La Bestia

Capitolo 14

Il vento gelido le alzava debolmente i lunghi capelli castani. Gli occhi grigi erano pronti a cogliere ogni piccolo movimento nascosto nel buio. Le gambe, mosse da una istinto che non sapeva controllare, la stavano portando al pericolo.
Perché stava andando da Noah? Ancora non lo sapeva, la sua parte razionale le mandava impulsi dolorosi alla testa cercando di farle cambiare idea.
Evelyn camminava, anzi, si ritrovò a correre.
Non le importava del freddo, e non le importava di ciò che l'altro avrebbe potuto farle.
Attraversò una piccola radura ricoperta di foglie morte che emanavano un odore acre di terra. Per un attimo pensò di essersi persa, ma poi, avvicinandosi ad un enorme cespuglio ricoperto di spine, lo vide. Se ne stava in piedi, immobile e con la schiena dritta. Sempre il solito portamento impeccabile anche quando era arrabbiato, perché non poteva mostrare ciò che provava?

«Va via» ordinò subito Noah senza degnarla di uno sguardo.
Evelyn non lo ascoltò, andò dritta da lui, fermandosi a pochi metri di distanza. Era masochista? Le piaceva il dolore che lui sapeva infliggerle? No, non era questo il motivo per il quale lo aveva raggiunto. Era stata la gelosia a farla muovere.
Aveva ascoltato le parole di Beulah con freddezza, cercando di rimanere calma e distaccata, ma si era soltanto presa in giro. Lei dopo due anni di attese su la fatidica panchina, aveva ricevuto in cambio soltanto dei lividi, e l'altra? Lo meritava forse di più?
Era Beulah il vero pericolo. In quel momento tutto le fu chiaro; Beulah con la sua bellezza che rasentava la perfezione avrebbe potuto portarselo via in qualunque momento. Ma Evelyn era più decisa che mai, non sarebbe rimasta a guardare mentre le portavano via il suo sogno. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti e questa volta lo avrebbe fatto sul serio.
«No, non me ne andrò» rispose infine con decisione. L'altro si voltò lentamente verso di lei. «Sparisci» sibilò a denti stretti.
«Lo trovi piacevole? Pensi ti faccia bene darti colpe che non hai? Dici di essere un incubo, ma sai una cosa? Sei soltanto l'incubo di te stesso»
«Basta, sta zitta!»
Il respiro di Evelyn si fece affannato, pensò che il cuore le sarebbe scoppiato nel petto, ma ormai aveva iniziato e non voleva smettere proprio in quel momento. Le sue emozioni si stavano incanalando in un'unica direzione. Era arrivata al limite, se non avesse buttato fuori tutto ciò che aveva trattenuto per così tanto tempo sarebbe impazzita sul serio.
«La prima volta che ti ho visto... avevi lo sguardo preoccupato e anche infinitamente triste. Mi chiesi cosa ti fosse successo, cosa si nascondesse dentro di te. E poi c'erano i tuoi occhi, così rari e perfetti, avrei potuto perdermi in quel mare oscuro che si agitava dietro a quelle pupille così strane e...»
«STA ZITTA!» urlò nuovamente Noah portandosi le mani sulle tempie.
«Devi solo ascoltare! Io ti voglio Noah... ti desidero così tanto da provare dolore quando mi stai vicino! Non faccio altro che pensare a te...per molto tempo mi sono chiesta se avessi qualche problema. Si può provare qualcosa per un emerito sconosciuto? Poi mi sono resa conto che tu mi fai stare bene, anche solo vedendoti per cinque minuti ogni giorno...»
L'altro si avvicinò, affondandole le mani nei capelli soffici. Lei rimase ferma, continuando a fissarlo negli occhi.
«Hai paura di farmi male? Hai paura di ferirmi come hai ferito Beulah?»
Le pupille di Noah si dilatarono per la sorpresa. «È stata lei?»
«Mi ha raccontato...»
«Non sai niente!» ruggì lui stringendole la testa. Avrebbe potuto schiacciarla con facilità, come una piccola noce.
«Io non ho paura di te» la voce di Evelyn era ridotta ad un sussurrò.
Poteva sentire il respiro dell'altro sulla sua pelle, poteva sentirne l'odore e il calore che emanava il suo corpo.
«È proprio questo il problema, non lo capisci? Tu dovresti, devi, avere paura di me. Potrei ucciderti, qui, proprio in questo istante e tu non avresti neanche il tempo di capirlo»
«E perché non lo fai?» chiese Evelyn sfidandolo con lo sguardo. Noah le sbuffò sul viso, evidentemente irritato da quella domanda.
«Avanti, fallo» continuò lei portando le mani sui fianchi di lui.
«Se ti facessi del male io...» senza finire la frase Noah si staccò da lei.
«Cosa? Almeno per una volta dimmi cosa pensi veramente!» sbottò Evelyn esasperata da quella situazione in perenne bilico.
«Io non me lo perdonerei mai!» concluse lui.
I due si guardarono, l'uno di fronte all'altra, entrambi con il cuore in gola. Quegli attimi sembrarono infiniti, come se il tempo e lo spazio si fossero bloccati a quegli unici secondi di una sguardo che sarebbe potuto durare per sempre.
«Anch'io ricordo il primo giorno, sai? Avevi i capelli legati in una coda e indossavi un vestito corto e verde... sono quasi inciampato sul tuo sguardo, per un attimo ho temuto che potessi leggermi nel pensiero. Eri così pura e innocente, così buona! La tua luce mi aveva quasi accecato» Noah parlò con calma, riflettendo su ogni singola frase.
Evelyn sentì il sangue scorrerle nelle vene, il pulsare martellante del suo cuore nel petto. Allontanarla da lui era soltanto il modo in cui le dimostrava il suo interesse?
Era tutto vero ciò che aveva appena detto; indossava quel vestito e ricordava di avere i capelli legati. Anche lui aveva memorizzato ogni minimo particolare di quel giorno.
«Noah...»
Prima di poter continuare, Noah le fu di nuovo vicino. Le cinse la vita sottile, attirandola a sé.
Lei alzò il viso incontrando lo sguardo dell'altro. E adesso lo vedeva, vedeva ciò che provava, ciò che aveva sempre provato ma che aveva sempre tenuto nascosto.
Si mossero lentamente, e in un attimo, le loro labbra si unirono.
Fu come una scintilla che sfiora appena la polvere da sparo.
Fu come l'esplosione di una stella nello spazio infinito.
Era perfetto.
Le loro labbra sembravano state create appositamente per quel'unico momento; combaciavano alla perfezione.
Fu un bacio fuggevole, quasi dato con rabbia, ma che sprigionò una forza così potente da farle mancare il respiro.
Evelyn si abbandonò tra quelle braccia forti, ma quando cercò di insinuarsi con la lingua nella bocca morbida dell'altro, Noah si staccò da lei, provocandole un gemito di dolore.
«Ti prego non smettere» sussurrò ancora con gli occhi chiusi.
L'altro, per tutta risposta, l'alzò da terra, costringendola ad unire le gambe intorno al suo corpo. Poi, facendo qualche passo, l'adagiò su un mucchio di foglie ambrate.
«Dovresti scappare» disse Noah portandosi sopra al corpo minuto di lei. Evelyn non rispose, lo afferrò per la giacca di pelle, avvicinandolo al suo viso.
«Ti voglio. Adesso»
Noah la fissò ancora. Senza pensarci troppo strappò il cappotto dell'altra e subito dopo lacerò anche la felpa e il reggiseno sottostante.
Evelyn chiuse gli occhi. Era arrivato il momento, il loro momento, l'avrebbe avuto soltanto per se. Tutti i suoi sogni ad occhi aperti, ogni minuto speso su quella panchina, sarebbe stato ripagato. Il tocco di quelle mani grandi e forti, sapeva essere gentile e bruciante di passione.
Era così bello e...
Qualcosa si affacciò tra i pensieri di Evelyn; Patrik, l'articolo. E in quel momento, con tutta la forza di volontà che aveva, si ritrasse, coprendosi i piccoli seni con il braccio.
«Cosa c'è?» chiese l'altro ormai troppo coinvolto per potersi fermare.
Gli aveva mentito, e adesso cosa avrebbe dovuto fare?

«Il mio collega, l'uomo che lavora con me alla redazione, sa dove ci troviamo» balbettò lei in un misto di adrenalina e paura.
«Cosa stai dicendo?» replicò lui confuso.
Evelyn non riuscì a sopportare lo sguardo dell'altro. D'un tratto l'idea di avergli mentito le sembrò insopportabile. Doveva dirgli tutto, meritava di sapere.
Raccontò tutta la verità; di Patrik che era a conoscenza dei licantropi, e anche che l'aveva mandata con loro per scoprire più cose possibili. Parlò dell'articolo e di come lo aveva informato ogni giorno sui loro spostamenti.
Il fiume di parole che uscì dalle labbra di Evelyn colpirono Noah che si alzò in piedi. I suoi occhi divennero quelli di un animale; vuoti e fiammeggianti.
«TU COSA?»
«L'articolo non mi interessa più! Non ci ho neanche pensato negli ultimi giorni... sono venuta con voi per trovare mio zio e per stare con te.» disse Evelyn parlando in tutta fretta. Noah scoppiò in una risata sprezzante. «Dimmi come potrei crederti adesso!»
«Sei un licantropo, lo puoi sentire, lo so! Non scriverò l'articolo, dirò a Patrik che non se ne farà niente e...»
«Sei davvero una stupida! Ma non lo capisci? Quell'uomo sta aiutando Alastair!»
«No, è impossibile...» balbettò lei.
«Strano vero che tuo zio sia stato rapito proprio quando tu saresti dovuta partire con noi. Buon modo per convincerti»
Evelyn fu come destata da un sonno profondo. Quelle parole le arrivarono in faccia schiaffeggiandola duramente, facendola sentire un burattino nelle mani di un essere spregevole. Come aveva fatto a non pensarci prima? In balia di ciò che provava per Noah e della fame di successo, non aveva minimamente pensato che Patrik si potesse rivelare un traditore.
Ma in quel momento, capì che il suo sesto senso aveva avuto ragione sin dall'inizio. Quante bugie, quanti sorrisi e abbraccio falsi.
«Io... io non immaginavo» replicò lei cercando di coprirsi i seni nudi.
«Tutto il nostro lavoro, tutti questi anni...» la voce di Noah sembrò cambiare, divenne quasi un ringhio sommesso, le spalle salivano e scendevano in modo convulso. Gli occhi divennero entrambi neri e vuoti, il corpo divenne lentamente quello di un lupo. Poi cambiò nuovamente, in un misto di carne e pelliccia.
Non era più il solito animale candido e maestoso, era un essere indistinto eretto su due zampe antropomorfe, alto più di due metri e con artigli lunghi e affilati. Il muso allungato racchiudeva zanne bianche e pronte ad attaccare.
«Va... via» gracchiò ciò che rimaneva di Noah con una voce che non era più la sua.
Evelyn rimase immobile, gli occhi spalancati, la bocca aperta in una smorfia di terrore. Ecco cosa aveva visto Beulah, e forse quella era l'ultima cosa che avrebbe visto lei.
L'ululato che uscì subito dopo dalla gola del mostro la fece scattare in piedi; doveva correre.



Non le importava del freddo o del fatto che fosse mezza nuda, in quel momento doveva soltanto scappare da quell'essere famelico. Si maledisse più volte annaspando tra i rami che le pungevano il viso.
Poteva sentire i versi strozzati della bestia che la stava seguendo e, quando si voltò, ebbe la certezza che sarebbe morta.
Era troppo tardi, era stata troppo lenta.
Noah l'afferrò con gli artigli, lacerandole la carne morbida del polpaccio.
«Ti prego, lasciami andare!» urlò lei ormai sopraffatta dal dolore.
Ormai a terra, Evelyn si voltò verso il predatore, attendendo il colpo di grazia.
Chiuse gli occhi e urlò.
«Willow, aiutami a fermarlo!»
Quella voce improvvisa le fece aprire nuovamente le palpebre. Tirando un sospiro di sollievo vide Uncas che afferrava Noah e lo trascinava lontana da lei.
Dopo poco anche Willow cercò di bloccarlo, ma ricevette una zampata sul viso che le fece uscire del sangue dalla guancia. «È troppo forte!» esclamò quest'ultima.
«Porta via l'umana, ci penso io!»
Willow si voltò verso Evelyn, afferrandola per un braccio. «Cosa hai fatto? Stai mettendo tutti in pericolo!»
«Fatemi avvicinare a lui» rispose Evelyn cercando di non pensare al dolore lancinante che le saliva dalla gamba.
«Sarei ben felice di farti ammazzare, ma non posso farlo!» replicò l'altra tenendola ben stretta.
«Non credo di riuscire a tenerlo ancora per molto» urlò Uncas con la voce provata dallo sforzo.
Intanto la bestia si dibatteva ringhiando, spruzzando bava dalla bocca rosea.
«Avanti andiamo bamboccia»
«No, io posso...» Evelyn si voltò verso la bionda e le sferrò un pugno in pieno viso mettendo la poca forza che ancora le rimaneva. Willow, presa alla sprovvista da quel gesto, barcollò all'indietro, mollando la presa.
Quando fu libera, Evelyn, sentì la testa girare. Si morse l'interno della guancia con decisione, il dolore la fece tornare lucida.
Senza perdere tempo andò verso Noah, che ancora era bloccato tra le braccia possenti di Uncas. Sotto lo sguardo interrogativo di quest'ultimo, Evelyn prese tra le mani il muso della bestia, cercando un contatto visivo.
«Noah, guardami!»
L'altro continuò a dimenarsi, ringhiando e cercando di afferrarla con i denti.
«So che ci sei! Torna indietro!» affondò le dita nel pelo ispido della bestia, tentando di tenerlo fermo.
«Sta per liberarsi, scappa!» urlò Uncas ormai stremato.
«Torna da me» sussurrò per l'ennesima volta Evelyn, ignorando le urla di Uncas, ignorando gli insulti di Willow che nel frattempo si era avvicinata.
Non sentiva più niente, adesso c'era soltanto lei e la bestia.
«So che puoi sentirmi...»
E poi, ecco, occhi negli occhi. Si fissarono e Noah sembrò calmarsi.
«Va tutto bene» bisbigliò lei sentendosi mancare.
Noah sbuffò dal naso, rilassando i muscoli, accasciandosi sul terreno come una bambola di pezza. Poco dopo ritornò alle sue sembianze umane.
Evelyn si guardò intorno confusa. Il dolore alla gamba stava aumentando, poteva sentire il sangue colare copioso fino al suo piede.
Tutto si fece più scuro.
Poteva vedere le labbra di Uncas e Willow muoversi, ma non udiva niente. Un attimo dopo il buio l'afferrò.



Era come volare.
Che strana sensazione.
Si sentiva così leggera e libera. Stava lentamente scivolando verso qualcosa di morbido e invitante.
Sentì qualcuno che la teneva per le spalle.
Vide dei volti che sembravano familiari.
«È grave?» una voce di donna.
«Non so, fammi dare un'occhiata»
Sentì distintamente il rumore dei jeans che venivano strappati.
«Cazzo! Sta uscendo troppo sangue»
«Usa il tuo potere Beulah»
«Non so... io...»
«Ubbidisci, ADESSO! La voglio viva.»

Evelyn ascoltò quelle conversazioni, ma non ne capì il senso. Poi, d'un tratto, una luce accecante l'avvolse. Niente più oscurità, solo luce calda e confortevole.
Sto per morire.
Fu il suo ultimo pensiero.




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