Capitolo 14: Hug Me
Lysabeth P.O.V
Tornati a casa decido di farmi una doccia prima di cenare, usualmente mi lavo prima di andare a dormire ma oggi preferisco così.
Apro l'acqua calda dopo essermi tolta le scarpe e il Parka. Mentre l'acqua scorre mi spoglio, intanto prendo anche l'accappatoio e metto la musica con il cellulare. Entro e l'acqua mi scorre su tutto il corpo. Mi piace farmi la doccia, i miei pensieri sono liberi di scivolare nella mia mente come l'acqua che in questo momento sta facendo con me. Mi immagino momenti che non mi capiteranno mai o persone che non conoscerò.
La batteria di sottofondo è più forte della voce stessa di Eminem, che stava ripetendo i suoi versi, le sue parole con melodia; perché alla fine è questo il Rap, parole con una posizione che non gli permette di avere un senso compiuto in una frase, ma se prese singolarmente hanno una oceano di significato, posate su una melodia.
E ascoltavo quella voce come se fosse divina, ammiravo il testo anche se poco traducibile, ma il ritornello, ah quello era magnifico.
"I'm not afraid, to take a stand, everybody come take my hand..."
Quelle parole così semplici, sarei andata anche io a dargli la mano; ad affrontare i miei problemi insieme a qualcuno che mi prendesse seriamente; perché alla fine nessuno lo faceva.
"I'm too tall to do 'all fall down'"
Un'altra parte di testo magnifica che irrompeva nelle mie orecchie. Peccato che io non mi sentivo troppo alta per fare "tutti giù per terra", non era così che mi vedevo. Mi sentivo piccola, fragile, tutto poteva infrangermi in un piccolo momento, con una piccola parola, anche una piccola persona. Tutto poteva distruggermi e nulla poteva ripararmi.
Uscii dalla doccia e mi misi l'accappatoio e l'asciugamano sulla testa. Mi asciugai il corpo e successivamente i capelli. Decisi di piastrarli, sarei stata di miglior aspetto il giorno seguente.
Andai in camera mia e presi il mio pigiama over-size intero, di stitch. Era favoloso. Andai in cucina ed erano le 19:07, non avevo molta fame quindi decisi di bere un po' di latte con cereali. Vidi mio fratello passare per il salotto, collegato alla cucina. Aveva indosso il mio stesso pigiamone over-size, però di Pikachu. Era fantastico, così tenero e coccoloso.
<<Miiikeee>> chiamai. <<Dimmiii>> mi rispose usando la mia stessa intonazione. <<Can you give me an hug, please?>> chiesi, <Yes but why are we speaking in English?>> rispose lui, <<Oh, I don't know>> urlai io perché era ancora nell'altra stanza.
Arrivato, mi abbracciò fortissimo, non sapevo perché gli avevo chiesto quell'abbraccio, sapevo solo che ne avevo bisogno, avevo bisogno di braccia che si cingessero attorno al mio corpo e le mie che si fissassero su di un altro. Ed era così, mi aggrappavo al cuore di mio fratello per sistemare il mio, perché quell'abbraccio era attorno al suo cuore, tutta me stessa abbracciava il suo animo solo perché ne aveva bisogno. E lui era sempre pronto ad offrirmi il suo cuore, pur non essendone coscente. Era sempre pronto ad offrirmi un suo abbraccio, senza chiedermi il perché, dandomelo e basta.
Mentre lo abbracciavo feci l'errore di lasciarmi trasportare dalle emozioni e fu così che una lacrima mi rigò il viso.
Lui se ne accorse, ma fece come Austin, mi strinse più forte e non lo disse a nessuno. <<Vieni in camera mia.>> mi disse.
Non risposi ma mi incamminai seguendolo e senza far notare le lacrime a mamma e papà, che era seduti abbracciati sul divano.
Chissà come loro avevano fatto a trovarsi, ad amarsi, a superare tutti i loro problemi, ad affrontarli assieme, e come fanno tutt'ora. E dopo mesi che non si vedevano il loro amore era rimasto uguale, sempre più forte grazie alla speranza che prima o poi avrebbero potuto riabbracciarsi. E adesso erano lì a farsi le coccole, come due innocenti bambini alle prime armi con l'amore. Guardandoli la paura cresceva dentro di me. Ma non paura di loro, neppure paura per loro. Perché loro ormai erano sposati, avevano dei figli, erano felici e si amavano;e sapevo che il loro amore non sarebbe mai finito. Avevo paura per me, paura di non trovare un marito, un marito che mi avrebbe consolata e fatto ridere, un marito che si sarebbe preso cura di me, che mi avrebbe sostenuta; ma non per un giorno, un mese o un anno, per tutta la vita.
Apre la porta ed io entro per prima, ci sono foto appese al muro da tutte le parti, scattate con la sua Polaroid nera adagiata sulla sua scrivania.
Incomincio a guardarle una ad una, in particolare un sorriso mi cattura l'attenzione. È Mike al mare con dei suoi amici, sta sorridendo ed ha le braccia aperte mentre fissa l'obbiettivo. Di sfondo un mare azzurro chiarissimo, limpido e mosso. E lui con la sua canotta bianca e il costume grigio stava davanti a quel panorama, a quello spettacolo. Io non avevo mai visto quel posto, ma mi aveva completamente rapita, come incantata, dispersa fra quelle onde.
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