10) I principi Buliperr
Approntarono la nave prima che il mio sangue smettesse di colare, di fretta salirono e portarono a bordo anche me. Persone buone, non mi lasciarono sulla spiaggia a morire dissanguato, tuttavia intuii, mentre un anziano mi chiudeva il taglio, che non mi trovavo su quella nave solo come passeggero.
Buliperr principe, il condottiero, passeggiava sul ponte con le mani giunte dietro la schiena, il suo mantello carezzava il fasciame da un lato all'altro per ogni passo. Il principe percorreva la nave per tutta la lunghezza due volte, poi si fermava con la punta dei piedi sul bordo del mio giaciglio, quindi riprendeva a passeggiare per ripetere così un'altra volta e ancora un'altra per tutto il giorno. Principe Buliperr attendeva qualcosa da me, forse che mantenessi la mia parola sulla pepita, ma non poteva essere qualcosa di tanto semplice, una piccola pepita non poteva interessare a un principe dall'armatura rifinita d'oro e il mantello azzurro lindo come appena intessuto.
Le passeggiate del principe mi diedero idea di quanto durasse quel viaggio per mare, come lo scandire di campane, i suoi passi arrivavano e andavano, irrequieti. Appena sentii la forza in corpo, qualche giorno dopo, provai a sollevarmi sulle gambe.
Una volta in piedi mi resi conto del dondolio della nave, il suo rollio e il beccheggio, lunghi e sempre presenti anche in mare tranquillo, e proprio del mare mi accorsi solo in quel momento, sollevata la testa e le spalle oltre il parapetto scorsi quel deserto d'acqua che ci circondava, pareva che il cielo fosse colato sulla terra e noi navigassimo tra il sopra e il sotto di quello stesso blu.
Principe Buliperr si avvicinò, siccome questa volta ero in piedi potei inchinarmi a lui.
«Mio signore, non credo che il nostro incontro sia un caso, sono onorato e anzi...» avevo preparato quella frase per tutti quei giorni «...sono convinto che un dito divino mi abbia sospinto fino al vostro tiro di freccia.» mi chinai un'altra volta.
«Il tiro di freccia è un merito del mio giovane fratello.»
Rialzato il capo trovai lo sguardo del principe rivolto a prua, dove il fratello minore, seduto con una gamba a penzolare oltre il parapetto, affilava la punta alle sue frecce.
«Il vostro anziano medico è stato altrettanto miracoloso.»
«È un guerriero.» rispose il principe «Ha visto più battaglie di tutti noi, e quindi più ferite.»
Mi sfiorai il petto, sotto la giubba sentì il rilievo della mia pelle cucita. Cauterizzata la ferita e cosparsa di medicamenti l'anziano l'aveva anche chiusa con un filo scottato sopra una fiamma. Mi sarei portato quel segno sul petto fin nella tomba.
«Non deve riaccadere.» la voce del principe mi destò dai pensieri «Ti insegnerò l'uso della spada, che il prossimo orco non distrugga quello che io ho salvato.»
«Vi ringrazio, mio signore, sono in debito con voi.»
«Dovrai anche imparare a mettermi questa armatura. Dovrai imparare alla svelta: le Isole Verdi si avvicinano...»
«Mio signore...» volli domandargli della pepita ma non ci riuscii «Perché avete sorvegliato il mio giaciglio per tutti questi giorni.»
«Temevo l'infezione della ferita ti uccidesse. Ma sei in piedi: la ferita giusta devi ancora trovarla.»
Sorrise e annuì, senza risposte in bocca mi limitai ad annuire anch'io. La "ferita giusta", quella che mi uccidesse, il principe ne parlava come mi augurasse di trovarla ma non si trattava di me, si trattava di una ricerca che coinvolgeva tutti loro, lo capii guardando i suoi uomini manovrare la barca, gli occhi scuri fissi sull'orizzonte, le bocche chiuse, le dita che correvano al braccio segnato da una lunga cicatrice, oppure al collo percorso da una ferita di qualche anno prima, o alla guancia deformata dal taglio di una battaglia vecchia, magari combattuta in gioventù, gli uomini del condottiero Buliperr non cercavano la vittoria, cercavano la ferita giusta. Me lo spiegò lui stesso quando gli chiesi
«I vostri uomini cercano di morire?»
«Non solo di morire. Loro cercano di morire combattendo, con coraggio, in una giusta battaglia.» gonfiò il petto che l'azzurro del mantello svolazzò e sembrò confondersi con le onde del mare «Nessun mercenario tra le mie fila, nessun giuramento, sono tutti fratelli, legati dal sangue o dall'onore, e moriranno in battaglia, come desiderano. Se sopravvivessimo a questa, combatteremmo quella dopo e quella dopo, e chi vivrà combatterà quella dopo.»
«Nel sud esistono i cavalieri, sono uomini d'onore e sono riconosciuti dai re... ma non desiderano morire.»
«Noi siamo diversi, Rododendro, per una giusta causa potresti vedere combattere me e tutti i miei uomini fino alla morte.»
«Perché?»
«Solo la morte cruenta soddisferà il nostro animo.»
«Perché, mio signore? Io non potrei mai capire.»
Lui rise e abbassò gli occhi, all'improvviso molto meno solenne «Parli come la mia fidanzata, alle Isole Verdi.» la imitò con la voce stridula «Se non muori laggiù, tornerai per trovarmi con un altro. Poverina, le sue minacce... ti sembra sensato?»
«Cosa?»
«Voleva tenermi con sé, ma se non morissi scoprirei che mi tradisce. Tanto vale morire, anzi, mi incita a farlo.»
«Io... Mi trovo d'accordo con la vostra fidanzata, mio signore, proprio non condivido, vi aspetta un grande premio nell'aldilà? Chi ve lo ha promesso?»
«Rododendro» mi chiamò, di nuovo solenne, di nuovo con la schiena dritta «Riprendi l'esercizio: l'armatura.» aprì le braccia, dritto in piedi.»
Io risposi come ormai facevo tutti i giorni da quando tornai a camminare, ogni ora, veloce come mi guidasse l'istinto vestivo il principe dell'armatura. La tunica foderata per difendere dagli urti, chiamata gambesone, infilata sul principe alla svelta e legata davanti passando il filo nei fori dei due lembi sul petto. Schinieri sulle tibie, forgiati in metallo lucido così come il pettorale, gli spallacci e i cosciali. Tutti li posizionavo sulle membra del principe per fissarglieli addosso con dei laccetti, poi controllavo che ogni pezzo dell'armatura fosse fermo, compresi ginocchielli e manopole, quindi sollevavo l'elmo sulla sua testa e glielo infilavo che i suoi occhi azzurri mi vedessero attraverso le due fessure.
Con quella addosso poteva muoversi da prua a poppa e da poppa a prua di corsa, senza fatica, il freddo non raggiungeva la sua pelle e mi assicurò non lo avrebbe fatto nemmeno un colpo di spada.
«Perché mi insegnate ad usarla se non può sconfiggere un'armatura?» con la spada in mano mi sentivo ridicolo, per lo meno di fronte al principe.
«Perché la spada serve per difenderti dai criminali. E poi su questa nave non permetto stia nessuno incapace di combattere.»
La mia spada, quella con la quale avevo trafitto l'orco, si muoveva goffa tra le mie mani e si nobilitava, snella e pericolosa, tra le mani del principe. Lui sapeva combattere, come se un angelo guerriero glielo avesse insegnato, il taglio, la difesa e di nuovo il taglio e poi l'affondo, il forte della lama, il debole e tutto il resto, tutto quel vocabolario dell'arma che non riuscivo ad assimilare mentre usciva da principe Buliperr come la sua lingua d'ogni giorno.
«Non so se diventerò mai uno spadaccino.» ammisi dopo qualche settimana.
«Me ne sto rendendo conto e ne sono un po' frustrato.» ammise il principe.
«Forse basterà tenerla al fianco per spaventare i criminali.»
«Mh» lui storse le labbra e scosse la testa «Non con quella faccia da ragazzino del sud.»
«Ragazzino?» mi toccai la barba, per lo meno ci entravano due falangi del dito.
«Magari così...» il principe mi tirò lo scollo della giubba che l'orlo del taglio sul petto spuntasse alla vista «Questo potrebbe impressionarli.»
«Se non sa tirar di spada è un uomo morto?» la voce del principino mi sollevò gli occhi dal petto, quel ragazzetto saltò di fronte a noi col suo arco porto verso di me «Mio fratello mi sottovaluta spesso: ha provato a mettere una spada in mano anche a me, da piccolo.»
«Tant'è che non c'è stato verso.» lamentò il principe «Secondo me l'hai sempre fatto apposta, per non darmi ragione.»
«Può darsi» il fratellino mi guardò e sorrise «Vuoi provare a tendere il mio arco?»
«Sì» lo presi con entusiasmo, una mano stretta sul manico l'altra sulla corda, puntai al mare e forzai tutti i muscoli «È durissimo»
«Mh» sentì il principe sospirare un'altra volta.
«Forza che ci riesci!» mi incitò il principino.
«Forza.» mi dissi prima di chiudere le labbra e trattenere il fiato. Contrassi i muscoli finché la corda non arrivò al mio orecchio.
Mollai.
«Ahi!» sul mio petto un rivolo di sangue «Non me lo posso ancora permettere.» restituì l'arco e mi ritirai sul giaciglio. La ferita gocciolò per qualche momento, finché non si richiuse da sola.
Una nave di valorosi, e poi io, con il coraggio del coniglio e il corpo solido quanto quello di un pollo.
Quei due fratelli invece parevano due statue di roccia scolpite al centro di un monumento, lui il leone dalla criniera folta e lo sguardo scuro, l'altro il falco con gli occhi aperti e le grinfie pronte. S'incrociavano e si punzecchiavano, tanto diversi nell'atteggiamento quanto simili nei lineamenti del viso, tanto pronti al battibecco fra loro quanto uniti nel rimbeccare altrui.
«Mio signore, vogliamo davvero voltare per l'isola di vostro padre?» il timoniere si rivolse a loro con timore.
«Sì.» rispose il principino.
«Sì» ribadì il principe «Non approderemo se non di fronte alla sua casa.»
Dopo quella affermazione scese un velo di silenzio sulla nave, i principi si sedettero a prua e gli uomini cominciarono ad affilare armi, appuntire lance e lucidare elmi.
Avvicinai con timidezza quello che da un mese chiamavo mio signore.
«Rododendro.» mi interpellò perché prendessi posto vicino a lui «Sai perché l'orco ti voleva uccidere?»
«Ormai sì, ormai conosco creature maligne come loro.»
«E non vuoi sapere quello che penso io sui maligni?»
«Assolutamente, lo voglio sapere.»
Il principe deglutì, si preparò per dirmi questo «I maligni e tutti i cattivi saranno sempre degli schiavi, sempre dei sottoposti, non saranno mai liberi. Infatti ogni cattivo è educato con la violenza e ogni volta che subirà violenza si sottometterà. Così un cattivo più forte governa un cattivo più debole.»
«Proprio quello che pensavo, non avrei saputo dirlo meglio.»
«Ma bisogna capirli» proseguì il principe.
«Capirli?»
«Capita così anche da bambini, quando un padre ti educa con la violenza e l'ingiustizia, arriva un momento, da ragazzi, in cui non ti importa più di nulla, sei insensibile, e in quel momento devi decidere se odiare tutto ed essere una vittima in eterno, oppure se andartene ed essere libero.»
Cercai lo sguardo del principe e lo trovai rivolto all'altro fianco della nave, lì suo fratello minore guardava l'orizzonte e ancora affilava punte di freccia che nella sua faretra quasi non ne stavano più.
«Principe Buliperr» mi tremò la voce «ho capito che non state tornando a casa per riposare. Ma perché preparate le armi?»
«Terra!» esclamò il principino, ora in piedi, retto a una sartia.
Tutto l'equipaggio si mise ai remi perché la nave accelerasse, in preda all'agitazione andai per aiutarli.
«Rododendro!» mi richiamò il principe «L'armatura.»
Gambesone, schinieri, pettorale, spallaccio, elmo «Mio signore, non state tornando a casa vostra?»
«Le guerre tra gli uomini partono spesso dalla tavola di casa propria, quelle sono le peggiori e le più sanguinose. Stammi appresso, Rododendro del sud, sei vivo per merito dei Buliperr e ti prego...»
«Vi devo la vita.» annuì.
«Aiutami in questa impresa: porta il mio mantello a mio fratello minore dovessi fallire.»
I rematori battevano l'acqua a ritmo di tamburo, rullato a frenesia, alla vista della riva non rallentarono.
«Ci hanno visti arrivare.» avvisò il principino, la corda dell'arco tesa e la faretra in spalla «La riva è piena di guerrieri!»
«Rincontreremo i nostri padri» annunciò il principe all'equipaggio, proprio nel momento in cui una freccia infuocata colpì la nave, e un'altra, scoccata dalla riva, attraversò la vela «E baceremo le nostre madri!» sguainò la spada «Tirate dentro i remi e fuori le armi!» a questo comando gli uomini smisero di vogare, quello al timone lo incastrò con una pedata e lo mollò dritto.
La nave precipitò verso riva, dove soldati con corazza e lance attendevano che la prua toccasse terra.
«Bevete il sangue di Odino!» ordinò il principe e gli uomini a prua con lui scolarono liquido rosso dalle borracce per poi urlare, ruggire e non smettere più di scuotersi. Quando la nave si schiantò sulla riva questi saltarono col suo slancio sulle schiere nemiche, anche il condottiero Buliperr saltò, io dietro di lui mi tuffai a capofitto.
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