Sangue di lupo

Capitolo 17


«Ma guarda chi c'è! La piccola e ingenua Evelyn. Devo ringraziarti, sai? Sei stata molto utile.»
La voce di Patrik era pacata, nessun segno di cedimento o timore. Neanche le urla di Willow riuscirono a disturbare la sua tranquillità.
Evelyn deglutì. Le grida strazianti le laceravano le orecchie e lo sguardo divertito del collega celava qualcosa di inquietante.
«Bastardo» sibilò a denti stretti cercando di avvicinarsi.
L'altro scoppiò a ridere. «Sei così carina! Peccato che tu sia anche tanto stupida. Ti sei lasciata manipolare facilmente. Credevi davvero che ti avrei lasciato scrivere quell'articolo?»
La osservò per qualche istante, per poi portare lo sguardo verso Noah. «Almeno te lo sei scopato?» chiese con un cenno del capo.
Evelyn cercò di ribattere, ormai sconvolta e ferita. La delusione le bruciava dentro come un fuoco in estate, ma la mano forte di Noah le si posò sulla spalla, costringendola a fare un passo indietro. I loro occhi si incontrarono e lei, questa volta, non vide soltanto odio e rabbia, dentro quelle pupille vi era un lampo di dolcezza. Avrebbe voluto accasciarsi a terra e pregarlo di perdonarla, spiegare di come si sentisse, di quanto stesse soffrendo in quel momento.
«Perdonami...» sussurrò alla fine senza poter esprimere il vero pentimento che le scalciava dentro.
Noah abbassò lievemente il capo in un cenno di assenso, e poi si voltò nuovamente verso Patrik. «Te lo ripeto, libera mia sorella!»
«Ammazzalo, Noah!» pregò Willow cercando di liberarsi da quel metallo corrosivo, ancora dolorante e con le mani ricoperte di sangue.
«Se muovi anche solo un dito, vi farò ammazzare tutti» replicò Patrik dando un calcio sulle reni di Willow.

Noah tese la mascella per un attimo, stringendo i pugni tanto forte da farle scricchiolare. Poi però, senza alcun motivo, sorrise. «Credevo che quel cane del tuo capo fosse più furbo...» così dicendo, con uno scatto impercettibile all'occhio umano, prese da dietro il Rosso che aveva ferito inizialmente la sorella e con un gesto fluido gli spezzò il braccio.
Sul viso di Patrik si affacciò per la prima volta la paura. «Uccidetelo!» urlò rivolto agli scagnozzi ancora sbalorditi dalla velocità di Noah.

«Beulah, porta via Evelyn!» disse quest'ultimo scagliandosi contro ad un altro Rosso, aiutato subito dopo da Uncas.
Beulah non tardò ad obbedire, prese per un braccio Evelyn, e iniziò a correre. «No, lasciami!» urlò lei tenendo lo sguardo fissò su di Noah.
L'altra non rispose, continuò a trascinarla senza sosta fino a quando non arrivarono ad un cespuglio abbastanza grande per potersi nascondere.



Evelyn era cieca e sorda.
I suoni della lotta, che era appena iniziata, le arrivarono come in un sogno. Il viso di Beulah era ormai sfuocato e indistinto.

Cosa ho fatto?

Il cuore accelerò i battiti, il respiro le divenne roco.

«Eve, mi senti?»
No, non sentiva.
Non voleva ascoltare quei suoni; il rumore di ossa spezzate, le urla di dolore e gli spari erano troppo per lei. Era stata umiliata, presa in giro e si era lasciata guidare come un topo alla trappola. Calde lacrime iniziarono a rigarle il volto. «Moriranno... ed è soltanto colpa mia» biascicò con voce impastata dalla crisi di panico.
«No, smettila!» rispose Beulah liberandola dalla corda che aveva ancora intorno ai polsi.

Con le mani finalmente libere, si afferrò i capelli, tenendoli stretti.

Colpa mia.
Soltanto colpa mia.

«Lo senti? È odore di sangue, c'è sangue ovunque»

Beulah alzò un sopracciglio. «Come fai a sentirl...»

Il rumore dell'ennesimo sparo lacerò l'aria.
Dopo di che il bosco cadde in un silenzio innaturale; niente più uccelli, niente rumori del sottobosco. Le due ragazze trattennero il fiato, c'era qualcosa che non andava.
«Adesso calmati, okay?» mormorò Beulah con lo sguardo colmo di terrore.
Il silenzio durò ancora qualche secondo per poi lasciare spazio ad un rumore sconosciuto. Gli alberi iniziarono a muoversi, le fronde più alte crepitarono.
Un elicottero.

Le due ragazze alzarono all'unisono gli occhi al cielo. Il suono si intensificò, e in un attimo un boato assordante le circondò. «Che diavolo sta succedendo?» urlò Evelyn cercando di farsi sentire nonostante il caos.
«Non lo so... non lo so» rispose sconsolata Beulah.

Nel momento stesso in cui Evelyn pensò di non poter più sopportare quel frastuono, l'elicottero sembrò allontanarsi, diventando soltanto un piccolo punto luminoso nel cielo.
«Beulah!»
La voce di Uncas le raggiunse, entrambe riuscirono a percepire il leggero tremolio che si nascondeva dietro all'apparente tranquillità.
Beulah scattò in piedi e iniziò a correre. Evelyn, in preda al panico, fece lo stesso.



Uncas, con un occhio gonfio e il labbro inferiore spaccato, le accolse con sguardo mesto. Si portò di fronte alle ragazze come se volesse nascondere qualcosa.
«Io... ho cercato di proteggerlo» disse quasi balbettando.

Evelyn inizialmente non capì, era troppo concentrata ad osservare il viso ricoperto di sangue dell'altro.

Dov'è Noah?

Avrebbe voluto urlare, ma era come paralizzata.
«È successo tutto così in fretta» aggiunse poi con lo sguardo perso nel vuoto.
«E Willow?» chiese Beulah con i grandi occhi spalancati.
«L'hanno presa!»
Evelyn non stava ascoltando, il battito del suo cuore era troppo forte. Facendosi coraggio e trattenendo il respiro, sbirciò cosa si celava dietro alle spalle larghe di Uncas.

Sangue.
Noah era ricoperto di sangue e terra.
No, non credeva a ciò che stava vedendo.
Noah, grande e forte.

Noah e il suo portamento sempre perfetto.
Noah e il suo sguardo corrucciato.
Era a terra, immobile e con il viso rivolto verso il cielo che ormai stava diventando del solito colore del tramonto.
Evelyn spostò con forza Uncas, raggiungendo velocemente il corpo di Noah. 


«No, non è possibile»
Nuove lacrime le bagnarono il viso. Il suo sguardo vagò sul corpo possente del licantropo, cercando il motivo di tanto sangue. Con orrore vide un enorme foro all'altezza dell'addome; gli avevano sparato.
«Non.. piangere...»
La voce gracchiante di Noah le sembrò il suono più bello che avesse mai udito. Non era morto, ma la situazione non sembrava affatto promettente.

«Guariscilo, avanti!» esclamò Uncas rivolto verso sua sorella per poi avvicinarsi al corpo dell'amico.
Beulah si inginocchiò a terra, abbozzando un sorriso. «Che cazzo combini, eh?»

Noah tossì, sputando a terra un fiotto di sangue scuro e denso. «Argento...» mormorò subito dopo. Beulah impallidì. «Il mio potere non funziona con l'argento, lo sai!»
«Provaci lo stesso, maledizione!» la esortò Uncas abbassandosi a sua volta insieme alle altre.
«Qualcuno dovrebbe togliere il proiettile o lo brucerà dall'interno» concluse Beulah voltandosi verso Evelyn che nel frattempo aveva afferrato la mano di Noah stringendosela al petto.
«Farò qualsiasi cosa» rispose lei sicura. Vedere Noah, il suo Noah, in fin di vita le causò una scarica di adrenalina tanto potente da attraversarle tutto il corpo.
Voleva salvarlo, o non se lo sarebbe mai perdonato.
Non poteva morire a causa sua. D'un tratto anche solo l'idea di dover vivere senza di lui le sembrò impossibile. Le aveva urlato parole dure, l'aveva percossa e ferita, ma non provava rancore. In quel momento si rese conto che avrebbe potuto perdere l'unica cosa che la rendeva felice, che la rendeva veramente viva.
Era viva quando lo osservava per strada.
Era viva quando sognava di poterlo baciare.
Era viva quando ne parlava con entusiasmo e con gli occhi colmi di una luce che non avevano mai avuto.
In un lampo, che sembrò avvolgerla dentro, capì che quando aveva assaporato quelle labbra dolci e calde era stata riportata indietro da un inferno che l'aveva circondata per anni; non aveva provato dolore in quell'abbraccio rassicurante, non aveva pensato ai suoi genitori, non aveva pensato a nient'altro che a vivere davvero.
Beulah la osservò per qualche istante, indugiando sugli occhi grigi dell'umana. «Vedi la ferita?» chiese infine indicando il buco.
Evelyn annuì, concentrandosi al massimo.
«Dovrai infilarci le dita e cercare di togliere il proiettile. Ma fa attenzione, devi farlo con calma o rischi di conficcarlo più in basso»
«Va bene...»
Dopo aver sospirato, Evelyn allungò la mano verso l'addome di Noah, ma lui la bloccò e con un sforzo che sembrò impossibile cercò di parlare.
«Non è... non è colpa tua»
Si guardarono negli occhi per un lungo momento, comprendendosi a vicenda. La stava perdonando ed Evelyn sentì il cuore gonfiarsi; non avrebbe mai più commesso lo stesso errore.
«Muoviti!» esclamò poi Uncas con impazienza.
Evelyn scosse il capo, avvicinandosi con la mano alla ferita di Noah.
Quando toccò la pelle calda e viscida per poco non trasalì, ma facendosi coraggio, inserì da prima il dito indice, seguito poi dal medio e il pollice.
Noah trattenne a stento un urlo di dolore. Le dita iniziarono a muoversi alla ricerca del proiettile.
Dove sei piccolo bastardo!
«Non c'è» sussurrò Evelyn temendo il peggio. Noah, stringendo i denti, alzò leggermente la testa, afferrando nuovamente il polso sottile della ragazza.
«Più affondo...» così dicendo spinse con forza la mano della ragazza nella ferita.
Ancora niente, Evelyn sentiva soltanto pelle lacerata e il sangue vischioso.
Ti prego, ti prego!
Le dita avanzarono di un altro centimetro, il sangue caldo colò ai bordi della ferita.
E poi, ecco, qualcosa di duro le sfiorò le unghie. Prima di esultare, cercò di capire meglio se fosse riuscita nel suo intento. Spinse più forte e, con una stretta al cuore che le fece mancare il fiato, afferrò finalmente il proiettile d'argento.
In un attimo lo tirò fuori, gettandolo tra l'erba, la mano completamente rossa e grondante di liquido scarlatto.
«Ecco! Ci sono riuscita!» esclamò Evelyn scoprendo di avere la fronte madida di sudore freddo. Abbassò lo sguardo verso Noah, trionfante e soddisfatta; lo aveva salvato, aveva salvato il suo sogno.
L'altro sembrò sorridere impercettibilmente, ma poco dopo, abbassò le palpebre svenendo.


***



Le meditazione riusciva sempre ad aiutarlo.
Se ne stava a gambe incrociate, la schiena dritta e gli occhi chiusi. Doveva distaccarsi dal corpo e librarsi nell'aria in cerca di tranquillità.
Lupi mannari.
Licantropi.
Mostri.
Insomma, Quentin credeva nel Karma, nella reincarnazione e nei viaggi astrali, ma credeva ai mostri dei film? In una situazione normale avrebbe risposto prontamente che no, non credeva a questo genere di cose.
Ma in quel momento, dopo aver passato una notte senza sonno, dopo aver visto una bellissima donna trasformarsi in un lupo grande e bianco, poteva affermare con forza che credeva, ci credeva più che mai.
Adesso conosceva il motivo della sua prigionia, sapeva che sua nipote era sana e salva, ma che camminava liberamente nei boschi con i lupi.

«Che situazione...» sbuffò tenendo ancora gli occhi chiusi.
I suoi pensieri tornarono ad Elisabeth; era stata così gentile e buona. Si ritrovò ad avere paura per lei, sapeva che quell'uomo, quell'Alastair era un disgustoso...
«Pezzo di merda!» esclamò dal nulla Quentin.
Aprì gli occhi, la tranquillità era andata a farsi benedire. Non ne poteva più di stare fermo in pochi metri quadrati. Voleva uscire e spaccare la faccia del secondo classificato della sua personale lista di pezzi di merda: Patrik.
Si alzò in piedi, percorrendo il perimetro della stanza, lanciando occhiate di fuoco  verso le sbarre solide che lo tenevano prigioniero.
«Meditazione, Quentin, meditazione!» così dicendo sospirò, cercando di ritrovare la calma.
Il rumore ormai familiare dello sferragliare di chiavi lo fece fremere. Che avessero intenzione di liberarlo?
Il solito energumeno che portava ogni giorno acqua e cibo, apparve di fronte alla sua cella.
«Il capo vuole vederti» borbottò armeggiando con la serratura.
«Mi lasceranno andare?» chiese lui rimanendo immobile. L'altro grugnì. «No»

Quentin raccolse dentro di sé ogni briciolo di forza e lucidità rimasta. Quando l'uomo fu abbastanza vicino sferrò uno dei suoi attacchi del krav maga.
Un colpo secco e preciso sulla nuca.
Il Rosso non ebbe neanche il tempo di accorgersene, cadde a terra come un sacco vuoto.
«Vedi cosa succede a far incazzare un pacifista?» sussurrò Quentin prendendo le chiavi cadute a terra e uscendo dalla cella. «Adesso te ne starai dentro» chiuse l'inferriata con un colpo secco.


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