XXIX. Inutile
La notte era stata un rifugio inaspettato per Myra e Aegon, un ritorno a un'intimità che credevano persa tra le pieghe del tempo e del dolore.
La stanza, avvolta nel buio, era illuminata soltanto dalla pallida luce lunare che filtrava dalle finestre.
Myra si era svegliata prima dell'alba, come spesso accadeva a causa del suo lavoro. Era la prima volta che dormiva nella stanza di Aegon. Sentiva il calore del corpo di Aegon accanto al suo, un conforto che le era mancato in tutti quegli anni di solitudine e rimpianto. Le era mancato il contatto fisico con lui. Sapere di non poterlo più baciare la uccideva.
Le loro lingue non si sarebbero più incontrate. Lo aveva realizzato anni prima, soffocando con le lacrime i suoi sentimenti.
Il respiro lento e regolare di lui la cullava, un ritmo familiare che la riportava ai giorni felici del loro amore, prima che tutte quelle disgrazie li inondassero di problemi.
Mentre lo osservava dormire, il volto di Aegon, appariva stanco. Neppure una settimana di sonno avrebbero cancellato dal suo viso il dolore per quella perdita. Myra si chiese se anche lui avesse trovato un po' di pace quella notte, un momento di tregua dalle ombre che lo perseguitavano. Il pensiero della perdita di Jaehaeris, un dolore che nessuno dei due riusciva a esprimere a parole, le strinse il cuore.
Aegon portava quel fardello ogni giorno, e anche se forse il loro amore persisteva, il silenzio su quel dolore era diventato una barriera tra di loro.
Myra si alzò lentamente, cercando di non svegliarlo. I suoi movimenti erano attenti, quasi reverenziali, come se temesse di spezzare l'incantesimo della notte appena trascorsa. Si avvicinò al letto e si chinò su di lui, sfiorandogli la guancia con un bacio leggero come una piuma.
Aegon mormorò qualcosa nel sonno, un suono indistinto che Myra non riuscì a interpretare in alcun modo.
Si voltò e si diresse verso la finestra, aprendo le tende per lasciare entrare i primi raggi dell'alba. Un fiotto di luce illuminò il viso di Aegon e i suoi capelli dorati brillarono. Il cielo era una tela dipinta di rosa e arancio, la luna era scomparsa da poco e il sole si innalzava lento come una promessa di un nuovo giorno.
Nonostante il buio, ad un certo punto arrivava sempre la luce.
Myra indossò il suo abito da lavoro, i movimenti automatici e privi di pensiero, e infine si guardò allo specchio. I suoi occhi riflettevano un misto di risolutezza e tristezza, un'anima divisa tra il desiderio di rimanere e il dovere di andare avanti. Si sistemò i capelli castani in una treccia a spina di pesce e bloccò il ciuffo finale con un laccetto di cotone.
Prima di uscire, si girò un'ultima volta a guardare Aegon. La sua figura addormentata sembrava vulnerabile, un ricordo di ciò che avevano perso e di ciò che non potevano più avere.
Passerà anche questa, Aegon. Ti amo. Pensò Myra, ma le parole rimasero intrappolate nella sua mente.
Chiuse la porta dietro di sé e si avviò verso la giornata che l'attendeva, portando con sé il peso di quella notte e la speranza che, forse, un giorno, avrebbero potuto trovare il coraggio di affrontare insieme il dolore che li univa.
Myra avanzava con passi silenziosi nel corridoio del castello, le mani fredde che sfioravano le pareti di pietra. Continuava ad avvertire una strana sensazione di pericolo. Era come un sesto senso il suo, come se all'improvviso una tigre dovesse balzarle addosso e divorarla.
Mentre avanzava intravide la giovane serva dai capelli rossi era lì, ferma all’angolo, come se l’aspettasse. Myra sentì un misto di sollievo e ansia. Quella ragazza voleva forse tradirla? Quello che le aveva fatto Larys Strong anni prima l'aveva cambiata: continuava a temere il prossimo e a domandarsi cosa ci guadagnassero le persone quando si avvicinavano a lei. Le sue mani tremavano mentre si avvicinava alla ragazza.
La giovane serva la fissò con occhi penetranti, ma non c’era rabbia nel suo sguardo, solo una preoccupazione profonda. Con un gesto delicato, la prese per mano e la condusse in uno stanzino, uno di quelli dove le serve riponevano le scope e i pochi attrezzo per la pulizia, adesso erano lontane da orecchie indiscrete.
- Ti scotterai. - iniziò la serva, la voce bassa ma ferma. - Devi stare attenta, altre persone potrebbero notare la tua assenza. Ti stavo cercando ieri sera, ti ho vista entrare in quella stanza e ho aspettato che uscissi. - Le parole risuonarono nell’aria come un avvertimento funesto.
- Hai già perso molto... - continuò lei accarezzandole il viso.
Myra abbassò lo sguardo, sentendo il peso delle sue parole. Sapeva bene quanto aveva perso: la sua libertà, la sua fertilità, la sua voce, forse anche il suo futuro. Le cicatrici sulla sua lingua erano un costante promemoria del prezzo che aveva pagato.
- Il sole brucerà presto, Myra. -
Myra alzò lo sguardo, cercando di leggere nei suoi occhi una speranza, una soluzione. Ma tutto quello che vide fu un riflesso della sua stessa paura. La serva strinse la sua mano, trasmettendo un calore e una forza inaspettati.
- La notte è buia e piena di terrori. - disse la serva, - ...ma sappi che non sei sola. Ci sono occhi che vegliano su di te, anche nell’oscurità. Devi solo essere forte e astuta. -
Myra annuì, cercando di trasmettere la sua gratitudine attraverso lo sguardo. Le parole della serva erano una profezia oscura, ma anche una promessa di alleanza segreta. Si abbracciarono, un gesto di solidarietà silenziosa che le scaldò il cuore.
Gli occhi verdi della giovane serva la scrutarono bene, con dolcezza.
Voleva tanto chiederle come si chiamasse, ma non poteva farlo. Voleva ringraziarla almeno nella sua testa.
Mentre si separavano, la serva le sussurrò ancora una volta.
- Il sole brucerà e precipiterà, presto. -
Myra si voltò e tornò nel corridoio, il cuore più pesante ma la mente più risoluta. Aveva ricevuto un avvertimento prezioso, e sapeva che ogni passo da quel momento in poi doveva essere calcolato con precisione.
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