La trappola
Capitolo 16
Che strano sogno.
Una lepre di colore grigio annusava l'aria con movimenti frenetici del naso roseo. Le orecchie lunghe si alzavano e muovevano in continuazione.
Evelyn riusciva a vederla, no, non la stava vedendo. La sentiva? Cercò di sforzarsi, di captare altri rumori.
Di nuovo buio intorno a lei.
C'era qualcosa che le vorticava nella mente, cos'era?
Noah.
La bestia.
Tutto tornò indietro e le immagini del sangue e del mostro le ritornano nitide dietro agli occhi chiusi.
«La bamboccia sta ancora dormendo?» quella voce familiare le arrivò immediatamente alle orecchie.
«Evelyn, mi chiamo Evelyn» mormorò lei tenendo ancora le palpebre abbassate.
«Si sta riprendendo» altra voce familiare; Beulah.
Evelyn finalmente aprì gli occhi. Si accorse di essere nel suo sacco a pelo, accanto a lei, Beulah la stava fissando con occhi cerchiati di nero e Willow faceva lo stesso dall'apertura a zip della tenda.
«Dimmi che ho ancora la gamba!» esclamò all'improvviso alzando il busto e scoprendo entrambe le gambe.
«Si, come vedi ci sono ancora entrambe»
Evelyn osservò minuziosamente il polpaccio ferito, o almeno, quello che sarebbe dovuto essere un polpaccio ferito. La pelle era candida e perfetta; non c'era nessun segno, neanche una cicatrice o dei punti di sutura.
«Santo cielo... ma come è possibile?» chiese voltandosi verso Beulah. «I Lupi dell'Ovest conoscono il segreto della medicina» rispose stancamente l'altra.
Evelyn la guardò meglio; il viso era cinereo e le labbra quasi violacee. «Medicina? Questa è magia» disse tirando un sospiro di sollievo. «Ma tu cos'hai?»
«Quello che ho fatto per te richiede molta energia. Sono solo stanca»
«Grazie, Beulah. Davvero, non so come ringraziarti»
«Grazie Beulah» intervenne Willow scimmiottando la voce di Evelyn per poi corredare l'imitazione con smorfie del viso. «Ci hai fatto quasi ammazzare tutti!» aggiunse poi seria.
«A me sembra di avervi salvato!» replicò lei alzando gli occhi al cielo.
«Dovrei prenderti a pugni»
«Peccato, l'ho già fatto io!» Evelyn sorrise compiaciuta.
«Stavolta lo faccio davvero» così dicendo Willow si intrufolò nella tenda riuscendo ad afferare soltanto il sacco a pelo.
«Smettila, Willow, mi stai facendo male» sbottò Beulah ritrovandosi con il ginocchio dell'amica che premeva sull'addome. «La uccido!» urlò ancora l'altra annaspando tra le coperte e un paio di cuscini.
Evelyn nel frattempo si era rannicchiata in un angolo, osservando la sua inseguitrice con occhi divertiti. Il divertimento, però, durò poco. Willow, dopo essersi liberata, riuscì ad afferrarle un braccio, tirandola verso di sé. «Eccoti piccola bamboccia»
«Non farle male» disse Beulah soffocando una risata.
«Questo è per essere entrata incamera mia...» così dicendo Willow strinse tra le dita la pelle morbida di Evelyn. «... e questo è per avermi dato un pugno» disse poi torcendole la pelle.
«Ehi, fa male!» esclamò la vittima tra un misto di ilarità e sbigottimento, strofinandosi il braccio che era stato appena pizzicato.
Seguì qualche istante di silenzio mentre le due ragazze si fissarono serie. Poi Evelyn non riuscì a frenare la risata sincera che le uscì dalle labbra screpolate.
Dopo poco Beulah fece lo stesso e, Willow, coprendosi la bocca con le mani, imitò le altre due, provocando un nuovo attacco di risa.
«Fuori. Tutte!» la voce dura di Noah raggiunse le ragazze, costringendole a tacere.
Beulah e Willow uscirono all'istante, mentre Evelyn le seguì poco dopo. Rivedere Noah le causò una fitta allo stomaco.
Per un attimo le tornò alla mente quello che era successo la notte precedente. I baci caldi, le mani che esploravano il suo corpo tremante, le foglie umide sotto alla schiena, i suoi occhi totalmente rapiti dalla passione che provava per lei.
Lo fissò negli occhi, cercando di ritrovarvi la passione con cui l'aveva guardata e la dolcezza con cui le avevano trasmesso ciò che provava, ma in quel momento vi vedeva soltanto nero e rabbia.
«Willow, prendi questa» sempre con voce atona, Noah, passò una corda alla sorella. «Legala» ordinò infine.
Willow corrugò la fronte. «Ma che diavolo stai dicendo?»
«Fa ciò che ti ho detto!»
Evelyn sobbalzò sentendo la durezza di quella voce. Come era possibile? Soltanto poche ore prima le aveva parlato con una tale dolcezza.
La bionda, titubante, si avvicinò all'umana, portandole le mani dietro alla schiena e infine legando i polsi sottili.
«Adesso puoi spiegare?» intervenne Beulah con sguardo interrogativo.
«È una spia.»
I due licantropi femmina si guardarono incredule. Mentre Evelyn, si morse il labbro inferiore. Perché la trattava in quel modo? Gli aveva spiegato tutto, lei non sapeva niente. Se avesse saputo che il suo collega non era altro che un bugiardo non lo avrebbe mai assecondato.
«Lei? Una spia, andiamo Noah!» esordì Willow incrociando le braccia sul petto.
Noah socchiuse gli occhi, sibilando a denti stretti. Dopo qualche secondo di silenzio, raccontò ai presenti ciò che aveva scoperto.
«Io non lo sapevo!» urlò Evelyn con voce stridula dopo aver ascoltato ciò che Noah aveva da dire.
«Zitta, adesso sei mia prigioniera» replicò lui inviandole occhiate fiammeggianti di ira.
«Io le credo. Non senti che è sincera?» disse Beulah dopo aver riflettuto.
«Beulah ha ragione. La bam... Evelyn è sincera, lo sento anch'io» confermò Willow avvicinandosi al fratello.
Evelyn osservò le due donne con sorpresa; la stavano difendendo. La bionda l'aveva addirittura chiamata per nome per la prima volta. Improvvisamente si sentì in colpa, non meritava di essere difesa. Si era lasciata accecare dalla fama, infischiandosene di quelle persone che avevano cercato di aiutarla.
«Vi siete per caso rimbambite? Tutto il nostro lavoro, tutti i nostri piani potrebbero essere compromessi. Credete che sia un gioco? Vi rendete conto di ciò che stiamo rischiando, di ciò per cui dovremo combattere?»
Noah si fermò, non voleva essere troppo duro. «L'umana verrà con noi e sarà mia prigioniera. È un ordine, non voglio storie» dopo di che si allontanò in silenzio.
***
Stavano camminando da ore. Niente soste, nessun contrattempo. Noah camminava accanto a Uncas in rigoroso silenzio, mentre le donne si tenevano a qualche metro di distanza.
Vedere Evelyn con i polsi legati lo rendeva inquieto. Anche lui sentiva che era sincera, ma non avrebbe mai messo in pericolo il suo branco.
Voleva soltanto dimenticare quello che era successo la sera precedente. Aveva sbagliato tutto, non avrebbe mai dovuto baciarla. Nonostante la consapevolezza dell'errore che avrebbe commesso, nonostante il terrore di farle del male, non era riuscito a trattenersi. Perché? Quegli occhi grandi e grigi erano per lui una sorta di tortura piacevole, erano un'ancora di salvezza in mezzo al mare in tempesta.
La voleva.
La voleva anche in quel momento.
In quei due anni aveva provato ad ignorarla, a non pensarla. Ma, in un continuo di emozioni, durante le notti di solitudine, la sua mente lo riportava alla ragazza della panchina.
Lui non poteva permettersi la felicità, e di certo non meritava le attenzioni di quella ragazza. Perché mai avrebbe dovuto? Cosa aveva da offrire in cambio? Odio? Rabbia?
Era sporco.
Il suo animo stava marcendo lentamente, l'oscurità lo avrebbe preso.
Lei ti ha portato indietro, è riuscita a sottrarti dalla melma.
Chiuse per un attimo gli occhi. Non voleva pensarci, non voleva.
«Fratello, smettila di torturarti» esordì Uncas con un mezzo sorriso.
«Mi sono dimenticato di ringraziarti. Sei più forte» ammise Noah ignorando deliberatamente il consiglio.
«Già, dovremmo lottare un giorno di questi» disse fermandosi. «Cosa farai con l'umana? Credi che il morbo...»
«Non dirlo!» esclamò Noah irrigidendo i muscoli.
«Dovrai affrontare questo argomento prima o poi»
«Cazzate. Non ha sintomi»
«Per adesso...»
Noah scosse la testa, riprendendo a camminare.
«E comunque non puoi tenerla prigioniera» concluse Uncas seguendolo.
«Uncas, sei come un fratello per me, ma ricorda che sono il tuo Alfa»
«Oh, lo so bene e farò tutto ciò che mi chiederai. Ma tu ricorda che non hai colpe, so per certo che riprenderai la riserva, il tuo branco e il morbo scomparirà»
Noah rispose con un semplice cenno del capo. Non era sicuro che il morbo sarebbe scomparso; lo sentiva muoversi dentro di se, lo chiamava a gran voce.
Un solitario.
Nessuna punizione sarebbe mai stata tanto crudele. Vivere senza affetto, senza le persone care, senza amore. Ma lui aveva mai veramente amato qualcuno? La risposta gli arrivò chiara; no, non lo aveva mai fatto.
Non poteva, non voleva.
La voglia di vendetta lo riempiva e soddisfaceva, non c'era spazio per altri sentimenti.
Ma la ragazza della panchina...
Di nuovo quella voce che lui, con grande forza di volontà, cacciò via all'istante.
«Se ti piace quella ragazza, prendila non ferirai anche lei. Beulah se ne farà una ragione» continuò Uncas osservando le fronde più alte di un albero.
Questa volta Noah si fermò con uno sguardo sbigottito sul viso che durò soltanto un istante.
"Non ferirai anche lei"
«L'ho già fatto» disse infine con disgusto nella voce.
«Non mi riferivo a ferite visibili...».
***
«Voglio fare una pausa. Ho fame e sete e le gambe potrebbero cedermi. Avete idea di quanto sia difficile per me?» sbraitò Evelyn fermandosi lungo la via.
Indirizzò occhiate offese verso le altre, ma ottenne soltanto silenzio. «No, credo proprio di no» concluse con dispiacere.
La corda iniziava ad irritarle la pelle e la rabbia iniziava a prendere il sopravvento sul senso di colpa. Noah non era il suo capo, pensava di averglielo fatto capire.
«Il silenzio è così bello» rispose Willow con una sigaretta tra i denti.
«Dovresti smettere, le sigarette fanno venire il cancro!»
«I licantropi sono immuni alle malattie degli umani»
Evelyn stava per risponderle quando qualcosa attirò la sua attenzione. Un topo dal pelo marrone saltellava sotto al tronco di un albero caduto.
La tentazione di afferrarlo era così forte che per poco non cadde in avanti.
«Ma che diavolo stai facendo?» chiese Willow afferrandola da dietro.
Il topo non c'era più.
Evelyn dovette sbattere le palpebre più volte prima di tornare in sé. «Niente, mi era sembrato di vedere...»
Beulah, che nel frattempo aveva continuato a camminare, le corse subito incontro. «Cosa? Cosa hai visto?» chiese più allarmata del dovuto.
«Io...credo di essere soltanto stanca» rispose lei sospirando. Non vedeva alberi caduti e neanche topi. Perché quella visione? Stava impazzendo davvero.
«Che succede?» chiese Uncas raggiungendole.
«Evelyn si lamenta, tutto nella norma» rispose Willow avvicinandosi alla ragazza. «Vero?» chiese poi dandole una pacca sulla schiena che la lasciò senza fiato.
«Cristo, volevi forse farmi uscire un polmone?»
«Avanti, continuiamo» tagliò corto Beulah.
Prima di riprendere il cammino fissò Evelyn per qualche secondo. Quello sguardo insistente e serio le fece alzare un sopracciglio; cosa stava cercando?
Evelyn, nelle due ore successive, continuò a parlare senza sosta. Se non volevano liberarla, avrebbero dovuto sopportare la sua loquacità.
I licantropi erano tutti così silenziosi?
Dopo essere inciampata per l'ennesima volta su una roccia appuntita, alzò lo sguardo verso Noah, e sorrise pensando a Margot.
"Chiappe di marmo"
Le mancava, e in quel momento desiderò di averla accanto a sé. Chissà come avrebbe reagito se avesse saputo di quello che era successo tra lei e lo sconosciuto.
Già, ma cosa era successo? Noah sembrava essersi completamente dimenticato di quegli attimi. Eppure in lei quei ricordi erano più vivi che mai, poteva sentire ancora il tocco delle sue dita.
A quel ricordo arrossì; anche se per poco lo aveva avuto sopra di lei. Si pentì di avergli rivelato la sua bugia proprio in quel momento.
Santo cielo, Eve! Datti una calmata!
Si ammonì mentalmente, ma non funzionò. Lo volevo, che c'era di male? Cercò di ricordare l'ultima volta che era stato con un ragazzo. Calcolò velocemente, e il risultato la stupì; tre anni.
Che tristezza. E poi mi lamento se fantastico su uno sconosciuto. La mia non è pazzia,f orse mi serve soltanto una sana scopa...
«Ragazzi, lo sentite? Siamo nel territorio della riserva»
L'urlo di gioia di Willow la riportò alla realtà, e con l'ennesimo rossore sul viso, constatò che fosse meglio così.
La vide correre verso due enormi alberi dalla corteccia bianca. Era così felice che Evelyn sorrise a sua volta anche se non ne capiva il motivo.
Quello che successe un attimo dopo fu troppo veloce e confuso per i suoi occhi da umana.
Willow, da prima in piedi e sorridente, adesso era a terra, il sangue che le colava dalla nuca. Accanto a lei, un uomo dai capelli rossi, l'aveva colpita con il calcio di un fucile.
«NO!» gridò Noah iniziando a correre.
Che diamine stava succedendo? I licantropi corsero verso il nuovo arrivato, mentre Evelyn li seguì con qualche difficoltà.
Una volta arrivata, notò che non vi era soltanto un uomo, ma almeno dieci e tutti impugnavano dei fucili.
Una trappola.
Noah, ad una velocità straordinaria, prese l'arma del rosso e la spezzò a mani nude, poi prima di poterlo colpire, una voce lo bloccò.
«Fermo, abbiamo l'argento. Se non vuoi che tua sorella muoia, fai un passo indietro»
Evelyn sobbalzò, riconosceva quella voce.
Patrik uscì allo scoperto, avvicinandosi a Willow ancora a terra e confusa per il colpo subito.
Noah, lo osservò con un misto di odio e disgusto. Con rabbia lasciò il rosso e si allontanò di qualche centimetro. Uncas intanto digrignò i denti, pronto ad attaccare in qualsiasi momento.
«Ci penso io» sussurrò Noah verso l'amico per poi tornare a guardare Patrik. «Lascia andare mia sorella»
Patrik rise di gusto, osservando tutti i presenti. Poi, abbassandosi, afferrò Willow per i capelli tirandola di peso verso l'alto. Dopo di che, con gesti precisi e veloci, l'ammanettò approfittando del momentaneo stordimento.
Un urlo di dolore lacerò l'aria, seguito da un odore acre di pelle bruciata. I polsi di Willow presero immediatamente un colore rossastro, la pelle si riempì di vesciche in pochi secondi.
«Argento» concluse Patrik con il solito sorriso soddisfatto sulle labbra.
Evelyn osservò la scena con orrore. Poi si voltò verso Noah. Quando incontrò quegli occhi pieni di odio ebbe paura; non erano gli stessi occhi della bestia, quella rabbia era più profonda e ancestrale.
Fino a quel momento non si era resa conto di quanto fosse pericoloso quel viaggio, di quanto fosse importante per loro e di quanto lei si fosse comportata da incosciente.
La vita di quelle persone e anche la sua, erano seriamente a rischio.
Il senso di colpa, inesorabile e pesante, le piombò nuovamente addosso.
Spazio autrice:
Come avete potuto vedere ho una nuova, splendida copertina che è stata creato da Skadegladje!
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