Il lato oscuro
Capitolo 12
«Svegliati...»
Evelyn si rigirò tra le coperte mugugnando qualcosa di incomprensibile. Poi, ricordando dove si trovasse, aprì gli occhi, notando che il viso di Noah era a pochi centimetri dal suo.
«È successo qualcosa?» chiese allarmata.
«Tranquilla, voglio soltanto portarti in un posto» così dicendo, senza darle il tempo di riflettere o rispondere, la prese tra le braccia e la portò all'aperto.
Quando era piccola, sua madre le leggeva sempre una fiaba prima di dormire. Tutte quelle storie d'amore e principi che portavano in salvo le loro principesse in difficoltà, la facevano fantasticare. Aveva sempre sognato il suo principe azzurro. A cinque anni non era altro che suo suo padre, quando crebbe il principe si tramutò nell'attore o contante belloccio del momento, ma negli ultimi due anni il suo principe immaginario, che poi non era tanto azzurro, era Noah. Aveva sempre sognato di essere presa in braccio da lui, per poi essere portata via, in un mondo fantastico, in una vita migliore. E in quel momento, tra le sue braccia forti, credette di essere in un sogno.
L'aria gelida della notte le pizzicò le guance accaldate. Evelyn, adesso perfettamente sveglia, si dimenò, trovando assurdo che lui la stesse stringendo a sé. «Vuoi dirmi cosa succede?» chiese alzando lo sguardo su di lui dopo aver toccato nuovamente terra con i piedi.
«Voglio farti vedere una cosa. Se hai freddo posso portarti io.»
L'altra lo osservò perplessa. Aveva di nuovo cambiato atteggiamento. Credeva che avesse già dimenticato quello che era successo poche ore prima? Quegli alti e bassi continui la stavano facendo innervosire.
«Senti, è tardi, ho sonno e non mi sembra il caso»
«Mi farebbe davvero piacere se tu venissi con me» insistette Noah porgendole la mano grande e forte. Evelyn esitò. Guardandolo negli occhi riusciva a vedere la sua sincerità, la sua bontà, ma come avrebbe dovuto interpretare i suoi scatti di ira?
«Mi farai male?» chiese lei toccandosi il cappotto che nascondeva le braccia tumefatte. Noah la fissò, i suoi occhi furono attraversati da qualcosa di non umano, e poi tornarono gli stessi.
«Non era mia intenzione»
«Ma lo hai fatto» replicò lei quasi con rabbia. Noah sospirò. «Vuoi venire oppure no?» Evelyn si morse l'interno della guancia. Aveva paura eppure...
«E va bene, sono una persona troppo curiosa, e forse anche troppo gentile per rifiutare» lui le sorrise e poi si voltò, abbassandosi leggermente. «Sali in spalla, arriveremo prima e non avrai freddo».
Il vento le sferzava le guance, costringendola a tenere gli occhi socchiusi, ma quanto era bello correre tra gli alberi. La schiena di Noah era abbastanza ampia da farla stare comoda, e in più, emanava un calore corroborante.
Corsero per qualche minuto, fino ad arrivare al punto in cui vi era una piccola caverna scavata nella roccia dura. Noah si fermò e fece scendere Evelyn. «Cosa dovrei vedere?» chiese quest'ultima guardandosi intorno.
«La pazienza è la virtù dei forti» rispose lui camminando lentamente verso l'apertura.
Evelyn lo seguì, pensando che quella non era altro che una scusa bella e buona per ammazzarla.
Si nascosero dietro ad un masso abbastanza grande e poi, Noah, le fece tirare su la testa. Al centro della caverna vi erano quattro cuccioli di lupo intenti a mordersi a vicenda. Evelyn sospirò di fronte alla dolcezza di quelle piccole palle di pelo.
«Sono tenerissimi» sussurrò lei elettrizzata. Lui la osservò divertito, facendola arrossire nuovamente.
«Visto? Sapevo che ti sarebbe piaciuto»
«Posso... dici che potrei avvicinarmi?»
«Certo, potresti, ma finiresti per essere sbranata dalla madre» Evelyn alzò un sopracciglio. «Sei sempre così tranquillo quando parli di uccisioni?»
«Ti sto soltanto dicendo la verità»
Evelyn scosse la testa, tornando a guardare i cuccioli, che adesso stavano dormendo l'uno sopra l'altro. Quel viaggio non era poi così male, se non avesse preso quella decisione non avrebbe mai visto quegli adorabili animali.
«Scusa per prima...» azzardò Noah nettamente a disagio.
Evelyn si godette quel momento, non lo aveva mai visto sotto quella luce. Il grande uomo sempre composto e freddo nelle sue decisioni, adesso si scusava. Aprì la bocca per rispondergli, ma l'altro glielo impedì, continuando a parlare. «Sai, ti ho sempre visto su quella panchina. Con la pioggia e con il sole, con il vento e con il caldo. Perché? Me lo sono sempre chiesto, e non sono mai riuscito a darmi una risposta»
Evelynsi irrigidì. Cosa avrebbe dovuto dire? Noah sapeva che lei era attratta da lui, ma c'era molto di più. Avrebbe dovuto dirgli che se ne stava lì perché quello era l'unico momento bello delle sue giornate? Era la sua acqua fresca, il suo ossigeno. Ma come avrebbe potuto rivelare quelle emozioni così private, così insensate per certi versi? «Tu eri il mio sogno» disse poi evitando il suo sguardo per non dover vedere la reazione.
Noah le afferrò dolcemente il mento, facendola voltare verso si se. «Io sono soltanto un incubo, niente di più» Evelyn tenne lo sguardo basso. Era un modo gentile per dirle che lui non ricambiava?
«Tu non sei cattivo, perché ti ostini a torturarti?»
Noah la osservò ancora per qualche secondo e, improvvisamente, i suoi occhi divennero entrambi neri. Ad Evelyn si accapponò la pelle, lunghi brividi la percorsero in tutto il corpo, scoprì che che quei brividi non erano causati dal freddo, ma dalla presenza dell'altro. Sentì le dita di Noah, che ancora tenevano il suo mento, stringersi in una nuova morsa dolorosa.
«No...» sussurrò lei rimanendo ferma.
Questa volta non avrebbe pianto, non sarebbe fuggita. C'era qualcosa dentro di lui, un lato oscuro che, alle volte, prendeva il sopravvento. Ma non era forse per tutti così? Non avrebbe saputo dire se quella parte derivasse dai suoi trascorsi, o semplicemente dalla sua parte animale, ma l'avrebbe affrontata.
«Noah, torna, torna da me» continuò lei poggiandogli una mano sul viso inespressivo.
Ed ecco che gli occhi di Noah ridivennero del colore normale. Sbatté le palpebre e poi lasciò la presa, allontanandosi da lei, tremante e con il respiro affannato.
«Stai bene?» chiese lei cauta.
«Scusa, io... io non riesco a controllarlo» ammise lui portandosi le mani sul viso.
«Cosa? Cos'è che non riesci a controllare?»
«È tutta colpa mia...ho lasciato uccidere i miei genitori, non ho saputo dare una vita migliore a mia sorella» Evelyn si avvicinò a lui, cingendolo con le braccia, cercando di coprirlo con il corpo minuto.
«Eri soltanto un bambino Noah. Non è colpa tua»
L'altro cessò di tremare, quelle parole sembrarono calmarlo. Evelyn continuò a stringerlo, divennero una sola persona, un corpo, ma due anime ben distinte. «Va tutto bene...» sussurrò nel silenzio del bosco notturno. «Dovresti fuggire» replicò lui con voce tremante.
«Non hai ancora capito? Tu non puoi darmi ordini»
Noah la osservò e poi socchiuse gli occhi, godendosi quel contatto piacevole. Rimasero in quella posizione per un tempo che sembrò infinito, ed Evelyn pensò che avrebbe potuto farci facilmente l'abitudine.
***
Quentin continuava ad ignorare il motivo per cui si trovava in quella cella. Cercò di ricordare se dovesse dei soldi a qualcuno, o se fosse andato a letto con la moglie di qualcun altro negli ultimi tempi. La risposta era affermativa ad entrambe le domande, ma chi poteva essere tanto cattivo da rinchiuderlo in cella?
La donna mora non era più tornata. Poche ore prima un energumeno gli aveva portato del pane e dell'acqua che sapeva di calzini sporchi.
Quentin aveva chiesto delle spiegazioni, ma l'altro si era limitato a grugnire come un maiale e poi se ne era andato.
Non essendoci finestre, non riusciva a capire quanto tempo fosse trascorso, il giorno e la notte si erano mescolati disordinatamente, lasciandolo confuso e irritabile. La meditazione lo aiutava, tuttavia iniziava a sentirsi inquieto. Decise di alzarsi e, attaccandosi alle sbarre, urlò.
«Liberatemi!» il corridoio rimase silenzioso. Iniziò a scuotere l'inferriata, innervosito da quella prigionia.
Quando, stanco di urlare per niente, ritornò al centro della cella, sentì una porta aprirsi e il rumore inconfondibile di passi.
Attese con il fiato sospeso, e poco dopo, riconobbe immediatamente l'uomo che gli si parò di fronte. Aveva sempre pensato che fosse un viscido bastardo, ma in quel momento ne ebbe la certezza. Patrike lo stava fissando attraverso le sbarre, le mani nelle tasche e sulle labbra un sorriso beffardo.
«Quentin... guarda dove ti hanno messo, mi dispiace» disse infine con voce melliflua.
L'altro si avventò verso di lui, purtroppo la pesante inferriata lo bloccò. «Bastardo! Cosa ci faccio qui? Sei stato tu?» chiese a denti stretti.
«Oh, mi reputi un uomo potente. No, non sono stato io a farti prigioniero, ma ne sono estremamente felice» Quentin strinse le mani intorno al metallo, cercando di rimanere lucido. «Se tocchi mia nipote io...»
«Cosa? Cosa vuoi fare? Picchiarmi?» Patrik scoppiò in una fragorosa risata.
«Dov'è? Dimmi dove si trova!» Quentin stava ormai urlando.
«La rivedrai molto presto» rispose il biondo allontanandosi.
Quentin aveva il fiato corto, si sentì come un animale in gabbia. «Giuro che la pagherai Patrik, te lo giuro!» ma ormai era di nuovo solo nell'oscurità.
***
Il cinguettio degli uccelli fece svegliare Evelyn. Si guardò attorno, scoprendo di essere ancora nella tenda. Un dolore lancinante ai polpacci e al collo la fece gemere.
Sei un tipo sportivo, Eve, complementi!
Ancora con gli occhi socchiusi, mise fuori la testa, notando che era sola. Probabilmente gli altri due erano andati a caccia, o a fare una corsa, data la loro energia inesauribile.
Sospirando tornò dentro. Senza sapere cosa fare decise che avrebbe inviato la sua posizione a Patrik, allegando anche un messaggio per fargli sapere che stava bene.
Stava davvero bene? Dopo quello che era successo la notte precedente si sentiva ancora stordita. Era rimasta con Noah per molte ore, abbracciandolo con tutta la forza che aveva. Adesso conosceva i motivi dei suoi scatti d'ira; il senso di colpa. Ma come poteva un bambino di dieci anni evitare l'uccisione dei genitori? Evelyn scosse la testa ricordando cos'altro aveva detto.
"Io... non riesco a controllarlo"
Lei aveva chiesto spiegazioni, ma Noah non aveva risposto. Alzò le spalle, forse era soltanto troppo nervoso per dire cose sensate.
Allungò le braccia, sentendo una nuova fitta alla schiena, ma se doveva essere sincera, stava bene, si, nonostante tutto, stava molto bene.
«Sveglia bamboccia! È ora di partire!» la voce dura di Willow la raggiunse.
«Arrivo! E ti ricordo che il mio nome è EVELYN!» urlò lei di rimando.
Si vestì in fretta, coprendosi di vari strati di vestiti. Quando decise di uscire, si ritrovò di fronte Noah. «Dormito bene?» chiese lui evitando di guardarla.
«Lascia perdere. Sai una cosa? Dopo questa notte tu, grande Alfa, è così che si dice? Beh, tu, ti comporterai bene con me»
Noah la guardò perplesso, ma subito dopo sorrise, forse grato per quell'atteggiamento che lasciava intendere che non avrebbero più discusso di ciò che era accaduto.
«Si, Alfa. E sono d'accordo»
Evelyn gli diede una pacca sulla spalla e, dopo essersi messa lo zaino in spalla, si voltò verso Willow.
«Ho visto la tua camera ed è molto carina. So che vuoi fare la dura, ma in realtà sei una tenerona che ama i fiori. Ma adesso, smettiamola di poltrire e andiamo!»
Fratello e sorella si guardarono con aria interrogativa. «Si è drogata?» chiese Willow trattenendo a stento le risa.
Noah scosse la testa, scoppiando a ridere. «Non so...» dopo aver parlato si volto nuovamente verso il bosco, osservando la figura minuta di Evelyn che si stava inoltrando tra gli alberi.
Un nuovo scenario iniziò a prendere forma; le rocce lasciarono il posto agli alberi e il bosco si fece più fitto. Evelyn osservava tutto con molta cura, annusando l'aria in cerca di nuovi profumi. Le sembrò di scorgere un'aquila tra i rami di un pino, ma fu solo un attimo. L'animale le fece pensare ad Eagle Falls. Chissà cosa stava facendo Margot? Al giornale stava lavorando molto?
Noah e Willow stavano camminando a pochi metri da lei, dandosi delle leggere spinte. Evelyn scommise con se stessa che se le avessero dato una spinta del genere sarebbe finita a terra in un secondo.
«Potrei diventare come voi?» chiese improvvisamente osservando i due fratelli.
«Certo, bamboccia. Aspetta la luna piena, togliti i vestiti e io farò il resto» rispose Willow estremamente seria.
Evelyn spalancò gli occhi, allora era possibile?
«Non darle retta, ti sta prendendo in giro» commentò Noah dando l'ennesima spinta sulla spalla della sorella che, nel frattempo, era scoppiata a ridere.
Evelyn alzò gli occhi al cielo; convenne di essere una credulona. «E comunque, io ho un nome» ribadì infine.
«Bamboccia»
«Evelyn!»
«Non credere che io mi sia dimenticata che sei entrata in camera mia senza permesso, te la farò pagare!»
«Avresti potuto chiudere a chiave!» replicò Evelyn stringendo i pugni.
Le due ragazze, dopo essersi guardate in cagnesco, si avvicinarono l'una all'altra con fare minaccioso.
«Finitela, mi sembra di essere all'asilo!» esclamò Noah prendendo di peso Evelyn per poi portarsela sulla spalla come un sacco di patate.
«Lasciami andare!» ordinò Evelyn scalciando. L'altro l'accontentò, riposandola a terra. «Ancora non avete risposto alla mia domanda» continuò poi fissandolo negli occhi.
«No, non potrai mai essere un licantropo» tagliò corto lui.
Evelyn si lasciò sfuggire un sospiro. Per un attimo, soltanto per un attimo, aveva pensato che la vita da lupo le sarebbe piaciuta.
Rassegnandosi in fretta, raggiunse i due fratelli che ormai avevano guadagnato vantaggio. Osservò le loro schiene e nella sua mentre iniziarono a formularsi milioni di domande. Era fatta così, amava chiedere, amava la curiosità e, sopratutto, odiava il silenzio.
«Per come la vedo io, credo che ci sia molta disinformazione su la vostra specie»
«Per fortuna» aggiunse Willow.
«Perché volete nascondervi al resto del mondo? Io se fossi in voi andrei in giro sempre in forma di lupo, magari spaventando chi mi sta antipatico. Ah, potrei partecipare alle olimpiadi, tanto siete super forzuti. E scommetto che voi non vi ammalate, niente raffreddore, niente riposo e niente brodo di pollo...»
Evelyn andò a sbattere contro la schiena di Noah, lasciando la frase a metà. Non capendo cosa stesse succedendo, alzò gli occhi, notando che i due licantropi stavano fissando un punto ben preciso del bosco, e dai loro sguardi, non sembrava niente di buono.
Quando anche lei portò lo sguardo nella stessa direzione, si irrigidì. Tra gli alberi, a pochi metri di distanza, un uomo e una donna mai visti prima li stavano fissando.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top