Erano già due ore che il maestro di letteratura classica mi stava ammorbando con le sue logorroiche spiegazioni. Avevo soltanto dodici anni, eppure ero costretta a interminabili sessioni di studio dalla mattina alla sera già da qualche anno. Le mie capacità intellettive mi permettevano di procedere a un ritmo sostenuto, tanto che il sapere raggiunto a quel tempo mi avrebbe abilitata a frequentare il liceo senza difficoltà, ma non seppi mai dire quanto tale specialità fosse positiva. Le uniche lezioni che aspettavo con piacere erano quelle di musica, nello specifico: di canto. «Tutte le nobildonne devono eccellere nell'arte» ripeteva sempre mio padre, forse una delle poche cose su cui andavamo d'accordo. E poi ero davvero brava a cantare!
«Vostra Altezza, mi state ascoltando?» domandò il maestro, ridestandomi dai pensieri. Ero un uomo panciuto, dal viso tondo, i baffi brizzolati arrotolati e con una voce soporifera.
«Sì, maestro Fray». In realtà avevo smesso di seguire le sue parole molto presto. All'incirca quando aveva detto: «Allora, oggi studieremo...»
Inarcò un folto sopracciglio. «Vi vedo distratta. Penso che per oggi possiamo concludere» disse, chiudendo il tomo da più di mille pagine che aveva in mano.
Era uno dei pochi insegnanti che prestava molta attenzione alla mia salute e per questo lo rispettavo. Altri, pur di mostrare le proprie capacità al sovrano, mi costringevano a sopportare l'intero programma giornaliero nonostante l'evidente stanchezza.
«Sì, forse è meglio. Grazie come sempre per le lezioni». Mi alzai dalla sedia e uscii dalla biblioteca a passo svelto, diretta in giardino.
Era una bellissima giornata di primavera e mi stiracchiai sotto i raggi del sole, osservando l'orizzonte di smeraldo oltre le mura fortificate. Ero orgogliosa di essere irlandese perché nata in un paese di meraviglie e sconfinati spazi verdi, o almeno era ciò che avevo appreso dai libri. Uscire dal castello per visitare il Regno non faceva parte del programma della "principessa perfetta".
Mi guardai intorno e notai mia madre e Alissa impegnate a gustare il tè sotto al gazebo. Indossavano entrambe abiti celesti. Mi avvicinai, stupita: mia sorella era sempre stata cagionevole e di rado le permettevano di stare all'aria aperta.
«Eleonore, già finita la lezione?» domandò la Regina, guardandomi. Non si faceva mancare mai vestiti in linea con le usanze, mentre io ero nella fase in cui desideravo indossare pantaloni di tutte le lunghezze – motivo di discussione frequente con il Re, il quale mi costringeva sempre a cambiarmi.
«Sì, abbiamo fatto presto. Volevo andare a nuotare nella piscina interna. Posso?» Nonostante la bella giornata, il clima non era adatto a quella esterna.
Salii il gradino del gazebo in legno e presi un biscotto con le scaglie di cioccolato dal tavolino basso di fronte a me.
«Vengo anch'io!» esclamò Alissa, elettrizzata.
Le sorrisi. «Va bene. Vieni con me, così scegliamo insieme il costume» dissi porgendole la mano.
Il viso di Alissa s'illuminò di felicità. Si alzò dalla poltrona in vimini, ma mia madre le afferrò il polso prima che potesse fare un passo verso di me.
«No. Tua sorella non può bagnarsi». Si drizzò in piedi. «Sai che Alissa è stata poco bene. Come ti viene in mente di assecondarla?» Mi guardò indignata.
Sapevo che altri reami consideravano la salute di mia sorella una grossa debolezza della nostra famiglia e che la Regina era molto apprensiva anche per quello; tuttavia, la debolezza maggiore era senza dubbio l'obbligata successione femminile. Il maschilismo regnava fra la nobiltà.
Sbuffai. «Ma adesso sta bene, no? E poi l'acqua della piscina è riscalda...»
«Non importa!» m'interruppe. «Alissa rimarrà qui e basta». Tornò a sedersi, costringendo mia sorella a fare altrettanto.
Guardai Alissa e l'espressione triste che non riusciva a nascondere, ma – come sempre – non ebbe alcuna reazione. Il suo carattere remissivo non mi piaceva. Secondo me, era anche colpa di quell'atteggiamento se il corpo non si fortificava e si ammalava di continuo. Avrebbe dovuto imparare a far valere i suoi desideri. Tuttavia, il tipo di educazione che riceveva le impediva di formare un carattere deciso. A me non era permesso ribellarmi o lamentarmi e per questo sentivo la forte necessità di farlo in qualche modo, mentre lei aveva più libertà e ogni conflitto finiva con un abbraccio da parte di mia madre.
Incrociai le braccia al petto, indispettita. «A te va bene, Alissa?» Ignorai le parole della Regina, sperando di riuscire a spronarla.
Mia sorella mi scrutò, volse uno sguardo a nostra madre e tornò su di me. «L-La mamma ha ragione. E non voglio ammalarmi di nuovo. Perché non rimani qui con noi? Ci vai domani in piscina». Mi rivolse un sorriso finto, di resa.
«Assolutamente no! Mi annoierei a morte! Io vado in piscina. E se resta del tempo prima di pranzo, a pattinare nella corte. Va bene, mamma?» Tutti sapevano che non riuscivo mai a stare ferma, rinunciare a una nuotata per sorseggiare il tè poteva dirsi una tortura per una come me.
«Va bene, ma dovrai essere puntuale per l'ora di pranzo». La Regina afferrò la tazzina celeste e la portò alle labbra.
Non persi altro tempo e mi voltai di scatto, ma sbattei subito contro qualcosa, contro qualcuno. Caddi con il fondoschiena sul prato inglese. «Ehi!» sbottai, sollevando lo sguardo. Nonostante il dolore pungente, mi ammutolii.
«Dovreste stare più attenta, Vostra Altezza». Leon mi sorrise beffardo, porgendomi la mano. Aveva indosso un completo elegante blu notte, che lo faceva sembrare più grande dei suoi diciannove anni.
Mi alzai senza accettare il suo aiuto. Schiusi la bocca per replicare con fervore, ma cambiai subito idea. In quel periodo, vederlo mi provocava una strana sensazione nel petto, come se qualcosa mi volesse stringere il cuore. Era strano e ogni volta temevo che mi sarei sentita male da un momento all'altro.
«Benvenuto, Leon» lo salutò la Regina. «A quanto pare il maggiordomo ha dimenticato di annunciare il tuo arrivo».
«Buongiorno, Vostra Maestà. Perdonatemi, ma nella fretta non ho comunicato la mia visita. Sua Maestà il Re mi ha convocato poco fa. Prima di entrare nel castello, desideravo porgervi i miei saluti». Sorrise ad Alissa. «Principessa». Le rivolse un cenno del capo e lei arrossì.
Anche se trovavo fastidioso il suo non essere gentile con me quanto lo era con mia sorella, non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui: era molto più alto di me, il corpo slanciato e il viso con un accenno di barba ben curata che aveva cancellato i tratti da ragazzino. I nostri sette anni di differenza erano più che evidenti. A diciannove anni compiuti Leon aveva già avviato una piccola azienda tutta sua a Shrule, mentre io ero soltanto una sciocca ragazzina di dodici anni che stava correndo in piscina a giocare.
«Non hai di che scusarti. Trovi Barron nel suo studio. Eleonore, fagli strada» mi ordinò la Regina.
La fissai infastidita. «E perché dovrei? Conosce molto bene la strada».
L'espressione di mia madre si caricò di disappunto. «Non essere scortese».
«Scortese io? È lui quello scortese!» Lo indicai con l'indice. «Non mi ha neanche salutata» mi lamentai, sentendo le guance scaldarsi quando mi guardò.
Leon mi sorrise. «Sono desolato. Permettetemi di rimediare». Mi prese la mano e avvicinò le labbra al dorso. «Buongiorno, principessa Eleonore» mormorò malizioso.
Ritirai subito la mano e la strinsi contro il petto. Non aveva riguardo per la mia carica e si divertiva a prendermi in giro. Di sicuro prima o poi gliel'avrei fatta pagare! Intanto, quella mattina lo condussi da tutt'altra parte, convincendolo che mio padre fosse lì. Quando varcò la soglia della sala vuota mi voltai e scappai via.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top