Capitolo 17 Il Falco pellegrino


«Sarai tu il nuovo sceriffo di Rose Creek, da ora in avanti» Fury promosse Tony di grado, davanti alla bara di Clint, pensando che il capitano Rogers potesse fargli da secondo, ma Stark fu categorico, col filo di voce che gli era rimasto in gola, dopo aver cantato il giorno precedente davanti al corpo dell'amico «Non ci sarà mai un altro sceriffo finché la protezione della città sarà affidata a noi mercenari. Sono certo di parlare per tutti» oppose un netto rifiuto che Nick comprese.

Distrutto per la scomparsa dell'amico, Tony aveva trascorso la notte a fianco della bara aperta, col sigaro spento in una mano e l'altra fra quelle di sua mamma e di Natasha, che si erano alternate per un conforto. Presenti al ranch Tyler, avevano aiutato nell'organizzazione del funerale e a ricevere i coloni passati per dare a Barton un ultimo saluto.

Come richiesto da Rafflesia, Stark aveva predisposto un carro su cui il compagno era stato adagiato dagli amici per essere condotto al ranch, dove lei stessa aveva provveduto a lavarlo con la collaborazione di Strange.

Il medico, infatti, si era premurato di curare prima la ferita di Loki, estraendo il proiettile dal braccio e sistemando la frattura al setto nasale; successivamente, aveva ricucito le lesioni visibili sul torace del Falco, nella stanza della bruna.

Rafflesia aveva scelto per lo sceriffo Barton l'abito elegante che l'uomo aveva comprato all'emporio Maximoff per il ballo d'autunno dove avevano danzato assieme. Lo aveva vestito, anche del cinturone con le sue pistole e le fondine con l'effige del rapace di cui portava il nome di battaglia. L'aveva pettinato, terminando con un bacio sulle labbra fredde. Aveva mantenuto la calma in ogni azione, svolta con pochi gesti rallentati, per poi chiamare Thor e Steve, che avevano portato il corpo di Clint in braccio fino al centro del salone, dove l'aspettava una bara di faggio chiaro retta da due cavalletti di legno. Macchie violette la coloravano: era stata riempita di rami di glicine!

«Che bel pensiero» aveva sussurrato, colpita.

«Li abbiamo raccolti nel giardino della casa di Everett Ross. Mi sono ricordata che ne avesse un cespuglio e... perché Clint mi disse che tu sei... eri il suo mondo di glicine» Romanoff aveva ricacciato indietro le lacrime, riconoscendosi legata all'amica da un destino analogo. Aveva perso il marito Sam la prima notte di nozze, Rafflesia il Falco dopo pochi momenti d'amore e si erano ritrovate assieme, sedute per un giorno intero accanto alla bara di Barton.

«Ho portato questo» proprio Natasha, nel corso del pomeriggio seguente, intuito che il loro tempo con Clint fosse finito, ripose un sacchettino di velluto blu nella tasca della giacca maschile «Sono le monete per il traghettatore degli Inferi. Non credo che né avrai bisogno ma meglio essere preparati. Scusa ancora, Clint, per quando ti ho dato del maiale» asciugò le lacrime col dorso della mano, lasciando il posto a Tony.

Il baro pose un mazzo di carte da poker nell'altra tasca «Clint, amico, è il mio mazzo preferito. Aspettami per un pokerino: sono le carte buone, quelle segnate, non perderai una mano».

«Ho una cosa anch'io. Non sono avvelenati» Erika depose fra le gambe un tovagliolo bianco contenente i suoi famigerati biscotti alle mandorle.

Bruce, un papavero rosso nel taschino, sciolse velocemente dal polso il nastrino verde di Katie, legandolo a un'asola della giacca di Barton «Non sarà il tuo colore preferito, ma è un pezzetto di me, ti farà compagnia». Non gli sarebbe più servito alcun nastro per ricordare l'evento catastrofico di cui era stato spettatore e protagonista e forse non sarebbe stato il dolore più grande della sua vita. Doveva andare avanti e lo avrebbe fatto.

«Possiamo chiudere, Rafflesia? E' arrivato il momento di lasciarlo andare» Nicholas Joseph Fury, padre putativo e mentore della ragazza dai lunghi capelli neri e una striscia di seta viola nei capelli, diventata una donna di incredibile tempra, provò a domandarglielo, con tatto.

Non l'aveva mai vista piangere, da quando si era precipitato al suo ranch, saputo della morte di Clint. Operosa e organizzata, si era dedicata alacremente alle diverse incombenze, non ultima prepararsi con un abito decoroso, serio e accollato, dello stesso colore dei suoi occhi, e di pettinarsi per la funzione. Era il vestito della prima cena con Barton, il sindaco non poteva esserne al corrente.

Le palpebre asciutte, lei lo fissò, incerta «Non saprei» balbettò. La corazza che aveva messo su stava per sgretolarsi. La sua mente vagò, lontana.

Un'estate di molti anni prima

La bambina dai lunghi capelli scuri correva per i campi di mais, con la sua bambola preferita stretta al petto. Si era allontanata da casa, nonostante gli ammonimenti di suo padre di restare nelle vicinanze della piccola casa comperata nel nascente villaggio di Rose Creek.

«Fifona» Rafflesia aveva preso in giro la sorella minore Erika, che non aveva avuto il coraggio di seguirla ed era rimasta nel fazzoletto di giardino antistante la villetta dei genitori.

Rafflesia si sentiva libera a scorrazzare, di poter giocare con gli animali delle fattorie vicine, di poter osservare le meraviglie della natura e i cavalli dai manti diversi, per cui aveva una predilezione.

Curiosa della vita e di ogni dettaglio che la sua vista incontrava, piena dell'entusiasmo tipico della sua età e del suo carattere, era sempre alla ricerca di angoli nuovi da scoprire.

Aveva implorato sua madre Rebecca di cucirle un paio di pantaloni, da indossare al posto della gonna, per essere ancora più a proprio agio nei movimenti, e la donna aveva acconsentito, riconoscendo nella figlia la volitività e la forza caratteriale che l'avrebbero accompagnata negli anni a venire.

Un chiusino semi aperto ne attirò l'attenzione. Circolare, di metallo, parzialmente arrugginito, sembrava sollevabile con facilità anche per una bambina.

Accertatasi di non essere vista, disinteressata dai rimproveri paterni, posò a terra la bambola e usò le manine per sollevarlo, riuscendo a spostarlo il tanto sufficiente per ficcare la testa nel cilindro di cemento. 

La pesantezza del capo e la mal destrezza del movimento non l'aiutarono a mantenersi in equilibrio sulle ginocchia. In un attimo passò da un prato californiano a un tunnel scuro e putrido, nel terrore del volo in cui era sprofondata.

Nei metri percorsi sbatté col braccio destro sulla parete di mattoni, in un urto doloroso e improvviso che le strappò un grido. Udì lontano lo scrocchio della rottura dell'osso e più attutita ancora l'entrata nell'acqua gelida. 

Scese verso il fondo del pozzo, quasi sotto choc. Le membra intorpidite e la mente offuscata dalla paura le erano nemiche. Si concentrò sul dolore al braccio, mordendosi la lingua. L'ulteriore sofferenza agì come una scarica di adrenalina, svegliandola. I piedini negli stivaletti sbatterono ritmicamente, portandola verso la superficie, a pelo d'acqua dove cercò di respirare con calma.

Ringraziò suo padre per aver insegnato a nuotare a lei e a Erika, se stessa per averlo imparato bene.

Uno sguardo al cerchio di cielo azzurro sopra di sé le rimandò un brutto pensiero. Il pozzo, dalle pareti lisce rendeva impossibile da risalire da sola, si trovava lontano dal raggio d'azione dei contadini e si era spostata molto dal punto in cui aveva lasciato Erika. 

Gridò, con quanto fiato aveva in corpo, cercando di farsi sentire. «Erika» il nome della sorella fu ripetuto, molte volte, con la speranza che potesse ascoltarla.

Trascorso qualche minuto una testolina bionda coi capelli legati in due codini laterali comparve, spaurita, all'imbocco del pozzo. Era una fifona, sua sorella, Rafflesia aveva ragione; ma non tanto da non seguirla, pure se a distanza. La bocca della piccola restò spalancata, a malapena intravedeva il viso della maggiore.

«Chiama aiuto, corri, Erika, corri più veloce che puoi, non so quanto potrò resistere» confidò che avesse buone gambe motivate dalla paura per la sua sorte. Le parole scossero la bimbetta bionda che, dopo un attimo di impasse, si mosse, tornando sui propri passi per avvertire i loro genitori dell'accaduto.

Rafflesia non aveva voluto spaventarla, ma il fisico si stava intorpidendo per via della temperatura dell'acqua e il dolore al braccio era divenuto intenso. Provò a concentrarsi su qualcosa di bello, nel battito continuo ma lento dei piedi per tenersi a galla senza sprecare troppe forze. Le venne in mente una mandria di cavalli al galoppo su una prateria, cavalli selvaggi come i mustang che le aveva mostrato il papà, liberi nelle distese sconfinate.

Gli animali dagli zoccoli e dalle gambe forti scattavano coi loro fisici muscoli, fieri, sfrenati e insubordinati come era lei. 

Si calmò, a quella bella immagine. Pian piano che il tempo passava, aumentavano le voci e le figure alternate all'imbocco del pozzo. Sua madre e suo padre, disperati, e un gruppo di uomini volenterosi, suoi primi soccorritori, avevano fatto scendere una fune con una lampada a olio, tentando di localizzarla.

La stima iniziale rilevò che era bloccata a una trentina di metri di profondità.

Il primo tentativo di salvataggio consistette nel calare nell'imboccatura una tavoletta legata a corde, allo scopo di consentirle di aggrapparvisi per essere sollevata; tale scelta si rivelò scorretta, in quanto in nessun modo lei aveva potuto afferrare il listello di legno, impiegando il solo braccio sinistro.

Nel galleggiamento, con la parte destra del corpo inutilizzabile, al buio, non era riuscita nemmeno a infilarsi la seconda imbracatura di sola fune che le avevano mandato.

«Sta tranquilla, tesoro, ti tireremo fuori» il tono lacrimoso di sua mamma Rebecca fu cattivo auspicio delle possibilità di uscire dal maledetto pozzo.

I discorsi arrivavano smorzati alle sue orecchie, li ascoltava con distacco. Il diametro del pozzo era troppo stretto, sentì dire, gli uomini troppo robusti, il pozzo stesso troppo profondo. Troppo era una parola che iniziava a farle paura.

«Non scendete a prendermi? Per favore» domandò, incerta.

Un uomo, magro, di mezza età, che riconobbe per uno dei proprietari di un appezzamento di terreno coltivato a mais limitrofo a quello della sua famiglia venne calato, retto da una fune che gli teneva le caviglie, pian piano. Subito iniziò a lamentarsi, allo strusciare della muscolatura sulle pareti della struttura del pozzo, nonostante la minutezza delle membra e la buona volontà dell'intenzione. La discesa divenne anch'essa troppo sofferta, l'uomo chiese di essere riportato in superficie.

Se persino uno dei maschi più mingherlini della comunità di Rose Creek aveva avuto grosse difficoltà a scendere nel pozzo, avrebbe potuto aiutarla solo un miracolo. Rafflesia fu presa da uno sconforto che volle allontanare, di nuovo, per essere positiva, come suggeriva sempre suo papà.

«Erika, che succede?» fu costretta a interpellare la sorellina, unica che si era affacciata negli ultimi minuti verso di lei.

Una discussione animata avveniva all'esterno del pozzo.

«C'è un signore che vorrebbe provare a venire da te, ma non vogliono farlo scendere» la bambola della sorella maggiore stretta al petto in un conforto infantile, rispose, balbettando.

«Perché?».

«È grosso e... Rafflesia... dicono che è un ... non possiamo usare quella parola» la biondina tentennò.

«Intendi un negro?» Rafflesia intuì il termine che la loro mamma aveva invitato a non pronunciare. I campi erano pieni di braccianti schiavi, uomini, donne e bambini dalla pelle scura, che lei e la sorella avevano notato lavorare senza sosta. Le erano sembrati simpatici e li aveva salutati con la manina.

«Andrai giù a tuo rischio e pericolo, negro» una voce sgarbata preannunciò la visione dello schiavo.

Piuttosto alto e muscoloso, indossava una salopette di ruvido cotone e una maglia di cui si liberò, con poca pudicizia «Senza vestiti ci sarà meno attrito, su, legatemi» un'imbracatura di corda indossata fra le ascelle e la vita, indispensabile a causa della mole, lo legò in maggior misura dell'uomo che lo aveva preceduto.

Rafflesia osservò il gigante buono che veniva a salvarla, l'angelo nero dalle ali immacolate che lasciò pelle e sangue sugli spuntoni e i rilievi del pozzo, che non fece un lamento mentre si calava con destrezza e abilità inaspettata a dispetto della stazza, sfruttando l'elasticità e la potenza della corporatura, guidato dall'intelligenza, dall'acume e dall'istinto.

Vide un bagliore, Nick, gli occhioni dalla sfumatura particolarissima delle iridi di Rafflesia, un lilla che illuminò la sua anima alla stregua della forza interiore che traspariva dall'abbraccio che ricevette.

Accarezzò i suoi brividi, le baciò i lunghi capelli scuri grondanti d'acqua, godendo lui della strana familiarità della stretta della piccola sconosciuta. Fu un abbraccio scevro dalle catene della schiavitù e di qualsiasi genere di pregiudizio, fu una coccola ricevuta e data, insieme di gratitudine e di inizio di una nuova amicizia fra di loro, di una protezione futura che non sarebbe mai mancata, di un vicendevole affetto, più profondo del pozzo dove si erano incontrati.

«Sei salva, piccolina» lacrime di commozione e di emozione bagnarono gli occhi di Nicholas Joseph Fury.

«Grazie, signore» le manine di Rafflesia glieli tersero mentre lentamente gli altri soccorritori li tiravano in superficie. La bambina non aveva potuto che constatare che il colore del sangue di Nick fosse identico al proprio!

Rafflesia volò fra le braccia di Fury, aggrappandosi a lui, granitica ancora di salvezza della sua vita.

Nick strinse a sé la figlia che il destino non gli aveva donato, percependo la profondità del suo dolore, che era anche il proprio. L'abbraccio di una contiguità rassicurante permise alla donna di lasciarsi finalmente andare, iniziando un pianto dai toni sommessi che divenne, man mano, più sostenuto.

«Dicono che piangere sia segno di debolezza, di mancanza di carattere, ma non è così. Il pianto è una necessità del corpo e della mente, che non deve sopportare tutto senza sfogarsi, perché in questo modo rischia si ammalarsi» trattenere il pianto portava a un destino di sofferenza, una vita vissuta con tristezza, disperazione, angoscia. Nick non aveva mai temuto il giudizio altrui. Piangere non dimostrava che si fosse persa la battaglia, era semplicemente uno dei modi migliori per alleviare la tristezza, soprattutto legata alla perdita di una persona cara. Non si era vergognato delle proprie emozioni in nessuna circostanza e non lo fece, ovviamente, nemmeno in quel momento. Nell'empatia con la ragazza che teneva fra le braccia, nel tentativo di confortarla e fornirle supporto, gli si inumidirono gli occhi.

Non si trattava soltanto delle condivisione dei sentimenti di Rafflesia e già solo tale condizione descriveva uno degli aspetti più straordinari della natura umana. Pianse sul serio per Clint, un uomo tutto d'un pezzo a cui si era affezionato, nelle poche settimane di conoscenza, un uomo che stimava e apprezzava.

«Devi salutarlo» Bruce passò alla bruna il proprio fazzoletto per asciugarsi il viso.

Lei lo prese fra le dita e terse gli occhi, sentendo l'odore di rosa dell'elisir di cui si profumava. Intuì che Banner ne ponesse alcune gocce sul quadrato di stoffa, probabilmente di nascosto e in suo ricordo, poiché rappresentava il suo odore, come il Falco tante volte le aveva sottolineato. La malinconia l'inghiottì, l'aroma la sostenne al ritorno alla realtà.

«Grazie, Bruce» sciolta dall'abbraccio di Fury, si avvicinò alla bara, nelle nebbie della disperazione dell'anima. Tolse il laccio d'oro con l'ametista dal proprio collo e lo allacciò a quello di Barton. «Addio, amore» mormorò. Lui aveva riscattato il ciondolo con la pietra per donarglielo di nuovo, ma si sarebbe fatta bastare l'anello di fidanzamento, che per lei aveva più valore di una vera e propria fede.

Loki, con il braccio abile, prese il cappello di Clint e glielo collocò sulla testa con la collaborazione di Erika «E' pronto».

«Un attimo» Rafflesia si abbassò sul viso del Falco per unire le loro labbra, per un ultima volta, imprimendosi il suo viso nella memoria, ancora di più di quanto era già fusa nello spirito. Non percepì effluvio di morte, solo quello del suo fidanzato.

«Aspettate sul piazzale» Thor invitò i presenti nel salone ad accedere al cortile del ranch, per poter richiudere la porta e attaccare le assi sulla bara, risparmiando agli altri il momento infelice.

Eleanor fu la prima a raccogliere la sua questua, unendosi al gremito gruppo di persone rimaste fuori, in attesa del feretro.

La veterinaria si accostò a suo padre, scrutando i volti addolorati dei propri compaesani. A memoria, secondo lei, erano tutti presenti.

Phil Coulson e alcuni uomini avevano scavato una fossa, alla sinistra della tomba di White Star, su espressa richiesta delle sorelle Tyler.

Erika era certa che Clint sarebbe rimasto sempre vicino a Rafflesia in spirito ma aveva caldeggiato che la salma restasse al loro ranch in una contiguità anche fisica, poiché era un posto che il pistolero aveva amato moltissimo. Si erano regolati così anche i genitori di Johnny in occasione della sua morte, scegliendo un luogo in cui il figlio giocava spesso. Per cui il Falco sarebbe stato seppellito nella parte nord del giardino, alla sinistra del patio dell'abitazione, accanto alla tomba di White Star, dove Quicksilver stazionava continuamente.

Hank Pym si rivolse a Rafflesia, vedendo i pistoleri che portavano il feretro di Barton in spalla fino a pochi metri dalla buca, dove i partecipanti aspettavano. Steve e Bucky davanti, Thor e Tony dietro, Bruce e Loki nel mezzo, quest'ultimo spingendo il legno con la spalla sana. «Banner ha chiesto di poter celebrare la funzione, non sarà esattamente un rito tradizionale, ma penso sarebbe piaciuto a Clint e quindi ho acconsentito. Nemmeno sapevo se credesse in Dio».

L'anziano sacerdote, la donna al braccio del sindaco Fury precedettero il gruppo, fermandosi con gli astanti in un cerchio rasente la bara, posata a terra, sull'erba.

«Sì, prete, in quello della pistola» la voce roca di Stark e il tono confidenziale e spiritoso sorpresero il sacerdote. Soprattutto perché non coincidevano col viso gonfio del vice sceriffo dagli occhi scuri pieni di lacrime.

Anche lo strano e variopinto pappagallo di Erika, notò Henry, era appoggiato alla spalla della sua proprietaria in religioso e inconsueto silenzio.

«Dovrei lavarti la bocca col sapone, Anthony, ma oggi non posso, forse lo farò domani» Amanda non riuscì a rimproverarlo in modo aspro. Con un'espressione manifesta sollecitò Natasha, che si avvicinò a Tony per custodirlo in un abbraccio affettuoso.

Banner tolse il proprio cappello e si pose alle spalle della cassa. Partecipava in maniera attiva alle messe che si svolgevano nella comunità, coadiuvando Pym nelle funzioni; dal suo discorso sul tema dell'amore non si era più fermato. E certo lo avrebbe fatto in un'occasione così sentita «Mai avrei voluto celebrare un rito funebre per un amico, diventa complesso quando si tratta di estranei, impossibile nel caso di un compagno di vita come è stato Clint. Lo sceriffo Barton era un capo, per noi, uno sprono e ci ha guidato fino a voi, aiutandoci in un percorso di redenzione morale. Mors, il termine latino, deriva il suo nome dal morso del primo uomo, che addentando il frutto dell'albero proibito, incontrò proprio la morte. Non ci si può opporre a essa, è un destino ineluttabile. Non voglio rassegnarmi, Clint, voglio continuare a parlarti perché so che puoi ascoltarmi: mi manchi, già, amico mio, manchi a tutti. Senza di te ci sembra di vagare nel vuoto. Una cosa ti prometto: continueremo a cercarti e non ci stancheremo di far vivere il tuo ricordo, finché vivremo anche noi». Aveva predisposto una cerimonia differente dalla classica, di conforto a coloro che restavano, soprattutto a Rafflesia.

Che fissava il feretro, rigirando l'anello di fidanzamento all'anulare della mano sinistra, in continuazione.

Bruce aveva chiesto a ciascuno dei pistoleri di pronunciare un ricordo del collega deceduto e loro si erano impegnati per trovare le parole giuste.

«Tocca a me» Tony aveva imparato il suo a memoria e fece un passo in avanti «La vera amicizia rende inseparabili, e niente, neanche la morte, può dividere i veri amici. Ora che non ci sei più tutto è diverso ma nulla potrà cambiare l'affetto che ci legava; Clint, bello, la nostra amicizia resterà sempre viva, così come vivo resterà il desiderio di poterti riabbracciare ancora. Per favore, usa il mazzo di carte che ti ho dato». La sua simpatia strappò un mezzo sorriso ai presenti.

Steve lo seguì «Tu non ci hai lasciati, Clint: ci hai solo preceduti. Non ci hai abbandonati: sei solo andato avanti su una strada che prima o poi percorreremo tutti. Un giorno ci incontreremo di nuovo e allora insieme torneremo a sorridere. Aspettaci». Lasciò il posto a James, che si fece il segno della croce «Niente e nessuno potrà riportarti indietro. Senza di te mi sentirò solo, mi mancherà per sempre il tuo sorriso e la tua generosità. La tua assenza è dura da sopportare ma sei volato in cielo e l'unica cosa che posso fare è continuare a vivere, portando con me il tuo ricordo. Addio, Falco».

Thor, sottobraccio a Eleanor, trattenne un singulto e poi tuonò, con voce stentorea «I veri amici sono quelli che non lasciano mai il tuo cuore, pure se lasciano la tua vita per un po'. Non li vedi per anni, ma quando li rincroci, ricominci con loro, proprio da dove hai lasciato; anche se muoiono, non saranno mai morti nel tuo cuore».

Mancava il pistolero moro dal volto tumefatto e dal braccio legato al collo di un fazzoletto nero. Loki, però, tentennava, stranamente intimidito. Aveva rimuginato sulla frase da dire, si era consultato con Erika, ma ogni asserzione gli era parsa sciocca o banale, e, alla fine, non aveva nessun foglietto da leggere.

La Tyler piccola gli strinse la mano sana, incoraggiandolo e lui si buttò, improvvisando alla sua maniera, in modo semplice «Non mi va di dire che non è cambiato niente e che tutto prima o poi passerà, perché non è così. Oggi mi manchi tantissimo, capo, e nessuno potrà colmare il vuoto che hai lasciato, e per questo, credimi, Rose Creek non avrà un altro sceriffo, perché nessuno sarà mai all'altezza dello sceriffo Barton. Farei di tutto per poterti rivedere ancora una volta, anche se so che non è possibile. Abbi cura di te perché io avrò cura di chi tu ami, te lo garantisco, a costo della mia stessa vita» si riferì alla bruna, il pugno chiuso che batteva, ripetutamente e con vigore, sul petto all'altezza del cuore. Aveva giurato a Erika, la notte successiva alla morte di Clint, che avrebbe vegliato su di lei e sulla sorella maggiore; volle dirlo davanti a tutti, a suggello formale della propria promessa.

«Grazie» Rafflesia bisbigliò, in risposta alla sua frase.

«Se volete aggiungere un pensiero o un ricordo, sarà ben accetto» Bruce lo domandò, senza trovare proposte. Le frasi pronunciate erano state esaustive, quasi perfette, e nessuno si azzardò a rompere l'armonia creatasi.

«Io, se posso» Rafflesia aprì il suo cuore, nell'ultimo commiato, cercando di trattenersi da un pianto che sapeva di disperazione «Alcuni uomini portano una luce così grande nel mondo che la luce rimane, anche dopo che se ne sono andati. E tu sarai così per me, sempre, amore».

In quell'attimo si distrasse: percepì un movimento sopra di sé e vide planare da sud un uccello lungo una cinquantina di centimetri, con l'apertura alare di almeno un metro; nonostante nelle zona non se ne vedessero più da molti anni, riconobbe la colorazione scura delle penne del capo, che ricordavano un cappuccio nero simile a quello che erano soliti indossare i pellegrini.

E non fu la sola «E' un falco pellegrino, che strano». Eleanor osservò l'animale, dal corpo robusto e dalla forma aerodinamica, certamente un maschio, volare in picchiata verso la sua amica. Le ali sottili, flessibili e coniche gli davano grande agilità, nella velocità incredibile che aveva raggiunto. Che lei sapesse, per esperienza professionale, il falco pellegrino era il più veloce animale vivente, noto per la vista e la precisione nel rilevare la preda dall'alto.

La natura gli aveva donato un becco spesso, forte e ricurvo, per strappare la carne degli animali da cacciare, e degli artigli potenti e affilati, ideali per catturare le prede.

La dottoressa Tripster, tuttavia, avrebbe messo la mano sul fuoco che il rapace non li avrebbe usati contro Rafflesia; fermò Thor, che aveva già estratto la propria arma per difendere la bruna da un eventuale attacco, e non era stato il solo «Non le farà del male, ne sono certa, non sparategli».

Fortunatamente i pistoleri la ascoltarono.

Il falco, infatti, discese fino al viso di Rafflesia, restata immobile e incantata davanti a tanta magnificenza. Il rapace sembrò puntarla ma bloccatosi, la guardò semplicemente negli occhi color glicine coi suoi grigiazzurri e, infine, con un colpo di becco afferrò il nastro violetto che lei recava sulla nuca, volando via. Le strappò quello e un brivido lungo la schiena, nessuna sillaba.

«Clint!» Natasha, accanto all'amica, si strusse, scrutando all'orizzonte la sagoma del bellissimo animale librarsi in volo con la striscia di stoffa viola nel becco. Avrebbe giurato davanti a chiunque che le iridi del falco pellegrino fossero della medesima sfumatura di quelle dello sceriffo Barton.  

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