La resa dei conti: parte I

Capitolo 25


«E così ti hanno tagliato un dito.»

Evelyn cercò di parlare con calma, ma dopo i racconti agghiaccianti di suo zio, l'agitazione iniziò nuovamente a farsi strada dentro di lei.

Lo aveva abbracciato e baciato un'infinità di volte dopo essere stata rinchiusa a sua volta nella cella. Aveva fatto lo stesso con Willow, nonostante quest'ultima cercasse di sfuggire ai suoi abbracci.
Entrambi erano ridotti male. Ricoperti di sangue e ferite sembravano appena usciti da un apocalisse zombie. 

«Ehi, non sai quanto le donne amino le cicatrici» rispose Quentin stringendo ancora una volta la nipote. «E poi Willow sa il fatto suoi, mi ha guarito lei.»

Evelyn sospirò, vedere che lo spirito di suo zio era sempre lo stesso, la tranquillizzò. Poi portò lo sguardo verso Willow. «Grazie...»

L'altra sbuffò, roteando gli occhi verso il soffitto ammuffito. «Non sarei riuscita a sopportare un altro chiacchierone.»

Evelyn cercò di sorridere, ma al pensiero di Noah, ridivenne seria. «Come facciamo ad aiutarlo?»

Aveva già raccontato cos'era successo, e tutti e tre si erano resi conto di essere totalmente impotenti. «Non posso neanche avvicinarmi alle sbarre. Se fossero di semplice ferro avrei potuto abbatterle facilmente!» esclamò Willow alzandosi in piedi e iniziando a camminare incerchio.

Evelyn rifletté velocemente, cosa avrebbe dovuto fare? 

«Aspetta, potrei farlo io!» disse poi raggiungendo Willow. 

«Tu? Abbattere le sbarre?»

«Ricordi il morso che mi ha quasi uccisa?»

Willow sembrò pensarci. Poco dopo, i suoi occhi si spalancarono; aveva capito. «Sei un non-lupo...» sussurrò poi quasi con timore.

«Si. Noah mi ha detto che alla prima luna piena mi sarei trasformata.»

«Eve, sei una bamboccia geniale!» Willow la baciò su una guancia e poi scoppiò a ridere. Evelyn sorrise a sua volta, era bello vederla felice.


***


La stanza in cui si trovava era poco illuminata e maleodorante. L'odore metallico del sangue impregnava le pareti e i pavimenti.
Gli occhi di Noah vagarono nello spazio angusto, fino ad arrivare al viso di Brandon; se ne stava immobile e lo osservava come se fosse un verme infilzato nell'amo.

Non gli ci volle molto per capire che quella era una vera e propria camera delle torture. Lo avevano legato ad un palo con mani e piedi bloccati da spesse catene d'argento.
Sentiva il viso pulsare. Non ricordava neanche quanti pugni e calci gli avessero dato. Grandi gocce di sudore, miste a sangue, gli colavano lungo l'addome scolpito.

«È doloroso, vero? » chiese il suo aguzzino prendendo una frusta alle cui estremità vi erano attaccati pezzi di ferro appuntiti. Dopo aver soppesato l'arma con la mano, fissò la carne martoriata del suo prigioniero. «Ho sentito molte storie su di te. Pensavo sarebbe stato più difficile piegarti, non hai neanche reagito. Adesso guardati, sei solo un debole.»

Noah sputò a terra e poi alzò la testa. Ogni centimetro del suo corpo implorava aiuto, era ridotto davvero male, ma di certo non avrebbe fatto notare la sua sofferenza. «Capirai presto il vero significato del dolore.»

Brandon sbuffò e in un attimo fu di nuovo vicino a lui. Lo afferrò saldamente per i capelli, obbligandolo ad alzare il collo in una posa innaturale.

«Caro fratellone, sei già morto, lo capisci? Non c'è futuro per te.»

Noah poté sentire l'alito acido del fratellastro sul viso. Rimase impassibile come al solito, osservandolo a lungo, contemplando la loro somiglianza fisica. Anche in lui scorreva il sangue del Nord e degli Alfa, ancora non poteva crederci. I suoi antenati si sarebbero rivoltati nelle loro tombe se avessero saputo della sua esistenza. 

Lo odiava.

Lo odiava più di quanto odiasse Alastair.

Sentendosi sempre più sconfitto,Noah, cercò di colpirlo con la fronte, ma non riuscì nel suo intento. Così, sentendo nuovamente il sapore del sangue in bocca, sputò, centrando l'occhio color del ghiaccio dell'altro.

Brandon, preso alla sprovvista, si asciugò la salvia con una mano. «Bastardo...» disse poi cercando di ritrovare la calma. 

«Sei tu il vero bastardo» replicò Noah sorridendo nonostante le labbra gonfie e il morale a terra.

L'altro non reagì, si limitò ad alzare il braccio. Con una mossa decisa lo colpì con la frusta, lo schiocco fu acuto. I piccoli pezzi di ferro si attaccarono al costato di Noah, strappando brandelli della sua pelle.

Cercò di trattenere la smorfia di dolore che si impadronì del suo viso, ma fu troppo difficile anche per lui.
L'altro sembrò apprezzare e con un sorriso sulle labbra calò nuovamente la frusta sul torace. 

«Scommetto che fa male!» urlò Brandon, colpendolo ancora per tre volte.

Il petto e la pancia di Noah ormai grondavano di liquido cremisi, la vista gli si annebbiò per qualche secondo. Strinse i denti, mordendosi l'interno della guancia per sfuggire al dolore più forte. 

«Bastardo» mormorò, tenendo la testa bassa.

Brandon alzò nuovamente il braccio, ma il rumore del chiavistello della porta lo bloccò. Elisabeth, con occhi seri, entrò nella stanza. «Esci» disse poi al figlio minore.

«Madre, cosa state facendo?» chiese quest'ultimo sbalordito dalla sua presenza. «Esci. Subito!» ripeté lei senza la minima esitazione.

Brandon guardò Noah per qualche secondo e poi riportò lo sguardo verso la madre. «Mio padre mi ha detto...» fu immediatamente interrotto. 

«Io sono tua madre e ti ordino di uscire» rispose Elisabeth guardandolo in cagnesco.

L'altro, indeciso sul da farsi, rimase fermo per qualche secondo. Dopo di che, posò la frusta e si avvicinò alla porta. «Non la passerai liscia» disse uscendo.


Rimasti da soli, Noah cercò di mettere a fuoco la figura di donna ancora ferma davanti alla soglia. I contorni del viso presero forma, fino a rivelare il viso perfetto di sua madre. Quegli occhi pieni di rimorso e compassione lo innervosirono. 

«Cosa vuoi? Non ho bisogno di te!»

Elisabeth si guardò attorno, fortemente a disagio. Notò delle pezze di lino sul tavolo e dell'acqua in un catino, decise di afferrarle per poi avvicinarsi a Noah.
Prese la stoffa e la intinse nell'acqua per poi poggiarla sul viso sporco del figlio. Immediatamente il colore candido del lino si tramutò in un rosso scuro.

Noah osservò la scena con titubanza. «Cosa vuoi?» ripeté dimenandosi per sfuggire a quel tocco. 

«Sto cercando di prendermi cura di te» rispose Elisabeth concentrata sui tagli profondi.

«Come hai fatto con Brandon? Non provavi ribrezzo ad avere quell'essere dentro di te? Generato da un pazzo, l'uomo che ha ucciso tuo marito!»

A quelle parole, Elisabeth fece cadere la stoffa bagnata. «Mi ha obbligata...»

«Sei una traditrice!» urlò nuovamente Noah.

«Io... non puoi dirmi questo»

«Hai cresciuto un mostro...» Noah era preda dell'ira. Vomitò addosso alla madre tutta l'amarezza, tutto il dolore che aveva provato in quelle ore e in tutti gli anni del suo esilio forzato.

Elisabeth aprì la bocca, ma non ne uscì nessun suono. Arrendendosi di fronte allo sfogo del figlio, abbassò le spalle, prendendo tra le mani il viso gonfio e dolorante. Lo baciò delicatamente sulla fronte e poi lo strinse a sé.
Noah fu investito dal profumo della madre. La sua infanzia ritornò prepotentemente a galla, costringendolo a ricordare momenti felici e spensierati.

Gelsomino.

Pancake.

Profumo di casa.

«Lo so, hai sofferto. Avrei preferito morire piuttosto che costringerti ad una vita da fuggitivo, ma Alastair mi disse che se mai ti avessi cercato, avrebbe ucciso te e Willow. Io ti amo Noah, sei mio figlio, ti ho sempre amato.» sussurrò lei accarezzandolo dolcemente sulla testa.

«Ho rovinato tutto» ribatté lui abbandonandosi a quella stretta. 

«Alastair è malvagio, sapevo che non avrebbe combattuto lealmente. Ma ancora non è finita, piccolo mio.»

Noah alzò un sopracciglio. «Cosa intendi dire?» chiese curioso. 

«C'è qualcuno che vuole vederti.»



***


Evelyn chiuse gli occhi.

Era passata più di un'ora, ma le nuvole non volevano saperne di spostarsi per filtrare la luce lunare che avrebbe dovuto trasformarla.
Se si concentrava, poteva sentire alcuni odori e suoni lontani, ma niente di più.

«Non riesco!» esclamò aprendo le palpebre. 

«Per forza. Queste cazzo di nuvole sono troppo spesse» rispose Willow stancamente. «Siamo di nuovo nella merda.»

Quentin, ancora seduto e meditabondo, si portò una mano sulla fronte. «Ho sbagliato tutto. Mia nipote è diventata un lupo mannaro.»

Evelyn sorrise, avvicinandosi. «Non è il momento di mettere in dubbio le tue capacità, zio.»

Lui la guardò appena. «Ma certo! È il sogno di ogni zio vedere la propria nipote trasformata in un essere con peli e artigli!»

Evelyn alzò un sopracciglio. «In tutti i tuoi viaggi non hai mai visto un licantropo? Pensavo fossi una persona aperta ad ogni possibilità...»

«Certo, lo sono, ma questo...»

I due furono interrotti bruscamente da Willow. Appostata di fronte alla piccola apertura sbarrata che fungeva da finestra, osservava il cielo con occhi speranzosi.

«Silenzio, la Luna Rossa è nel cielo.»


***


Noah sbatté le palpebre per qualche secondo. Chi poteva essere il misterioso arrivato? Osservò ancora una volta sua madre, cercando di capire cosa stesse succedendo.

Elisabeth sorrise, andando verso la porta. L'aprì, per poi guardare con circospezione il corridoio immerso nel buio.
Dopo poco, una figura si presentò davanti a lei. Per un attimo Noah pensò che fosse Brandon, tornato per finire il suo lavoro di torturatore. Tuttavia, l'odore familiare che arrivò al suo naso, gli fece capire chi fosse veramente.

Uncas entrò adagio nella stanza, guardandolo con curiosità. «Si sogno impegnati, eh?» disse avvicinandosi all'amico. «Sei uno schifo.»

Noah sorrise. Vedere Uncas in quel momento fu come bere acqua fresca. Lui, suo unico amico, l'unica persona che poteva considerare come un fratello. 

«E tu ti sei guardato allo specchio?»

«Meglio evitare. Adesso dobbiamo cercare di togliere quelle catene»

«Sono d'argento...» replicò Noah.

Elisabeth si intromise tra i due. «Faccio io, voi dovete rimanere in forze» così dicendo, si avvicinò a quel metallo corrosivo. Prese la pesante catena tra le mani, e usando la sua forza di licantropo, cercò di romperla. Le mani iniziarono ad ustionarsi velocemente, ma lei non mollo la presa. In pochi secondi le grosse maglie cedettero e Noah fu finalmente libero.

I polsi e le caviglie di Noah, erano solcati da grandi ferite bruciacchiate. Per un attimo le sue gambe deboli cedettero, costringendolo ad aggrapparsi ad Uncas per non cadere.

«Ehi, bello, devi trasformarti» disse quest'ultimo. 

«Aspetta, una volta trasformato gli altri ti sentiranno» replicò Elisabeth.

«Cosa proponi di fare?»

«Appena sarai completamente guarito, corri nella sala degli alfa. Sai dove si trova, vero? Alastair è solo, sarà un buon momento per attaccare.»

Noah rifletté su quelle informazioni. Al solo pensiero di poter uccidere quel bastardo si sentì meglio, stava per arrivare la sua fine. «Uncas verrà con me, tu devi pensare a nasconderti» rispose poi.

Elisabeth scosse la testa. «No, prima andrò da tua sorella e dagli umani.»

Il cuore di Noah sussultò. 

Evelyn.

Evelyn era prigioniera. Sperò che non le avessero fatto niente di male. 

«La ragazza umana...» esordì cercando di celare i suoi sentimenti. 

«La tua compagna...» commentò la madre con sguardo malizioso. I suoi sforzi non erano serviti, sua madre aveva già capito cosa provava. 

«Tienila d'occhio» concluse Noah frettolosamente.

«Bene. Fate attenzione» Elisabeth diede un ultimo bacio sulla guancia del figlio e poi scomparì in fretta nel corridoio di pietra.

«Avanti, trasformati» disse poi Uncas. «Dobbiamo vendicare Beulah.»

Noah annuì, deciso.

In pochi secondi, al posto della figura umana di Noah, vi era un enorme lupo bianco. Rimase in quella forma fino a quando non sentì le ferite richiudersi, fino a quando il dolore scomparì del tutto.

«Sei pronto?» chiese Uncas.

«Andiamo, abbiamo poco tempo»

I due licantropi, ormai entrambi in forma di lupo, iniziarono a correre.

La fine era vicina.


***


«E quindi? Cosa dovrebbe succedere?» chiese Evelyn spezzando il silenzio che si era creato nella cella.

Willow guardò nuovamente la luna, traendo da essa nuova energia, poi posò lo sguardo sull'umana. «Avvicinanti» disse indicandole le sbarre della piccola finestra.

Evelyn obbedì.

«Sarai estremamente pericolosa dopo la trasformazione. Cerca di pensare lucidamente, io penserò a tuo zio»

Quentin, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, alzò una mano per far capire che a lui non serviva nessuna protezione.

Evelyn non lo vide neanche. Nell'istante in cui i suoi occhi incontrarono la Luna Rossa, tutto sparì. C'erano soltanto lei e l'enorme sfera grigiastra ma contornata di rosso.

Le sue pupille furono invase dalla luce lunare e qualcosa iniziò a cambiare. Un'energia mai provata fino ad allora, iniziò a farsi strada dentro di lei. Fu come un'esplosione silenziosa, tuttavia così forte da emanare raggi potenti tutt'attorno.

Poco dopo, un rumore sordo, le fece abbassare lo sguardo; le sue ossa stavano cambiando forma. Il dolore arrivò immediatamente, facendola urlare e piegare su se stessa. 

«Fa ma... le...» urlò. 

La pelliccia, totalmente nera, iniziò a ricoprire il corpo semi trasformato. Le unghie, corte e curate, si allungarono per diventare enormi artigli scuri. I denti, le facevano male mentre si allungavano e prendeva una forma ricurva.

Credette di impazzire a causa del dolore, era insopportabile, logorante, fastidioso, era...

Con uno schiocco, la colonna vertebrale si piegò, ma non provò niente. 

Ormai era  un non-lupo e il suo unico pensiero fu quello di uccidere le due persone accanto a lei. 

Sangue, voleva sangue.

«Perché ci guarda così? Sembra che voglia mangiarci...» chiese Quentin attaccandosi al braccio di Willow. 

«E tu eri quello coraggioso?» lo schernì lei sorridendo. «Probabilmente è proprio ciò che ha intenzione di fare.» poi si voltò verso Evelyn. O almeno quello che ne rimaneva. Avevano a pochi centimetri di distanza una bestia alta due metri dal pelo nero e gli occhi rossi come due rubini incastonati in mezzo al cranio enorme. 

 «Evelyn, mi senti?» azzardò Willow.

L'animale digrignò i denti, guardandosi intorno confuso, annusando l'aria. 

«Ehi, Eve,accuccia!» esclamò lo zio indicandola con il dito indice. 

«Sta zitto idiota! Ti farai ammazz...» Willow non riuscì a finire la frase.

Evelyn abbatté in pochi secondi le sbarre d'argento, catapultandosi fuori con una forza inaudita. Le mura vibrarono e il metallo tintinnò sul pavimento.

«Vai, Eve!» urlò Willow ridendo a più non posso. «Avanti zio T, andiamo a spaccare qualche culo!» senza dargli il tempo di rispondere, si portò Quentin sulle spalle e corse nel corridoio.

Evelyn era già scomparsa nell'oscurità. Ma l'ululato che li raggiunse poco dopo, riuscì a scuotere l'intera fortezza.


Note autrice:
Carissimi lettori, il prossimo capitolo sarà l'ultimo! Ma scriverò anche un
epilogo perché sono buona u.u



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