Capito 23: Why?
Lysabeth P.O.V
Mi alzo dal bancone e cerco qualcosa o qualcuno su cui appoggiarmi, le mie gambe sono poco stabili ed il mio equilibrio ancor di meno.
Faccio qualche passo con la mano che percorre il muro, poi continuo senza alcun aiuto. Il mio passo si stabilizza e con lui anche il mio equilibrio.
Mi guardo un po' attorno e in lontananza scorgo una figura maschile conosciuta, cerco di metterla a fuoco e dopo qualche istante comprendo che è Justin.
Mi dirigo da lui e una volta arrivata mi appoggio alla sua spalla.
Si volta, mi guarda sorpreso e non ne capisco il motivo.
Socchiudo gli occhi un secondo, ripensando a cosa fosse successo qualche attimo prima.
Dopo averci pensato ricordo tutto, ma inizio a ridere, senza motivo, prima guardando lui e poi le persone accanto.
<<Sei ubriaca, andiamo a casa.>> mi dice.
<<Non voglio andare a casa.>> dico prendendo una bottiglia di birra da un ragazzo che mi passa accanto.
<<Non mi interessa. Non stai bene, ti porto a casa.>>
<<Ti ho detto che non ci voglio andare.>>
<<E io ti ho detto che non m'importa. Non sai quello che fai, guardati.>>
<<Portamici, allora.>> dico smettendo di ridere.
<<Va bene.>> dice frugandosi nelle tasche per cercare le chiavi della macchina, per poi prendermi in braccio.
Fa qualche passo e poi mi riposa a terra.
Mi fissa.
<<Non so dove abiti.>> dice rassegnato.
<<Mi dispiace, non sono abbastanza sobria per poterti dare indicazioni corrette.>> dico soddisfatta.
Mi guarda ancora, il suo sguardo è su di me, dritto nei miei occhi.
Mi riprende in braccio e mi porta nella prima stanza che trova.
Si avvicina, facendo toccare il suo naso col mio. Sento una mano toccarmi la nuca, mentre l'altra mi accarezza un braccio.
Lui si avvicina, cercando conferma nei miei occhi.
Non ragiono e seguo l'istinto.
Lentamente si avvicina ancor di più, con cautela, quasi delicatamente come se fossi fragile, qualcosa da custodire con tutte le proprie attenzioni.
Sento il suo respiro su di me, e sento crescere dentro la voglia di baciarlo. Mi avvicino e lui fa lo stesso. I centimetri sono ormai millimetri, anzi, ora non più. La distanza si azzera.
Come fosse la prima volta le sue labbra toccano le mie, quelle dannate labbra che mi sono così mancate così tanto in così poco tempo. La sua lingua incrocia la mia, quasi ballano in armonia, sempre con la stessa delicatezza di prima.
Poi all'improvviso, come un'ondata di saggezza, capisco che quello che sto facendo è sbagliato. Ma non sbagliato perchè qualcuno non vuole che io stia con lui, no, non per quello. Sbagliato per me, per tutte le sofferenze che questo bacio causerà, sarà la ragione della mia infelicità e già ne sono consapevole.
<<Smettiamola.>> dico guardandolo negli occhi.
Vedo una leggera confusione, non capisce.
<<Ma non capisci? O fai finta di non capire? Lo sai come andranno le cose. Finiremo per insultarci, o meglio, tu finirai per insultare me e litigheremo, come sempre alla fine. Io mi arrabbierò ma tu penserai di aver ragione e alla fine io me ne starò zitta, sarò come soppressa da te e il tuo orgoglio. Ci diremo il peggio, anzi, mi correggo di nuovo, mi dirai il peggio e probabilmente poi mi metterò a piangere andando ancora più in crisi. Sarà un delirio.>> continuo.
<<E se invece mettessimo da parte l'orgoglio? Se vuoi ti prenderò per mano, in braccio, in spalla, per ripartire da zero. E starò io in silenzio, un silenzio che parlerà da sè, che ti porrà tutte le scuse che non ti ho mai detto. E ti abbraccerò e ti stringerò fra le mie braccia nel modo più forte possibile, perchè so che vorresti dimenticarmi da un momento all'altro, ma la verità è che non potresti stare senza di me.>> dice.
<<Quindi io dipenderei da te?>> rispondo, quasi delusa ma in fondo consapevole.
<<Tu lo hai detto. Lo so che non riusciresti a dimenticarmi, lo so forse anche meglio di te. È così, vero? Se riusciresti, sarei uno qualunque. Oh no, ma io non sono proprio uno qualunque.>>
<<È vero, non sei uno qualunque.
Sei un ragazzo che parla di mettere da parte l'orgoglio ma che poi non fa altro che esserne pieno.
Sei un ragazzo che illude, che mente, che gioca sporco.
Sei quel tipo di ragazzo da evitare e tu lo sai che lo sei.
Ma sai quale è il problema?>>
Mi soffermo un attimo.
Un piccolo attimo che sembra durare molto, come se tutto andasse a rilento, la fiamma d'orgoglio nei suoi occhi, e probabilmente le lacrime che stanno per giungere ai miei.
<<Sono io.>> finisco.
<<No, non sei tu. Forse, cioè potresti essere pure tu. Ma il problema, quello vero, quello che poi ne crea altri in continuazione, sono io. Forse perché ho la certezza che potrei dirti tutto, farti tutto, eppure tu torneresti. Forse perché ho troppo orgoglio, da sempre. Sono abituato a chi mi sbava dietro, a quelle ragazze a cui basta uno sguardo che ormai sono già a letto con me. Ma tu, tu sei diversa. Lo penso davvero, diversa da farmi sentire strano quando sto con te. Sei così fragile ma ti mostri così forte, perché? Perché copri la vera te, con una ragazza che neanche ti assomiglia. Sai, io l'ho capito. L'ho capito come sei veramente.>>
Ora non era orgoglioso, ora parlava seriamente, non si stava vantando, oh no, non si stava vantando per niente. Era solamente serio. Serio.
<<E come sono?>>
Forse avevo paura di saperlo, di avere la conferma di ciò che pensavo, anzi, di ciò che penso. Forse ho paura che possa capire chi sono, che possa trovare il mio punto debole e usufruirne.
<<Sei fragile, come il vetro. Ma non i semplici vetri delle finestre, ma quelli oscurati, che non riesci a capire cosa ci sia dietro. Sei quella ragazza strana, quella che preferisce stare sola e zitta anziché parlare e fare guai. Sei quella che si mostra forte, dura, orgogliosa fuori perché dentro non è altro che fragile. Sei quella che se il marciapiede è troppo stretto se ne sta dietro agli altri, in modo che non siano loro a restare da soli e a provare quel senso di solitudine.
Sei quella che cerca di aiutare le persone a cui tiene, a volte ci riesce, a volte no.
E quando accadono situazioni in cui tu non puoi fare nulla, ti autodistruggi perché pensi che invece qualcosa potresti fare.
Vero? Tu sei così, io l'ho capito, è lo so ormai. I tuoi occhi mi stanno dando conferma, anche se non vorrebbero.>>
Esco dalla stanza, ho bisogno di ragionare da sola. Per i fatti miei.
La mia vista un po' offuscata non mi permette una buona visione di ciò che mi circonda, ma la mia attenzione ricade subito su un uomo con una tuta della Adidas nera. Il cappuccio gli copre il volto, si intravede solo qualche ciuffo di capelli mori.
Un'aria preoccupata, agitata, come se avesse fretta di far qualcosa lo pervade.
Si vede che deve svolgere qualcosa, e svolgerlo in fretta.
Noto un luccichio provenire da una mano in movimento, la sua mano, che agita a avanti e indietro mentre cammina.
Poi, dopo pochi istanti, lo perdo tra la gente. Lo cerco, ma vedo solo persone ubriache e tanta confusione.
I miei pensieri su dove fosse finito sono di botto intralciati da un urlo agghiacciante. Corro in bagno e la vidi.
Vidi tutta la mia vita di questi ultimi giorni trascorsi, vidi tutte le emozioni, i sentimenti, i sorrisi, le lacrime, le battute inutili. Vidi gli ultimi momenti che avevo trascorso con le persone più importanti, vidi questo come in un film, come se tutto fosse finto eppure era realtà.
Vidi la mia vita passata in un secondo, e poi nulla, non vidi più nulla.
Caddi a terra, inerte, senza forza.
Non so che fare, sono sola eppure ho una marea di gente a pochi metri, magari nella stanza accanto.
Cosa sta accadendo?
Perché lei è li? A terra?
Devo avere spiegazioni, anzi, devo trovare delle spiegazioni, ma prima di tutto devo piangere ed urlare tutto il dolore che ho dentro di me, che adesso mi sta distruggendo.
Scoppio, pensai.
Spazio Autrice:
Okay, scusate per l'aggiornamento dopo circa due mesi, ma non ho tempo neanche per vivere a momenti.
Impegni fino al collo. Sono seria.
Mi sa che non aggiornerò più per almeno un altro mese, già, ESAMI.
Spero che il capitolo vi piaccia.
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