Lealtà
Capitolo 24
Il cielo notturno era ricoperto da grandi nuvole minacciose di pioggia. Neanche la luna, unica possibile fonte di luce in mezzo al bosco, riusciva a togliersi di dosso quella spessa coltre grigiastra.
Camminarono sicuri sul sentiero, fino ad arrivare alla grande porta di legno che avevano già conosciuto quel pomeriggio.
La fortezza, la mastodontica costruzione in pietra, li osservava in rigoroso silenzio. Soltanto delle piccole fiaccole illuminavano debolmente l'entrata. Il panorama era senza dubbio inquietante. Nell'aria aleggiava il turbamento dell'attesa, come una sorta di quiete prima della tempesta.
«Non verrà, è così?» chiese Evelyn ispezionando nuovamente la strada con fare nervoso. Noah fece lo stesso. Il suo non era nervosismo, bensì speranza di vederlo arrivare.
Uncas aveva deciso di rimanere accanto alla sepoltura della sorella. Non aveva l'umore, ne tanto meno le forze per una battaglia. Noah, considerandolo come un fratello, gli aveva concesso di restare, non riuscendo però a celare la delusione. Avrebbe potuto accusarlo di tradimento, o di essere semplicemente un debole e codardo, ma come avrebbe potuto?
«Credo proprio di no» disse infine flettendo la dita.
Avere Evelyn al proprio fianco lo rassicurava; l'unica nota positiva della sua vita, l'unica che riusciva a calmarlo. Che ironia, un uomo come lui, grande e grosso, aveva bisogno di un'umana alta appena un metro e sessantacinque per sentirsi al sicuro.
Vedendola con gli occhi socchiusi e concentrati, provò tenerezza. Perché era così ostinata? Lei non meritava di affrontare una simile prova. L'avvicinò velocemente a sé, abbracciandola fino a farle mancare il fiato.
«Grazie, Eve» sussurrò poi. Le parole gli uscirono di bocca spontaneamente, non era solito ringraziare e farlo in quel momento lo stupì.
Lei alzò gli occhi, squadrando ogni centimetro del suo viso. Lo baciò sulle labbra con delicatezza, un piccolo tocco leggero.
«Non sei solo, lo sai.»
Noah annuì adagio.
Gli avvenimenti di quella giornata continuavano a tormentarlo inesorabilmente; il tradimento di sua madre, un nuovo fratello, la morte di Beulah. Cos'altro doveva aspettarsi? Strinse ancora Evelyn, beando le mani di quel tocco morbido e caldo. Pensò che quel momento, quel momento di pace e tenerezza, sarebbe potuto essere l'ultimo.
«Andiamo» disse infine prendendola per mano.
Appena furono abbastanza vicini, la porta si aprì con il solito rumore cigolante. Probabilmente i licantropi a guardia della fortezza li avevano osservati per tutto il tempo.
Noah entrò per primo. Tutti i suoi sensi erano all'erta, pronti a percepire ogni minimo movimento. Evelyn gli camminava accanto con il respiro affannato.
Per un attimo si chiese per quale assurdo motivo l'avesse portata con sé. Era troppo egoista? La sua felicità veniva prima della sicurezza di quella che era la sua donna?
Quel pensiero lo fece tremare. Da anni, ormai, non considerava qualcuno la propria donna. C'era stata Beulah, ma credeva che la loro amicizia e la sofferenza che avevano condiviso, fossero le uniche cose capaci di legarli.
Negli anni, da una città all'altra, aveva avuto delle avventure, ma mai più di una notte di sesso. Evelyn era diversa, lui stesso era diverso. Cosa avevano in comune, in fondo? Niente. E forse era proprio quello il punto essenziale per un buon equilibrio. Gli opposti si attraggono, lo aveva sempre sentito dire, ma mai provato.
«Noah, mi stai stritolando...» sussurrò Evelyn distogliendolo dai suoi pensieri.
Noah, abbassando il viso, si rese conto della sua potente stretta. Allentò la presa e sorrise debolmente.
«Continuiamo» disse poi facendo un altro passo.
Evelyn lo trattenne per un attimo ancora. «Devo parlarti. È importante. Avevo pensato di dirtelo dopo la tua vittoria, perché io sono sicura che vincerai. Insomma... Alastair è vecchio, non può essere così abile...e io...»
«Eve, non abbiamo tempo» la esortò Noah implorandola con lo sguardo di fare presto. Conosceva bene i monologhi dell'altra.
«Hai ragione, hai ragione...» Evelyn prese un bel respiro, portandosi i capelli dietro l'orecchio.
Era così bella quando compiva quei gesti così semplici. Probabilmente lei non si accorgeva neanche di quanto la sua pelle fosse liscia e candida, di quanto i suoi capelli profumassero di pino selvatico, di quanto le sue mani fossero leggere ed eleganti.
«Avanti» la incitò nuovamente lui.
Lei lo osservò, cercando di riflettere su ciò che doveva dire.
Noah percepì qualcosa, per un attimo vide soltanto rosso. Un'enorme macchia di rosso fuoco. Gli capitava spesso di sentire le emozioni degli altri, lo aveva fatto molte volte con lei, ma non aveva mai sentito quel tipo di emozione. Pensò per qualche secondo, nell'attesa che l'altra parlasse. Il bianco era la purezza, lo aveva visto spesso intorno ad Evelyn. Il blu, invece, era fedeltà e fiducia. Il giallo felicità e ottimismo, ma il rosso? Improvvisamente strabuzzò gli occhi. No, lei era...
«Sono innamorata di te» disse Evelyn scandendo con le labbra a forma di cuore ogni singola parola.
Per Noah fu come sprofondare. Non era pronto ad una simile affermazione, non in quel momento. Cercò di aprire la bocca per rispondere, ma Evelyn, vedendo lo sguardo smarrito dell'altro, alzò le mani. «Okay, lo so che non è il momento giusto. Tu non devi dire niente, davvero. È che non voglio avere rimorsi. Se ti succedesse qualcosa...»
Noah osservò la fine del cunicolo, pensando a ciò che lo aspettava e poi riportò lo sguardo sulla piccola figura circondata da quell'alone rossastro.
«Ne riparleremo domani.» dopo di che, continuò a camminare. La questione, almeno per il momento, era chiusa, seppure a malincuore. Avrebbe tanto voluto tornare indietro, portandola nella tenda e farla sua per tutta la notte. Purtroppo, Noah, aveva imparato da sempre che il dovere aveva sempre la precedenza sul piacere.
Evelyn, dal canto suo, non sembrò troppo dispiaciuta per il modo in cui l'aveva trattata. Gli sorrise dolcemente, e lo seguì lungo il corridoio stretto, senza aggiungere altro.
Quando uscirono all'aperto, ritrovandosi in quella che poteva sembrare un'arena, le stelle illuminarono debolmente la fortezza.
Il silenzio insospettì immediatamente Noah. C'era qualcosa che non andava, lo sentiva.
«Non mi piace...» mormorò portandosi al centro della piccola piazza.
Perché non c'era nessuno?
Non fece in tempo a formulare altre domande.
Fu solo un attimo.
In un attimo delle torce si accesero, rivelando circa cinquanta licantropi armati.
Erano circondati.
Noah si guardò intorno in cerca di una via di fuga, pensando a cosa potesse fare. Davanti agli occhi gli si presentarono milioni di scenari possibili. Fu talmente preso da tutte quelle idea funeste, da dimenticare che Evelyn era totalmente scoperta.
Si voltò verso di lei, ponto a raggiungerla, ma con sorpresa e maledicendosi per la sua stupidità, scoprì che qualcun altro la teneva stretta.
Brandon, il fratellastro, le teneva le braccia dietro alla schiena con una mano e con l'altra la minacciava con un coltello.
Era una trappola.
Come aveva potuto pensare che Alastair, avesse in mente di battersi lealmente?
«Lasciala andare, e vivrai» disse Noah con calma, ma deciso. Fece del suo meglio per trattenere la bestia che gli si agitava dentro. Lo implorava di lasciarla andare.
L'altro rise sprezzante, una risata troppo simile a quella del padre. Le poche speranze di Noah, furono distrutte nei pochi istanti di quella risata. Aveva sperato che Brandon fosse diverso, magari una parte di lui si sarebbe potuta rivelare buona, ma a quanto pareva si sbagliava, di nuovo.
Mentre l'altro finiva la sua risata, accanto a lui apparve Alastair. Al suo seguito, come un bravo cane dedito al padrone, vi era Vic.
Noah ricordava vagamente il volto dello scagnozzo, ma il suo nome era marchiato a fuoco nella sua testa. Anche lui aveva partecipato all'uccisione del padre.
«Noah, ragazzo...» esordì Alastair con voce melliflua.
«Lasciatela» ripeté Noah con forza.
«Quante volte devo dirti che non puoi darmi ordini?» disse Alastair lasciando perdere le sue false buone maniere.
Noah strinse i pugni, osservando il viso di Evelyn. Era spaventata, non cercava neanche di dimenarsi per paura di tagliarsi con il coltello che ancora aveva attaccato alla gola.
«Come vedi, la tua signorina è con noi adesso» continuò Alastair accarezzando l'umana sulla guancia.
«Non toccarla!»
«Ti scopi le umane? Che razza di licantropo sei?» commentò poi Brandon, guardandolo dritto negli occhi.
Erano le prime parole che gli rivolgeva, e il suo sorriso maligno non preannunciava niente di buono. Avrebbe ucciso anche lui.
Senza aspettare oltre, Noah, cercò di trasformarsi. Richiamò a sé la forza di "colui che crea", la forza del suo lignaggio di Alfa. Ma, Brandon, prevedendo la sua mossa, spinse il coltello con più forza sulla gola cedevole di Evelyn. Dalla piccola ferita superficiale uscì del sangue e tanto bastò per bloccare il tentativo di attacco.
Non poteva rischiare di farla uccidere. Guardò con espressione sconfitta i tre nemici tanto odiati; non avrebbe potuto fare niente.
«Cosa devo fare?» chiese infine lasciando le braccia lungo i fianchi.
«Vedo che inizi a ragionare...» commentò Alastair giocherellando con i capelli di Evelyn. «Vic si avvicinerà a te e tu ti lascerai ammanettare, chiaro?»
La parte della mente di Noah, controllata esclusivamente dal suo essere Alfa, rifiutò categoricamente quegli ordini. Lui non poteva obbedire, nessuno avrebbe mai potuto impartirgli degli ordini. L'altra parte, invece, quella parte umana, osservò Evelyn e i suoi occhi spaventati.
«Avevamo un accordo...» disse poi cercando disperatamente di uscire da quella situazione; non aveva mai amato scegliere.
«Ma certo, la sfida. Credi davvero sia così meschino? La sfida avrà luogo questa notte, ma non avrai al tuo fianco la tua amichetta umana ad aiutarti. So che il morbo ha dato i suoi frutti...» rispose Alastair drizzando la schiena, mostrando i denti leggermente ingialliti.
Noah capì le sue intenzioni; avrebbe lottato, ma non prima di averlo torturato fisicamente e anche psicologicamente. Tipico di quel bastardo del sud. Per un attimo, solo per un attimo, aveva pensato di potercela fare facilmente.
«Non accettare, Noah!»
La voce tremante di Evelyn lo colpì in pieno, facendolo quasi boccheggiare. Il conflitto interiore, che gli divorava lo stomaco, si affievolì; avrebbe accettato le condizioni di Alastair. Evelyn era più importante e stava rischiando troppo.
«Accetto» sibilò a denti stretti.
«Come hai detto?» chiese Alastair con un lampo di luce mista a follia negli occhi.
«ACCETTO!» urlò Noah esasperato.
«Prendilo, Vic» ordinò infine il Rosso, rivolgendosi allo scagnozzo.
Vic, come se non avesse aspettato altro per tutto il tempo, si avvicinò velocemente, facendo dondolare tra le dita delle manette.
Noah lo guardò con disprezzo e poi cercò di tranquillizzare Evelyn con gli occhi. Lei non ricambiò lo sguardo, forse troppo delusa per farlo.
«Avanti, voltati» sbraitò Vic abbastanza vicino per poterlo toccare.
Noah obbedì, nonostante ogni suo muscolo gli inviasse segnali di allarme. Quando lo fece, il Rosso, lo colpì violentemente in mezzo alla schiena. Il rumore delle ossa riecheggiò nel silenzio della fortezza.
Noah trattenne il respiro, un dolore lancinante gli fece vibrare il corpo, ma non urlò.
«Tutto qui? Sbrigati lecca culo!»
Vic esitò per qualche secondo, ma poi lo ammanettò velocemente. Le manette non erano d'argento, ma per Noah fu come essere sul patibolo. La vergogna della sconfitta gli bruciava dentro.
Si voltò nuovamente, fino ad incontrare il viso pieno di cicatrici di Vic.
Il primo pugno lo colpì sullo zigomo, il secondo alla mascella. Anche questa volta Noah non urlò, non diede nessun segno di debolezza. Si concesse di sputare a terra il fiotto di sangue causato dalla lacerazioni all'interno della bocca.
Vic continuò a prenderlo a calci e pugni per un infinità di minuti. Noah non emise mai un suono, ma il suo cuore ebbe un cedimento quando, Brandon, portò via Evelyn. Sentirla urlare fu il dolore più grande; era abituato alla sofferenza fisica, per lui quei calci erano soltanto un leggero dolore sordo. Li avrebbe uccisi tutti, quello fu l'unico pensiero che riuscì a sollevarlo.
***
I sotterranei erano umidi e poco illuminati. Evelyn camminava a testa bassa, senza neanche sapere dove stesse andando. Non le importava la sua destinazione, i suoi pensieri erano soltanto per Noah.
Poteva ancora sentire il suono delle sue ossa spezzate, poteva ancora vedere il sangue che gli usciva dalle ferite inflitte. Si chiese dove lo avessero portato e cosa gli stessero facendo. A quel pensiero rabbrividì, incespicando sui suoi stessi passi.
Brandon la spinse prontamente, attento a non farla scappare. «Cammina» le disse mentre con la mano le teneva i polsi bloccati dietro alla schiena.
Lei si limitò ad obbedire, continuando a camminare.
Arrivati in fondo al corridoio, le celle iniziarono a scorrerle accanto in un ammasso di grigio scuro. Erano tutte vuote, ma qualcuno stava parlando nell'oscurità.
Evelyn aguzzò le orecchie, quelle voci le parvero familiari. Aumentò appena il passo, fino a raggiungere l'ultima cella a sinistra.
Ciò che vide dentro, le fece esplodere il cuore. Nuova speranza le si infuse nel corpo, lo stato di torpore di poco prima, diminuì, seppur lievemente.
«Zio!» urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Nota autrice:
Cari lettori, vi avverto che rimangono soltanto uno, al massimo, due capitoli ancora! Il primo volume de "I Lupi del Nord" sta per terminare.
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