Riserva Luna di Tuono
Capitolo 20
I polsi le bruciavano.
Un tizzone ardente non avrebbe corroso la pelle, e neanche l'acido avrebbe potuto infierirle tale dolore.
Le avevano tolto le manette ma le profonde lacerazioni continuavano a tormentarla. Willow si leccò delicatamente le ferite; la saliva dei licantropi era curativa, ma non sarebbe servito a molto. Si sentiva debole e stanca, non solo per le percosse subite, ma anche a causa delle sbarre di argento che avevano usato per la cella in cui si trovava.
Sibilò a denti stretti, non avrebbe urlato. Ricordò il viso soddisfatto di Patrik, ricordò come, continuando a ridere, le tirava calci allo stomaco e in viso.
Lo avrebbe ucciso.
Lo avrebbe fatto a mani nude e avrebbe mangiato il suo cuore. A quel pensiero allargò la bocca, cercando di sorridere, ma si bloccò immediatamente per il dolore istantaneo. Si portò le dita alle labbra e gemette; erano spaccate, così come lo zigomo e il sopracciglio. Non poteva vedersi, tuttavia era sicura di avere la faccia più gonfia di una mongolfiera.
Desiderava trasformarsi, ma quelle sbarre glielo impedivano.
Non poteva fare un bel niente; niente guarigione, niente via di fuga.
«In pratica, sono nella merda.» sussurrò accasciandosi a terra. Abbassò il viso, contemplando il pavimento fatto di terra. Una lacrima solitaria le scese lungo la guancia, ma deglutendo con forza, ricacciò indietro il pianto che minacciava di sgorgare dagli occhi gonfi.
Noah era morto? Impossibile, lo avrebbe sentito, lo avrebbe sentito anche a chilometri di distanza. Sicuramente Beulah lo aveva salvato e presto sarebbero andati a prenderla. Sperò che anche Uncas stesse bene; non aveva lo stesso tipo di contatto con lui, non era il suo Alfa, ma cercò di essere positiva.
Qualcosa nel buio si mosse e il rumore di una porta aperta attirò la sua attenzione. Alzò immediatamente il viso, pronta ad attaccare, pronta a tutto. L'odore sgradevole di Rosso, le arrivò subito al naso.
«Tu devi essere la cucciola King» disse il licantropo che le si materializzò di fronte. Willow lo guardò appena. Ciò che attirò la sua attenzione fu l'umano che l'altro scagnozzo teneva ben stretto per le spalle.
«Puzzi di carne decomposta» disse lei con noncuranza.
L'altro scosse la testa ed aprì la cella. «È questo il famoso umorismo dei bianchi?» mentre parlava ordinò all'altro di far entrare il prigioniero che fu prontamente scagliato sul pavimento con violenza.
«Oh, siete così bravi a fare i duri con gli umani» aggiunse Willow.
L'uomo più alto, colui che sembrava essere il capo, chiuse con un colpo secco le sbarre.
«Sei carina, sai? Oserei dire bella. Peccato che il tuo futuro sia già segnato»
Willow aggrottò le sopracciglia. Che diavolo stava blaterando? Senza poter fare domande, osservò i due Rossi allontanarsi. Scacciò quei pensieri; erano Lupi del Sud, bugiardi e stupidi.
Si concentrò sul corpo dell'umano.
«Ehi, stai bene?» chiese punzecchiandolo con un dito.
L'altro borbottò qualcosa e poi cercò di alzarsi. Aveva il viso pallido e lo sguardo terrorizzato di chi ha passato davvero una giornata orrenda. Molto probabilmente lei aveva lo stesso aspetto.
Willow, vedendolo per intero, capì finalmente da dove provenisse tutto quell'odore di sangue; l'umano si teneva stretta una mano e i suoi vestiti erano totalmente ricoperti di liquido scuro.
«Cosa ti hanno fatto?»
L'altro iniziò a tremare, forse per la paura, forse per la copiosa perdita di fluido vitale. La osservò con occhi spalancati senza dire niente.
«Okay» disse Willow avvicinandosi. «Fammi dare un'occhiata» cercò di afferrare il polso dell'uomo, ma senza risultato, evidentemente non voleva farsi toccare.
«Sverrai se non mi fai vedere»
«Tu... sei la figlia di Elisabeth...» balbettò l'umano continuando a fissarla negli occhi.
«Come lo sai?» chiese lei sentendo un tuffo al cuore.
«Mia nipote, Evelyn, era con voi?»
E tutto le fu chiaro; quell'uomo era lo zio di Evelyn.
Willow non rispose, prese con forza la mano di Quentin e la osservò; gli avevano tagliato di netto un dito.
«Si, era con noi» rispose lei portandosi la ferita tra le labbra carnose.
«Che diavolo stai facendo?»
La bionda continuò senza badare alla protesta dell'altro. Leccò la ferita con calma, cercando di fermare l'emorragia.
«Dovrebbe arrestare il sangue.»
«In un altro momento lo avrei considerato eccitante...»
Willow sghignazzò. Dopo aver controllato che il sangue avesse smesso di uscire, strappò un lembo della sua maglietta per poi avvolgerla intorno alla mano di Quentin.
«E così, tu sei lo zio della bamboccia»
«Sta bene?»
«Si, anche troppo...»
Quentin alzò un sopracciglio.
«Ma adesso, lasciamo stare la bamboccia. Come fai a sapere il nome di mia madre?» chiese Willow riportando il discorso su ciò che le interessava davvero. L'altro piegò la testa da un lato, osservandola con aria interrogativa. «Beh, me l'ha detto lei»
Una persona morta non può parlare. Che la stesse prendendo in giro?
A meno che...
«Mia madre è viva?» urlò Willow spalancando gli occhi tumefatti.
***
Nell'aria aleggiava un fumo denso e scuro. La puzza di bruciato circondava ogni cosa, rendendo difficile la respirazione.
In lontananza si potevano udire delle voci, delle urla, gemiti di dolore. Al coro di voci si univa anche il suono incessante di martelli e oggetti metallici che venivano colpiti ad un ritmo incessante.
Evelyn non pensava più ai suoi problemi; essere un non-lupo non la preoccupava in quel momento.
Seguirono un sentiero stretto e ricoperto di ghiaia, fino a raggiungere una collinetta. In quel punto, Evelyn, si aspettava di vedere il cielo azzurro e la solita vegetazione rigogliosa, invece, lo spettacolo che le si parò di fronte. la fece rabbrividire.
In basso, a qualche chilometro di distanza, vi erano centinaia di uomini. Il fango ricopriva l'intera conca naturale e intorno vi erano soltanto pochi alberi senza foglie, attaccati al terreno per forza di inerzia.
Tutte quelle persone erano in catene e stavano costruendo quello che, a prima vista, poteva sembrare un castello. Ad Evelyn, quella scena, ricordò i milioni di schiavi egizi intenti a costruire le grandi piramidi che aveva visto sui libri di storia.
«Questa è la riserva?» chiese inorridita.
Noah strinse i denti, e lei temette che si sarebbero scheggiati.
«No, questa non è la mia riserva, non è il posto in cui sono cresciuto» rispose lui senza riuscire a staccare gli occhi da quello scenario surreale.
«C'erano i campi... un prato immenso e tanti fiori. Ricordi?» Beulah parlò con voce atona, come se fosse in una sorta di trance.
«Cristo, Noah. Cosa hanno fatto?» aggiunse poi Uncas sbigottito quanto gli altri.
«Sono Lupi del Nord, sono tutti Lupi del Nord!» sbottò Noah distogliendo finalmente lo sguardo. Chiuse gli occhi, respirando a fatica.
Evelyn poggiò la mano sulla sua spalla, terrorizzata all'idea che lui si trasformasse nuovamente in quella bestia che l'aveva ferita.
«La loro sofferenza,mi sta... facendo impazzire» sussurrò lui portandosi le mani alle orecchie. «Andiamo via!» esclamò Evelyn aiutandolo a camminare.
Ridiscesero il sentiero fino ad arrivare ad una vera e propria strada. Un enorme cartello riportava la scritta: "Riserva Luna di Tuono".
Noah sembrava essersi ripreso, ma continuava ad essere nervoso. «Siamo arrivati» disse poi contemplando la via. «Alla fine di questa strada c'è la riserva».
Evelyn osservò tutti i presenti; era arrivato il momento tanto atteso. Noah stava tornando a casa. Un misto di eccitazione e paura la invase.
C'era in ballo molto più di un semplice articolo. Le loro vite erano a rischio, avrebbe potuto perdere Noah, anche lei stessa era vulnerabile.
«Quindi ci siamo, giusto?» chiese cercando di non far trapelare il suo nervosismo.
«Già, ci siamo» replicò Uncas osservando il suo Alfa.
Noah sospirò, socchiudendo appena gli occhi. «Una volta arrivati, non potremo più tornare indietro» disse voltandosi verso gli altri. «C'è in gioco la nostra vita, e anche la vita di tutti i nostri fratelli. Siete convinti?»
«Non c'è bisogno di chiederlo. Tu sei mio il mio Alfa, ma prima di tutto, sei mio fratello. Facciamo il culo a quei bastardi!» rispose Uncas danogli una pacca sulla spalla.
Beulah si limitò ad annuire con forza, il suo sguardo parlava per lei; convinzione e coraggio trapelavano dai suoi occhi color verde smeraldo.
Poi Noah guardò Evelyn. «Troverò un posto sicuro, e starai lì finché non ti verrò a prendere, intesi?»
Evelyn aprì leggermente la bocca, non credeva alle proprie orecchie. Era così? Fine dei giochi? Arrivederci e grazie? No, non avrebbe accettato il ruolo della donzella in difficoltà.
«Che significa?»
«È troppo pericoloso. Non posso essere concentrato nella lotta se tu sei con noi»
«Al diavolo! Ho fatto tutta questa strada...» Noah la interruppe, avvicinandosi a lei per poi portarla a lontano dagli altri due.
«Ti prego, non fare storie» disse poi con sguardo supplichevole.
«Noah, mi stai chiedendo troppo. Dovrei rimanere richiusa chissà dove senza sapere cosa succede? Con la paura di perderti, con il terrore di non vederti tornare?»
Noah sospirò,passandosi velocemente una mano tra i folti capelli. «Ci sono solo licantropi, come pensi di difenderti? Se ti succedesse qualcosa non me lo perdonerei mai»
«Ti ricordo che non sono più umana!»
«Non puoi trasformarti e molto probabilmente uccideresti anche me in quel momento!»
«E non pensi a mio zio? Voglio trovare mio zio»
«Ci penserò io»
«No»
«Eve...»
«No»
«EVELYN!»
Evelyn si ammutolì. Ma nonostante i rimproveri, non riusciva ad obbedire. Non avrebbe sopportato la sua lontananza.
«Ascolta» disse lui addolcendo il tono di voce. «Riporterò tuo zio sano e salvo. Io tornerò sano e salvo»
Lei lo fissò negli occhi, scrutando quei due colori contrastanti; bianco e nero, luce e oscurità. Rifletté sulla sua proposta, ma non voleva cedere, non lo avrebbe mai fatto. Poi le sovvenne un particolare molto importante che avevano trascurato.
«E se il morbo avesse la meglio? Io sono l'unica che può portarti indietro, l'hai visto anche tu» ribatté Evelyn soddisfatta; lo aveva in pugno.
Era vero, era l'unica.
Noah rimase colpito da quell'affermazione, forse neanche lui aveva pensato a quest'evenienza. Dopo aver sospirato per l'ennesima volta, la fissò negli occhi.
«Non è detto che io...»
«Zitto! Smettila! Vuoi buttare all'aria tutto questo? Sarebbe troppo rischioso...»
Noah la baciò.
Inaspettatamente la strinse a sé e la baciò con passione. Evelyn si abbandonò a quel bacio, avvolgendo le braccia intorno al suo collo. Ogni sua paura svanì all'istante, sarebbe sempre stata al sicuro al suo fianco, non aveva dubbi. «Se la mia gente sapesse che riesci a zittirmi...» mormorò Noah con le labbra ancora incollate a quelle di lei.
Evelyn mugugnò qualcosa, rimanendo con gli occhi chiusi, assaporandolo con la lingua. Non era mai riuscita ad abbandonarsi completamente ad un'altra persona, per lei era sempre stato inconcepibile, ma con lui, con lui ogni cosa aveva una sfumatura diversa.
Dopo qualche minuto si allontanarono.
«Verrai, ma se ti cacci nei guai dovrai cavartela da sola» concluse Noah tornando nuovamente serio.
«Bene, non c'è problema»
«Bene»
«Benissimo!»
«E quando ti dirò di rimanere in silenzio, dovrai ubbidirmi» aggiunse Noah con un sorriso divertito sulle labbra.
«Vedrò cosa posso fare» rispose Evelyn roteando gli occhi.
Prima di tornare dagli altri si baciarono ancora, ed Evelyn pensò che quei baci si stavano trasformando in una sorta di dipendenza; meglio non esagerare se voleva rimanere in vita per assaporarne degli altri.
Uncas e Beulah li stavano aspettando accanto al cartello stradale evidentemente impazienti.
«Era ora! Sai, anch'io vorrei baciare la mia ragazza!» esclamò Uncas incrociando le braccia sul petto.
La sua ragazza.
Quella frase lasciava intendere che lei era la ragazza di Noah? Che strano sentirlo dire.
«La tua ragazza è anche mia sorella» replicò poi Noah spingendolo verso un cespuglio. «Andiamo o faremo notte»
I tre licantropi ed Evelyn, ancora assorta nel pensiero di essere la ragazza di un licantropo, si incamminarono lungo la strada.
Era giunto il momento.
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