perché non puoi raggiungerli. Seguii l'arco verso il basso per vederne la base, nemmeno quella però vidi, si nascondeva dietro la cima della collina.

«E quello?» di nuovo un'ombra tra i cespugli, come quella del sasso di prima, copriva i colori dell'arcobaleno «Questa volta non mi illudo, nano, o piccolo uomo, comunque ti chiamino qui.»

Mi avvicinai guardingo, senza staccarne gli occhi, lento che su quattro zampe sarei stato più veloce. L'ombra rimase immobile, voleva proprio sembrarmi una pietra, e magari lo era, ma volli credere che, finché non le avessi tolto le pupille di dosso, quella sarebbe rimasta un piccolo uomo. A un tiro di sasso dall'ombra, questa si mosse. Mi mozzò il fiato dallo stupore, scappò oltre la collina e io le corsi dietro, superata la cima la vidi trotterellare svelta, giù per prati verdi punteggiati qui di pozze e lì di macchie di trifoglio.

Non gridai, non minacciai, la inseguii e basta finché questa non scomparve nel fusto di un albero, al centro di un prato su cui si ergeva soltanto quello. Avvicinato l'albero trovai una fessura tra i nodi, la tirai e aprì una porta di corteccia che dava su uno stanzino ampio quanto il fusto.

«Aiuto!» cinguettò una vocina «Dalle tue parti si entra in casa della gente a questo modo?»

«Cosa?» di fronte a me un bambino con la barba, in effetti più simile a un piccolo uomo piuttosto che a un bambino «Oh no!» richiusi la porta e posai la fronte sull'albero.

«"Piccolo uomo"» proprio quello di cui parlava il pastore «Non si tratta di nani si tratta di...» riaprì la porta per guardare quella creatura dai polsi e le caviglie sottili, il vestito di un bambolotto cicciottello e il cappello di un mercante in affari.

«Sono un folletto.» mi avvertì lui.

«Oh!» scrollai la testa e richiusi la porta «Non ce la faccio più.» sentii le spalle pesanti, piegai le ginocchia a terra, appoggiato a quell'albero «Ho viaggiato per tutto il nord per raggiungere col cuore in gola un...»

«Folletto» il folletto concluse la mia frase con tempismo «Sono un folletto, ti prego umano stanco, se mi liberi e ti levi dalla mia porta ti farò un indovinello che ti condurrà al mio tesoro.»

«Oh sì, scusa.» mi alzai per liberargli la porta «Ricorda di non cavalcare il cane del pastore di notte.» agitai una mano e me ne andai «Addio.»

Mi guardai le mani e mi chiesi se su quelle rughe fosse già stato scritto un destino tanto crudele «Un folletto» agitai la testa un'altra volta «Potevo non trovare nulla, e invece pure la beffa.» chissà che qualcuno, magari partito per l'estremo sud, non stesse cercando in vano un folletto, ecco, lo avevo trovato io, se interessasse.

«Ehi!» quello mi inseguì «Come sarebbe che te ne vai?» la sua voce tradiva un forte fastidio.

«Mi dispiace, sono stato scortese» mi chinai e sciorinai la mia presentazione alla svelta «Sono Rododendro cacciatore di nani, cantastorie, e più che altro viandante...» mi voltai per riprendere il cammino «...illuso... perso... viandante. Addio»

«Ne...» il folletto mi tirò per i calzoni, senza riuscire a fermarmi ci sbatté una pedata «Nessuno mi ignora grosso ignorante ignaro!»

«Scusami ma non mi va ora» sollevai la fronte, l'arcobaleno rimaneva proprio sopra di me, ad anello attorno al sole «Uau» feci, poco convinto, l'arcobaleno sopra la mia testa in quel momento sembrava l'applauso del destino per la beffa che era riuscito a tendermi.

«E non aspetti che mi presenti anche io?»

«Vogliamo stare al tuo gioco?» domandai a bassa voce, rivolto all'arcobaleno.

«Io sono qui sotto!» il folletto mi tirò un altro calcio.

«Dimmi.» mi voltai a guardarlo coi pugni sulle anche.

«Io sono Damafelco, possiedo molte conoscenze ma soprattutto molto oro» sfregò l'indice e il pollice di fronte al naso «Ti fa acquolina, vero?»

«Un altro spiritello maledetto che mi parla d'oro!» sbottai e lo raccolsi da terra, tenuto di peso nella mia mano come Mangiaeroi con me «Un altro pazzo che mi racconta storielle o un'altra creatura pericolosa che mi insegue?» lo mollai a terra e chiusi le palpebre, tanto strette perché quella rabbia mi tornasse dentro e sparisse.

«Non vuoi l'oro?» si lisciò la giacchetta e assestò il cappello in testa «Sei l'umano più strano sulla terra. Sarà per questo che mi hai trovato.»

«Sarà...» chiusi la bocca e tornai coi pugni sulle anche. Lui mi guardò, sollevò le sopracciglia, fece un giro su se stesso, si guardò attorno, aggiustò due volte il cappello e tornò a guardarmi.

«Mi imbarazzi.» confessò.

«Allora me ne vado.»

«No! No, rimani.» mi tenne ancora per i calzoni, vicino al ginocchio con quelle dita piccole da bambino. Quasi mi intenerì.

«Perché no, piccoletto?»

«Tutti gli umani vogliono qualcosa da me. Tu niente. E io...» aprì le braccia come aspettasse che le parole gli cadessero dall'alto e spiegassero le sue sensazioni.

«Per una volta che c'è qualcuno che non ti chiede nulla.

«Sì.» annuì affranto «Ma ora mi sento in dovere di darti qualcosa.»

«No, non sei in dovere.»

«Sì! Devo assolutamente.»

«Ma figurati.»

«Ti prego.» scrollò le mani «Ti prego di non farti costringere.»

«E va bene. Allora dammela.»

Il folletto Damafelco alzò un dito di fronte a un sorriso dalle gote rosse, lo sguardo all'improvviso furbetto e la falda del cappello a incattivire le sopracciglia. «Ti darò qualcosa solo dopo un indovinello.»

«Va bene.» sospirai.

«E una tazzina di liquore.»

«Va» sospirai «bene.»

Mi invitò a seguirlo di nuovo nel prato e poi dentro la sua casetta nel tronco d'albero che, parve magia, bastò a contenere noi due seduti e un tavolino con brocca e tazzine.

«Non ci dilunghiamo troppo, ho lasciato il pastore fermo nel pascolo...»

«Non ti preoccupare.» mi riempì la tazzina «I pastori sanno come passare il tempo e se non torni stasera...» riempì fino all'orlo «...ti aspetterà per domani.»

«Molto bene» sollevai il liquore sotto il naso prima di azzardarmi a berlo.

«Non tentennare che poi ti cola fuori ed è uno spreco.» Damafelco girò la tazzina in bocca e il liquore gli sparì in gola d'un sorso.

«Sei piccolino per bere in quel modo.»

«Sono di una pasta molto nordica, caro il mio viandante, con qualcosa anche di nanesco se ti fa piacere saperlo.»

Bevvi e non mi stupì, lo stesso sapore dell'alcool venduto al ricovero di Portopesce, lo stesso trincato dal pastore, nascosto sotto la giacca di pecora. Strinsi le palpebre e rividi i paesaggi di quelle isole fredde e nebbiose, verdi, senza foreste ma vive di persone e di animali.

«Stai pensando a qualcosa?» il folletto mi tirò giù dalle nuvole.

«Sì, scusa, è il sapore del liquore.»

«Sei unico, ragazzo, sei il primo che, di fronte a un folletto in carne e ossa, pensa ad altro.»

Rigirai la tazzina tra due dita e una scintilla sprizzò nel mio cuore, la stessa sensazione di crepitio e fulmini che mi infondeva il condottiero Buliperr quando parlava di libertà e di morire per qualcosa «Sarà che ho una missione, piccolo uomo, Damafelco, e finché mi trastullo con alcool e folletti...» tirai le labbra in un sorriso che gli occhi non riuscirono a seguire «...non riuscirò a portarla a termine.»

«Mh.» Damafelco spostò da parte fiasco e tazzina «Allora passiamo subito all'indovinello, ti va?»

«Cosa hai detto mi darai se indovinassi?»

«Oph!» si posò il dito sulle labbra «È una sorpresa, solo perché sei te.»

«Vai allora, sono pronto.»

«Allora iniziamo.»

Damafelco tolse il cappello dalla testa per posarlo dritto sul tavolo, sotto ne portava un altro più piccolo, lo tolse e lo mise accanto al primo e sotto ne svelò uno ancora più piccolo, l'ultimo, lo tolse e lo mise accanto agli altri due «Tre cappelli, li toccò come li stesse contando»

«Uno grosso, uno medio e uno piccolo. Sotto ognuno di questi cappelli c'è un premio, uno più prezioso dell'altro.»

«Sotto quello piccolo.» lo toccai.

«Aspetta, fammi finire» unì pollici e indici per scandire «Potrai avere ogni premio, a patto che indovini cosa sia senza sollevare il cappello.»

«Devo tirare a caso?»

«Potresti provarci all'infinito e non indovinare.»

«E allora...»

«Indizio: le cose nascoste sotto ai cappelli hanno un nesso tra loro.»

«Uff» sospirai «Sono costretto a sollevarne almeno uno se voglio avere qualche speranza.»

Damafelco aprì le mani con gli occhi socchiusi, gli spuntò un sorriso compiaciuto e poggiata la schiena indietro si mise comodo coi tacchi delle scarpe sul tavolo. Io scrollai un dito

«Ho fretta, Damafelco, non ti rilassare troppo.»

«Fai male ad avere fretta, non c'è nulla di più triste di un indovinello rovinato. Coraggio, fammi sentire come ragiona un ragazzo del sud.»

«Io penso che le cose più preziose siano molto rare e piccole, perciò, dico che il premio migliore è nel cappello piccolo, quello così così sarà nel cappello medio e quello peggiore nel grande.»

Il folletto sporse il mento «Può essere.»

«Quindi quello piccolo non lo solleverò. Ora devo decidere tra quello grande e quello medio, alla fine potrei sollevarli tutti e due, ma quale per primo?» inspirai tra i denti, la faccia di Damafelco mi ricordava quella di un bambino con un cucchiaio di miele in bocca e più mi rompevo il capo sul suo enigma più pareva soddisfarsi.

«Dicevi?» mi chiese.

«Grosso o medio?» lui ovviamente non mi rispose «Certo potrei bucarli senza sollevarli.»

«Non ci provare! Gli indovinelli hanno regole non scritte molto precise, se tu le infrangessi romperesti la magia, sarebbe come rubare.»

«Capito, capito. Alzerò quello medio.»

«Dimmi il perché.»

«Perché quello grosso è troppo distante da quello che vorrei, il piccolo, e potrebbe c'entrare meno e non aiutarmi, invece il medio, potrebbe darmi un suggerimento per entrambi gli altri due.»

Presi con due dita il cappello di mezzo, prima di sollevarlo controllai il viso di Damafelco, sorrideva tanto da accavallare tutte le rughe.

«Fidati!» esclamò.

«Eccome...»

«Davvero. Tu mi piaci, agli altri di solito non metto nulla sotto l'ultimo cappello, loro lo alzano e io gli dico: no non ti lamentare, era l'aria il tuo premio ma siccome non hai indovinato... Li strangolo.»

«Va bene» mollai il cappello.

«Scherzavo!» batté le mani «Ma mi ci vedi? Dai, Rodo. Gioca, non lasciarmi sulle spine.»

«Damafelco, non mi fido di te.»

«Mi offendi ma non mi sorprendi. Dai che ti aiuto un po', e già ti ho aiutato, per esempio: non alzare il cappello senza provare a indovinare.»

«Hai ragione. Allora dico aria.» sollevai il cappello di mezzo.

«Sbagliato.»

Una fialetta di vetro viola, con in cima un tappo a forma di foglia. La raccolsi, mentre Damafelco si passava la mano sulla testa calva e scoperta.

«Una boccetta...»

«Una boccetta di...» non trovai alcuna idea.

«Una boccetta di profumo.»

«Ah, ecco.» sollevai le spalle «Allora sotto gli altri cappelli cosa ci sarà? Un pettine e delle scarpette?»

«Rododendro! Prendimi sul serio altrimenti non si diverte nessuno dei due. Questo è il tipico dilemma delle tre porte, e non sai quanta gente sceglie a caso. Ma il tre è un numero speciale... dammi quel cappello che mi ci tappo la bocca altrimenti ti dico troppo.» Damafelco me lo tolse di mano e se lo premette sulle labbra poco prima di tornare a dire «Fatti coinvolgere dall'enigma Rodo, se il tuo raziocinio si rifiuta usa il tuo istinto.» si sfiorò il naso con la punta dell'unghia, poi nascose la mano nel cappello e fischiettò con lo sguardo rivolto altrove.

Sollevai la boccetta di profumo e la stappai sotto il naso. Olio di mirra, la voce di mio padre parlò all'improvviso nella mia mente, il profumo della sua bocca mi entrava nel naso, mi sentii di nuovo piccolo e lo rividi steso sul letto di mamma, con un cuscino di fiori sotto la testa e le mani giunte.

«Cos'hai visto?» sussurrò Damafelco e io mi accorsi di aver chiuso gli occhi.

«Morte.»

«Esatto. Il profumo dei morti, e dei loro corpi. Con quel profumo ricordi la tua caducità, come una foglia sul ramo.»

Rimisi il tappo a forma di foglia e posai la fialetta sul tavolo «Avrei avuto in premio la morte?»

«Ahahah! No. Avresti avuto la fialetta.» Damafelco si piegò dal ridere «Ma è una bellissima idea, credo te la ruberò.»

«Allora... Il profumo dei morti.» rigirai le dita tra loro e puntai gli occhi sul cappello più grande «I morti... I corpi morti... La morte... Il corpo mortale.» misi la mano sul cappello grande «in questo ci sarà la vita, tipo, un fiore.» sollevai «Cos'è?» gli occhi corrugati verso dei grossi granelli color caramello, posati sul tavolo. Li mossi, ne presi uno e lo annusai con gli occhi chiusi «Vedo un convento. Vedo il mio amico frate che canta.» rimisi il granello apposto» questo è incenso.

«Esatto, bravo. Ora però devi indovinare l'ultimo.»

«Visto come è andata fin ora potrei dare un'annusata prima al cappello...»

«Rifletti e prova, Rodo.»

Guardai l'incenso e provai a sfregare tra le dita le sue briciole, come le avevo toccate nel convento, ricordai quando il frate mi diceva di cosa si trattasse e da dove arrivasse. A quel tempo non diedi importanza a cosa mi dicesse, ricordavo solo si trattasse di resina.

«L'incenso...» faceva Damafelco «L'odore, attizzato col fuoco, sacrificato, ad avvolgere il sacro. L'incenso è simbolo di...»

«È una resina.» lo interruppi io «E anche la mirra.» la indicai «Nell'ultimo cappello, che è il più piccolo, ci sarà qualcosa di più prezioso di questi due, ma sarà ancora resina. Perciò dico che è ambra.» tesi la mano.

«No!» Damafelco me la prese.

«Cosa fai? È perché ho indovinato?»

«Rodo...» il folletto strinse le labbra e posò gli altri due cappelli di nuovo sul tavolo a coprire mirra e incenso «Riproviamo.»

«Ma! È perché ho indovinato.»

«No» sibilò tra i denti lui, come se questo lo infastidisse «Ho sbagliato l'enigma... Non volevo andasse così...» si giustificò alla svelta «Riprova ora, te lo faccio più facile.»

«Ok dico che è incenso.» alzai il cappello grosso, l'incenso era sparito, al suo posto un filo d'oro «E questo?»

«Un filo d'oro.»

Andai sul secondo cappello senza nemmeno provare a indovinare, non trovai la boccetta, trovai della polvere d'oro nella quale affondai il dito e i suoi frammenti luccicanti mi rimasero sotto l'unghia.

«Un filo d'oro.» fece Damafelco «Della polvere d'oro... cosa manca?»

«Manca...» guardai il cappello più piccolo e mi parve di vederlo pulsare, le mie palpebre strette sulle pupille tremarono, dovetti chiuderle e voltare lo sguardo, lo alzai sul folletto.

«Lo hai capito, vero?» quello ghignava che le guance gli spingevano le orecchie «Cosa c'è sotto il cappello piccolo?»

«Non l'ho indovinato.»

«Oh sì che lo hai indovinato.» annuiva.

Tesi la mano verso il cappello, più lo avvicinavo e più mi tremava che dovetti farla strisciare sul tavolo per riuscirlo a sfiorare senza fremere «Non lo so. Ora lo alzo...»

«Tu hai indovinato, Rododendro.»

«No, non voglio!»

«Lo hai indovinato, te lo leggo negli occhi, dillo! Hai promesso di giocare al mio enigma.»

«È...» presi un respiro e lo spinsi fuori con un grido «È la pepita d'oro!» sollevai il cappello di botto «Oh no!» saltai indietro con le mani sugli occhi cercando di togliere dalle pupille ciò che avevo riconosciuto «Oh no...»

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