Scelte di vita

Capitolo 9

Nel buio che la circondava, Evelyn, riuscì a scorgere soltanto due occhi, quegli stessi occhi seri e penetranti, formati da quei due colori così diversi e diametralmente opposti.
Sentendosi a disagio a causa di quello sguardo, aprì le palpebre ritrovandosi nel suo letto in completa solitudine e con un forte dolore al collo.
Dalla finestra entrava una luce tenue e rossastra. Era quasi l'ora del tramonto, aveva dormito per tutto il giorno? Si costrinse ad alzarsi e le vicende degli ultimi giorni le piombarono nuovamente addosso. Decise di affrontare la situazione un passo alla volta; la prima cosa che voleva fare era scusarsi con suo zio e poi sarebbe andata alla redazione.

Arrivata al piano inferiore cercò Quentin in tutte le stanze, ma di lui non vi era traccia. Pensò che fosse uscito per la sua camminata serale o per meditare vicino alle cascate. Sospirò sentendosi in colpa, suo zio non meritava le parole che le aveva sputato addosso con rabbia.
Si sarebbe scusata più tardi.  In quel momento avrebbe preso la baci e sarebbe andata in paese.
Già, dov'è la mia bicicletta?
L'ultima cosa che ricordava, prima del pugno che le aveva dato Willow, era che si trovavano poco lontani dalla casa.
Prima di uscire lasciò un biglietto per lo zio, questa volta non voleva farlo preoccupare senza motivo.
Dopo aver camminato per qualche metro, Evelyn trovò la sua bicicletta in mezzo all'erba, la raccolse e vi salì. Per un attimo si chiese che fine avesse fatto il cadavere di quel licantropo che aveva ucciso Noah, ma preferì non sprecare energie in supposizioni assurde. Osservò il tetto della sua casa e subito dopo iniziò a pedalare per raggiungere il centro.



Quando arrivò in città era ormai buio, a quell'ora della sera, l'Eagle Gazzette, era quasi deserta. Evelyn posò la bicicletta fuori e poi entrò, andando dritta nell'ufficio di Patrik.
La porta era chiusa e lei si fermò nel corridoio. Sentiva qualcosa di strano, di nuovo quella sensazione di pericolo. Si costrinse a scuotere la testa con decisione; non c'era nessun pericolo, era soltanto scossa dagli eventi. Bussò lievemente e una voce la invito ad entrare.
La stanza era illuminata da una lampada che emetteva una fastidiosa luce bianca e la scrivania era ricoperta da fogli riordinati alla bell'e meglio.
Patrik, seduto sulla sua poltrona girevole, la osservava con un sorriso che che lasciava intravedere la lunga fila di denti leggermente ingialliti a causa della grande quantità di caffè che beveva.
Evelyn non aveva mai fatto caso a quel particolare.
«Mia cara Eve, siediti pure» la invitò lui indicandole una sedia.
Lei si sedette per poi puntare lo sguardo sul collega.
«Sono stressata, okay? Questa situazione mi farà impazzire. Dobbiamo fare qualcosa, io voglio quell'articolo, penso sia una delle cose più belle che potrebbero capitarmi! E mi dispiace per aver mentito, tu sei stato così gentile... però ho detto cose cattive a mio zio, non sono andata al concerto di Margot! Per non parlare poi del fatto che un licantropo ha cercato di strozzarmi. E poi arrivi tu, con la storia di tuo nonno e tutto il resto...»
Patrik annuì lentamente, lo sguardo dispiaciuto tipico di chi vuole farti capire che comprende le tue difficoltà. «Anch'io voglio scrivere questo articolo e ti prometto che lo faremo, non ti avrei mai chiesto niente del genere se non fossi stato sicuro della tua bravura. Certo, potrebbe essere rischioso...»
Evelyn alzò lo sguardo su di lui. Pericoloso? Poteva significare morire, le minacce che aveva ricevuto non erano una fantasia.
«Lo so molto bene, fidati. Rimane comunque il fatto che partiranno, non li rivedremo mai più.»
«Potremmo fare qualcosa... ma non potrei chiederti questo» rispose lui alzandosi dalla sedia per poi avvicinarsi.
«A cosa stai pensando?» chiese lei incuriosita.

Patrik rifletté per qualche secondo. «Potresti seguirli, andare con loro e vedere cosa fanno. Ci darebbe una prospettiva estremamente intima.»

Evelyn sentì il suo cuore capovolgersi per poi tornare pesantemente nella posizione originaria. Seguirli? Solo una stupida sarebbe andata nella tana del lupo, e la metafora le parve più che azzeccata. «Dovrei stare via per giorni» ribatté lei pensierosa.

«Ed è per questo che non voglio che tu lo faccia. Anzi, sai che ti dico? Fai finta che io non ti abbia detto niente, come ho potuto anche solo pensarlo? I soldi, la fama e tutto ciò che potremmo guadagnare con questa storia non sono abbastanza per rischiare...»

Evelyn trattenne il fiato.
Nonostante tutto, in quel preciso momento, capì che quello era l'unico modo per rivedere Noah. Avrebbe davvero abbandonato suo zio, la sua casa e tutto ciò a lei caro per un licantropo che aveva cercato di ucciderla? Aveva già preso decisioni importanti per un semplice sconosciuto, e lo avrebbe fatto anche in quel momento. Neanche lei sapeva dare una spiegazione alle sue scelte bizzarre, ma in quel momento le sembrò la cosa più sensata da fare. Inoltre l'idea allettante della fama, dei soldi e di tutte le cose meravigliose che avrebbe avuto come giornalista non l'aveva abbandonata.
"Fidati del tuo istinto, bambina mia"

La voce di sua madre le risuonò per un attimo nelle orecchie. Ogni millimetro del suo corpo la implorava di accettare, di gettarsi a capo fitto in quell'impresa folle.
Cos'ho di sbagliato?
«Lo farò» affermò infine con decisione. Patrik parve rianimarsi. «Dici sul serio?»
«Si, ma cosa dirò a mio zio? E come riuscirò a convincerli?»
«Tranquilla, penserò a tutto io.»
Il collega iniziò a parlare ma lei non lo stava ascoltando, riusciva soltanto ad immaginarsi il momento in cui avrebbe rivisto Noah.



Una pioggia leggera e fredda iniziò a bagnare lentamente le strade. Evelyn tirò su la cerniera lampo del cappotto ed uscì finalmente all'aperto. Ciò che Patrik le aveva proposto continuava a vagare nella sua testa; si sarebbero visti il mattino seguente, lui l'avrebbe portata nella casa dei lupi e poi sarebbe tornato in città come niente fosse. Facile, tutto troppo semplice, non credeva che sarebbe riuscita a convincere Noah e Willow a portarla con loro, soprattutto Willow, la odiava palesemente. E poi c'era suo zio, cosa doveva dirgli?
Cosa ho fatto?
Perché aveva accettato? E perché non poteva andare Patrik al suo posto? Aveva già fatto questa domanda al diretto interessato e la riposta si era rivelata molto semplice: non si sarebbero mai fidati di una persona mai vista prima. Ma lei era soltanto una conoscente, non era certo loro amica. Forse aveva sbagliato tutto. Le venne improvvisamente voglia di tornare indietro, di tirarsi fuori da quella storia.
Un ammasso di capelli ricci e neri attirò la sua attenzione.
Margot.
Margot le era passata davanti agli occhi e non l'aveva neanche salutata?

«Margy! Ehi!» urlò verso la schiena dell'amica.
L'altra sembrò non sentire. Evelyn in tutta fretta salì sulla bici cercando di raggiungerla.
«Margot! Che diamine di prende?» chiese infine tagliandole la strada. L'amica rimase impassibile, osservandola con occhi fiammeggianti.
Evelyn sospirò, sentendosi sconfitta. «È per il concerto, vero?»
«Avevi promesso!» replicò l'altra incrociando le braccia sul petto.
«Lo so, ma... se ti raccontassi cosa mi è successo mi faresti chiudere in un manicomio» disse Evelyn supplicandola con lo sguardo.
L'altra distese i lineamenti del viso e poi si avvicinò all'amica. «Eve, tieni ancora i tuoi denti da latte, collezioni francobolli, per due anni hai fissato uno sconosciuto da una panchina e non ho mai avuto niente da ridire. Ho addirittura lasciato perdere la tua riluttanza nei confronti di Star Wars... e sai quanto io lo ami...»
Evelyn sorrise. Ecco il motivo per cui erano amiche; Margot aveva sempre cose positive da dire anche nei momenti peggiori «Avanti, ti accompagno a casa» rispose Evelyn afferrando il braccio dell'altra.
Camminarono in silenzio,Evelyn era combattuta; avrebbe dovuto raccontare tutto? E se l'avesse messa in pericolo?
Margot, forse captando i pensieri dell'altra, si fermò sul marciapiede, osservando l'appartamento in cui viveva.
«Non vuoi dirmelo, eh?»

Evelyn si morse il labbro inferiore. Osservò l'amica, con gli occhi grandi e l'espressione speranzosa. Poi un'immagine le si parò davanti; Margot riversa al suolo in una pozza di sangue. No, non poteva dirle niente. «Non posso. E mi dispiace per il concerto, avrei tanto voluto vederti» sussurrò infine.

«Lascia stare il concerto, era una stupidata. Ma tu stai bene?»
«Sto bene. Vorrei soltanto che tu non ce l'avessi con me»
Margot si avvicinò a lei, stringendola forte al petto. Evelyn poté sentire il suo cuore battere, quel profumo familiare che aveva imparato a conoscere. Era la sua migliore amica, compagna di avventure, di studi e di figuracce. «Sono sicura che c'è un valido motivo se non vuoi dirmi cosa sta succedendo, e lo rispetto. Ma un giorno me lo dirai?» chiese Margot staccandosi dall'abbraccio.
Evelyn alzò le sopracciglia. «Puoi contarci. Adesso vai a casa» l'altra annuì e subito dopo le scoccò un bacio sulla guancia.
«C'entra lo sconosciuto, vero?»
«Margy...»

«Okay, okay, vado a casa»

Evelyn osservò l'amica risalire il viale e poi, dopo essere salita sulla bici, si diresse verso casa.


***

La cosa che fece andare nel panico Evelyn, una volta arrivata a casa, non fu la luce spenta, o la finestra fracassata, ma le tracce di sangue che attraversavano il giardino. In quel momento si sentì leggera, la pressione le scese di colpo rendendole il viso pallido. Avevano ucciso suo zio, e non faticò molto ad immaginare chi avesse commesso una cosa del genere: i Rossi.
Lasciò cadere la bici, correndo alla porta di casa, iniziando ad urlare il nome dello zio. Nessuna risposta, soltanto silenzio. Cercò in ogni stanza, nel giardino sul retro e anche in garage, ma non trovò niente. Nel salotto il tavolo di legno era stato capovolto e la vetrina piena di piatti e bicchieri era stata buttata a terra lasciando sul pavimento pezzi di vetro e ceramica.
«Zio...» sussurrò Evelyn.
Corse nel bagno, vomitando soltanto saliva e succhi gastrici. Quando i conati diminuirono alzò la testa, la stanza iniziò a girarle attorno, credette di svenire, ma riuscì a rimanere in piedi soltanto grazie alla sua forza di volontà.
Tornò in salotto, dove aveva lasciato cadere a terra la borsa e con mani tremanti afferrò il cellulare. C'era soltanto una persona a cui avrebbe potuto chiedere aiuto.


Dopo circa un'ora, in cui Evelyn riuscì soltanto a piangere, Patrik la raggiunse. Visibilmente preoccupato le andò incontro, abbracciandola.
«Che diavolo è successo?» chiese infine entrando in casa.
«Sono stati i licantropi...» urlò lei ormai disperata. Il collega si guardò intorno, come in cerca di qualche indizio.
«Merda! Chissà dove lo hanno portato.»
Evelyn alzò un sopracciglio. Dove lo avevano portato? Quella era la migliore delle ipotesi, sicuramente lo avevano ucciso. «Credi che non sia morto?»
L'altro si schiarì la voce con un colpo di tosse. «Non so, non voglio pensare al peggio, ecco...»

«Non dovevo accettare la tua proposta, non avrei mai dovuto sin dall'inizio!» replicò lei afferrandosi la testa tra le mani.
«Sta calma, okay? È l'aggancio che stavamo aspettando, adesso avrai un buon motivo per partire con i due licantropi.»
Evelyn sbatté le palpebre più volte, incredula di fronte alla calma e alle parole dell'altro. «Ma cosa stai dicendo? Non ti rendi conto? Cristo!» sbraitò lei alzando gli occhi al cielo.
Patrik, rimanendo tranquillo, la prese per le spalle, scuotendola con forza. «Ehi, mi stai ascoltando? Non è il momento di tirarsi indietro o per piangersi addosso. Adesso ti porterò dai tuoi amici lupi, dirai cosa è successo e ti farai aiutare, è chiaro?»

Evelyn fissò gli occhi azzurri del collega; vide decisione e coraggio e lei non voleva essere da meno. Si ridestò da quel torpore che l'aveva confusa.
«Va bene, va bene...»
«Vai di sopra, prendi uno zaino e metti le cose che potranno servirti.»

Evelyn impiegò dieci minuti per riempire l'unico zaino che aveva. Glielo aveva regalato suo zio qualche anno prima, quando ancora facevo escursioni insieme. Quei ricordi le causarono un nuovo attacco di pianto. E se fosse davvero morto? Le ultime parole che gli aveva detto erano soltanto cattiverie, non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando ebbe finito scese nuovamente da basso, sentendo le gambe molli e la testa pesante come un macigno.

«Sono pronta» disse titubante.

Patrik le sorrise e poi la condusse alla sua auto.


***


La lieve pioggia non infastidiva Noah, anzi, era come sentire piccole carezze che lenivano la pelle calda e tesa.
Il bosco era silenzioso, la casa completamente al buio e sua sorella dormiva poco distante da lui. Avevano deciso di dormire all'aperto; quella sarebbe stata la loro ultima notte, l'ultimo momento di pace che avrebbero potuto godersi. Lui non aveva sonno, troppe idee gli passavano nella testa e nessuna era piacevole. Si voltò verso Willow, pregando che non le succedesse niente. Se qualcuno doveva pagare doveva essere lui, non la sua sorellina. 
L'unica cosa che lo rendeva felice era immaginare il momento in cui avrebbe ucciso Alastair, solo in quel momento la sua vita avrebbe avuto un senso.

Chiuse gli occhi in cerca di riposo, ma il rumore di una macchina gli giunse alle orecchie. Subito con tutti i suoi sensi all'erta, si alzò in piedi, aspettando di vedere chi fosse.



***


Il bosco si estendeva minaccioso, come se aspettasse il momento giusto per attaccare, come un serpente velenoso aspetta la preda nella tana.
Evelyn non aveva mai visitato quel posto, quando i fratelli King l'avevano portata nella loro casa era svenuta e quindi non ricordava come si arrivasse. Per fortuna Patrik l'aveva seguita e quindi poteva dirle dove si trovasse il posto.

«Siamo arrivati» disse lui fermando la macchina.

«Vieni con me» rispose l'altra per l'ennesima volta.

Patrik sospirò. «Non posso. Hai il cellulare, e il tablet che ti ho dato. Staremo sempre in contatto, ma ricorda, non dirlo a quei due» Evelyn annuì, se avesse rivelato le sue vere intenzioni l'avrebbero rispedita a casa e non avrebbe mai più visto suo zio.

Sempre se è ancora vivo.
Dovette deglutire più volte per ricacciare indietro le lacrime. Ma non era il momento di abbattersi, doveva essere positiva. «Quindi il sentiero è quello?» chiese infine indicando il bosco.
«Si, circa due minuti di cammino e vedrai la casa»
Evelyn scese dall'auto con riluttanza. «Andrà bene» continuò Patrik fissandola dal finestrino. L'altra, dopo aver dato un ultima occhiata all'auto, accese la torcia che teneva tra le mani, e si inoltrò nel bosco.












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