Capitolo 13: One Thought
Lysabeth P.O.V
Dopo aver pranzato e parlato di ciò che mio padre aveva fatto durante la sua assenza, guardiamo le qualifiche. Accendo il televisore e mi siedo accanto a mio padre, lui mi appoggia un braccio sulle spalle e io la mia testa sulle sue.
[...]
"Sebastian Vettel in pole position!"
Urla il commentatore. Vettel esaltato ringrazia il team attraverso i suoi team radio zuppi di gioia e felicità. La giornata va di bene in meglio penso. Ormai sono felice e nulla può rovinarmi questo bellissimo sabato.
Decidiamo dopo tante proposte, di andare a fare un giro in città.
Dopo aver avviato l'automobile arriviamo nel centro di Dayton. È pieno di negozi e io e mia madre entriamo ed usciamo sempre più cariche di sacchetti.
Decido di entrare in un negozio di intimo e nel girovagare mi ritrovo nel reparto uomini. Mi guardo in torno e mi accorgo che ho perso di vista mia madre. Dopo qualche giro su me stessa cercando di guardare oltre agli scaffali, vedo la testa di Mike sgusciare dal camerino. Tiro un respiro di sollievo.
Mi dirigo da lui che mi fa vedere una maglietta molto carina, bianca con la scritta "Summer". Lo convinco a comprarla e quando arriviamo alla casa ci sono due file. Stanno attendendo di pagare le loro scelte tante persone e dobbiamo aspettare molto.
Nel frattempo mi guardo un po' attorno, la gente, sorrisi reciproci, i negozi, i palloncini scappati a qualche bambino ingenuo o a qualche venditore distratto, è tutto così allegro e tutto ciò mi rende felice. Il mio sguardo è perso e viaggia senza meta, quando lo sguardo di un paio di occhi color miele si scontra con il mio.
Nel luogo più profondo del mio cuore cresce la speranza che sia lui, Justin, ma questa fu subito spezzata dalla vista di ciuffi di capelli neri...
Non è lui.
Justin P.O.V
Vedo la ragazza seduta sul davanzale della finestra. Indossa solo una maglietta e sta fumando una sigaretta. Io sono seduto sul mio divano, i miei genitori sono fuori e non torneranno prima di settimana prossima. Il vento passa fra i suoi capelli biondo cenere e il suo sguardo percorre la linea dei palazzi sull'orizzonte.
Mi giro dal lato opposto, le dó le spalle e prendo il cellulare. Guardo se ci sono messaggi da parte di Lysa ma non ne appare neanche l'ombra, solo stupide notifiche di Facebook. Distolto lo sguardo dallo schermo illuminato ricade su un reggiseno nero in pizzo, posato sul tavolino in salotto.
Cerco di sforzarmi nel pensare al nome della ragazza ma non riesco a capire quale possa essere. Lo prendo e lo lancio nella sua direzione. La colpisco sul braccio e lei si gira.
<<Basta?>> chiede lei.
Non rispondo e raccolgo un paio di mutandine del colore del reggiseno e gliele porgo.
<<Vattene>> dico.
Lei si affretta a rivestirsi e mi restituisce la mia maglietta.
<<Non ho la macchina.>> dice lei scocciata.
<<Cazzo me ne frega, prenditi un taxi e non rompermi i coglioni.>> rispondo.
Non m'importa della gente attorno a me, lo so e non me ne faccio un problema. Tanto meno m'importa di una puttana che è venuta letto con me e di cui non so neanche il nome.
La ragazza esce e sbatte la porta, sento il rumore della suola delle sue scarpe che batte sugli scalini, provocando un rumore che si espande per tutto il condominio.
Dopo aver sistemato un po' la casa in disordine; vado in cucina e mi preparo un panino e Nutella.
Mentre mangio seduto sul divano, il mio gatto passa sotto alle mie gambe distese perché con i piedi appoggiati sul tavolino di vetro.
Lo prendo e lo appoggio sulla mia pancia. Accarezzo un pò quel suo morbidissimo pelo bianco e lo guardo negli occhi.
Sono verdi e azzurri a seconda del tempo. Mi ricordano molto quei bellissimi occhi di Lysa, che mi trasmettono un'aria così docile e fragile, ma così forti e sicuri di sé allo stesso tempo.
Basta una parola giusta che ti faccia ammirare da quegli occhi, come un bambino che guarda un mago mentre svolge la magia.
A volte ti guardano speranzosi, bisognosi, umili come un bambino invece fa quando passa davanti ad una vetrina di dolci, con le mani sul vetro appannato dal suo dolce respiro. Altre volte invece, quando è fiera di sé, ti guardano con aria di sfida, puoi vedere quell'orgoglio che però infondo infondo è un orgoglio umile; temporaneo, che dura poco e forse meno di cinque minuti.
E continuo a fissare quegli occhi, sono caduto in una specie di trance, che mi lascia immaginare, che mi lascia desiderare.
Forse sono arrabbiato per ciò che ho causato, forse sono triste perché lei è arrabbiata. Forse devo anche piangere, ma come dice Alessandro D'Avenia, le lacrime sono ciò che solo i deboli possono permettersi, e io non sono uno di loro.
Posso sì urlare, rompere un vaso, ma non posso piangere; anzi, non voglio permettermelo.
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