♚ Capitolo I · Prima parte

Chiunque pensi che essere una principessa sia bello, non ha capito un cazzo.

«Eleonore! Ti avevo pregato d'indossare il vestito da cerimonia!» Gli occhi di smeraldo di mio padre mi fissano carichi di disapprovazione senza alcun contegno. Sotto la barba rossiccia anche l'espressione contrariata è visibile a tutti. Si è accorto che siamo in pubblico? Mi sono persa qualcosa? Posso sbottare anch'io?

La festa è iniziata già da un po' e la voglia di andarmene via mi accompagna da quando ero ancora nelle mie stanze. In piedi sul palchetto reale sul fondo della sala, sto facendo del mio meglio per celare ogni sbuffo annoiato. L'oro sulle tovaglie e sulla tappezzeria risplende così tanto insieme ai cinque lampadari di cristallo, grandi quanto uno dei tavoli rotondi che ospitano cinque invitati, da far impallidire una giornata di sole.

I camerieri in livrea bianca servono champagne ai tavoli, dove i nobili più pigri continuano a ingozzarsi. Al centro della sala, invece, il valzer suonato dall'orchestra ricrea una perfetta scena da film vittoriano. Abiti pomposi e parrucche arricciate riempiono la stanza di polvere. Una scena inguardabile nel ventunesimo secolo. Dovrei esserci abituata dopo diciotto anni e invece a ogni festa – che da quasi tre anni a questa parte sono così numerose da farmi letteralmente urlare – rischio di vomitare addosso a qualcuno. Magari al pretendente ospite della serata.

Mio padre mi fissa ancora in attesa di una risposta. Alzo gli occhi al cielo. «Ti ho già detto che quella roba piena di fronzoli non la metto». È più di un anno che mi rifiuto. Vuole che glielo scriva da qualche parte?

Ancora non riesco a capire come sia possibile che nessuno si renda conto di quanto è assurda questa tradizione! Perché non possiamo essere un paese normale? Non dico che un vestito in stile ottocentesco non sia apprezzabile, ma lo riserverei per serate a tema. Tipo Halloween.

A una festa ci vuole un bell'abito da sera, come quello che indosso: realizzatocon seta dorata molto pregiata, mi cade in modo impeccabile sul corpo,esaltando le forme non generose ma giuste; la scollatura del décolleté mostrail petto di poco brillantinato, lo spacco laterale a metà coscia sulla gambadestra è discreto – i lembi della gonna mostrano di rado la pelle nuda quandocammino – e sulla schiena il tessuto è semi-trasparente fino alla zona lombare.Non ero molto convinta delle spalline strette, mi parevano quelle di una canottaintima. Tuttavia, con i capelli sciolti non si vedono neanche.

No, non ha proprio nulla in comune con l'abbigliamento del resto dei commensali.

Il Re trattiene un impeto d'ira, il viso rosso ne è testimone. Strattona il bavero della casacca marrone con uno scatto nervoso. «Tutti qui stanno rispettando la tradizione, e tu che sei la primogenita della Famiglia Reale dovresti essere la prima a farlo. Capisci che è un insulto?» Sbatte una mano sul bracciolo dorato del trono, a volte l'imbottitura in velluto rosso si confonde con i suoi capelli. Vorrebbe intimorirmi con lo sguardo truce, tuttavia la calzamaglia verde bosco che ha indosso m'impedisce di sostenere una conversazione seria.

Dover discutere così ogni sera è davvero stressante.

«Che palle...» borbotto guardando Alissa.

Mia sorella sghignazza con eleganza, una mano a nasconderle la bocca. Mi sfugge un sorriso, ma non ha nulla a che fare con l'abito sfarzoso giallo canarino che ha scelto per la serata. A lei quei cosi stanno bene.

Ho sempre pensato che Alissa fosse la principessa perfetta. Quella che grida "aiuto" dalla torre e viene salvata dal principe sul cavallo bianco. che convincerebbe chiunque a donarle il suo regno in cambio di un breve cenno.

Il mio esatto contrario.

Questa è la verità. Perché io non sono e non sarò mai una di quelle principesse delle favole dolci e coccolose. Non parlo con i topi, non canto circondata dagli uccellini, non mi fermo a contemplare l'orizzonte componendo pensieri filosofici sul senso dell'esistenza e né, tantomeno, ballo decantando le gioie della vita.

No, queste cose non fanno per me.

«Tesoro», sposto l'attenzione su mia madre, «non farti ripetere da tuo padre sempre le stesse cose. Il vestito è... carino, ma non è adatto, lo sai bene». Mi guarda con accondiscendenza, tuttavia so che si sta trattenendo anche lei. In fondo, agli occhi di tutti la regina Sheela è una delle donne più ammirate d'Irlanda, non soltanto per il ruolo che ricopre in modo impeccabile ma anche per l'invidiabile bellezza: i lunghi capelli castani sono spesso raccolti in una treccia francese che ricade ordinata sul petto come fosse appena stata realizzata, il viso sfilato dalla pelle candida non ha mai bisogno di molto trucco perché ne rovinerebbe la bellezza naturale e gli abiti pomposi sembrano stati intessuti apposta per il suo fisico slanciato. Ovviamente, il suo portamento è sempre ineccepibile.

Da bambina covavo il desiderio di essere come lei, tuttavia da diversi anni ormai è certo che non sarà mai così.

Sbuffo seccata. «Perché? Che cos'ha di tanto strano?» Raccolgo i capelli fra le mani per spostarli da una spalla all'altra. Comincio ad avere caldo, e non è colpa della sala piena.

«Sai benissimo cosa non va!» brontola ancora mio padre. «È tutto sbagliato, troppo scollato, troppa pelle esposta».

Alzo le spalle. «Non penso che gli uomini invitati avranno da ridire sulla mia mise».

C'è davvero tanta gente questa sera, oltre all'inevitabile pretendente di turno di cui non ho afferrato il nome – come sempre. Ma da dove sbucano tutti questi aspiranti? Mio padre pare così disperato da propormi d'incontrare anche nobili di alto rango dai vasti possedimenti.

Sto cercando una scusa per defilarmi, però non voglio andarmene prima di averlo visto. Dove si sarà cacciato?

Un colpo di tosse nervoso cattura la mia attenzione. «Almeno hai valutato la proposta del duca O'Brien? È un cittadino irlandese ricco e rispettato e sarebbe un'ottima scelta come marito». Il Re cerca ancora di rifilarmi quell'omuncolo che a stento mi supera in altezza senza tacchi.

Sbuffo. «Oh, è irlandese? Non l'avrei mai detto dal cognome, dai capelli più rossi dei miei e dall'accento. Comunque, grazie ma no, grazie». Cerco di sembrare dispiaciuta, fallendo alla grande.

«Adesso basta! Hai diciotto anni, diamine! Il Regno ha bisogno di avere una sicurezza sulla nostra dinastia, riesci a capirlo?» Si alza dal trono per sovrastarmi. Nonostante il mio metro e settanta – che con i tacchi di oggi arriva a uno e ottantatré – riesce sempre a mettermi in soggezione.

Sospiro. «Ma scusa, Alissa è già promessa. Non può succederti lei?» Sorrido, non sia mai che gli invitati ci vedano discutere, pentendomi subito delle mie parole. Maledizione...

«Tu sei la primogenita e tu diventerai regina. La tua domanda non ha alcun senso». Non mi dà modo di replicare, incamminandosi verso il centro della sala.

Chiudo gli occhi e inspiro lentamente, sperando di controllare l'irritazione. Ho piena coscienza della mia posizione. Non ha idea di quanto.

«Eleonore, non far agitare tuo padre». Guardo la Regina, splendente nel suo lungo abito bordeaux. «Tralasciando il discorso di essere tu la primogenita, Alissa ha da poco compiuto sedici anni. È troppo piccola. E poi sai quanto tuo padre desideri avere un erede al più presto. Il Re...»

«È malato, lo so», la interrompo, «ma stiamo parlando della mia vita! Non sceglierò un uomo per cui non provo nulla!» Le porgo una lieve riverenza e mi allontano dalla sala da ballo, diretta all'esterno.

Il vento fresco della sera mi morde le spalle, la corte sembra deserta. Mi fermo di fronte al tramezzo in pietra scura sulla balconata, appoggio i gomiti e libero un sospiro lunghissimo.

Stasera la luna piena illumina buona parte dei giardini sul retro del castello. Sono ormai cinquecento anni che la famiglia Wayward possiede la Corona irlandese. La prima cosa che qualsiasi maestro racconta ai bambini è la storia di come Enrico Tudor VIII d'Inghilterra rinunciò all'Irlanda per far cessare i conflitti interni, che rischiavano di distruggere entrambi i reami. E poiché il Re di allora scelse di risiedere qui, tutti i sovrani dopo di lui hanno governato da questo castello medievale sulle rive del Lough Corrib sul confine della contea di Mayo e quella di Galway. Ci sono così tanti palazzi moderni a Dublino ma no, dobbiamo restare qui.

Sospiro ancora, poggiando una mano sul pugno. Con la coda dell'occhio scorgo una delle guardie reali passeggiare fra i giardini, la giubba rossa e l'elmetto argentato riluccicano dei raggi di luna insieme alla calzamaglia bianca. Al fianco, però, porta una pistola.

Mi lascio sfuggire una smorfia. Per fortuna non tutti sono ligi alla tradizione, qualcuno si distingue sfoggiando abiti alla moda e bellissime auto sportive. Quelle poche volte che mi è permesso lasciare il castello vengo sempre accompagnata in limousine – una delle rare concessioni moderne di mio padre, dettata soltanto da questioni di sicurezza. Guidare da sola è un tabu. Nessuno ha mai visto una principessa al volante. Sarebbe uno scandalo.

Sospiro per la terza volta, socchiudo gli occhi. Mi sono chiesta spesso come fosse la vita di una ragazza comune della mia età, che come unico reale problema ha quello di sopravvivere alla vita scolastica. Pur non amando in modo particolare il genere, ho visto vari film adolescenziali insieme ad Alissa e ho sempre invidiato la spensieratezza e la normalità dei miei coetanei.

Prendo lezioni al castello da sempre, alla futura regina d'Irlanda non è concesso frequentare alcun istituto salvo accademie per nobili di alto rango, che ho rifiutato a priori. Non esco quasi mai, se non per incombenze Reali. Non che ne senta chissà quale bisogno, e poi non saprei dove andare, ma ogni tanto... sogno. Sogno di poter scegliere, invece di ripetere le stesse azioni in un ciclo infinito.

Ilvento fresco mi accarezza il viso. Dovrei rientrare prima di cominciare atremare, però... non riesco a frenare i pensieri. Uno in particolare. Lo stessoche ho da anni, ormai.

Riapro gli occhi incuriosita da un fruscio. Scruto i giardini tre metri sotto di me, le siepi squadrate ben tagliate, gli alberi rigogliosi, i sentieri di pietra che spariscono all'orizzonte, tuttavia non riesco a scorgere niente.

Ancora quel brusio, ma questa volta accompagnato da sussurri.

C'è qualcuno.

Mi concentro sugli angoli bui, stringendo un po' le palpebre. Trasalisco quando a una ventina di metri da me da me mi accorgo di due ombre: una coppia sta amoreggiando, o almeno così sembra.

Mi guardo alle spalle. Forse dovrei andare via. Eppure, resto.

Sono invidiosa. Insomma, non proprio invidiosa invidiosa. Il mio ruolo m'impedisce di frequentare chiunque se non in vista di un matrimonio e mi va benissimo così, non avrei concesso nulla di me a chicchessia. Però, se penso a chi, invece, è sempre nella mia mente...

Le nuvole liberano la luna dalla loro ombra rischiarando ancor di più il giardino, tanto da rivelare i due innamorati. Li scruto sperando di non sembrare troppo interessata. Non dovrebbero fare più rumore?

Mi formicolano le guance. Ma cosa ne so io di queste cose?

Indietreggio d'un passo ma m'immobilizzo subito, realizzando chi ho di fronte. La donna bionda si accorge di me e spintona l'amante senza neanche provare a fingere che stessero facendo altro. Lui, invece, si volta e mi rivolge un meraviglioso quanto irritato sorriso.

Che bastardo...

farfuglia lei imbarazzata. Liscia l'abito violetto con fare nervoso e corre via senza aggiungere altro.

L'uomo mi fissa in silenzio, non sembra neanche essersi accorto di aver perso la conquista della serata. Sale le scale alla sua destra e mi viene incontro sulla balconata. «Eleonore». Sorride, sistemando il bavero della giacca blu scuro. Si ferma a pochi passi da me.

«Leon»graffio ogni lettera. «Immaginavo fossi tu». Averlo visto con quella lì midisgusta.

Inarca un sopracciglio. «Davvero?Mi fa piacere sapere di essere nei tuoi pensieri».

Schiocco la lingua, contrariata. «Dovresti smetterla. Sei fidanzato». Sposto lo sguardo sul giardino, ma in realtà non osservo nulla.

«Tua sorella è ancora piccola, non le chiederei mai nulla per cui non è pronta. Oppure mi stai dicendo di insegnarle qualcosa?» Mi affianca, poggiando i gomiti sul tramezzo.

Sobbalzo. Che cavolo di domanda è questa? Odio quando fa così!

«Non dire sciocchezze».

Ogni parte del mio corpo è tesa. Averlo tanto vicino mi fa sentire a disagio. Devo rientrare in sala, non posso restare qui.

«Allora cosa dovrei fare?» Scivola verso di me fino quasi a sfiorarmi il braccio. Sussulto. «Sai che ti basterebbe una parola e potrei insegnare a te come soddisfare un uomo. Me, nello specifico» sussurra, immergendo i suoi magnifici occhi d'ambra nei miei.

Il mio viso s'infiamma, il cuore infuria nel petto.

Indietreggio per ristabilire la giusta distanza di sicurezza. «S-Smettila di dire certe cose!» Il suo sguardo mi scruta imperterrito, quasi potesse sondare le profondità della mia anima.

Gioca sporco, terribilmente sporco, perché sa che non riesco a ignorare le sue attenzioni. Mi provoca di continuo e anche se vorrei che la smettesse, allo stesso tempo spero che non lo faccia mai.

Leon si avvicina ancora, solleva una mano e mi accarezza una ciocca di capelli sulla spalla. Sul suo volto non c'è più traccia di malizia, solo un accenno di tristezza. «Non puoi fare quella faccia. Ti ricordo che mi hai rifiutato quando ti ho chiesto di sposarmi. E continui a farlo». La voce è calda, sensuale come una melodia ammaliatrice.

Le mie guance si scaldano ancor di più mentre il suo sguardo analizza ogni centimetro di pelle lasciato scoperto dal mio vestito con tanta dedizione da farmi sentire i suoi occhi accarezzarmi. Mi rende troppo vulnerabile, incapace di distogliere l'attenzione da lui, dal viso glabro dalla carnagione ambrata, dalle labbra carnose, dai capelli di cioccolato che porta sempre ordinati all'indietro. E il suo corpo... le spalle larghe, il ventre piatto, i completi che gli calzano come fossero stati creati apposta per esaltare la sua bellezza di uomo forte, autoritario.

Questa situazione è... sbagliata! Devo andar via di qui. Subito!

Riacquisto lucidità e indietreggio. Leon abbandona la mia ciocca con riluttanza, rivolgendomi un'espressione di disappunto.

Deglutisco, provando a formulare una frase di senso compiuto. «Non faccio nessuna faccia! Sei tu che ti prendi troppa confidenza. Impara a stare al tuo posto!» Mi volto e rientro in sala a passo svelto.

Mi odio. Odio allontanarlo in questo modo, ma non posso fare diversamente. Sto provando con tutte le forze a mettere da parte quello che provo per Leon, tuttavia ormai ho capito che non potrò desiderare nessun altro. Non voglio che Alissa se ne accorga e decida di sciogliere la loro promessa, non sopporterei di vederla soffrire a causa mia. Lei lo ama e non sarò io a distruggere la sua felicità. Quando è stato deciso il loro matrimonio era così felice da farmi desiderare di difendere quel sorriso a tutti i costi.

È l'unica cosa che posso fare per lei come sorella maggiore.

Entro in sala tormentata dai pensieri. Mi scuso con un cenno del capo con chi prova ad attirare la mia attenzione e proseguo verso le scale centrali del castello. Non voglio restare qui un minuto di più. A breve Alissa ballerà con Leon per dare il via alle danze e, per quanto ci abbia provato e riprovato, non sono brava a fingere che non mi faccia male. Soprattutto se, come gli piace ricordarmi, potevo essere io la donna stretta fra le sue braccia.



Angolo Autrice

Hello! Welcome to Ireland.

Come scritto nella quarta (o descrizione), la storia è ambientata in un mondo parallelo diviso in Regni e governato da Monarchia. Tuttavia, i riferimenti alla nostra epoca sono reali. Enrico VIII prese possesso dell'Irlanda intorno alla metà del '500 fondando il Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda, nella mia storia invece le cose sono andate diversamente (oltre al fatto che non esistono Stati ma Regni).

Il castello in cui Eleonore abita, sulle rive del lago Lough Corrib esiste davvero: si chiama Ashford Castle ed è diventato un albergo di lusso in stile vittoriano, oltre che famoso perché il set cinematografico della serie tv Reign.

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