Paladina della giustizia
Capitolo 5
«Non voglio più vederti su quella panchina, sono stato chiaro?»
«Aspettami! Ti prego non andare...»
Zanne ricoperte di sangue.
Un ululato.
Noah!
Evelyn si svegliò di scatto, guardandosi immediatamente attorno, ancora turbata da quell'incubo. Fortunatamente vedere la sua camera la tranquillizzò, tutto era come sempre, tutto era al proprio posto.
Noah.
Quel nome continuava a tormentarla, immagini di lupi feroci le affollarono la mente, ma si stupì dei sentimenti che provava in quel momento; non aveva più paura. Pensare alla sera precedente con la luce del sole che filtrava dalla finestra, la rendeva più sicura, anche se ancora stordita.
Cercò di scacciare tutti i pensieri superflui, concentrandosi sulla situazione. Aveva scoperto qualcosa di incredibile, e adesso che era nel suo letto con le mani poggiate dietro alla nuca, scoprì di non essere affatto sorpresa.
Aveva sempre fantasticato sullo sconosciuto. Molte delle sue fantasie prevedevano cose fuori dal comune, idee strampalate. Aveva sempre visto qualcosa di strano in quell'uomo, qualcosa nascosto infondo a quegli occhi sempre disinteressanti. Non era proprio quel lato oscuro che l'aveva tanto attratta? Certo, non aveva visto con i suoi occhi la trasformazione di Noah, ma non aveva dubbi, anche lui era un lupo.
«Licantropi...» sussurrò posandosi le mani sugli occhi.
Esistevano davvero? Aveva ascoltato molte leggende, visto film horror, letto qualche libro, ma non aveva mai riflettuto su quell'eventualità.
Un'idea elettrizzante si insinuò velocemente tra i suoi pensieri; se quella storia si fosse rivelata realtà, avrebbe potuto scrivere l'articolo della sua vita, l'articolo più letto della storia del giornalismo, forse avrebbe addirittura vinto il premio pulitzer. Sorrise nella penombra della stanza. Aveva visto una donna trasformarsi in un specie di lupo, un uomo morto, e lei pensava al pulitzer, forse era davvero impazzita.
Il bussare lieve che proveniva dalla porta, la destò da suoi sogni. Dopo poco, Quentin entrò sedendosi sul letto della nipote.
«Come stai?» chiese legandosi i capelli in una coda bassa.
Evelyn sbadigliò, riflettendo su cosa avrebbe detto a suo zio. Se raccontando tutto lo avesse messo in pericolo? Non poteva rischiare, anche se moriva dalla voglia di dire ciò che aveva scoperto.
«Ho visto un uomo morto» rispose lei con voce atona.
Quentin sospirò. «In Cina, dove io ho vissuto per un anno, un vecchio uomo con la barba chilometrica mi disse: il saggio non si cruccia sul passato perché è concluso e non si può mutare»
Evelyn alzò il capo dal cuscino, voltandosi su un fianco per poter vedere meglio. «C'è un posto in cui tu non sia stato?»
«Bambina, io sono stato ovunque» rispose Quentin alzando le spalle.
Un'ora più tardi, Evelyn e suo zio, erano seduti al piccolo tavolo rotondo della cucina. Lei con delle uova strapazzate nel piatto e l'altro con una tazza colma di tè fumante tra le mani. Mangiò con calma, pensando a cosa avrebbe fatto quel giorno. Sicuramente sarebbe andata alla redazione, voleva parlare con Patrik.
"Non voglio più vederti su quella panchina!"
Già, la panchina.
Noah le aveva chiaramente detto di non farsi più vedere. Cosa avrebbe fatto? Si morse il labbro inferiore, chiedendosi cosa avesse contro di lei, cosa aveva fatto per meritarsi un trattamento del genere?
«Se continui a pensare, ti prenderanno fuoco i capelli!» esclamò Quentin posando a tazza sul tavolo.
«Patrik vuole continuare ad indagare. La storia del lupo non lo convince... Tu cosa ne pensi?» dopo aver parlato alzò lo sguardo, scrutando il volto dello zio in cerca di qualche reazione.
«Non convince neanche me. Sai che non sono un bacchettone, ma non voglio che ti cacci in altri guai e credo che questa storia porterà a molti guai»
Evelyn masticò l'ultimo boccone di uova e, dopo essersi alzata, guardò fuori dalla finestra, osservando il giardino.
«Potrebbe essere una svolta per la mia vita... la mamma non ha mai fatto niente del genere in tutta la sua carriera?» la domanda le uscì spontanea, per la prima volta, dopo l'incidente, chiedeva qualcosa su sua madre.
Quentin alzò un sopracciglio, sorpreso, ma subito dopo sorrise. «Tua madre era un peperino! Quando si metteva in testa qualcosa non pensava a nient'altro. Indagava fino in fondo, anche se poi finiva sempre in qualche pasticcio»
Evelyn accennò un sorriso, ricordando tutte le volte che sua madre ritornava a casa tardi, a volte amareggiata, molto spesso felice per aver aiutato ad arrestare un criminale.
«Non ti preoccupare, mamma. So che sei tornata tardi perché vuoi aiutare le persone...»
«Ricorda Eve, non voltare mai le spalle di fronte ad un'ingiustizia!»
Evelyn strinse le mani a pugno, voltandosi verso lo zio. «Lei non si sarebbe tirata indietro! Indagherò e scriverò l'articolo migliore degli ultimi trent'anni. Che ne dici?»
Quentin rise di fronte a quella reazione. «Dico che prima di diventare la paladina della giustizia, dovresti lavare i piatti. Io ho la mia solita camminata mattutina.»
La ragazza corrucciò il viso, scuotendo la testa. «Dov'è finito il tuo spirito ribelle? Che ci importa dei piatti?» chiese Evelyn enfatizzando le parole come se fosse ad un comizio.
Lo zio prese la giacca, che aveva appoggiato sullo schienale della sedia, e la infilò in pochi secondi, poi posò lo sguardo sulla nipote.
«Eve...»
«E va bene, laverò i piatti. Ma sappi che Batman non ha mai pulito niente» borbottò lei voltandosi verso il lavandino.
Dopo aver lavato i piatti ed essersi vestita, Evelyn andò nel garage, dove prese la sua fidata bicicletta. Una macchina si sarebbe rivelata più utile, soprattutto nei giorni di pioggia, ma lei si era sempre rifiutata categoricamente di guidare. Ovviamente attribuiva questa sua fobia all'incidente dei genitori, non aveva bisogno di uno psicologo per capirlo.
Salì sul bici e aspettò che il garage si aprisse, con la solita estenuante lentezza. Dopo di che, uscì pedalando in fretta verso la città.
***
La redazione era in subbuglio; i telefoni squillavano e le persone correvano freneticamente da un ufficio all'altro. Evelyn osservò quella scena quasi divertita, non aveva mai visto tanta agitazione all'Eagle Gazzette.
Cercò di arrivare al suo ufficio, ma Patrik la raggiunse subito dopo, camminando vicino a lei. «Visto? La notizia del lupo sta facendo scalpore!»
Per un attimo Evelyn pensò che l'altro avesse scoperto tutto, che anche lui credeva ai licantropo, poi ricordò cosa aveva detto il sergente e si rilassò. «Vedo... ma scommetto che nessuno crede alla storia del lupo, dico bene?»
Patrik sorrise. «Certo che no! Questa mattina la notizia è stata messa in prima pagina, ho lavorato tutta la notte»
«Avremmo dovuto scriverlo insieme» rispose stizzita.
«Calma, calma. Ho soltanto scritto ciò che mi ha detto il sergente, anche se ho lasciato intendere che la questione non è chiara. Il vero articolo deve ancora essere scritto»
Evelyn sorrise, al solo pensiero di quell'ipotetico articolo le brillavano gli occhi.
«Quindi? Cosa facciamo? Dobbiamo tornare in periferia e magari seguire quei due individui»
«Eve, dopo ieri sera...non credi sia meglio che io vada da solo?»
Quella richiesta le sembrò strana, Patrik aveva tanto insistito per spedirla da sola all'altro capo della città e adesso voleva andare senza di lei? Cercò di calmarsi, era troppo agitata. Forse il collega si sentiva semplicemente in colpa e adesso cercava di farsi perdonare evitando che lei si facesse male.
«Hai ragione, e poi quei due mi riconoscerebbero subito» disse Evelyn entrando nel suo ufficio.
«Esatto! È proprio quello che stavo pensando» rispose Patrik fermandosi sulla porta.
«E così sia. Mi raccomando, fai molta attenzione, quei due non sono persone affidabili» disse Evelyn cercando di mettere in ordine il caos che padroneggiava sulla scrivania.
«Lo farò! Tu potresti pensare alla mia posta? Adesso ho un molte cose di cui mi devo occupare»
«Certo, volentieri.»
«E... sicura di avermi raccontato tutto?» chiese Patrik fissandola negli occhi.
Evelyn lo fissò a sua volta, cercando di rimanere impassibile. Una vocina dentro di lei le urlava di parlare, di dire tutto quello che aveva visto e togliersi finalmente quel peso di dosso. Ma un'altra parte di lei, quella più nascosta, le impedì di dare sfogo a quella voglia.
«Cos'è? Non ti fidi di me?» replicò lei alzando le sopracciglia. Patrik sembrò riflettere su quella domanda, ed Evelyn si innervosì.
«Io? Non fidarmi della migliore giornalista dell'Eagle Gazzette? Non potrei mai!»
Evelyn trasse un sospiro di sollievo, ma notò qualcosa di strano nello sguardo del collega, qualcosa che le fece accapponare la pelle.
Patrik se ne andò senza aggiungere altro, lasciandola da sola nel suo ufficio. Guardò di nuovo la scrivania e la pila di corrispondenza della redazione. Dopo quello che aveva passato il giorno precedente, non aveva la minima intenzione di tornare alla posta e ai dolciumi.
Sfogliò le varie carte che aveva tra le mani, ma, suo malgrado, i suoi pensieri andarono a Noah, si chiese cosa stesse facendo in quel momento.
***
«Bella merda, Noah, sei davvero furbo!» sbraitò Willow lanciando il giornale addosso al fratello. Noah rimase immobile, leggendo velocemente la prima pagina.
«Qui dice che hanno attribuito la colpa ad un lupo, un semplice lupo» rispose lui con calma.
Willow si passò una mano tra i folti capelli biondi, accendendo l'ennesima sigaretta.
«La tua amica è una giornalista, potrebbe metterci nei casini!»
Noah corrucciò il viso, continuando a fissare il muro. Non pensava che la ragazza fosse davvero un pericolo, ma non potevano rischiare, non in quella situazione già abbastanza complicata. «Andiamo da lei» disse infine alzandosi.
«Come facciamo con i Rossi? Li ho sentiti, sono almeno due» rispose la sorella.
«Li troveremo e li uccideremo. Adesso, muoviti.»
Willow provò a replicare, ma lo sguardo del fratello le fece richiudere immediatamente la bocca. Uscirono dalla piccola casa e corsero verso il bosco.
***
Il pub era quasi al completo, ogni persona seduta ai tavoli aveva tra le mani l'Eagle Gazzette, e ognuna di loro, ipotizzava cosa potesse essere successo.
Evelyn osservò i loro visi, ascoltò le loro idee pensando a quanto fossero lontani dalla realtà. Era l'unica a conoscenza di cosa fosse successo, si sentì improvvisamente impotente e sola.
«Eve, raccontami ogni cosa!» proruppe Margot con voce isterica.
Evelyn si voltò verso l'amica abbozzando un sorriso. Fissò l'altra per alcuni secondi; non poteva dirle la verità, era troppo rischioso. Decise che le avrebbe rivelato il nome dello sconosciuto, le avrebbe parlato della donna e di cosa aveva visto in periferia, ma avrebbe accuratamente evitato di parlare di licantropi e di trasformazioni.
Quando ebbe finito di parlare, Margot posò l'hamburger che stava mangiando e, dopo aver deglutito con fatica, iniziò a scuotere la testa.
«Quindi, vediamo se ho capito bene. I combattimenti clandestini esistono e lo sconosciuto... Noah ne fa parte. Ha la ragazza, giusto? E poi un uomo morto. Non dirmi che sono stati loro ad ucciderlo.»
«Più o meno, questa è la situazione. Comunque sia, io non ho visto niente, ho solo trovato il corpo di quell'uomo»
«Deve essere stato orribile» disse Margot fissando l'amica con occhi colmi di tenerezza.
Evelyn si sentì a disagio, stava mentendo alla sua migliore amica.
«Mi sono ripresa, sono i rischi che corre una giornalista. Ma adesso cambiamo argomento, dimmi di te e del concerto!» l'altra annuì con vigore.
L'audizione era andata bene e quella sera avrebbe suonato in un piccolo locale del centro. «Non vedo l'ora, sai? Sono così emozionata! Ovviamente tu devi esserci» rispose Margot alzando le braccia al cielo.
«Ci puoi contare! Sarò in prima fila».
***
La giornata trascorse velocemente tra corrispondenza, caffè e qualche telefonata. Evelyn non aveva più visto Patrik, ma sapeva che era partito poco prima che lei uscisse dalla redazione per tornare a casa. Stava andando in periferia e sperò che tutto andasse bene. A lei non rimaneva che prendere la sua bici e dirigersi verso casa dove si sarebbe cambiata per poi tornare in città per il concerto.
Mentre pedalava osservò gli alberi ai lati della strada con sospetto, adesso che sapeva dell'esistenza di certe creature, aveva la sensazione che qualcuno la stesse spiando.
«Troppa immaginazione» si disse. Ma, per non correre rischi e per essere davvero sicura, pedalò più in fretta.
Dopo aver superato l'ultima salita che l'avrebbe portata a casa, notò due figure infondo alla via. Frenò di colpo, alzando un po' di polvere dal terreno.
No, non è vero!
Le sembrava di riconoscere quelle due persone, ma si rifiutava di credere a ciò che stava vedendo. Rimase in attesa, immobilizzata sulla bicicletta, le mani strette intorno al manubrio.
Le due figure si mossero, quando furono a poca distanza da lei, ne ebbe la certezza; erano Noah e Willow.
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