Gli umani e i non-lupi

Capitolo 19


Le poche fiaccole attaccate al muro di pietra non riuscivano ad illuminare a sufficienza il lungo corridoio che si perdeva nell'oscurità.
Quentin camminava adagio e in rigoroso silenzio. Di tanto in tanto si fermava per ascoltare attentamente i rumori che lo circondavano.
Era uscito dalle segrete per ritrovarsi in un vero e proprio labirinto di corridoi e stanze. Da ciò che aveva potuto vedere era stato davvero rinchiuso in una specie di castello medievale.
Entrando in un'enorme stanza, la pietra lasciò il posto a pareti dipinte di rosso. L'arredamento era più curato, e un grande camino ospitava al suo interno del fuoco scoppiettante. Sentendosi allo scoperto si appoggiò ad una delle colonne di marmo, osservando lo spazio circostante.
«Come hai potuto fartelo scappare?»
«Mi ha colpito!»
Quentin trattenne il fiato. Le voci dei due uomini erano distanti, ma sembravano avvicinarsi. Immobile e con lo sguardo attento ispezionò le scale che portavano ai pieni superiori e poi la porta di legno alla sua sinistra. Non aveva via di scampo, non gli rimaneva che stare fermo e sperare nella buona sorte.
«Sei un imbecille!» tuonò nuovamente uno dei due uomini. L'altro, che Quentin riconobbe come l'energumeno che gli portava da mangiare, non rispose.
I passi, da prima ovattati, si fecero più vicini, e dopo lunghi secondi di attesa, li vide entrare nella stanza. L'uomo sconosciuto camminava con passi decisi e lo sguardo irato.
Quentin giudicò che dovesse essere alto almeno due metri e con quei muscoli non avrebbe di certo potuto abbatterlo tanto facilmente.
«Vic, lo senti?»
«Si» rispose l'altro soddisfatto. «Esci, umano!»
Quentin vide i due uomini voltarsi verso il suo nascondiglio. La sua fuga erano appena finita. Pensò di scappare, ma sarebbe stato inutile.
Lentamente staccò la schiena dalla colonna, raggiungendo il centro della stanza.
«Prendilo, Tom» ordinò Vic con il sorriso sulle labbra.
Tom fece il suo solito grugnito da maiale e con forza legò i polsi di Quentin.
«Pensavi di scappare?» chiese poi Vic avvicinandosi.
«Volevo soltanto fare un giro» rispose Quentin fissandolo negli occhi.
Lo schiaffo lo colpì in pieno viso. Per un attimo vide soltanto nero e scintille di dolore lo attraversarono dalla testa ai piedi.
«Non prendermi per il culo, umano.»
«Perdonami, hai ragione. In realtà volevo soltanto un caffè» ribatté Quentin con un mezzo sorriso, ma ancora dolorante.
Vic strinse i pugni e poi lo colpì ancora, questa volta sulle costole.
Quentin annaspò,ritrovandosi senza un briciolo di aria nei polmoni. Un dolore lancinante gli invase il petto e il rumore delle sue ossa non prometteva niente di buono.
«Allora, vuoi continuare a fare lo spiritoso?» chiese Vic prendendolo per i capelli.
«Lascialo andare!»
Una voce di donna giunse dalle scale. Quentin si voltò in quella direzione, vedendo Elisabeth in tutta la sua bellezza.
«Sai che Alastair lo vuole vivo» aggiunse poi raggiungendo gli altri.
«Certo, lo so» rispose Vic abbandonando la presa.
«Riportatelo nella sua cella.»
Elisabeth guardò Quentin, e lui capì che stava tentando di difendendo.
«Tom, hai sentito cosa ha detto la nostra Alfa? Portalo in cella» disse Vic tenendo gli occhi fissi in quelli della donna. «Ma prima di andare, voglio lasciargli un ricordino» dopo aver parlato estrasse dalla tasca un coltello, avvicinandosi all'umano.
Con forza gli afferrò un polso e lo alzò verso l'alto.
Accadde in pochi istanti.
Il dito indice di Quentin cadde a terra rimbalzando appena.
Quentin non capì cosa fosse successo, non poteva essere vero.
Il sangue, caldo e denso, iniziò a colare sul pavimento di marmo. «Così ti ricorderai di non scappare» aggiunse infine Vic.
Elisabeth rimase immobile, gli occhi sconcertati e il viso contratto. Quentin, ancora confuso, capì che quello che sembrava un giocattolo di Halloween, era in realtà il suo dito. Non era un gioco, gli avevano tagliato un dito.
Non aveva più il suo dito indice.
L'urlo di dolore che fino a quel momento gli era rimasto imprigionato in gola, gli uscì dalla bocca con violenza, propagandosi per tutto il castello.


***


Evelyn si rigirò nel letto stiracchiando i muscoli indolenziti. Aprì gli occhi con calma, sospirando e ritrovandosi a sorridere senza motivo.
«Nessuno dovrà più toccarti»
Quella frase le riempì la mente e per un attimo sentì di nuovo il tocco di Noah sulla pelle. Si voltò verso sinistra, sicura di vederlo dormire, ma con delusione, scoprì di essere sola.
Osservò la finestra chiusa e il raggio di sole che l'attraversava. Era successo davvero? Ancora non credeva di aver fatto sesso con Noah.
Non sarebbe mai riuscita a spiegare cosa aveva provato, cosa aveva sentito. Era come se lui avesse colmato quel vuoto che aveva dentro. L'aveva completata, non sentiva più la solitudine che la divorava inesorabilmente da anni.
Sospirando ancora, sentì dei rumori nel giardino. Contro voglia si alzò e vide che Beulah e Uncas erano già pronti e forse stavano aspettando soltanto lei.
Evelyn cercò i suoi vestiti e in pochi minuti si vesti. Visitò per un ultima volta il bagno e quando finì lo osservò con malinconia; presto avrebbe dovuto fare nuovamente i bisogni nel bosco.



Fuori la neve aveva ricoperto l'erba e la temperatura era scesa ulteriormente. Evelyn si avvicinò ai due licantropi e li salutò con un cenno del capo.
«Dov'è Noah?» chiese poi scrutando il bosco.
«Sta facendo un giro di ricognizione. All'alba si è trasformato ed è tornato come nuovo» rispose Beulah incrociando le braccia sul petto.
Evelyn non riuscì a trattenere un sorriso. Ogni centimetro del suo corpo bramava di rivederlo, di posare nuovamente gli occhi su quel volto dalla bellezza straordinaria.
Osservò ancora tra gli alberi e infine lo vide. Un brivido la percorse, lasciandola quasi senza fiato. Lo guardò camminare con calma, con il suo solito incedere fiero.
Attenta a non sbavare, Eve.
«Possiamo andare?» chiese Uncas impaziente.
Noah annuì. «Si,andiamo a riprendere Willow»
Evelyn attese che lui la guardasse, che le rivolgesse la parola. Ma l'altro, niente, neanche una piccola occhiata. Dopo vari secondi immobile, sentì che Beulah la stava chiamando.
«Andiamo, Eve!»
Lei, delusa, la seguì.


Ad ogni passo maledì Noah. Perché la ignorava? Calpestò il terreno con rabbia fino a quando un pensiero, che da prima era soltanto un ronzio fastidioso, non divenne un martellare costante.
Avevano fatto sesso senza nessuna protezione.
Cazzo.
Perché non ci aveva pensato prima? Stringendo i pugni si avvicinò a Noah. «Devo parlarti» disse continuando a camminare al suo fianco. «In privato» aggiunse poi seria.
Lui abbassò lo sguardo con aria interrogativa. «Dimmi...»
Evelyn si guardò alle spalle, controllando che gli altri fossero abbastanza lontani. Poi riposò lo sguardo su Noah.
«Perché diavolo mi stai ignorando?» okay, non era proprio quello che voleva dire, ma vederlo così tranquillo la rese ancora più nervosa.
Lui sorrise. «Pensi non mi sia piaciuto?»
Evelyn arrossì all'istante. «No...»
«Sono il loro Alfa e abbiamo una missione da compiere. Credi che a loro farebbe piacere se ti baciassi per tutto il tempo? Penserebbero che non sono abbastanza concentrato»
Quella era una spiegazione più che logica e lei imprecò mentalmente per la sua stupidità.
«Hai ragione. Ma c'è un'altra cosa di cui vorrei parlarti»
«Parla pure»
«Ieri sera, lo abbiamo fatto e credimi è stato bellissimo... però, ecco, non abbiamo usato...»
«Non abbiamo usato?»
«Precauzioni, non abbiamo usato precauzioni» sussurrò Evelyn imbarazzata.
Noah sembrò rifletterci e i suoi lineamenti si tesero, ma poi si rilassò nuovamente.
«È impossibile. Tu sei umana e noi licantropi non possiamo procreare con voi» dopo aver parlato la osservò per qualche secondo e le stampò un bacio sulla fronte. «Sta' tranquilla, anche per me è stato bellissimo» disse appoggiando le labbra sul suo orecchio.
Evelyn rimase immobile, mentre lui continuò a camminare. Sentì il viso avvampare e il cuore battere all'impazzata.
Sei una stupida, Eve, lo sai?
Lo sapeva benissimo, con Noah perdeva ogni controllo e il suo cervello si rifiutava di pensare razionalmente.
Dopo aver preso una nuova boccata d'aria fresca continuò a procedere.



***


Camminare non era più un problema. Sentiva di essere in forma e, forse,  tutto quell'esercizio fisico l'aveva aiutata.
Le gambe non le facevano male e il suo respiro era regolare. Sulla sua fronte non vi era neanche una goccia di sudore.
Stavano procedendo con calma, ma a passo sostenuto da qualche ora. Gli altri rimanevano in silenzio, e ormai Evelyn si era abituata a quei lunghi minuti di quiete.
Dopo aver attraversato un piccolo torrente, un rumore attirò la sua attenzione. Un animale? Che suono strano, era come un grattare, un battito sordo. Rimase ferma ad ascoltare e scoprì che ciò che stava ascoltando proveniva da sotto terra. Sì, era sotto di lei, qualcosa stava scavando sotto di lei.
Si abbassò; gli occhi grandi attenti. Presa da una frenesia che non aveva mai provato prima, iniziò a scavare senza sosta. Nella sua mente cosciente non capiva il motivo di quei gesti, ma qualcosa di più profondo la stava obbligando a scavare.
Con le dita ormai sporche di terra, e il respiro affannato, afferrò con decisione un piccolo topo.
«Ti ho preso piccolo bastardo!»
Incredula, ma attraversata da un brivido piacevole, si portò il topo alla bocca. Lo desiderava, voleva assaggiare il suo sangue.
Che stai facendo, Eve?
Ho fame, ho fame...
Il piccolo animale squittiva e si dimenava tra le sue mani, i piccoli occhi, tondi e neri, erano attraversati da lampi di terrore. I loro sguardi si incontrarono ed Evelyn, come se fosse uscita da un sogno, urlò, lanciando poi il topo lontano.
Si guardò intorno e scoprì che gli altri si erano avvicinanti, guardandola con sospetto.
«Te l'avevo detto» sussurrò Beulah rivolta a Noah. Quest'ultimo sbuffò dal naso e poi aiutò Evelyn ad alzarsi.




«COSA?»
La voce di Evelyn divenne stridula. Fece correre lo sguardo sui tre licantropi che si erano seduti davanti a lei.
Forse non aveva capito bene. Ciò che stavano cercando di dirle era impossibile.
«Sta'calma.»
«State scherzando,vero?» chiese iniziando a ridere. «Volete soltanto scherzare...»
Noah scosse piano la testa. «Vorrei tanto, credimi.»
Evelyn trattenne il fiato. Le avevano appena detto che, molto probabilmente, il morso di Noah l'aveva cambiata. Lei aveva chiesto timidamente se fosse diventata come loro, ma gli altri avevano risposto di no, lei era diversa.
Sentì di essere confusa e spaesata di fronte quelle affermazioni; che cos'era? Cosa le avevano fatto?
«Sono un mostro?» chiese infine lei a bassa voce.
«No, certo che no...» rispose prontamente Beulah.
Noah si avvicinò ad Evelyn, prendendola per mano. «Vedi, nel momento in cui ti ho morso la gamba era un solitario, il morbo aveva preso il sopravvento...»
Che razza di spiegazione era? Non le dava nessuna risposta. «Volete essere più chiari?»
Noah rifletté, come se stesse cercando di trovare le parole giuste. «Sicuramente avrai sentito le storie... per voi umani se un licantropo morde una persona, l'altra diventa automaticamente un licantropo, giusto?»
Evelyn annuì. Trovava così assurda quella conversazione.
«Ecco, in realtà non funziona. Io ti avevo detto che per un umano è impossibile diventare un licantropo, ma non è del tutto vero»
I due si guardarono ed Evelyn, per un attimo, si perse nuovamente negli occhi di lui. Poi si rese conto che non era il momento, aveva cose ben più gravi a cui pensare.
«Noah parla chiaro, cazzo!»
«Quando un licantropo, un licantropo solitario affetto dal morbo, morde un umano,quest'ultimo diventa un non-lupo. Non sono come noi; non possono trasformarsi a piacimento e non hanno sangue di lupo»
«Un non-lupo?» ripeté Evelyn con voce atona. Avrebbe potuto accettare di essere un licantropo, in fondo, trasformarsi in aggraziati animali non sarebbe stato poi così male, ma trasformarsi in un mostro che sbava e ululava per tutto il tempo non l'alettava affatto. «I non-lupi possono trasformarsi soltanto con la luna piena e ...»
Noah si passò una mano tra la barba e, guardando Beulah, le chiese aiuto con gli occhi.
«E sono un po' ingestibili... la parte animale prende totalmente il sopravvento» disse Beulah finendo per lui la frase. «Ma tranquilla, la tua vita può continuare normalmente, devi solo stare attenta» si affrettò ad aggiungere la ragazza dopo aver visto lo sguardo terrorizzato di Evelyn.
«Continuare... stare attenta...» balbettò lei improvvisamente pallida. Come potevano essere così calmi di fronte a quelle parole? «Non c'è un antidoto... qualcosa del genere?»
«Mi dispiace, ma non si può tornare indietro» rispose Noah.
Evelyn cercò di rimanere calma, ma come poteva? Era un mostro. Come avrebbe potuto vivere una vita normale se, ogni volta che la luna brillava nel cielo, lei si trasformava in un animale assetato di sangue? Si alzò di scatto e si allontanò dagli altri, le mancava l'aria.
«Eve, aspetta!» urlò Beulah alzandosi per raggiungerla.



Gli alberi e quel paesaggio sempre verde e bianco a causa della neve, sembrarono inghiottirla. Era stufa di vedere sempre le stesse cose ed era stufa di non avere nessuna comodità. Le mancava la sua casa, suo zio e la sua vita normale.
Ogni volta che pensava di essere felice, ogni volta che credeva di stare bene, ogni volta che credeva di aver preso una buona decisione, accadeva qualcosa che la faceva ripiombare nell'oscurità.
Appoggiò la mano ad un albero, respirando affannosamente.
Un mostro, soltanto un mostro.
La sua imprudenza l'aveva portata a questo e non sarebbe più potuta tornare indietro.
«Ehi» esordì Noah arrivando alle sue spalle.
«Va' via! Tu lo sapevi, perché non mi hai detto niente?» urlò lei voltandosi.
Noah non rispose, la prese tra le braccia e la strinse nonostante l'altra cercasse di ribellarsi.
«Speravo che il morbo non ti avesse infettata»
Evelyn si abbandonò finalmente a quella stretta; ne aveva assolutamente bisogno. Sentire il battito calmo del suo cuore la tranquillizzò.
«Cosa devo fare, come farò?» in quel momento non riuscì più a trattenere le lacrime.
«Ci sono io»

Evelyn alzò un sopracciglio, comprendendo solo in parte il significato di quell'affermazione.
«Già, e per quanto? Tu hai la tua riserva, hai uno scopo nella vita. Io non ho più un lavoro, non ho niente...»
«Io ci sarò fino a quando lo vorrai. Pensi che sia soltanto sesso per me?»
Si, lo aveva pensato. Non aveva avuto il coraggio di immaginare che lui volesse qualcosa di più. Alzò lo sguardo e, lentamente, lo baciò. Il sapore dolce e tiepido di Noah le infuse coraggio e lucidità.
Adesso non era poi così diversi.
«Non-lupo?» sussurrò lei ancora spaventata da quel nome. Lui sorrise a malapena. «Sai, i non-lupi sono più forti di noi licantropi»
«Quindi potrò prenderti a pugni? Ne sarei davvero felice»

«Si, potrai farlo» rispose Noah ridendo.

Evelyn ascoltò quella risata e il cuore le esplose. Non accadeva spesso, il suo viso era sempre così serio, ma con lei cambiava. I suoi occhi sembravano più sereni e i lineamenti più rilassati.
«Noah... non lasciarmi»
Lui le prese il viso tra le mani, baciandola dolcemente sul naso. «Perché hai così paura?»
«Tu riprenderai la riserva e io cosa farò? Non posso pensare di non vederti, di non toccarti...»
Noah sospirò. «Ricordi cosa ti ho detto? Nessuno dovrà più toccarti. Tu starai con me e nessuno ti farà del male»
Evelyn ebbe un sussultò sentendo la voce cupa dell'altro. Quelle parole gli uscirono quasi con rabbia, e la sua parte animale prese il sopravvento. Quella possessività, l'aggressività del suo desiderio avrebbero dovuto spaventarla, ma in realtà provò soltanto una fitta intensa di eccitazione.
Al diavolo i mostri, al diavolo il morbo e la luna piena. Con Noah al suo fianco avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.































































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