Epilogo
In bocca aveva un sapore metallico e disgustoso.
Ricordava poco e niente di ciò che era accaduto. Immagini sfuocate le attraversarono gli occhi chiusi: licantropi, la Luna Rossa, arti mozzati, denti, artigli, Noah.
A quel pensiero aprì di scatto le palpebre. Evelyn si guardò attorno, confusa. Era sdraiata in un grande letto a baldacchino e non aveva la minima idea di dove si trovasse. La stanza era ampia e arredata con cura; gli oggetti sembravano arrivati dirittamente dal medioevo. Solo una grande TV attaccata alla parete centrale rivelava l'effettivo anno in cui si trovava.
Guardò la finestra e si costrinse a socchiudere gli occhi. Il mal di testa le arrivò subito dopo, insieme alla nausea.
Abbassando il viso si rese conto che Noah era lì. Sano e salvo, a parte molti lividi e lacerazioni. Teneva il capo chino, seduto su una poltrona poco distante da lei. Un sospiro di sollievo le increspò le labbra; era tutto finito?
«Noah...» lo chiamò con voce esile.
Lui alzò la testa immediatamente, come se non stesse aspettando altro che quel momento.
Aveva il viso tirato e un colorito grigiastro, Evelyn non lo aveva mai visto tanto stanco.
«Come ti senti?» chiese lui portandosi sul bordo del letto.
Lei ci pensò su e non poté evitare di scoppiare a piangere. Anche se non ricordava i particolari, sapeva, ne era assolutamente certa, di aver ucciso delle persone. Tutto lo stress, la paura e le preoccupazioni le piombarono addosso, schiacciandola e soffocandola. Pianse silenziosamente, abbassando lo sguardo e stringendo il lenzuolo candido che le ricopriva le gambe.
Noah gli passò una mano tra i capelli e poi la costrinse ad alzare il viso. «È tutto finito» mormorò. «Stiamo tutti bene.»
Evelyn si lanciò su di lui, stringendolo e assaporando il suo odore familiare. Aveva estremamente bisogno di quel contatto capace di irradiare calore e sicurezza. Tra le sue braccia si sentiva protetta e capace di affrontare qualsiasi cosa.
«Alastair?» chiese poggiando la guancia sulla sua spalla.
«Ha avuto ciò che si meritava.»
Rimasero abbracciati per un lungo momento, entrambi bisognosi di qualcosa a cui aggrapparsi per non lasciarsi trasportare dagli eventi.
Quando Noah si allontanò leggermente per poterla fissare negli occhi, le afferrò il viso.
«Ricordi cosa hai detto quando siamo tornati alla fortezza?»
Evelyn annuì. Come avrebbe potuto dimenticare? Aveva confessato di amarlo. In quel momento si pentì del modo in cui lo aveva fatto; quel tipo di dichiarazioni avevano bisogno di atmosfere diverse.
Lo fissò in silenzio, cercando di capire cosa stesse pensando. Qualcosa dentro di lei cambiò. Sbatté le palpebre per qualche secondo e la sua visuale parve diversa. Intorno al corpo di Noah aleggiava un aura scarlatta. Sembrò gonfiarsi e poi tornare normale, come se stesse respirando.
«Sono innamorato di te, Eve. Credo di essermi innamorato nel momento in cui ti ho vista su quella panchina. Il modo in cui ti guardavi intorno con gli occhi grandi e confusi, la delicatezza del tuo corpo. Sei così pura e candida, così perfettamente innocente.» Noah si bloccò. Fissò per un momento la finestra, come se stesse cercando le parole adatte, e poi tornò su di lei. «Io non posso offrirti la pace che tu sai donarmi, ma voglio provarci. Voglio provare a renderti felice.»
Evelyn si concesse qualche secondo per elaborare i pensieri e metabolizzare quelle parole. Vedere Noah così sincero con lei la riempì di felicità; per la prima volta si stava aprendo. Ma cosa le stava chiedendo veramente? Era una dichiarazione? Lei aveva già fatto la sua scelta molto tempo prima. Voleva restare con lui ad ogni costo. Senza parlare si avvicinò alle labbra di Noah, sfiorandole appena.
«Sono sempre felice se ci sei tu» sussurrò poi.
Noah la baciò, stavolta più intensamente. Si portò sopra di lei e continuò a baciarla fino a farle mancare il fiato.
Evelyn immerse le meni nei suoi capelli, godendosi ogni attimo di pace, ogni centimetro del suo corpo bruciante. Era davvero felice, le bastava stargli accanto. Le bastava vederlo con il solito broncio e gli occhi attenti per poter essere serena.
Dopo qualche minuto si staccarono, bisognosi di prendere aria. Si guardarono negli occhi, scrutandosi avvicenda.
Poi Noah sorrise.
«Cosa c'è?» chiese lei continuando a giocare con i suoi capelli.
«Non sei niente male da non-lupo.»
Evelyn arrossì. Si immaginò trasformata in una bestia e a quanto sicuramente fosse orrenda. «Che vergogna...»
«No, dico sul serio, eri sexy anche con la pelliccia e la saliva che usciva dalla bocca!» ribatté lui cercando di trattenere le risa. Non riuscì nel suo intento, qualche istante dopo scoppiò a ridere.
«Ero così terribile?» fece lei arrossendo ancora di più.
Noah, continuando a ridere, si sdraiò accanto a lei, cingendole le spalle con il braccio. «Solo un pochino» rispose poi baciandola sulla fronte.
Evelyn sospirò. In quel momento non voleva pensare alla sua trasformazione, c'erano soltanto lei e Noah. «Spiritoso...» borbottò, colpendolo debolmente sul petto. «Dove è finito mio zio?» disse poi cambiando discorso.
«Sta visitando la fortezza. Mia madre gli sta facendo da guida.»
Sentendosi tranquilla e appagata, Evelyn si avvicinò ancora di più a Noah, poggiando la testa nel punto esatto in cui il cuore di Noah batteva a ritmo regolare. La stanchezza la invase nuovamente, e il letto comodo e caldo la costrinse a chiudere gli occhi. «Dormirò per una settimana» sussurrò.
Noah l'accarezzo dolcemente sulla schiena, ma il suo viso si rabbuiò. Brandon era ancora una minaccia. Era sicuro che sarebbe tornato, e il suo compito era quello di trovarlo per primo e finire ciò che aveva iniziato. «Dormi pure, penserò a tutto.»
***
Una brezza leggera si levò da nord, investendoli in pieno. Uncas e Willow fissavano il terreno ancora umido con tristezza. Sotto quello spesso strato di terra, giaceva il corpo di Beulah.
«Sta bene, è con il grande spirito» sussurrò Willow prendendo per mano il compagno. Sapevo che quello era soltanto un'amara consolazione, ma aveva il dovere di tirarlo su di morale, o almeno di provarci.
L'altro annuì debolmente. Gli occhi lucidi rivelavano l'infinito dolore. Una parte di lui era morta insieme alla sorella, non sarebbe mai più stato lo stesso. Il loro non era un normale rapporto fraterno. Erano legati per la vita, un tipo di legame che soltanto un licantropo può comprendere e sperimentare.
Willow lo strinse più forte e poi lo baciò sulle labbra. «Ti amo» disse poi accarezzandolo in volto. Uncas la sfiorò con le labbra. «Anch'io.»
La osservò per alcuni secondi e poi sospirò sommessamente. «Sono l'ultimo Lupo dell'Ovest» concluse.
Willow non rispose, non avrebbe saputo ribattere a quell'affermazione. Era davvero l'ultimo della sua specie e loro non potevano far altro che accettare la dura realtà.
Diedero un'ultima occhiata alla tomba e poi ripercorsero il piccolo sentiero che li avrebbe condotti nuovamente verso la fortezza.
Arrivati nel grande giardino, trovarono Quentin ed Elisabeth intenti ad osservare il grande salice piangente posto vicino ad uno delle fontane.
«Ehi, zio T, ti è piaciuto il giro turistico?» chiese Willow avvicinandosi.
«Davvero niente male, voi lupi sapete come spassarvela» rispose lui sedendosi a terra. Le costole gli dolevano ancora, ma la mano e le piccole escoriazioni stavano guarendo.
Elisabeth si avvicinò alla figlia, circondandola con le braccia, poco dopo fece lo stesso con Uncas. «Quando vi sposerete?» chiese osservandoli con le sopracciglia alzate.
I due arrossirono all'istante.
«Mamma!»
«Cosa c'è? Da cuccioli eravate inseparabili e lo siete anche adesso!»
Willow sbuffò rumorosamente e poi si accasciò sull'erba accanto all'umano. Avevano preso in considerazione il matrimonio molte volte, tuttavia non avevano mai trovato il momento adatto. Con la morte di Alastair e il ritorno alla riserva, avrebbero avuto molto più tempo per rifletterci e magari per prendere una vera decisione.
«Sono invitato anch'io al matrimonio?»
Una voce maschile giunse da poco lontano, interrompendo i suoi pensieri. Tutti i presenti si voltarono, non capendo chi fosse il misterioso arrivato.
Un uomo dagli occhi smeraldo li stava fissando con un sorriso sulle labbra. I capelli argentei brillavano alla luce del sole creando dei riflessi violacei.
Uncas, voltatosi, rimase immobile; i muscoli tesi e lo sguardo confuso. Conosceva perfettamente l'identità dell'uomo.
Awan era tornato.
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