L'inseguimento: parte II
Capitolo 3
Nel mondo io vi mando come pecore in mezzo ai lupi.
Era ormai notte, le stelle stavano iniziando a brillare nel cielo e la luna era coperta da una sottile e solitaria nuvola grigia.
Evelyn si trovava ancora dietro al muro, le spalle incollate ai freddi mattoni, il viso leggermente esposto. Lo sconosciuto e la donna si erano staccati dall'abbraccio e finalmente si mossero. Lei rimase per qualche secondo dietro al suo nascondiglio e poi li seguì, camminando lungo le pareti.
Quando arrivarono di fronte a una piccola porta di legno, i due parlarono per qualche secondo, ma Evelyn non riuscì a capire cosa dicessero, era troppo impegnata a cercare di non farsi notare. Per un attimo le sembrò che la ragazza annusasse l'aria, con fare quasi predatorio, come un cane che va a caccia di lepri.
Inizi a vaneggiare.
Lo sconosciuto, dopo essersi guardato attorno, varcò la soglia, mentre la donna scomparve lungo il vicolo. Evelyn trasse un sospiro di sollievo, incapace di muoversi, i muscoli indolenziti. Non aveva fatto caso alla tensione fino a quel momento. Qual'era la prossima mossa da fare? Doveva entrare? Era rischioso, avrebbero potuto scoprirla in qualsiasi momento. Decise di chiamare Patrik, informarlo e chiedere un suo consiglio. Prese il cellulare e dopo pochi squilli l'altro rispose.
«Qui orso bruno, l'aquila è in volo?»
Evelyn sbuffò, scuotendo la testa. «Non siamo in un film di 007!»
«Scusami non ho resistito. Dimmi come procede»
Evelyn osservò il vicolo e la piccola porta di legno, poi si accovacciò dietro ad un bidone dell'immondizia, l'odore non era dei migliori, ma almeno era interamente nascosta.
«Credo proprio sia tutto vero. Lo sconosciuto è arrivato in periferia. È entrato in una bettola puzzolente che si trova in un vicolo altrettanto puzzolente. Cosa dovrei fare adesso?»
«Devi entrare! Incredibile! Il nostro articolo diventerà famoso, potremmo addirittura finire sulla CBS.»
Evelyn passò il cellulare nell'altra mano, iniziava a sentire freddo. «E cosa dovrei dire? "Salve sono una giornalista. Posso fotografare questo posto per poi scrivere un articolo in cui farò venire allo scoperto i vostri loschi scopi?"»
Patrik sospirò dall'altro capo del telefono.
«Hai dei soldi con te?»
«Circa cinquanta dollari»
«Dovrebbero bastare. Chiedi di scommettere e vedi cosa succede»
Evelyn si alzò in piedi, indecisa su cosa fare. Non era un posto per persone come lei, avrebbero certamente capito che c'era qualcosa sotto. D'altra parte, era l'unico modo, poteva sempre provare, magari evitando di essere semplicemente uccisa.
«D'accordo. Ma se torno viva e scriveremo l'articolo, dovrai specificare che sono stata io a scoprire tutto»
«Chiaramente... passo e chiudo» chiuse la chiamata senza aggiungere altro, era troppo nervosa per rispondere.
Sentì la bocca secca, le gambe improvvisamente molli.
Ok, Eve, sicura di te, sicura di te.
Quando si ritrovò difronte alla porta, si bloccò. E se le avesse aperto lo sconosciuto? Se quella fosse stata la sua casa? Cosa avrebbe detto? L'avrebbe denunciata per stalking, l'avrebbe fatta arrestare.
Con gli occhi socchiusi e trattenendo il fiato, bussò lievemente. Contò ogni secondo, finché un uomo alto circa due metri, con braccia tatuate e muscolose, non aprì.
Merda!Merda!Merda!
«Buonasera! Vorrei partecipare... insomma scommettere. Quanto le devo?»
L'uomo la osservò dall'alto scoppiando in una fragorosa risata. Evelyn sorrise a sua volta, felice di essersela cavata. Era andato tutto liscio, aveva la stoffa della giornalista, aveva...
«Gira al largo ragazzina» rispose l'altro chiudendole la porta in faccia.
Il sorrise di Evelyn si tramutò in un broncio. Chiuse le mani a pugno, esasperata da quel rifiuto. Si voltò e vedendo una lattina sul terreno umido la calciò, spedendola lontano nel buio. La maleducazione era una prerogativa dei lottatori clandestini? Ma adesso avrebbe fatto sul serio, mai ridere in faccia ad una giornalista. Sarebbe riuscita ad entrata in un modo o nell'altro.
Dopo aver controllato il retro, passando da una via ancora più stretta, si accorse che vi era una piccola finestra ricoperta di polvere. Provò a guardarvi dentro, ma lo sporco le impediva di vedere.
«Dannazione!» imprecò sottovoce.
Proprio mentre stava per tornare indietro, accettando la sconfitta e con il morale a terra, sentì una porta aprirsi.
Si acquattò nell'oscurità notando una donna con un enorme sacco nero tra le mani. Quella doveva essere la porta di servizio, probabilmente la usavano i dipendenti, sempre se in un posto del genere vi erano dei semplici dipendenti.
Osservò la donna che lanciò il sacco nel bidone e poi aspettò che rientrasse. Non sentì lo scatto della serratura. Di nuovo speranzosa e incoraggiata dalla fortuna, si avvicinò all'entrata. Contò fino a tre mentalmente e poi abbassò la maniglia, scoprendo con sorpresa, che era aperta. L'odore intenso di birra le invase le narici, per poi lasciare il posto alla puzza di vomito rappreso. Sentì delle voci e della musica, provenivano sicuramente da dentro.
Arricciò il naso, guardandosi intorno. Si trovava in una piccola anticamera, sul pavimento vi erano delle casse vuote e varie scatole di cartone. Di fronte e lei c'era era una porta, provò ad aprirla ma era chiusa a chiave. Lo aveva immaginato, non si poteva chiedere così tanto alla fatidica dea bendata.
Presa dall'emozioni, non aveva ancora riflettuto su quanto stava accadendo. Era ancora ad Eagle Falls, la cittadina più tranquilla dell'Alaska, eppure vi erano lotte clandestine, pub malfamati ed energumeni alti due metri.
Chi l'avrebbe mai detto!
Alzando lo sguardo, notò che nella parte alta della parete centrale, vi erano dei vetri, servivano sicuramente per far passare la luce. Se fosse riuscita ad arrivare fin lassù, avrebbe potuto vedere cosa c'era all'interno.
Impilò varie casse di legno e qualche scatola, infine si sulla piccola torre, cercando di non cadere. Arrivata in cima, si sporse, togliendo il generoso strato di polvere che ricopriva il vetro, e finalmente vide tutto.
Il locale era gremito di persone, alcune sedute ai tavoli, altre sparse intorno a quello che sembrava essere un recito per animali. Evelyn iniziò a scattare qualche foto, ora più che mai si sentì soddisfatta del suo lavoro, provò l'ebrezza di essere una giornalista, il piacere immenso nell'avere una notizia bomba tra le mani.
Improvvisamente il locale divenne silenzioso, gli uomini si voltarono tutti verso sinistra ed lei fece lo stesso.
Un uomo, con indosso soltanto dei blue jeans, entrò nel recinto, sotto lo sguardo di tutti. Qualcuno urlò, altri iniziarono ad incitarlo con frasi che ad Evelyn arrivarono attutite dai vetri. Scattò altre foto, presa da una frenesia mai provata fino ad allora.
Un altro uomo, questa volta vestito, si portò al centro del recinto. Con un sorriso beffardo sulle labbra, prese un microfono tra le mani e parlò: «Lupo!Lupo!» tutti gli altri iniziarono a loro volta ad invocare quel nome.
Evelyn si chiese se facessero lottare anche gli animali. Cercò di cambiare posizione, voleva vedere meglio.
E poi eccolo, lui, lo sconosciuto.
Indossava soltanto dei jeans neri, il torso scoperto. Come un dio, come una statua modellata con cura, si portò al centro del recinto. Evelyn era ancora senza fiato, attratta da lui come come un'ape col miele. Se solo avesse potuto, sarebbe corsa da quell'uomo anche a costo di farsi scoprire. I muscoli erano tesi e perfetti, la schiena era ricoperta da un enorme tatuaggio che raffigurava la testa di lupo. Finalmente Evelyn capì; lo sconosciuto era il Lupo.
Arrossì nonostante nessuno potesse vederla, il cuore prese a batterle all'impazzata. Fotografò anche lui, ritrovandosi a pensare che avrebbe conservato almeno una di quelle foto.
L'uomo con il microfono in mano decretò l'inizio del combattimento. Evelyn trattenne il respiro, non era pronta per assistere a tale aggressività, non era pronta per vedere due uomini combattere. E se fosse rimasto ferito? Si costrinse a fissare il recinto.
Lo sconosciuto rimase immobile, la schiena dritta, gli occhi ferini. L'altro lo valutò per qualche secondo, poi, senza preavviso, sferrò un pungo.
Evelyn socchiuse gli occhi, ma li sbarrò subito dopo vedendo che lo sconosciuto aveva evitato l'attacco senza batter ciglio. Dopo di che, senza fargli prendere fiato, afferrò il braccio del suo avversario e lo torse con forza. Un urlo riecheggiò nel locale. Gli spettatori gioirono, ridendo, dandosi pacche sulle spalle.
Evelyn si irrigidì. Lo sguardo vuoto e senza emozioni dell'uomo misterioso la inquietarono. Era freddo, distaccato, non aveva provato la minima pietà. Decise di andare via, le foto che aveva potevano bastare. Prima di scendere, diede un ultima occhiata, notando che lo sconosciuto era ancora in piedi, mentre l'altro era riverso al suolo con il viso ricoperto di sangue.
Quello fu il massimo che poté sopportare, scese in fretta e raggiunse la porta quasi correndo.
L'aria fresca della notte le sferzò il viso. Si appoggiò al muro, cercando di riprendere fiato; aveva assistito ad un combattimento clandestino, aveva scoperto che l'uomo che aveva osservato per anni era in realtà uno spietato lottatore.
Il cuore continuava a battere all'impazzata, sulle tempie poteva sentire ogni singolo battito frenetico. Osservò la macchina fotografica e sorrise, aveva le prove, aveva un articolo. Rincuorata da quel pensiero la tensione iniziò a scemare. Guardò per l'ultima volta dietro di sé e poi si incamminò lungo il vicolo da cui era venuta.
Ad ogni passo si congratulò con se stessa; si era comportata in modo egregio, finalmente la sua carriera avrebbe spiccato il volo, stava andando tutto per il meglio.
«Dove credi di andare?»
Quella voce leggermente rauca fece sobbalzare Evelyn.
La ragazza bionda, che qualche ora prima aveva abbracciato lo sconosciuto, la stava osservando. Adesso che era più vicina poté osservarla meglio e si stupì nel vedere quanto fosse alta. Il corpo era da atleta, ma con un seno grande e alto. Le labbra, ricoperte da un generoso strato di rossetto rosso, erano aperte in un sorriso, che non aveva niente di amichevole. Ma la cosa che colpì maggiormente Evelyn, furono gli occhi; uno azzurro e l'altro nero, proprio come lo sconosciuto.
«Dici a me?» chiese con voce tremante, indietreggiando di qualche passo.
L'altra allargò il sorriso, per poi prendere una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca della giacca di pelle. L'accese lentamente, continuando a fissare Evelyn. «No, alla fata turchina.» rispose infine buttando fuori il fumo, per poi scoppiare a ridere.
Evelyn alzò le sopracciglia, era la seconda volta che le ridevano in faccia quella sera, la cosa iniziava ad innervosirla.
«Chi sei?»
«Questo non è importante. Io so chi sei tu: una piccola spiona. Credi davvero che non ti abbia visto prima? Non sei molto abile come investigatrice. Ma sarò buona se mi consegnerai quella macchina fotografica senza fare storie.»
Evelyn abbassò gli occhi. La stava minacciando? Le cose andavano peggiorando; era da sola, in una vicolo sconosciuto e una tizia cercava di rubarle le sue foto e l'annesso articolo.
«E se non lo facessi?» chiese rialzando lo sguardo.
La bionda rise di nuovo, una risata aspra, indurita da molti anni di sigarette. «In quel caso,dovresti iniziare a correre...»
Evelyn sentì le gambe pesanti come macigni. La sua immaginazione prese il sopravvento, immaginò i titoli dei giornali: "giovane ragazza, aspirante giornalista, è stata trovato morta nella periferia di Eagle Falls."
Forse fu quel pensiero che la riportò alla realtà o semplicemente il puro istinto di sopravvivenza, seppe soltanto che iniziò a correre.
Corse fino a sentire i polmoni bruciare, si voltò varie volte per vedere che non la stesse seguendo, ma per fortuna non la vide. Attraversò altri vicoli sconosciuti, proseguendo totalmente alla cieca, sentendosi come un animale braccato.
Quando fu sicura di averla seminata si fermò, risucchiando aria avidamente. Non era mai stata una persona sportiva e quella corsa le aveva causato un dolore lancinante alla milza. Aveva molte domande che le vorticavano nella mente; chi era la donna? E lo sconosciuto dove era finito? Ma non era il momento di pensare a tutto ciò. Si posò le mani sulle ginocchia, piegandosi leggermente in avanti.
Sei nella merda, Eve,complimenti!
Un rumore le giunse alle spalle, facendole accapponare la pelle. Era come un grugnito, o più precisamente un ringhio sommesso.
Un animale, era certamente un animale.
«Cristo...» sussurrò voltandosi lentamente.
Le parole le morirono sulle labbra, ogni pensiero logico l'abbandonò. Degli occhi gialli e famelici la stavano osservando.
Un lupo.
Un enorme lupo dal pelo rossastro e grande quasi quanto un cavallo le stava mostrando i denti ricoperti di saliva.
Cercò di urlare, ma dalle labbra le uscì soltanto un suono distorto e strozzato. Rimase perfettamente immobile, statua di cera in mezzo alla strada. Non udì i passi che sopraggiungevano dietro di lei, e quasi non udì le parole della donna.
«TOGLITI DI MEZZO!»
Ebbe il tempo di alzare lo sguardo, vedendo che l'altra aveva spiccato un balzo di quasi due metri, passandole sopra la testa. Poi un lampo accecante la costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, dovette accasciarsi a terra. C'era qualcosa che non andava, la bionda non c'era più, al suo posto, un nuovo lupo totalmente bianco era apparso come dal nulla.
Aprì e chiuse gli occhi varie volte, ma nonostante ciò, i due lupi rimanevano davanti a lei. Pensò di avere le allucinazioni, pensò di essere totalmente impazzita.
Urlò, finalmente la voce le uscì con tutta la forza che aveva, dando fiato al panico come un comignolo che sputa fumo nero e denso. Rimase a terra, costretta ad assistere a quella scena fantastica e surreale con occhi dilatati.
Il lupo bianco si avventò verso il nemico, cercando di mordergli la gola, ma il rosso fu più veloce, e schivandola, riuscì a morderle una zampa.
Mentre la femmina guaiva, Evelyn sbatté le palpebre, ritrovando una parziale lucidità. Si trascinò dietro alla carcassa di una vecchia auto, tremando come una foglia, spaventata come una bambina.
Respirò affannosamente, sentendo i polmoni colmi di aria fredda. Poteva ancora udire i rumori della zuffa, i versi gutturali di quegli animali mai visti prima d'ora. Aveva visto vari lupi nella sua vita e mai nessuno avrebbe potuto raggiungere quelle dimensioni. Si portò le mani alle orecchie, pregando che tutto finisse, pregando che fosse soltanto un incubo.
«Presto finirà. Non è vero, non è vero...»
Mentre ancora sussurrava a se stessa parole rassicuranti, un ululato squarciò la notte. Fu lungo e spaventoso. Dopo di che seguirono suoni flaccidi, grugniti indecifrabili e poi, d'un tratto, quasi per magia, tutto tacque. Il silenzio risuonò nelle orecchie di Evelyn, incapace di muoversi, incapace di pensare.
Sentì delle voci lontane e poi qualcuno che si avvicinava.
«Vieni fuori, subito!»
Era la voce di un uomo, ed Evelyn ebbe la dolorosa certezza che fosse lo sconosciuto, non aveva dubbi, lo sentiva sulla pelle ormai percossa da brividi incontrollabili.
Uscì allo scoperto e ciò che vide, le fece scaturire un nuovo urlo dalla gola. La donna era a terra, la gamba ferita ricoperta di sangue, i vestiti ridotti a brandelli. Lo sconosciuto era accanto a lei, anch'egli quasi nudo. Poco più la, in una pozza di sangue nero, un uomo giaceva morto.
Non aveva mai visto un uomo morto, sentì lo stomaco sotto sopra, la vista le si offuscò. Aveva osservato e desiderato per due anni un assassino, un essere ignobile, pericoloso e spietato. Improvvisamente cedette, cadendo sull'asfalto freddo ed umido. Sarebbe morta, non poteva andare diversamente.
L'ultima cosa che vide furono degli occhi bicolore, gli stessi occhi che l'avevano fatta sognare per poi trasportarla in un incubo.
Infine soltanto buio.
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