one day

Nascosta tra le camice di Sherlock Holmes, imboscata in modo che nessuno la trovasse c'era una foto. Una foto dentro una cornice preziosa di ferro battuto blu, con ghirigori delicati di piccoli chiocciole sottili. Ritraeva un idea molto chiara di un dato di fatto sconcertante. Ma per quanto la signora Hudson e John Watson avessero frugato spesso tra gli effetti di Sherlock ancora nessuno l'aveva trovata.
Ritraeva la vecchia foto, fatta da un fotografo americano, color sabbia, di un tempo felice in cui due ragazzi appena diciottenni, stanchi della monotonia della vita si erano dati una chance. Quello che però all'apparenza non si sarebbe visto era che sotto la foto, levando il sostegno, se ne avrebbe trovate molte altre con gli stessi due giovani: un riccio moro vestito serio, ma con un sorriso gioioso sul viso e una ragazza dai fluenti capelli rossi, con indosso un vestito turchese a balze.
Troppo giovani per non sbagliare avevano fatto una scelta molto schiocca. Ma non se ne erano mai pentiti. A seguire, una foto in bianco e nero più o meno dello stesso periodo della prima, in cui la ragazza, nuda, avvolta da un lenzuolo costoso guardava a pancia in basso il fotografo, molto probabilmente lui. A seguire i due che si erano fatti fotografare in costume da bagno, sulla banchina da passanti maldestri ma bravi abbastanza per cogliere la sacralità, lei sulle spalle di lui sorrideva mordendosi un labbro e lui timido lo faceva per lei. In quelle a seguire, molti altre foto ma che al momento non dichiarerò per privacy, essendo l'unica a sapere e l'unica col diritto di raccontare della bella storia di Sherlock Holmes e del suo amore. Perché nessun amore fu più grande della più grossa stupidata di due ragazzi con tanto amore e troppa intelligenza.

Era ... Sí era sabato pomeriggio, quasi due mesi dopo la nascita di Rosie. Tornavo a casa dopo la spesa settimanale, le buste erano almeno 3, Mary doveva essere fuori con la bambina e Sherlock di sicuro non mi avrebbe aiutato.
Era intelligente ma un vero scansafatiche. Era qualche settimana che non aveva più un caso e come al solito aveva le mani in mano, anche se come sempre, ogni tot di tempo, più o meno due o tre volte a settimana spariva nel nulla senza dire niente.
Poi ricompariva con lo stesso mistero con cui spariva.
Certo come 4 o 5 mesi prima, non era più successo nulla di simile... E come al solito tornavo a pensare a quel dannato avvenimento a cui Sherlock non aveva voluto dare spiegazioni...
Quando me ne sarei dimenticato?
Probabilmente mai, era troppo strano e imbarazzante.
E mentre cercavo di farmelo passare dalla mente, osservando quel centro di Londra sentì come un tonfo, come un esplosione.
In un primo momento pensai di andare a vedere per fare una mano, ma prima, dovevo posare la spesa.
Mi affrettai ad arrivare al 221b di Baker street e una volta lì, salì velocemente le scale.
Aprendo la porta, trovai una situazione fuori dal normale: Sherlock imbambolato davanti alla televisione. Beh, non è che la cosa fosse nuova, ma era l'espressione che aveva sul viso che ero sicuro di non averla mai vista. Posso i sacchetti per poi tornare a guardarlo. Capì che stava guardando il telegiornale a cui stavano dando la notizia: c'era stata un esplosione al centro di ricerca sperimentale, probabilmente un attacco mirato proprio a quell'ala dell'ospedale. Erano morte 10 persone tra impiegati e medici, ma c'erano stati più o meno una trentina di feriti e almeno una ventina era stata portata in altri ospedali per aver aspirato i fumi tossici.
La mia mente vagò subito a Molly, che per quanto preoccupato e affezionato, esclusi subito, Sherlock non sarebbe mai stato così in ansia, o preoccupato in quel modo per lei.
Dopo aver ascoltato l'intera notizia, osservando il mio amico, lo vidi diventare sempre più sconvolto, sempre più pallido e con gli occhi visibilmente lucidi. Ma rimase immobile, con lo sguardo fisso, ma con le mani tra i capelli. Sembrava avvilito, terrorizzato,  molto più fuori di sé del normale.
-Sherlock, tutto bene?- gli chiesi preoccupandomi a mia volta -vuoi bere qualcosa? Stai calmo cominci a spaventarmi- lui scosse il capo ma lo vidi sollevare il pacchetto di sigarette e accendersene una nervosamente. Poi annuì e iniziò a blaterare tra sé frasi disconnesse e assurde:
-vado, ma se vado... Ma se non vado e... Sí ma se... Din-Don... Dio Lydia!- poi si alzò e cominciò ad andare avanti e indietro per l'appartamento con le mani tra i capelli, poi di colpo si fermò, sembrava aver deciso.
Mi guardò, insensibile ma in quello sguardo capì che era preoccupato.
-John io vado- mi disse e cercai di andargli dietro ma lui mi squadrò.
-va a casa John- sembrò mi ordinasse.
Il suo sguardo era talmente intenso che mi fece paura in un primo momento, ma una parte di me voleva capire.
-no, vengo con te. Sono un medico ricordi? Serve sempre una mano in questo genere di emergenza- fece un altro tiro nervosamente poi spense la sigaretta sul portacenere, si passò una mano sul mento. Sudava freddo e continuava a guardarsi intorno.
-bene ma non fare domande- dichiara come fosse un maggiore militare. E come al solito non riuscì a capire dove volesse arrivare. Come al solito per altro.
Uscimmo dal 221B di fretta, si strinse nel cappotto loden blu e fermò un taxi velocemente e salì, lasciandomi il tempo di salire.
-al Saint Vincent, e il più velocemente possibile- ordinò abbaiando all'autista e pagò quasi 50£ per solo quel tratto.
Poi rimase in silenzio a guardare la strada trafficata
-cosa sta succedendo?- chiesi nervosamente, lui mi guardò pallido e scosso, spaventato. Sembrava un bambino in crisi. Gli tremarono le labbra.
-non fare domande John, non ho intenzione di parlare finché non saprò se sta bene- dichiara. -se Din-Don sta bene- poi ancora. -perché deve stare bene, per forza. Senza morirei- parla tra sé ma lo noto asciugandosi una lacrima. È la prima volta che lo vedo piangere.
Sembrava veramente sconvolto e io sempre più confuso. Finalmente un caso che starà a me risolvere.
Il caso di Sherlock Holmes e la sua umanità nascosta

Il taxi percorse Londra in dieci minuti e Sherlock, appena davanti all'ospedale, saltò letteralmente giù dal mezzo per arrivare velocemente alla tenda blu dei soccorritori. Si guardò in giro, poi ad un uomo con un plico di fogli in mano, lo sentì bene chiedere: -la dottoressa Martin? Dov'è Lydia Martin?- lo raggiungo e vedo l'uomo spulciare tra le carte mentre Sherlock tamburella nervosamente il piede sul cemento, irritando tutti e tre. Ma passò in secondo piano perché io pure mi domandai la questione sottoposta dal mio amico, e chiedendomi chi fosse e che legame avesse con lui.
Cercai tra tutte le persone che conoscevamo, questa "Lydia Martin" ma nella mia testa vi era solo il vuoto. Chi era Lydia Martin?
-è al Saint Paul, ma sta bene- gli dice il ragazzo.
Sherlock ringrazia e tornò sui suoi passi e come prima, faticai a stargli dietro.
Tornammo a salire taxi che non mi ero accorto, ci avesse aspettato.
-al Saint Paul più velocemente della luce- abbaio di nuovo Sherlock che come prima subito rimase in silenzio. Tirò fuori dalla tasca il portafoglio nero di pelle lucida , pieno di carte, cartine, scontrini e dal inserto per le monete estrasse un anello semplice, d'argento, non troppo grosso, lucido e bellissimo, ma un semplice cerchio che porta alle labbra prima di mettere all'anulare sinistro, che strano...
Non era mai stato un tipo da anelli, quelle sue strambe uscite mi erano nuove. Era più strano del solito.
-Sherlock vuoi spiegarmi, per l'amor del cielo cosa sta succedendo?- chiedo stizzito e infastidito, da quel suo agire e non dir nulla.
-mi sono esposto troppo John... E ora ne sto pagando il prezzo...- lui si torna a passare una mano sulla bocca.
-non sono gay, come prima cosa. Fingere di esserlo e non trovare nessuno ma sparire ogni tanto, mi sembrava  una buona  copertura contro Moriarty...- si ferma. -ci sono cose, John, che nessuno sa di me, che sa solo Din-Don- dice piano in modo sacrale. -lei è i pezzi del puzzle che mi compongono maggiormente-
Mi dice seriamente in modo talmente convinto che riuscì a crederlo senza che mi desse altre spiegazioni.
-chi è? Tipo Irene Adler?-
Sherlock iniziò a ridere, forte e sguaiatamente un po' come se avessi detto la più grossa buffonata che potessi dire.
-John, John, John come fai ad essere così stupido?- lí per lí ci rimasi di sasso e lo guardai senza capire cosa intendesse. 
-Irene Adler non è nessuno per me, anzi devo dire che le sue attenzioni eccessive e spesso volgari, diventano quasi offensive e tediose- poi si ferma imbronciato e pensieroso.
-ma se intendi che è donna, allora sì, ma paragonarla alla Adler è quasi un eresia-
Questo mi confuse di più ancora. Chi era questa donna?
Arrivammo davanti al Saint Paul e Sherlock scese un pò più tranquillo di prima. Il posto era caotico, ma lui andò diritto al bancone delle informazioni all'entrata e di nuovo chiese di "Lydia Martin" e subito dopo che gli venne risposto, gli vennero date le coordinate per arrivarci. Lui ringraziò cortesemente e prese a  tirarmi per una manica. Prima lungo  un corridoio, poi su per una rampa di scale, davanti al bar, poi giù per un altro corridoio, fino a davanti all'ascensore.

Eccoci col secondo capitolo, vi può piacere? Vi dico che i nomi sono scelti a caso (tranne quelli del cast originale) e "Rosie" sta per "Rosamund" la figlia di John e Mary, scusate lo spoiler ma credo che ormai tutti abbiate visto la 4' stagione, altrimenti scusate...🤗

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