Esiliati
Capitolo 7
La piccola finestra fatta di legno era coperta da una graziosa tenda color verde pallido. Il letto a castello, anch'esso intagliato nel legno, poggiava sulla parete centrale della camera. Un bambino di dieci anni e la sua sorellina erano sdraiati sul letto inferiore, abbracciati l'uno all'altra.
Quando la porta si aprì i loro sorrisi si allargarono; Edgar, il loro padre, entrò nella stanza con occhi colmi di tenerezza.
«È tardi, dovreste dormire» disse poi avvicinandosi.
La bambina si coprì il viso con il lenzuolo candido, mentre l'altro appoggiò il gomito sul cuscino, attendendo che il padre si sedesse accanto a loro.
«Papà raccontaci la Leggenda» disse Noah con entusiasmo.
«No, papà, raccontaci di quando hai mangiato il cuore di quel lupo del sud...» proruppe Willow interropendo il fratello con la sua voce squillante e con un'espressione elettrizzata sul viso.
Edgar alzò le sopracciglia, chiedendosi per quale motivo una bambina di cinque anni volesse ascoltare storie simili.
«Noah... quante volte ti ho detto di non raccontare certe cose a tua sorella?» disse infine guardandolo severamente.
«Me l'ha chiesto lei!» replicò il ragazzino.
Edgar, vedendo lo sguardo mesto del figlio, sorrise nuovamente. Ogni giorno, ogni momento in cui posava gli occhi sui visi dei suoi figli, scopriva di aver fatto qualcosa di straordinario; erano i suoi piccoli, i suoi cuccioli. Mai niente e nessuno avrebbe potuto ferirli, lo aveva promesso a sé stesso nel momento in cui aveva visto quei faccini paffuti e rosei. «Bene, direi che posso raccontarvi la leggenda dei lupi del nord. Magari ti parlerò del traditore quando sarai abbastanza grande» dopo aver parlato osservò la figlia, che dopo aver roteato gli occhi, incrociò le braccia sul petto con il viso imbronciato.
Edgar le passò una mano tra i capelli castani e poi si schiarì la voce, infine iniziò a raccontare. «Sin dall'alba dei tempi, ma forse anche prima, la grande magia di "colui che crea" si posò sui quattro punti cardinali, facendo nascere le quattro grandi tribù: i Lupi del Nord, manto bianco e occhi color del ghiaccio, coraggiosi e potenti. I Lupi dell'Ovest, manto grigio e occhi verdi, astuti e veloci. I Lupi dell'Est, manto color del miele e occhi rossi, dediti alla grande magia. Infine, i Lupi del Sud, manto rosso e occhi gialli, avari e superbi. Le prime tribù vissero sempre in pace, ognuna nei rispettivi territori, senza mai darsi fastidio, aiutandosi a vicenda. Ma i Lupi del Sud, sempre pronti a fare guerra, attaccarono il popolo dell'Ovest, radendolo al suolo, uccidendo donne e cuccioli, minacciando di fare lo stesso alle altre tribù. Gli altri popoli, dopo l'iniziale smarrimento, si unirono sotto ad un unico Alfa, un lupo del Nord, grande e valoroso; Task, il vostro avo più potente, colui che aveva il marchio...»
Così dicendo, indicò gli occhi scuri dei figli con il dito indice. Willow sorrise, afferrando la mano del padre per poi portarsela alla guancia paffuta.
Edgar continuò. «La guerra fu dura, e molti lupi morirono in battaglia, ma dopo dieci lunghi anni, la giustizia ebbe la meglio. Da quel giorno regnò la pace, le quattro tribù divennero un'unica grande famiglia, con a capo un Alfa del Nord. I pochi Lupi del sud rimasti decisero di rimanere, pentendosi amaramente di ciò che avevano fatto, e noi, che sappiamo cosa significa la pietà, decidemmo di concedergliela. Voi siete nati in un periodo di tranquillità e come potete vedere, tutti noi viviamo in pace, rispettandoci a vicenda...» Edgar si bloccò, notando che i due bambini dormivano profondamente. Diede loro un bacio sulla fronte, inalando il loro profumo; un misto di innocenza e bontà.
Percepì l'odore del sangue del suo sangue.
Si alzò lentamente, cercando di non fare rumore, ma quando arrivò alla porta, una debole voce lo fece voltare.
«E Alastair? Ha detto che vuole sfidarti» biascicò Noah.
«Sciocchezze, potrei azzannare quel Rosso in qualsiasi momento. Adesso dormi...» Edgar afferrò la maniglia con la mano destra.
«Papà?»
«Si?»
«Io prenderò il tuo posto, vero?»
«Quando il mio tempo sarà finito, tu diventerai l'Alfa»
«E starai per sempre con me?»
«Vero, papà? Rispondimi...»
La camera non esisteva più, intorno a lui vedeva soltanto foglie, sangue sulla neve, l'odore della morte.
E, poi, eccolo, il corpo di suo padre senza vita.
E una risata riecheggiava nelle sue orecchie; Alastair stava ridendo di lui, stava ridendo di suo padre, di tutti i lupi del Nord.
«Cucciolo indifeso! Ti manca il tuo papà? Ha urlato quando gli ho squarciato la pancia»
«SMETTILA! SMETTILA...»
Un urlo spezzò il silenzio dell'alba. Evelyn aprì gli occhi, sobbalzando vistosamente. Il cuore iniziò a batterle all'impazzata, visse un momentaneo stato di confusione, tipico di chi è stato svegliato bruscamente. In un primo momento fece fatica a capire dove fosse, poi vedendo il divano su cui era sdraiata, si alzò immediatamente in piedi.
Intuì da dove provenisse quell'urlo agghiacciante; Noah aveva ancora gli occhi chiusi, ma continuava ad urlare e a muovere le braccia come se stesse cercando di afferrare qualcosa nel vuoto.
Evelyn si avvicinò adagio, poggiandogli una mano sulla spalla.
«Noah stai sognando...»sussurrò dolcemente.
L'altro aprì gli occhi e lei dovette fare un passo indietro; ciò che vide in quello sguardo la spaventò più di ogni altra cosa, in confronto, il terrore che aveva provato vedendo una donna trasformata in lupo era di gran lunga inferiore. Non avrebbe mai potuto descrivere cosa si celasse in quegli occhi vacui, spenti. Si sentì come investita da un'energia oscura e quasi palpabile.
«Tutto bene?» chiese titubatene, cercando di nascondere il tremolio della voce.
Noah iniziò a respirare affannosamente, emettendo suoni strozzati, poi, improvvisamente, strinse le mani intorno al collo esile dell'altra, stringendo così forte da soffocarla. Evelyn cercò di colpirlo, ma i suoi sforzi furono vani; era troppo forte e lei non riusciva neanche ad urlare. Pensò con orrore che l'avrebbe uccisa.
Presa dal panico, non sentì il rumore di passi che proveniva dalle scale.
«Noah, fermo!» urlò Willow scendendo al piano di sotto. Quando fu abbastanza vicina afferrò il fratello da dietro, costringendolo ad abbassare le braccia.
Finalmente Noah mollò la presa ed Evelyn, ansimante, con il cuore che le martellava nel petto, con il sangue che le martellava nelle tempie uscì di corsa dalla casa.
Una nebbia leggera copriva il bosco circostante, rendendo umida l'erba e gli arbusti più bassi. Evelyn iniziò a correre, senza badare al freddo e al fatto che indossasse soltanto una paio di jeans e una canottiera, senza neanche badare a dove mettesse i piedi. Come aveva anche potuto pensare di essere al sicuro in quella casa? Si sfiorò il collo, sentendo la gola gonfia e dolorante. Si, avrebbe potuto ucciderla e lei non avrebbe avuto né la forza, né lo spirito per fermarlo.
Aveva ancora in mente quegli occhi velati e l'immagine le causò un brivido; era un animale, un predatore mosso soltanto dal puro istinto della caccia e lei, miserabile preda, piccolo agnello indifeso, correva per salvarsi.
Una fitta al fianco sinistro la costrinse a rallentare, e subito dopo, si fermò in mezzo ad una radura, rantolando, sentendo la trachea bruciante. Si guardò intorno, notando che il sole non era ancora sorto del tutto. Respirò freneticamente, cercando l'aria, ma si sentì come dentro una bolla che le impediva di respirare.
Dove sono?
Annaspò in mezzo al bosco colmo di alberi tutti uguali, senza nessun punto di riferimento. E se l'avessero seguita? Una lacrima solitaria le scese lungo la guancia. Scoprì che quella situazione non era poi così elettrizzante; la morte non era affascinante come alcuni poeti scrivevano. Si trascinò vicino ad un masso e vi si sedette, portandole mani sul viso, cercando di pensare lucidamente.
Un ramoscello spezzato.
Evelyn alzò la testa e, vedendo la figura possente di Noah, si rannicchiò sulla roccia. L'aveva trovata e adesso avrebbe finito il suo lavoro. Aveva ucciso un suo simile in poche e semplici mosse, con lei sarebbe stato un gioco da ragazzi.
«Vattene! Lasciami stare, ti prego!» urlò lei senza badare alla nuova fitta di dolore proveniente dalla gola.
Noah si avvicinò lentamente, portando le mani in avanti per farle capire di non avere cattive intenzioni. «Pavor nocturnus» disse semplicemente lui.
Evelyn lo guardò con un'espressione perplessa sul viso. L'altro intuendo il motivo di quello sguardo continuò.
«Terrore notturno. Mi succede spesso... Sin dall'infanzia»
Evelyn rimane immobile, ricordando di aver letto qualcosa a riguardo, ma la notizia non la tranquillizzò affatto. «Pensavo volessi uccidermi» sussurrò lei piagnucolando.
Noah sorrise, osservandola come si farebbe come una bambina spaventata da un incubo. «La nostra gente non uccide gli umani, mai. Mi dispiace di averti spaventata.»
Lei alzò gli occhi, e lo osservò; la colpì sentire la dolcezza nella sua voce, capì che era veramente dispiaciuto. Vedendolo sotto la luce fievole dell'alba, nella sua perfezione da dio greco, con quell'aria colpevole, la rassicurò, facendole dimenticare che la stava per strangolare a mani nude.
«Non farlo» disse poi Noah.
Evelyn alzò un sopracciglio per poi arrossire. Loro, le persone come lui, potevano sentire l'emozioni, lo aveva capito la sera precedente e non era affatto piacevole.
«Potresti farti perdonare raccontandomi cosa sta succedendo. Impazzirò se non mi dici come stanno le cose» replicò lei cambiando totalmente argomento.
Si, voleva sapere, lo meritava.
Noah sospirò, portando le mani nella tasca dei jeans scuri. «Hai ragione. Ma non pensi sia meglio tornare in casa? Stai tremando»
Solo in quel momento si rese conto di essere scossa da brividi di freddo. Provò ad alzarsi, ma poi tornò a sedere. Voleva rimanere lì, loro due soltanto in mezzo al nulla. Pensò che Willow influisse negativamente sul fratello e poi, doveva ammettere a se stessa di essere ancora spaventata. «Preferisco rimanere qui» disse decisa.
«Va bene, come vuoi»
«Parla, voglio sapere tutto» disse Evelyn con tono deciso.
Noah si sedette accanto a lei, poggiando i gomiti sulle cosce muscolose. «Io e mia sorella siamo gli ultimi discendenti degli Alfa del Nord. Figli di Edgar King, capo branco, e di Elisabeth King, Alfa femmina della riserva "Luna di Tuono"» Evelyn rimase in silenzio, quella frase non spiegava niente, anzi, aumentava la sua curiosità. Decise di rimanere comunque in silenzio, aspettando che fosse lui a continuare.
Dopo poco Noah, parlando con estrema calma, le raccontò la Leggenda, come faceva suo padre quando era piccolo. Ogni parola gli causò dolore, ma continuò fino alla fine.
Evelyn iniziò a capire; dell'esistenza dei licantropi ormai non aveva più dubbi, ma almeno adesso conosceva una piccola parte di quel mondo. Le storie interessanti non erano ancora finite e lei dovette abbandonare il suo raziocino e immergersi in quei racconti senza badare all'assurdità, ma ascoltando semplicemente come farebbe una bambino il primo giorno di scuola. Doveva ammettere che la Leggenda l'aveva elettrizzata.
«Quindi i rossi sono i cattivi, giusto? Ma perché vi danno la caccia? Anzi, ci danno la caccia. Ah, aspetta, chi è Alastair? Ho sentito il suo nome» chiese Evelyn quando l'altro ebbe finito.
Noah si irrigidì sentendo quel nome. «Alastair è un traditore e merita di morire, dovrà bastarti questa spiegazione. Per quanto riguarda i rossi puoi stare tranquilla, non saranno più un problema per te» Evelyn corrucciò il viso, quelle risposte non le bastavano, era ancora tutto troppo confuso e criptico.
«Ma perché voi non tornate alla vostra riserva? Insomma tu non dovresti essere il capo?»
«Siamo esiliati» rispose Noah osservando il sole ormai sorto.
«Cosa significa?»
«Perché tutte queste domande? Non ti serviranno a niente le mie risposte. Tra poco ti riporterò a casa, io e mia sorella abbiamo una missione da compiere e i rossi ci seguiranno lasciandoti in pace. Ma se riveli a qualcuno il segreto, oppure, ancor peggio, scriverai un articolo, loro lo sapranno e per te sarà la fine.»
Evelyn si sentì improvvisamente esasperata, perché non poteva risponderle e basta?
«Hai detto che la tua gente non uccide gli umani» ribatté lei.
«Loro non sono come noi, pensavo l'avessi capito»
Evelyn non rispose, ripensando a ciò che aveva detto poco prima. Che missione dovevano compiere? Poi le tornò in mente la conversazione che aveva origliato la sera precedente.
Dobbiamo partire...
L'idea di non rivederlo più la rendeva assurdamente malinconica. Era come se due anni della sua vita venissero cancellati.
«Te ne andrai?» chiese mettendo da parte le storie di lupi, l'articolo e tutto il resto. A lei interessava Noah. Vederlo parlare in quel modo, con un misto di felicità e nostalgia l'aveva reso ancora più bello ai suoi occhi. Il modo in cui si toccava il pizzetto, le mani grandi e forti, lo sguardo concentrato; erano le piccole cose che Evelyn osservava con avidità.
«Ogni volta che penserai a me, a quella panchina... Pensa a come hai urlato, alla sensazione che hai provato con le mie mani intorno al collo e vedrai che sarai felice che io non sia più qui» così dicendo Noah si alzò, avvicinandosi agli alberi.
Evelyn scosse lievemente la testa, il cuore colmo di speranza. Era possibile che lui avesse dei sentimenti? Qualunque essi fossero? «Sicuro di non volermi dire chi è Alastair?» fece lei raggiungendolo.
«Più che sicuro»
«E non puoi dirmi dove andrete?»
«No» mentre parlavano si incamminarono tra la vegetazione. Evelyn rimase in silenzio per qualche secondo, ma non riusciva a reprimere le domande.
«Cosa significa esiliati? Cosa avete fatto? Scommetto che è per colpa di tua sorella...»
Noah si fermò e lei per poco non andò a sbattere contro la sua schiena. «Non parlare di cose che non conosci» disse lui a denti stretti. Ed ecco di nuovo la voce fredda e distante, Evelyn si rimangiò i pensieri su i sentimenti dell'altro.
«Scusami, non volevo»
Continuarono a camminare, questa volta in rigoroso silenzio.
Quando arrivarono alla piccola casa, Evelyn, sfinita dalla voglia di fare domande, iniziò a parlare a ruota libera, come era solita fare.
«Com'è essere un licantropo, cosa sentite... insomma cosa provate? Siete come i cani, vedete in bianco e nero? Fate la pipì sugli alberi? L'argento è davvero il vostro punto debole, e come si può diventare un lupo? Insomma, le pallottole, i morsi infetti...»
Noah la fissò torvo, e lei si morse la lingua, maledicendo il suo carattere poco paziente. Poi l'altro iniziò a ridere, una risata vera, sinceramente divertita.
«Sei incredibile, sai? Non so cosa pensare; una persona come te può essere totalmente stupida o fin troppo coraggiosa»
«Perché non lasci stare queste congetture e cerchi di fidarti di me?» tagliò corto Evelyn.
Noah rifletté su quelle parole e poi, senza dire niente, raggiunse sua sorella che lo stava aspettando sul patio della casa.
«Non mi scappi, non mi scappi...» sussurrò Evelyn a se stessa.
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