Libero e forte, per la prima volta come non mi sentivo da troppo tempo, persa la pepita non possedevo più la mia via di fuga, solo le mie gambe e la mia volontà di camminare verso nord, e quando richiamai il loro aiuto gambe e volontà mi risposero pronte, come aspettassero soltanto di liberarsi dal guinzaglio della pepita d'oro.
Mi lasciai dietro la storia del drago e degli orchi, lasciai che quel passato diventasse storia e il mio presente qualcosa di diverso.
A lungo pensai al mio viaggio, alla mia vita, come quando cadi e ti controlli la ferita e ti chiedi quanto valga la pena rischiare di correre ancora, quanto valga la pena uscire dal nido un'altra volta e provare a vivere di nuovo.
Sulle strade umide di quell'isola dove il tiglio non cresceva e l'abete dominava i bordi dei sentieri, tornai con la mente a casa mia, la vidi vivida dietro il cristallo degli occhi, colorata di ricordi come vi camminassi in quel momento.
«Perché me ne sono andato?» chiedevo all'aria, nella mia lingua natia «Io voglio trovare i nani. Lo so. Ma cosa volevo allora, quando salutai l'animo affranto di mia madre...» una smorfia di dolore mi storse la bocca «Con che cuore lo feci?»
Mi voltai verso sud, strinsi le palpebre al sole, le pupille nascoste tra le ciglia, vidi il tratto appena percorso e dietro mille e mille tratti di strada percorsi giorno per giorno, una parete di tempo spessissima che mi separava da mia madre.
«D'altronde, se sono partito per sapere se i nani esistano, come diceva il nonno, bè, ho trovato tante testimonianze. Non li ho visti di persona ma...» sospirai, immaginai mia madre ascoltare la mia voce viaggiare col vento «Mamma, preferisci che venga a casa senza nulla di fatto? Oppure vuoi che prosegua finché potrò tornare e darti la mia verità?»
Su quelle parole il volo di due falchi tagliò il cerchio del sole, vorticarono per scendere in picchiata sul sentiero, diretti verso di me sorvolarono la mia testa, due frecce che mi sfiorarono i capelli e schizzarono via verso il nord.
Aggiustai la sacca sulle spalle e mi incamminai, non mi fidavo dei presagi degli uccelli, tanto meno dei consigli dedotti dal volo dei corvi, ma d'altronde non potevo pretendere due angeli con l'indice teso verso il nord e nemmeno pretendevo l'apparizione di mia madre in persona che mi benediva, mi accontentai dei falchi, che da quel giorno in poi il mio cuore si rasserenò «Tornerò a casa con una storia fantastica, mamma.»
I primi giorni davvero in cui sentii una buona stella osservarmi dall'alto, una mano divina carezzarmi la testa e un profumo di successo guidare i miei passi. Avevo superato tutte le prove, avevo attraversato tutto il nord e avevo parlato con tutte le razze di questa terra, me ne mancava solo una, quella, i nani.
In realtà non solo quella, almeno a parere di Cortino, il pescivendolo più vissuto di Portopesce
«Ti mancano le sirene, gli ettribù e due... tre tipi di mostri marini.»
«Mostri marini?» non lo contraddissi viste le grosse carcasse posate sul suo banco, pesci sì, ma anche altre creature a cui non sapevo dare altro nome se non mostri «Però capisci che i mostri marini non contano, sono animali.»
«Qui a Portopesce contano.»
Scrivo Portopesce, perché di scrivere il nome nella lingua originale non mi riesce. Troppo grezza e raschiata la lingua di quell'isola, ruvida come quella in bocca a Cortino mentre mi raccontava dei mostri. Là su quell'isola si esprimevano tutti come lui, una parlata tossita dalla gola, un vocabolario che costringeva spesso a serrare i denti, con le sue sonore kappa strette a erre quasi ringhiate. Una lingua nervosa anche tra labbra sorridenti e visi bonari.
Pregai di non dover incontrare sirene mentre scambiavo con Cortino un passaggio in barca per una storia delle mie. Una storia che durò tutto il tragitto dall'isola del re Buliperr a un altro lembo di terra dell'arcipelago delle Isole Verdi.
Sì, le mie storie valevano qualcosa, mi abituai a scambiarle per i pasti, per i rattoppi ai vestiti o per far ricucire le suole alle scarpe, la gente ascoltava volentieri, sia quelle vere che offrii all'inizio, sia quelle inventate che proposi quando esaurii le storie vere ma non il bisogno di mangiare.
Che cosa raccontavo? Di un cacciatore di nani ovviamente, io, poi di un drago sputafiamme, di due fratelli cavalieri, giovani ma già pronti a morire, di orchi maledetti e di quanti io ne avessi sconfitto. Mi divertivo e si divertivano ad ascoltarmi tanto da valermi quel ritaglio di spazio vicino al fuoco, quel triangolino di formaggio e quella patata bollita.
«Buono.» annuivo con la patata tra le guance «Buonissimo.» non avevano idea di quanto mi mancasse il pane di casa mia, o anche il pane di qualche paese poco più a sud.
«Nessuno cucina patate e pesce meglio di me.» facevano loro.
«Buon per voi!» scrollavo la testa col sorriso tirato sui denti «Proprio buon per voi.» bisbigliavo tra me, che quella gente non sapesse la bontà di una focaccia di pane sulla quale quel triangolino di formaggio si sarebbe sciolto benissimo.
Imparai a introdurre il mare nelle mie storie, me lo suggerì lo sguardo di Cortino, quella volta in barca durante un momento di silenzio, guardava l'orizzonte marino con tanta malinconia da sembrar voler piangere, una caratteristica comune tra gli uomini di quelle isole, sognare di dormire in casa propria ma prendere il mare ogni mattino, per la pesca o per accompagnare un viandante in cambio di una storia.
«Rododendro, il ragazzo del tuo racconto, non mi hai detto come finisce: tornerà mai a casa o sarà costretto a vagare in eterno?»
«Vagherà in eterno, senza mai trovare quel che cerca.»
«Eh già» lo vidi rabbuiato come se lui stesso si sentisse quel ragazzo.
«Però, Cortino, nessuno racconta storie di uomini seduti sulle poltrone che dormono fino a pranzo. È di chi fatica, di chi sacrifica la vita, è di chi suda che si raccontano storie, e dei racconti gli orfani saranno sempre i protagonisti migliori, come gli esuli, come i reietti e anche come i fuorilegge.»
«E delle leggende, anche di quelle sono protagonisti?»
«Leggende? I protagonisti delle leggende sono tutti galeotti, pescatori del primo mattino o donne maltrattate. Trovami una bella leggenda in cui un re non levi la corona, un cardinale non si tolga la berretta ed entrambi non si pieghino in due per lavorare nel fango. Trovamela e io mi farò subito prete.»
Cortino mi strinse la mano, sorrideva con tutto il viso, forse ora convinto che lui stesso assomigliasse a un protagonista, più di un re o di un cardinale, forse convinto che un giorno si sarebbe raccontata una leggenda su di lui.
Ripensai al frate, quel mio amico di tempo fa, chissà che ascoltando le parole sul cardinale non mi avrebbe tirato un ceffone, chissà che all'idea di vedermi col talare non mi avrebbe dato una carezza.
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