Capitolo 16: Authority
Lysabeth P.O.V
Qualcuno mi ha toccato la spalla, mi volto per chiedere scusa e mi trovo Justin davanti. Non sono felice di vederlo, anche se ne avevo voglia, volevo rincontrare i suoi occhi, quelli che la prima volta che li vedetti mi fecero innamorare. Vedo il suo sguardo diventare possessivo, ardevano di presuntuosità. Quello era lui, non il ragazzo dolce che si era presentato, era stronzo e vanitoso.
<<Levati>> gli dissi. Stavo diventando sempre più arrogante, proprio come lui.
<<Levati tu, troia>> rispose.
Era come un gara a chi riusciva a tener testa più a lungo l'altro. Però quella parola, troia, mi aveva ferita; non perché fosse vero ma proprio perché non lo era per niente. Lo aveva detto senza motivo allo scopo di ferirmi, o forse lo aveva fatto con abitudine, senza pensarci. Lo sa che sono innamorata di lui, lo sa che riuscirebbe a ferirmi anche nel più semplice dei modi. Eppure cercava anche i modi più difficili, voleva ferirmi dentro.
Justin P.O.V
<<Levati.>> dice secca.
Mi sorprende la sua arroganza, non riesco a trattenermi e le rispondo in un modo che neanche io avrei pensato di riuscire a dirle.
<<Levati tu, troia>>.
Il mio istinto aveva preso il sopravvento e non ero riuscito a contenere la mia vanità. Perché io devo essere superiore a tutti, perché lo sono, e loro lo devono capire.
Solo dopo qualche secondo mi rendo conto di ciò che le ho detto.
<<Scusami, davvero.>> dico per cercare di 'riparare' ciò che prima avevo detto.
<<Cazzo non puoi fare così, non puoi offendere la gente e poi chiedere scusa, perché prima o poi qualcuno se ne romperà i coglioni e dopo ti ritroverai solo. Io sono solo una delle tante, una delle tante che prendi in giro, ma troverai qualcuno che non darà così tanto spazio alla sua superficialità. Sappilo.>>
Una ragazzina mi aveva appena fatto la predica, una predica che però nessuno aveva mai avuto il coraggio di farmi. Mentre parlava vedevo che le stavano diventando gli occhi lucidi, quelle parole le uscivano dal cuore.
Mi giro e me ne vado, senza dirle una parola, senza un sorriso, senza una smorfia. Nulla, me ne vado impassibile; esco dal negozio e prendo la mia auto.
Sull'autostrada vado veloce, col finestrino abbassato mentre fumo una sigaretta. Distolgo lo sguardo dalla strada per guardare il sedile accanto al mio, dove c'è appoggiato il mio iphone 6s nero. Lo accendo e guardo waths app, avevo circa una decina di messaggi e sperando in uno di Lysa apro l'applicazione. Nulla, solamente qualche amico e la puttana che stava in casa mia l'altro giorno.
Non ho paura di fare un incidente. Io non ho il gusto e la voglia di vivere, lo faccio perché mi è stato imposto.
Ripongo lo sguardo sulla strada, sempre dritta. Arrivato a casa parcheggio la macchina davanti al marciapiede di casa Bieber e guardo se c'è della posta. Nulla di speciale.
Sullo zerbino ci sono scritti due nomi. Il nome di mia madre e mio padre. Sono figlio di Jeremy Jack Bieber e Patricia Lynn Mallette. I miei genitori non sono mai stati sposati e mia madre è rimasta incinta di me quando aveva solo diciotto anni. Lei mi crebbe con l'aiuto di mia nonna, Diane, e il mio patrigno Bruce. Nonostante io sia cresciuto con mia madre, ho mantenuto buoni rapporti con mio padre, che si è sposato con un'altra donna. Eppure i loro due nomi erano lì. Non c'era quello del patrigno che mi aveva cresciuto ma quello del mio vero padre, sempre poco presente nella mia vita.
Ho anche due fratelli, non figli della stessa madre ma figli dello stesso padre. Adesso sono felice per mia madre, ha trovato un altro uomo e mio padre ha fatto lo stesso. Hanno cercato altri partner per condividere la loro vita, ma alla fine io cosa sono.
Sono solo un errore di due esseri viventi che non si amano più. È questo ciò che sono veramente, un errore.
Entro in casa e vado sul divano. Non so cosa fare allora penso. Penso per ciò che ho fatto capitare a Lysa, quella così piccola e fragile ragazza che ha cercato di costruirsi una corazza fuori.
Mancano poche ore alla fine di questa Domenica, ho passato tutta la sera sul divano a pensare e a mangiare pizza. Esco di casa per prendere una boccata d'aria e il vento mi porta un volantino.
'Festa da Jason, mercoledì 23 settembre 2015.'
Jason è un mio amico di quinta superiore, è conosciuto come 'King Of Party', meglio dire KOP. Nessuno torna mai a casa prima della mattina seguente, capita di tutto alle sue feste. Sono invitati tutti, anche persone che neanche lui conosce. Amici di amici e così via, fino ad arrivare a circa un centinaio di persone in una casa.
Con un'alta probabilità andrò a quella festa.
Scusate se il capitolo è corto ma avevo poca fantasia e preferisco scrivere il seguito un po' meglio di quello che sarebbe risultato se lo avessi scritto adesso.
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