Capitolo 17: Imagine

Lysabeth P.O.V
La domenica è finita, ormai è mattina e mi sveglio con la solita fatica e non voglia del Lunedì. Dopo aver fatto tutto ciò che dovevo, passo per il salotto e guardo in cucina. Non c'è nessuno, allora vado silenziosamente verso la stanza di mio fratello, apro di poco la porta e lo vedo dormire felicemente. Mi dirigo verso la stanza dei miei genitori, infondo al corridoio, faccio lo stesso di prima ma vedo solo una persona sotto le coperte. Entro e non noto più la valigia di mio padre, precedentemente lasciata con poca importanza sul tappeto davanti al letto. C'è solo mia madre. Mio padre se n'è già andato, senza avvisare. Cerco di non pensarci troppo e do un bacio sulla fronte a mia madre salutandola.

Esco di casa con lo skate, e arrivata a scuola vedo Annah di fronte al cancello. Appena mi vede il suo dolce viso dai fini lineamenti si illumina di un sorriso smagliante. Arrivo da lei e la abbraccio, subito dopo vedo Justin con un paio di ragazzette attorno. Cerco di non farci troppo caso e continuo a parlare con Annah. Le racconto di mio padre, dei bei momenti passati durante il week-end e della mia tristezza causata dalla sua partenza. Lei mi racconta di cosa aveva fatto durante questi due giorni e dopo il suono della campana, mentre camminiamo tira fuori dalla tasca dei suoi jeans neri un foglio ripiegato.
<<Leggi.>> dice passandomi il foglio.

'Festa da Jason, mercoledì 23 settembre.'

<<Hahahaha mi prendi in giro?>> dico ridendo.
<<No, noi ci andremo, dimenticherai per un po' la storia di Justin, e io ti voglio aiutare.>>

Non capisco molto come una festa possa aiutarmi a dimenticare Justin, ma potrebbe essere divertente.

Ho sentito dire che Jason sia il K.O.P, 'King Of Party' E che ci sono molte persone.

Faccio spallucce ed entriamo in aula.

Passate le lezioni, stranamente è già l'intervallo.
<<Scusami Lysa, ma ho promesso ad una mia amica di seconda che sarei andata con le al McDonald e quindi non potrò stare con te... ti dispiace?>> mi dice Annah appena usciti dall'aula.
<<No figurati, dai vai non farla aspettare.>>
<<Grazie Lysa>> mi stampa un bacio sulla guancia e corre via.

Prendo il cellulare e le cuffiette, avvio la play List. Vado nel cortile della scuola e cerco un albero sotto cui sedermi.
Mi piace ascoltare la musica, divento io la protagonista della canzone, mi immagino in un mondo fiabesco o realistico in base a ciò che sto ascoltando. Justin non manca mai, io e lui che ci teniamo per mano, che mi sposta una ciocca di capelli dietro all'orecchio e che mi sussurra che mi ama, tutto seguito da un bacio. Io e lui, noi, quel noi che non è mai esistito e che probabilmente non esisterà mai.

Ascolto In The Night di The Weeknd, canticchio un poco prima che qualcuno mi tocchi la spalla. Mi blocco di colpo preoccupandomi che qualcuno potrebbe avermi sentita.

<<In the night?>> dice una voce maschile.

<<Esatto.>> rispondo senza alzare lo sguardo.

Mi rimetto l'auricolare precedentemente tolto per sentire ciò che quel lui voleva dirmi.

Qualcuno me lo sfila, scocciata alzo lo sguardo e senza pensarci sbuffo,

<<Ma che vuoi?>>.

Mi accorgo solo dopo che quel lui era Justin. Lui risponde con una risata.

Canticchia un poco qualche parola qua e là, ma mi basta per farmi immaginare quella voce che dice il mio nome, che mi dice che mi ama, che mi dice che ha bisogno di me, ma che nella realtà sta solo dicendo qualche parola.

Continua a cantare, adesso tutto il testo, la sua voce mi arriva dritta al cuore, passando però prima dal cervello per essere elaborata e studiata, e dal cuore per essere poi pompata a tutto il corpo.

Ha una voce meravigliosa, che ti fa rabbrividire.

<<È troppo tardi adesso per chiedere scusa?>> mi dice guardandomi.

Continuo a fissarlo senza rispondere, poi mi volto e appoggio la nuca al tronco del albero sotto cui ero seduta.

<<Capito, me ne vado.>> si alza e si mette le mani in tasca,
<<Ciao piccola.>> sussurra.

Mi fingo indifferente ma in realtà sto letteralmente morendo per le sue parole. Mi voleva chiedere scusa e mi ha chiamata piccola, piccola. Quanto avrei voluto rispondergli, ma non potevo, anzi non dovevo. Avrebbe fatto così altre volte e se io lo avessi perdonato adesso, lo avrei fatto sempre. Doveva dimostrarmi le sue scuse, doveva dimostrarmi che era veramente dispiaciuto.

La campanella segna la fine della pausa e ritorno in aula, Austin non c'è e mi siedo accanto ad Annah. Durante la lezione mi parla di quello che ha mangiato e divagando, ci accorgiamo di essere finite a parlare della situazione politica del Nevada.
Quando glielo faccio notare scoppiamo a ridere ma senza farci troppo notare dalla professoressa che stava spiegando la sua lezione, di poco interesse per tutti.

Non dico nulla ad Annah di Justin, lei me lo vuole far dimenticare e le darò l'occasione per farlo, andando a quella festa, ovviamente se mia madre me lo permetterà.

Quando mi chiede di come ho passato l'intervallo divago un poco su altri argomenti, riusciendo a cambiare argomento. Lei non si accorge e continua il filo della conversazione, certe volte è così stordita.

Finita la scuola torno a casa.

Entro e vado in cucina. Con mia grande sorpresa trovo mio padre in piedi a bere una tazza di caffè. Corro da lui e lo abbraccio. Vedo un po' di stupore nel suo viso.

<<Come mai questo attacco di dolcezza?>> dice sorridendo.
<<Beh, stamattina sono entrata nella vostra stanza per salutare e non ti ho trovato. Era sparita anche la tua valigia e pensavo che fossi partito...>>
<<In realtà ero uscito per comprare qualche regalino, ma a partire dal fatto che tu abbia pensato che io fossi capace di andarmene senza un vostro abbraccio, a te non do nulla.>>
<<Ti devo anche pregare adesso?>> dissi ridendo.
<<Vai in salotto.>> mi disse indicandomi la strada con la mano in cui teneva la sua tazza di caffè.

Giro l'angolo e mi dirigo verso il divano. Noto un pacco di forma rettangolare, corro subito ad aprirlo e vedo uno skateboard nuovo.
Era tutto bianco, con la faccia di un gatto al centro e con la scritta 'Shark cat does not fucking play'.
Le ruote avevano disegnate affianco le ciambelle di Homer Simpson, personaggio che preferisco dopo Bart nel programma dei Simpsons.

Corro da lui e lo abbraccio, ringraziandolo più volte.

Il mio primo skateboard e quello che ho tutt'ora, era sempre di color bianco ma con il simbolo e la scritta di Chanel.

Mi è sempre piaciuto come skateboard, mi è sempre parso di vedere quel simbolo di Chanel come riferimento alla femminilità che però era su un oggetto di usanza prevalentemente maschile. Era un intreccio di personalità, dimostrare che si può essere femminili mentre si svolge qualcosa di poca 'raffinatezza'.
Ci sono molto affezionata, grazie a quello skate mi sentivo brava almeno in una cosa, mi sentivo viva.
Delle volte, quando non riuscivo a sopportare la distanza di mio padre, prendevo lo skateboard e andavo lontano, senza una meta precisa.
Che ci fosse la pioggia, il vento, il caldo afoso, lo prendevo e partivo scaricando la rabbia, la tristezza, la solitudine e poi tornavo, come se niente fosse. Mia madre sapeva, sapeva quanti dolore facesse non vedere il proprio padre, sapeva della mia sofferenza e cercava sempre in qualche modo di farmi star meglio ma tutto era invano.

Non si può colmare un pozzo senza fine.

Quel pozzo sarebbe finito solo quando mio padre sarebbe tornato, tornato per non partire più, per restare.

<<Pensavo che ti avrebbe fatto piacere averne uno nuovo.>> mi disse mentre fissavo il suo regalo, ormai mio.
<<Papà... Mi sono innamorata...>> dissi guardandolo dritto negli occhi.

<<Chi è il fortunato?>> disse sorridendo.

<<Fammi finire, di questo skateboard>>

<<Sono molto felice che ti piaccia, ero indeciso fra un longboard e questo, ho fatto la scelta giusta?>>

<<Perfetta.>>

Vidi Mike uscire dalla sua camera con una camicia, si prese il polsino e lo sistemò.
<<Allora, come mi sta?>> ci chiese passando il suo sguardo da me a papà. <<Sei bellissimo.>> dissi sorridendo. <<Me l'ha regalata papà, in più anche questo, aspetta che lo prendo.>> disse lui entrando nella sua camera e uscendo con un casco in mano. Era davvero bello, nero opaco Skully.

È un casco che costa parecchi soldi, penso che mio padre abbia fatto questi regali con il cuore e con tutto ciò dimostra anche di saper molte cose su di noi, ci conosce bene nonostante la distanza e i brevi tempi che passiamo assieme. Mio fratello è da più di un mese che aveva intenzione di comprare un casco nuovo, stava cercando un lavoro per poi riuscire a guadagnarsi uno stipendio senza dipendere troppo dai genitori.

'Ormai ho vent'anni, devo cavarmela da solo', diceva sempre.

Voleva evitare di dare fastidio, chiedendo troppi soldi per ciò che serve a lui e non a loro.

Ammmori vi voglio ringraziare INFINITAMENTE per le 1k e passa visualizzazioni, per questo ecco a voi il capitolo più lungo. (Quello che avete appena letto).

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