Capitolo 7 Una spazzola per due

«La colazione è servita, signori» Erika aveva bussato alla porta della dependance per avvisare i ritardatari e si era rivolta loro in tono ironico.

«Buongiorno, signorina Tyler. Grazie per l'informazione, mia cara. E fin quando possiamo consumarla?» Loki comparve sulla porta coi calzoni di pelle e la camicia aperta. Si era appena svegliato di malumore; proprio lui che era un dormiglione, si era destato col solletico scherzoso del cugino sulla pianta dei piedi. Gli passò subito alla vista della ragazza, ma non del suo pappagallo, che gli volò incontro per beccarlo in mezzo al torace glabro. Dovette scansarlo con una gomitata, cercando di non fargli male «Bellatrix, ce l'hai con me?». Il volatile lo tormentava, dal primo momento di conoscenza, lo vedeva come una minaccia nei confronti della giovane proprietaria.

«Non siamo in un albergo, è una casa» la piccola Tyler si girò di spalle «Copriti, sei mezzo nudo. E finiscila di provocarmi». Dalla sera precedente Laufeyson non aveva smesso un secondo di starle addosso. Aveva insistito per sedersi accanto a lei, l'aveva tallonata come un'ombra e aiutata a servire a tavola i commensali, aveva lodato le pietanze a ogni boccone, mangiando persino le briciole e litigandosi l'ultimo piatto di spezzatino col biondo cugino.

Lì Loki aveva dato il meglio di sé con la pretesa di una sfida a colpi di pistola, pensando di eccellere. Aveva costretto i commensali a uscire in giardino e Phil aveva dovuto appendere sul ramo di una buganvillea una vecchia tazza scheggiata che fungesse da bersaglio. A diversi metri di distanza Thor aveva mirato per primo e con serenità, centrando la stoviglia dalla parte esterna. Il resto, rimasto legato per il manico, era stato mancato dal pistolero moro il cui colpo era finito nella siepe limitrofa, provocandogli una smorfia sul viso già tirato, con molte risate degli amici.

Erika aveva avuto la sensazione che avesse sbagliato perché distratto dalla sua presenza: prima di premere il grilletto, infatti, gli occhi smeraldini si erano spostati su di lei e le aveva ammiccato.

«Ora veniamo. Bucky e Steve ci raggiungeranno, sono andati a casa dei Coulson perché Maria prendesse loro le misure per le modifiche alle divise» Thor spalancò la porta «Lo scusi, signorina Tyler, può voltarsi, ora mio cugino è presentabile».

«Me lo risparmio, grazie, Thor, anche perché Loki non è tanto attraente come crede, è solo un pallone gonfiato. Vi aspetto in cucina. Datti una mossa, esibizionista» la giovane, sdegnata più del dovuto, sbuffò, scappando via.

Intanto che si riposava sulla scapola di quest'ultima, il pappagallo, strepitò imitandone la voce «Esibizionista, esibizionista, esibizionista».

«Cugino, non siamo venuti a cercare moglie o avventure, ma per un lavoro serio e impegnativo; possiamo lasciare le sceneggiate fuori dal cancello del ranch?» per Loki sembrava tutto un gioco, ma stavolta aveva un curioso luccichio negli occhi. Thor lo dissuase dal proseguire lo sterile corteggiamento. 

«E lo porteremo a termine, senza un minimo di compagnia se tu e gli altri non la smetterete di comportarvi da orsi. Non sono l'unico a voler socializzare. Clint ha una predilezione per chi sai tu e il prete non dorme mai; guarda, si è lambiccato il cervello e farà un figurone, avremmo dovuto pensarci noi. Il prete, cugino!».

Bruce si era svegliato assai prima dell'alba per passeggiare nei campi ed era tornato con tre mazzi di fiori, due più piccolini e uno più grande. Loki lo vide consegnare il primo alla signora Coulson e indirizzarsi verso Erika, ancora non rientrata in casa. Sotto il portico, le porse, infatti, l'altro piccolo, strappandole un sorriso.

«Il mazzo enorme non è per te, Buck, non illuderti» Rogers commentò, passando con Barnes davanti ai cugini.

«No, Steve, proprio no. Invidio lo spirito di Bruce, positivo nonostante le batoste, è segno che la sua fiducia nel genere umano è rimasta intatta checché lui ne dica, posto che ovviamente è facile invaghirsi della nostra gentile padrona di casa» James seguì Banner, con lo sguardo.  

Ricevuta indicazione dalla sorella su dove si trovasse, si era diretto alla stalla, dove Rafflesia si dedicava ai suoi cavalli dalle prime ore del mattino.

La ragazza era solita svegliarsi presto e quel giorno non aveva fatto eccezione. Nonostante il breve sonno notturno era adrenalinica, tra i pensieri per Clint e la preoccupazione per le minacce di Zemo, la cui improvvisata all'ufficio dello sceriffo era stata piuttosto spiacevole.

«Ciao».

La bruna era concentrata a spazzolare il manto scuro di White Star, nel suo box, e la mustang sembrava gradire. Era un'occupazione che la rilassava molto, un momento in cui poteva riflettere dei suoi problemi. L'arrivo inaspettato la colse di soprassalto «Bruce, buongiorno. Che belli. Sono per me?». 

Il mazzo era composto da un misto dei fiori di campo che nascevano nei terreni accanto alla proprietà; la composizione risultava realizzata con gusto nella scelta dei colori e nelle proporzioni.

«Per chi altri? È un ringraziamento per la vostra squisita ospitalità» accennando di averne colti anche per Maria ed Erika, la osservò appoggiarli a terra, in un angolo all'interno della stalla. 

«Appena finito li metterò in un vaso, grazie a te per il pensiero» toccò il nastro viola inserito nei capelli fra le ciocche di una lunga treccia, che cadeva al centro della schiena, nella parte del fiocco stretto a chiusura dell'estremità inferiore. Non aveva fatto altro, da quando si era destata, un colpo di spazzola alla cavalla, una carezza al regalo del Falco «Stamattina sei uscito senza fare colazione, credo che ora sia pronta e che gli altri ti aspettino a tavola, in cucina» lo esortò, cercando di liberarsene, senza essere scortese.

«Sento odore di frittelle e pancetta da qui, mi precipito. Hai impegni? Posso scortarti da qualche parte?» Banner si offrì, sperando di non essere invadente.

«Oggi no» aveva deciso di rimandare alcuni appuntamenti e gli rispose in modo secco, per riprendersi l'istante successivo «Ti sono grata per la tua premura». Sarebbe rimasta al ranch: Clint aveva assicurato ai loro due cavalli che si sarebbero visti, e non voleva togliere risorse al gruppo per occuparsi dei propri affari.

«Rafflesia, sei il principale bersaglio di Zemo perché hai la tenuta più vasta della zona, non devi vergognarti di aver bisogno di un supporto» la incoraggiò, giocando nervosamente con i bottoni del gilet.

«Loki e Thor mangeranno tutte le frittelle, resterai a bocca asciutta» ribadì, in un modo gentile per liquidarlo e non riprendere un vecchio e sterile discorso.

«Come non detto, ti lascio al tuo lavoro» Banner si eclissò, perdonando la rigidità della sua ospite nei propri confronti, certo che non si trattasse di una questione personale ma di uno stato d'animo, dato il momento di difficoltà attraversato. Si era messo nei suoi panni, in una sana abitudine che si portava dietro dalla sua professione precedente, un metodo utile per comprendere le persone. Rafflesia si era trovata a gestire la proprietà e la famiglia, alla morte del padre. Era un'incombenza gravosa che il destino le aveva portato anzitempo, per le ragioni più dolorose e sbagliate e l'ansia per un'imboscata del barone rappresentava un pericolo concreto.

Lei si dedicò ai cavalli per l'intera mattinata, nella calma ritrovata dopo la confusione portata dai pistoleri, cui non era abituata.

Nella tenuta regnava il silenzio, spezzato dal cinguettio degli uccellini e dai nitriti dei purosangue, giacché dopo essersi rifocillati, i cinque uomini avevano raggiunto Clint e Tony in città, per ricevere nuovi ordini.

«Quanto resteranno a casa nostra? Sono più invadenti dell'edera rampicante» Erika si lamentò. Era impegnata a cucire tasche laterali nei pantaloni di James per modificarne la linea militare. Seduta sui gradini sotto il portico, passava la mano fra i capelli biondi, di tanto in tanto, interrompendosi, e riprendeva a tagliare e impunturare la stoffa. Bellatrix svolazzava sopra la sua testa, liberamente.

«Tutto il tempo che sarà necessario, è rincuorante averli con noi» se avessero dormito alla tenuta, lei stessa, Erika, Phil e Maria avrebbero potuto contare su una protezione professionale di tutto rispetto, al calare della notte.

«Quindi, oltre all'ametista di mamma e al puledro, dobbiamo dar loro vitto e alloggio?» prese il ciondolo al proprio collo fra le dita, scontenta «Hai già consegnato il tuo a Occhio di Falco, me l'ha detto Loki e non te lo vedo addosso da quando sei partita alla ricerca del gruppo dei mercenari». Laufeyson era stato etichettato dai compagni come lingua d'argento per le battute sagaci e ironiche che rivolgeva a chicchessia. Lei aveva constatato la veridicità della definizione e pure che nei suoi confronti la lingua si fosse sciolta in confidenze, poiché le aveva raccontato per filo e per segno ogni avvenimento e dettaglio dall'incontro fra la loro squadra e Rafflesia e Natasha in poi.

«Che avresti fatto al posto mio? Dovevo convincerli a qualunque costo, ho barattato ciò che mi era rimasto e ospitarli è una semplice cortesia nei loro confronti» si difese dalle accuse, che trovò ingiuste.

«E ieri sera, la cena a domicilio? Dovevi portare tu pure quella? Barton avrebbe potuto mangiare al locale di Nat o in un altro posto. O restare digiuno» l'aveva vista smaniare a tavola fin quando non avevano terminato il pasto e si era potuta muovere liberamente.

Per la sorella maggiore le numerose attenzioni per un uomo, la meticolosità con cui aveva preparato il cestino erano inusuali, anomale. Nessuno dei pretendenti passati per il ranch a chiedere la sua mano al loro padre aveva destato interesse in lei, c'erano stati solo rifiuti categorici. 

I genitori non se ne erano preoccupati. Rafflesia rimaneva una ragazza bellissima, non avrebbe avuto problemi a trovare un marito quando avesse voluto. E fin da ragazzina si era mostrata molto motivata ad affiancare il capofamiglia nella gestione della tenuta e delle attività che vi gravitavano attorno.

Erika non la biasimava: in fondo aveva compiuto la medesima scelta. Era realizzata ella stessa nei suoi compiti al ranch e, in sincerità, gli uomini venuti a proporsi erano poca cosa. Non colpivano per una tempra morale o un indole tale da farli considerare una presenza con cui dividere la vita, al di là dei canoni estetici o della dote posseduta. Entrambe li avevano trovati noiosi da morire.

«Che ha White Star? È nervosa?» la puledra, smesso di correre, si era posizionata con le zampe anteriori sulla staccionata del recinto circolare e nitriva in modo inconsulto, con il muso puntato verso l'entrata della magione. Erika interrogò Rafflesia sul motivo.

«Scommetto di sapere chi è in arrivo» nascondendo un sorriso di gioia, le fece intendere che avessero visite.

«Quicksilver, il cavallo del Falco!» la bionda si alzò in piedi e pochi istanti dopo vide due cavalieri galoppare sul viale della loro casa. Il mustang pezzato dell'uomo vestito di scuro deviò dal rettilineo del viale che conduceva alla casa, per saltare direttamente il recinto e raggiungere la femmina.

Rafflesia osservò Clint stringere le gambe e i fianchi virili nel momento del salto, per non essere disarcionato, gestendo perfettamente il suo stallone.

«Non sapevo fosse pure un cavallo da salto, forse hai visto lungo e il loro figlio sarà un campione, caspita» la sorella strinse la mano dell'altro pistolero, ammirando la struttura fisica del puledro.

Il sorriso di Stark si aprì talmente tanto da mostrare i denti incapsulati in oro nel fondo della bocca «Se il regno dei cieli avesse un'ubicazione sulla terra sarebbe qui, ditelo al prete».

«Insomma, Nat non ti ha avvelenato? Sei ancora in piedi?».

«Signorina Tyler, non sono mai stato meglio, le storie su Vedova Nera sono stupidaggini. Più o meno» l'ospitalità di Romanoff si era rivelata perfetta. Gli aveva riservato una stanza spaziosa e arredata con mobili lussuosi, in stile francese, che avevano incontrato il suo gusto. Aveva dormito su cuscini di piume ed era stato coccolato dalle cameriere, con una colazione pantagruelica e un trattamento di favore. Ciarlando come gallinelle pigolanti si erano lasciate sfuggire che Natasha lo aveva raccomandato loro, definendolo il salvatore della città. Un salvatore che si era ritrovato un pappagallo verde sulla scapola che lo osservava incuriosito e due cagnoloni che gli annusavano gli stivali.

«Buongiorno, signorine» Barton era rimasto in groppa al cavallo, che baciava White Star in maniera tenerissima.

«Ti conviene lasciare il tuo mustang in buona compagnia e raggiungerci, dato che lo avevi promesso» Rafflesia consigliò il Falco che acconsentì. Scese dal puledro e passò sopra i legni incrociati del recinto anziché usare il cancello, unendosi al gruppo.

«Thor mi aveva spiegato la strada da percorrere ma è stato Quicksilver a guidarci da voi. Sentiva dove fosse White Star, lo sapeva e forse ricordava il tragitto da ieri» credette più alla prima ipotesi, che un fluido magico avesse unito la coppia di cavalli, visceralmente.

«Sei il famigerato Clint Barton, presumo. Hai al collo l'ametista di mia madre» Erika lo sostenne quasi dandogli del ladro. Si chiese, tuttavia, perché non l'avesse già vincolata al banco dei pegni di Rose Creek, data la sua oggettiva valutazione. Era un pezzo dell'onorario richiesto e il mercenario avrebbe dovuto trasformarla in soldi liquidi per spartirla coi compagni.

Non se ne stupì. Da alcuni accenni fra Loki e Banner durante la colazione, aveva arguito la provenienza del nastro lilla presente fra i capelli della sorella maggiore: un regalo del nuovo sceriffo, dalla connotazione sentimentale.

Clint Barton. Era un tipo comune in apparenza, tranne per l'alone di coraggio e nobiltà che lo circondava, e il rispetto oggettivo che gli altri gli portavano, compresi i suoi subordinati.

Almeno fu simpatico e sinceramente colpito «Sono io, in carne e ossa» glissò sul gioiello, troppo ammaliato dalla tenuta «Ho visto molti ranch ma il vostro li batte tutti, complimenti». Gli estesi campi coltivati, i fiori e gli alberi distribuiti in modo geometrico, la casa, sembravano usciti da una fiaba. Erano i particolari a fare la differenza anche nella sostanza, che lì non mancava. I mustang nel recinto erano uno spettacolo, la ciliegina sulla torta di un luogo curato con amore. Capì perché la mora non volesse cedere la proprietà al barone Zemo; probabilmente era senza prezzo, non potendo quantificare ciò che rappresentava.

«Vuoi fare un giro?» a Barton brillavano gli occhi, Rafflesia si offrì.

«Ci terrei moltissimo».

«Gradite una limonata per rinfrescarvi, prima?» Maria ne aveva già preparata in quantità e suggerì di accomodarsi sotto il patio.

Tony prese posto su un dondolo di vimini con Bellatrix ancorata alla sua spalla, gli altri tre su seggiole dello stesso materiale, da cui si poteva ammirare il cortiletto «Quanti cavalli avete?».

«Ora sono undici, sei femmine e cinque maschi» orgogliosa, Rafflesia descrisse le caratteristiche degli animali, fra cui si contavano anche White Star e l'esemplare beige chiaro montato dall'amica Natasha.

«Sono uno più bello dell'altro, non saprei quale scegliere se dovessi comprarne uno» erano diversi per colore del manto, splendidi.

«Avrai il nostro, no, il figlio di White Star?» Erika versò la limonata portata da Maria, dalla brocca di vetro nei loro bicchieri. Un piatto ovale di ceramica bianca con dei biscottini alle mandorle accompagnava la bevanda.

I cani si erano stesi pigramente al sole sui gradini della veranda.

La sorella maggiore percepì l'ostilità della bionda «È solo un accordo, Erika, si tratta di affari».

Il Falco non intervenne. Il sapore della limonata era squisito, non troppo dolce né troppo aspro, lo zucchero perfettamente sciolto, le fettine di limone tagliate sottili davano un tocco in più di fragranza pungente. Godette della bevanda, alternando lo sguardo fra il suo mondo di glicine e i mustang.

«Li hai fatti tu? Ho rubato a Clint uno dei biscotti al miele che gli hai mandato ieri sera e riconosco la mano da cuoca professionale» Stark mandò giù a fatica un dolcetto con due sorsi di limonata per inghiottirlo. Era satollo, dovette mangiarlo per stemperare l'evidente antipatia di Erika per il Falco.

«Grazie, Tony, ma li ha presi mia sorella, non glieli ho mandati io» non si sarebbe fatta ammansire dal giocatore d'azzardo, nonostante l'interesse di Bellatrix, il cui fiuto per la comprensione delle persone era infallibile «Devo finire di sistemare l'uniforme di James, spero non vi spiaccia se non partecipo alla conversazione» i pantaloni sulle ginocchia e la scatola del cucito sul tavolo, si disinteressò degli altri tre.

«Non mi formalizzo, proprio no. Adoro stare qui» Stark tolse gli stivali per avere la massima libertà, si dette una spinta iniziando a dondolare con il bicchiere di limonata nella sinistra e il sigaro appena acceso nella destra, il cappello calato sugli occhi, l'uccello verde tranquillo sulla scapola «passo sul giro turistico».

«Pigrone, peggio dei cani» alzandosi, Clint gli schiacciò il cappello verso il basso, sul naso.

«Cominciamo da dentro» Rafflesia lo condusse in casa, attraverso la cucina, l'ampio salone e lo studio di suo padre.

Sul tavolo del soggiorno un vaso di cristallo ospitava i fiori di campo, regalo di Banner per le sorelle, che avevano riunito i loro due mazzi.

La notizia del prete andato per campi per raccoglierli era giunta fino all'ufficio dello sceriffo, che aveva capito da tempo di avere un rivale per le attenzioni di Rafflesia. Anche Bruce aveva voluto farle un dono e, non avendo denaro, si era arrangiato con ciò che poteva trovare.

«Vieni» la seguì al piano superiore per la scalinata di legno, tirandole leggermente la treccia dalla parte del nastro «Sei più bella coi capelli sciolti».

«Davvero, Falco dispettoso?» si fermò sui gradini e si girò verso di lui, scrutandolo col sopracciglio alzato e arrochendo il tono di voce «Potrei offendermi».

«Sei sempre bellissima, era questo che volevo dire. Solo che i tuoi capelli meritano di non rimanere legati» si riprese, camminando per il corridoio.

C'erano diverse stanze di cui la padrona di casa aprì le porte. 

Clint non vi entrò, limitandosi a ammirarle dall'esterno. Invidiò Banner, la cui camera era posta accanto a quella di Rafflesia.

«Clint, c'è posto anche per te se volessi venire per riposare o un bagno. Non puoi dormire nel letto della cella del tuo ufficio a oltranza» compreso il motivo del suo malumore spalancò la porta della camera, al lato opposto, anch'essa destinata agli ospiti.

«Grazie, ci penserò. Se ben ricordo Bruce russa, io no, bilancerei il rumore notturno».

«Hai visto tutto, tranne la mia stanza. Entra pure, non è sconveniente e mi servono cinque minuti per sistemarmi» passò prima di lui lasciando la porta aperta. 

Il locale affacciava sul patio e dal balcone si vedeva il recinto dei cavalli.

Barton vi si diresse, passando accanto al letto francese dalla trapunta candida. 

Un vaso colmo di buganvillea lilla era posato sul comò di fronte al letto, e i fiori erano molto più belli di quelli di campo. Accanto, in bella mostra, una bambola con la testa in biscuit era in posizione seduta, piuttosto rovinata nel viso e nell'abito chiaro a fiorellini; gli abiti e gli ornamenti riproducevano quelli delle classi agiate, ed erano di qualità abbastanza elevata, tuttavia risultava molto usurata, segno che da bambina Rafflesia vi avesse giocato spesso.

Tanti libri ne denotavano la passione per la lettura.

Con lo sguardo puntato sul recinto dei cavalli, dal riflesso del vetro la vide, di spalle, sciogliersi la treccia davanti allo specchio, seduta alla toeletta. Non poté fare a meno di girarsi.

Eliminato il nastro, lei aveva separato le tre ciocche e si spazzolava i capelli dalla nuca alle punte.

Un fluido magnetico lo attrasse, i piedi si mossero in automatico per raggiungerla. Dolcemente, le prese la mano che teneva la spazzola d'argento, intarsiata di rose e foglie, fra le sue, per sottrargliela e iniziare a districarle le ciocche. Gli occhi violetti non lo avevano lasciato un attimo, dal vetro terso dello specchio, contraccambiati.

«Sei bravo».

Proseguì con estrema lentezza perché la pratica di bellezza durasse più a lungo possibile. Le ciocche scivolavano fra le sue dita. L'indice e il medio le tendevano e poi vi passava la spazzola per proseguire con la ciocca alla sua sinistra «Lo farei ore ed ore» commentò, terminando con l'ultimo ciuffo sopra l'orecchio. 

Lo spostò, lasciandole il collo scoperto. Si abbassò, ponendo la bocca all'altezza del padiglione auricolare «Non riesco a smettere di pensare a te e sta diventando troppo pericoloso».

Il ricordo dei meravigliosi istanti trascorsi lo aveva accompagnato per tutto il tempo della loro separazione e avere un motivo serio per incontrarla ne aveva alleviato il senso di colpa.

Rafflesia socchiuse gli occhi. Un brivido la attraversò, la sua cute reagì in modo inaspettato con una scarica di tensione che le fece inarcare la schiena e inclinare la testa indietro.
Quando riaprì le palpebre, vide il volto del Falco a pochi millimetri dal suo, esattamente al verso contrario. Percepì chiaramente il buon odore aromatico del limone della spremuta preparata da Maria, profuso dall'alito caldo del pistolero.

«Ti spaventa così tanto che riempia i tuoi sogni?» gli sussurrò, posando le labbra sulla sua fronte. Scelse il sopracciglio sinistro, dove la vena pulsava più del dovuto per l'agitazione della loro contiguità.

La spazzola aveva ripreso il posto sulla toeletta. «No», la ripagò, con lo stesso gesto, sul pezzetto di pelle che aveva baciato la sera precedente, le dita che inanellavano il manto scuro in setose spirali corvine.

La felicità aveva il sapore di limone e della dolcezza della signorina Tyler, per il Falco. L'aveva avvinto in un nodo amoroso in pochi giorni e il modo in cui pronunciò il suo nome gli rimbombò nella testa. Niente era in grado di lanciare al galoppo il suo cuore come quelle cinque lettere uscite dalla bocca fatata della tenera compagna.

«Finiamo il giro della tenuta a cavallo, Clint?».

«Temo dovremo rimandare alla prossima volta. Volevo chiederti» non era una domanda semplice ma aveva bisogno della sua collaborazione e della sua vicinanza «Sto cercando di scoprire l'assassino materiale di Johnny e devo interrogare te e i suoi genitori, ogni persona che possa fornirmi un indizio per scovarlo» la stella dorata sulla casacca brillò, colpita da un raggio di sole attraverso la finestra aperta. Il riflesso si spostò sullo specchio al movimento improvviso, come fosse un presagio.

«Sono ricordi dolorosi, sceriffo Barton, sei sicuro di voler scoperchiare il vaso di Pandora, che ne valga la pena?» lo scrutò in quella strana posizione, dandogli un altro bacio leggero, stavolta sulle palpebre abbassate. Clint era determinato; quando le riaprì, gli lesse nel grigiore degli occhi che avesse già deciso e che avrebbe proseguito nell'indagine anche senza di lei. Lo avrebbe appoggiato, comunque «Togliamoci il dente».

«Sì, vicesceriffo» scherzando si mise composto e le porse il braccio, cavallerescamente.

Rafflesia, sistemato il nastro violetto sui capelli, per fermarli sulla nuca, vi infilò il proprio, con lentezza «Credevo fosse Tony il tuo secondo, non troppo entusiasta; era sull'orlo di una crisi isterica quando Fury ha attaccato la stella al bavero della sua giacca francese».

«Prima che scoprisse il dondolo di vimini sul tuo patio era vispo come un grillo» avrebbe voluto interrogare i Coulson assieme a Stark ma dubitò che l'amico sarebbe riuscito a staccarsi dalla comoda seggiola.

«Ha trovato il modo per non farlo» Tony, più che sveglio, invece, aveva offerto un sigaro a Phil per familiarizzare e coinvolgerlo in una conversazione al tavolo, in un momento di pausa dalle proprie attività.

Erika e Maria stavano terminando il lavoro sulle uniformi di Bucky e Steve.

«Johnny era bravo in matematica, Barton, sai?!» Stark si stava applicando nelle pubbliche relazioni «Come me».

«Tu sei un genio solo a contare i punti al tavolo da gioco per vincere i quattrini degli altri, sii serio» Clint riprese la propria collocazione, versandosi da sé un altro bicchiere di limonata «Raccontateci l'ultima giornata di Johnny».

Bellatrix si era accomodata sulla spalla di Erika che aveva smesso di cucire, Rafflesia era rimasta in piedi, a braccia conserte.

Maria continuò il suo rammendo, parlando per prima, in un tono forzatamente neutro «È tornato da scuola, come ogni altro giorno. Ha pranzato con noi, Erika aveva cucinato il suo piatto preferito, il pollo fritto».

La piccola Tyler tormentava il ciondolo di smeraldo al suo collo, nel gesto visto fare dai pistoleri alla sorella maggiore più volte con la propria ametista, che ora aveva Clint.

«Dopo pranzo ha chiesto il permesso di andare al fiume, per pescare» il padre aggiunse, prendendo una boccata di fumo dal sigaro, che forse lo avrebbe calmato. Ottenne l'effetto opposto «Maledetto me, che gliel'ho dato» il figlio era un fanciullo vivace e intelligente, brillante negli studi tanto da meritare piccole concessioni e non rifiuti.

«Phil, non è stata colpa tua. Non è stata colpa di nessuno di noi, solo di Zemo, che è un assassino» la bruna strinse il polso di Coulson e si rivolse al Falco «Johnny era puntualissimo. Quando non l'abbiamo visto rientrare all'ora di cena ci siamo subito allarmati e lo abbiamo cercato. Sulla strada per il fiume ho trovato la canna da pesca, e ho capito che non c'era mai arrivato. Abbiamo provato a usare i cani ma hanno annusato le sue tracce soltanto fino al punto dov'era la canna e da cui partivano delle impronte di ruote, ne ho contate quattro» Rafflesia li ragguagliò «Col sindaco abbiamo organizzato delle squadre di ricerca ma del bambino non c'era traccia, si era volatilizzato».

«Eppure al mattino avete notato che fosse stato trascinato lungamente» Barton si riferì a ciò che già sapeva, ipotizzando quanto realmente accaduto. 

Che Rafflesia aveva intuito «Credo sia stato rapito dagli scagnozzi del barone, fatto salire a forza su un carro allontanatosi dalla città e da ogni luogo più vicino che abbiamo battuto». 

Il bambino era stato trascinato dal carro stesso molto distante da Rose Creek, probabilmente in un luogo ampio e chiuso, per poi esservi riportato all'alba per una scena plateale che doveva spaventare i coloni «Lo penso anch'io. Avete ancora la camicia che indossava?» Clint confidò che l'avessero conservata.

«Sceriffo, no, abbiamo gettato via quello scempio» Maria dette un punto all'orlo dei calzoni blu di Steve, pungendosi il polpastrello dell'indice con l'ago. «Ahi» si doglio' portando il dito alla bocca.

«Certo, immagino. Grazie per il vostro tempo» Stark si preparò per lasciare il ranch, infilando gli stivali. Fosse stato un prete avrebbe detto amen.

«Venite, ho dei biscotti per voi» la bruna invitò i due pistoleri in cucina, dando a Clint un'occhiata significativa.

Erika li seguì, non capendone le intenzioni «Li abbiamo terminati stamattina a colazione, i ragazzi hanno un appetito spaventoso. Contavo di rifarli, terminato con le uniformi».

«Chiudi la porta, Erika» la sorella la esortò ad accostare l'uscio di casa, scortando i pistoleri nel soggiorno.

Sopra la madia a vetri contenente il servizio di piatti di pregio delle occasioni speciali recuperò una chiave nascosta che ne apriva l'ultimo cassetto in basso, dove di solito erano riposte le tovaglie. Estrasse un lenzuolo bianco singolo ripiegato in quattro che stese sul tavolo del salotto, accanto al vaso coi fiori di campo di Banner.

«Ho tenuto la camicia» sussurrò, aprendo la stoffa ed esibendo l'indumento che Barton e Stark esaminarono attentamente. All'altezza del petto c'era la scritta un mese color amaranto, ancora vivida nonostante fossero trascorsi alcuni giorni dal suo ritrovamento.

Lo sceriffo si abbassò, arrivando con gli occhi a pochi centimetri dalle lettere, dipinte dalla punta delle dita dell'assassinio o di un suo complice con il sangue di Johnny. La stoffa chiara della blusa era sporca di terriccio rosso scuro, atipico per Rose Creek, e segno che le teorie condivise con la signorina Tyler fossero plausibili.

«Tenerla è stata un'ottima idea. Posso prenderla?» voleva mostrarla anche ai compagni per una loro opinione.

«Ovviamente sì. La ripiego in un cestino di vimini, potrai portarla via con la massima discrezione» così i Coulson avrebbero creduto che gli avesse dato davvero i biscotti.

«Sceriffo Barton» dalla porta, Phil si affacciò, consapevole che Rafflesia avesse conservato la casacca «quando metti al mondo un figlio pensi che lo crescerai, che gli insegnerai a vivere e pure a morire, che imparerà cos'è il dolore dalla scomparsa dei propri genitori. Sono i genitori a dover morire prima dei figli e non il contrario. Sceriffo, trovi chi ha ucciso il mio Johnny» con gli occhi pieni di lacrime, Coulson pregò Clint.

«Glielo prometto» ponendo una margherita all'interno dell'involucro, presa dal vaso di fiori composto da Bruce, il Falco lo giurò, sotto lo sguardo conquistato di Rafflesia.

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