XXVI - Il Lutto della Torre (pt. 5)

Con la morsa allo stomaco che si faceva ancora più forte, Kala si risiedette sulla panca, rannicchiandosi su sé stessa e facendo dardeggiare lo sguardo febbrilmente da un punto all'altro della locanda. Minhar, perché la vecchia era scomparsa in quel modo? E per tutti gli dei, cosa intendeva con quel... Mag Mell, cos'era quello?

La giovane afferrò la cinghia consunta che aveva sfiorato e la sollevò tremante dalla panca. Una bisaccia bitorzoluta ondeggiava dal suo pugno serrato, segnata da troppi graffi per poter essere contati. Sbiaditi fili di lana si intrecciavano a semplici sagome impresse a fuoco nel cuoio scuro, decorandolo con forme geometriche e immagini di fiori.

Il cuore della ragazza si strinse con un sussulto nel riconoscere le decorazioni simili a quelle delle tendine di sua madre, le corolle viola delle genziane, i pistilli scuri degli occhi-di-skadi e gli inconfondibili petali bianchi delle stelle di neve. No, non era possibile!

Kala scoccò un'altra occhiata alla borsa, ribaltandola in ogni senso, ma non c'erano dubbi: era la sua bisaccia, dei! Quella con cui era partita da Vahrel e che aveva perso tra le gole di Osselion! Con movimenti frenetici sciolse i lacci di cuoio sul davanti e spalancò la bocca della bisaccia. Un rotolo di stoffa consunta legato da un nastro azzurro oliva le cadde in grembo, e subito un sottile odore le pizzicò il naso. Era un odore di legno e di lana, ma anche un profumo simile a quello della sua foresta, di pioggia e di foglie in decomposizione. E solo in quel momento la giovane si rese conto che, anche se non se ne era accorta fino a quel momento, era una fragranza di cui fino a poco prima era stata circondata.

Con dita tremanti la giovane sciolse il nastro di stoffa consunto e srotolò il pezzetto di stoffa. E non riuscì a fare a meno di sgranare gli occhi: il messaggio era stato scritto con quello che doveva essere succo di bacche scure, forse ribes o mirtilli. Tuttavia le parole erano state tracciate — no, disegnate — con un'eleganza che la ragazza non aveva visto neppure tra i libri più pregiati di Mik. I segni erano precisi, belli — a tal punto che Kala avrebbe potuto credere che un poeta, o perfino un sacerdote o un nobile, li avesse tracciati. Eppure il messaggio non veniva da nessuno del genere: quello lo seppe appena lesse la prima riga.

Credo che questo appartenga a te.

Buona fortuna, bambina.

Ps: ti ho lasciato qualche dolcetto di carruba per il viaggio. Mangiali tutti, piccola: hai le braccia troppo magre!

Pps: ho anche aggiunto nella bisaccia un vasetto di miele e rosmarino per i tuoi capelli. Usa l'impacco due volte a settimana, poi risciacqualo con acqua tiepida. Davvero, cucciola: devi trattare meglio quei poveri ricci.

Ppps: Non avere paura del viaggio, bambina. Non avere paura del cambiamento: sei giovane, hai il mondo sulla punta delle dita. Abbraccialo. Io sarò sempre qui.

Non c'era nessuna firma alla fine del messaggio: solo uno scarabocchio che assomigliava a una "E" e una "D" intrecciate. Kala, tuttavia, non dubitò un solo istante chi fosse l'autrice del messaggio.

La giovane appoggiò di fianco a sé il pezzo di stoffa, afferrando di nuovo la sua bisaccia e iniziando a rovistarci febbrilmente. Saiph! A ogni oggetto che sfiorava e che vedeva, il suo cuore compieva un balzo. C'era tutto: il nastro che le aveva regalato suo padre prima di venir sbranato dai lupi, il libro di Mik, il suo semplice ricambio d'abiti e la saccoccia con qualche erba medicinale essenziale. C'era perfino il borsellino in cui aveva lasciato parte delle sue monete, Mag Mell! Le contò tremante, cercando di non dare nell'occhio. Non mancava neppure una singola moneta di bronzo.

Con un respiro tremante la ragazza si accasciò contro il muro, la bisaccia stretta al petto. Mosse di scatto il collo per allontanare il fastidio che le aveva punto la pelle. Dei, quella borsa era finita nel fiume! Come aveva fatto Enur a...

Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta.

Kala strizzò gli occhi, portando la mano sana alla nuca. Cosa intendeva? E, Minhar, che insetti fastidiosi c'erano in quella locanda? Sentiva un insistente pizzicore pungerle la pelle, come se ci avesse strofinato sopra una foglia di ortica. No, era più un fastidio sottopelle: un nodo urticante alla base del cranio che sembrava pulsare ritmicamente e mandare sottili fulmini lungo la sua schiena. Assomigliava alla sensazione che la tormentava quando... quando...

La ragazza sgranò gli occhi, i muscoli tesi. Oh, no.

Kala scattò in piedi, la bisaccia ancora stretta al petto, ma non riuscì ad allontanarsi più di un passo dalla panca. Una stretta d'acciaio le artigliò la spalla, facendo impazzire il pizzicore alla nuca.

«Siediti, giovine.»

La ragazza alzò lo sguardo disperata, pregando gli dei che si trattasse di un caso, una coincidenza, che lei non fosse di nuovo caduta tra le sue grinfie. Invece, due spietati occhi di un colore inesistente ricambiarono dall'alto il suo sguardo.

«Siediti», ripeté gelida An. «E ordina qualcosa da mangiare. Questo calar del sole ci attende un lungo viaggio.»

Il familiare odore di fieno e di bestie fu la prima cosa che accolse Balor quando raggiunse la cima della collinetta su cui avevano velocemente costruito il recinto per i cavalli. «Non è ancora tornata», l'uomo anticipò secco la domanda quando Aròn si alzò dal masso su cui era seduto, di fianco ai pali di legno.

Con un grugnito il mercenario sfiorò la spada, occhieggiando fremente la strada che si intravedeva oltre la macchia d'erba e alberi in cui erano accampati.

Balor fermò l'uomo prima che potesse muovere anche un solo passo. Alla sua sinistra sentì i gridolini di Failen e Tuam che tentavano di attirare i cavalli con una manciata d'erba. «Non andrai a cercarla: la aspetteremo all'accampamento, come al solito.»

«È quasi sera.»

«E lei sa cavarsela da sola», ribatté Balor, mentre il mercenario sbuffava. Sapeva che non gli credeva: per l'altro Enur era una vecchia che aveva salvato da un criminale — anche se, conoscendo Enur, era abbastanza certo che fosse successo il contrario, e che il criminale di cui avevano parlato fosse Aròn stesso —, ma per lui no. Aròn, Ina e molti altri avevano conosciuto Enur quando ormai era circondata dalla famiglia. Lui, invece, l'aveva incontrata quando ancora viaggiava da sola. Una vecchia girovaga, separata dal suo precedente gruppo per motivi che non aveva mai svelato. Una donna apparentemente vulnerabile, sola, in compagnia unicamenre del suo carro e della giumenta che lo trainava. E che, tuttavia, percorreva le strade di notte come se fosse giorno, si accampava nelle zone infestate dai banditi senza pensarci due volte, e aveva invitato a viaggiare con sé un fuggiasco che non conosceva. Alcuni avrebbero potuto chiamarla incoscienza: lui stesso i primi giorni lo aveva fatto. Tuttavia si era ben presto reso conto che Enur era tutto fuorché incosciente. O vulnerabile.

Se c'era una persona che poteva viaggiare tutta la notte a piedi tra quelle strade e non venir ferita neppure da un rovo, quella era Enur.

Il patriarca inspirò a fondo, guardando i due bambini sporgersi dalla staccionata e accarezzare il muso di una giumenta anziana, dal manto perlaceo. Così sporca di terra e macchiata di fango pareva simile al resto dei cavalli all'occhio inesperto, ma Balor — che era cresciuto tra le strade e la scuderia di un nobile — ben sapeva che non era un ronzino come quelli degli altri. Dove Enur avesse trovato una bestia così, l'uomo non aveva idea. Trainava già il carro della vecchia quando era emersa dalla nebbia davanti a lui dieci anni prima, la sera in cui era fuggito: di più non sapeva.

Con un gridolino Tuam si appese al collo della giumenta, la quale non ebbe nessuna reazione se non abbassare la testa per permettere ai piedi del bambino di toccare di nuovo terra. Oltre che anziana, quella bestia era anche paziente come la sua padrona.

«Nonna Enur!»

Sia il patriarca che il mercenario si girarono di scatto verso il bordo degli alberi, dove Failen stava già correndo a perdifiato verso l'inconfondibile scialle verde oliva della vecchia. Con una risata la vecchia accolse l'abbraccio stritolante della bambina, subito seguita a ruota dal fratellino, prima di staccarsi con un lieve buffetto mentre gli adulti si avvicinavano.

«Non avresti dovuto andare: è pericoloso, vecchia», borbottò Aròn, avvicinandosi.

«Oh, cucciolo, sai che so badare a me stessa», rise la donna, mentre dai carri una voce chiamava con tono urgente il mercenario.

Aròn annuì, il viso tuttavia ancora corrucciato. Sbottò ancora qualcosa, ma un secondo richiamo e l'inconfondibile odore di verdure bruciate lo costrinsero a scattare con una colorita imprecazione verso la cucina allestita al centro del campo.

Mentre i due bambini seguivano l'uomo tra i carri, annunciando entusiasti il ritorno della vecchia, Balor si avvicinò a Enur. «Avevo detto che nessuno avrebbe accompagnato la ragazza»

La vecchia sorrise, dandogli un veloce buffetto, che il patriarca accolse con un sospiro rassegnato. Lo sapeva: agli occhi della vecchia lui non era un adulto. Era solo il bambino più grande, più maturo, a cui nonna aveva detto di prendersi cura degli altri nipoti e a cui faceva finta di sottostare, per incoraggiarlo. Non era stupido. E, per quanto a volte fosse confusionario o snervante, lo aveva ormai accettato.

«Non potevo lasciarla andare da sola: quella piccola aveva ancora bisogno di un po' qualche consiglio da nonna.»

«Temevo l'avresti fatta rimanere», sibilò Balor. Era successo, in passato. Metà della famiglia erano persone che avrebbero dovuto rimanere con il gruppo solo qualche settimana, solo fino a qualche città: era sempre quello il rischio, quando Enur prendeva qualcuno sotto la sua ala.

Il sorriso di Enur si fece più malinconico. «Non era quello di cui aveva bisogno, bambino», rispose con semplicità, avvolgendosi lo scialle verde attorno alle spalle e raggiungendo gli altri girovaghi tra i carri.

Nonostante l'odore di bruciato, la cena che Aròn quella sera servì fu eccellente come al solito. Come ogni sera, prima di sedersi e mangiare, Balòr passò tra i vari gruppi della famiglia seduti su ceppi di legno e panche improvvisate, chiedendo della giornata e prestando attenzione alle storie che gli raccontavano. Ascoltare: quella era una cosa di cui solo stando con Enur aveva capito l'importanza.

Fu proprio con la vecchia che l'uomo infine cenò, seduto su un tronco rivolto verso la foresta scura di fianco al masso su cui Aròn si era seduto per fare la guardia. Appena qualche tronco più in là, Failen e Tuam stavano discutendo animatamente sotto lo sguardo rassegnato e impotente della madre. Era inevitabile: raramente quei tre si allontanavano dal mercenario, e viceversa. C'era stato un tempo in cui era stato irritato dal legame che il nerboruto isolano aveva con la donna. Anche se, forse, irritazione non era il nome adatto per quel sentimento che ancora ricordava, notando l'adorazione verso Ina nascosta negli sguardi dell'uomo.

Un sentimento che aveva provato molte volte, e mai verso chi avrebbe dovuto.

«Bambino.»

L'uomo girò il capo, trovando ad attenderlo gli occhi argentei della vecchia, pregni dello sguardo di chi sapeva. Sapeva cosa lui aveva vissuto, cosa lui aveva provato. E cosa lui stesse pensando in quel momento.

«Ho preso una decisione anni fa», Balor rispose in un secco mormorio alle parole silenti della donna, tornando a guardare il fuoco al centro dello spiazzo. «Sono già dovuto scappare da una famiglia a causa della mia avventatezza. Non lascerò che accada di nuovo.»

«Amare qualcuno non è avventatezza, cucciolo. E tu non sei sbagliato: lo sai.»

L'uomo scosse la testa, lo sguardo fisso sulle fiamme. Aveva perso il conto delle volte che Enur gli aveva detto quelle parole. Si ricordava ancora la prima, quando davanti a un piccolo fuoco la vecchia gli aveva raccontato storie prima di congedarsi con un allegro buffetto. Storie di re che invece di sposare una regina avevano fatto sedere accanto al loro trono un uomo, e cavalieri che avevano chiesto la mano di duchi e principi anziché principesse.

«Vecchia?»

Lo sguardo di Balor scattò verso la donna, già in piedi e davanti a loro.

La vecchia rivolse al mercenario un cadaverico sorriso tirato. «Tranquillo, cucciolo. Questa nonna ha solo bisogno di riposarsi un po'», mormorò, prima di avviarsi veloce tra i carri, tenendo le spalle innaturalmente ricurve in avanti.

«Vado io.» Il patriarca fermò con un gesto della mano Aròn, che aveva già messo da parte la sua spada apprensivo. «Hai il tuo turno di guardia ora.»

Mentre il mercenario si arrendeva riluttante l'uomo si alzò e oltrepassò i bambini concentrati sul loro cibo, addentrandosi nello stesso labirinto di carri in cui l'anziana girovaga era scomparsa qualche momento prima. Non ebbe bisogno di cercare a lungo: la trovò appena al di fuori della vista e dell'udito del gruppo, accasciata contro la parete di uno dei vagoni.

«Mag Mell!» imprecò Balor, precipitandosi verso la donna.

Un lieve gemito di dolore si mescolò ai respiri pesanti della vecchia. «Non... preoccupare, bambino», mormorò debole, mentre l'uomo le afferrava un braccio e se lo portava sulle spalle, aiutandola ad alzarsi. Teneva la testa a ciondoloni in avanti, il viso nascosto dai capelli sbiaditi e da una mano olivastra. «Solo... mio mal... testa.»

«Non avresti dovuto accompagnare quella mocciosa», sibilò il patriarca, mentre cercava di trascinarla in avanti.

«Cucciolo, non... colpa sua», Enur biascicò, piegandosi di lato e costringendo Balor a farla accasciare sulle scale del carro.

«Non avevi un altro attacco da settimane: il viaggio ti ha stancato troppo.»

«Cuc...ciolo.» La donna respirava ormai a fatica, ogni sillaba mescolata a un flebile lamento. Una stretta di apprensione morse il petto dell'uomo. Era troppo violento, anche per essere uno dei lancinanti mal di testa di cui la vecchia soffriva da mesi. Non era normale.

«Ora chiamo Aròn», decretò, scendendo dalla scala. «C'è un villaggio qui vicino: forse hanno un medico, o un aruspico.»

«No.» Anche se sussurrata tra i respiri spezzati, quella sillaba congelò i movimenti di Balor. «Tran...quillo, piccolo. Bisogno solo... riposare. Non... chiamare... chiamare nessuno.»

L'uomo lentamente tornò sui suoi passi, appoggiandosi in silenzio vicino alla figura curva di Enur. Era ai piedi del capezzale della donna, non di fianco. Non un adulto: solo il bambino più grande, quello che doveva badare ai fratelli minori. E ora l'unico a cui la madre, la nonna, aveva deciso di mostrare le sue vere condizioni. Aveva già vissuto quella cosa una volta: lo sapeva.

Erano trascorsi non più di un paio di giri di clessidra, riempiti solo dal distante eco delle risate e delle voci del resto della famiglia, quando il respiro della donna cominciò a regolarizzarsi e le spalle a raddrizzarsi. «Bambino.» La sua voce era ancora debole. «La Torre. Che immagine vedi sulla Torre?»

Il patriarca capì a cosa la vecchia si stava riferendo solo quando notò il rettangolo colorato che la donna aveva tirato fuori dalle pieghe della gonna con dita tremanti. Era un tarocco, un'illustrazione di quel strano gioco di carte che tutti nella famiglia, a un punto o un altro, avevano subito. «Una donna anziana. Come per l'Imperatrice», rispose, ignorando come sempre la straordinaria somiglianza che entrambe le carte avevano con Enur. Cercò lo sguardo della donna, ma il volto di quella era ancora nascosto dai capelli e la mano olivastra.

«Lo so. E anche per loro è così», sussurrò piano, con voce talmente lieve che Balor non era certo che quelle fossero le parole che l'anziana girovaga aveva pronunciato.

«Ti riaccompagno al tuo carro. Domani manderò qualcuno a vedere se c'è qualche medico o sacerdote disposto a venire nell'accampamento: se le tue erbe non riescono a fermare questi mal di testa, forse loro sapranno fare qualcosa», decretò, tendendo già un braccio per aiutare la vecchia a rialzarsi. Mai avrebbe potuto immaginare le parole con cui Enur lo interruppe.

«Per favore, bambino: diventa tu la loro Torre.»

Il patriarca si congelò per la seconda volta. «Cosa stai dicendo, vecchia?» Il suo sguardo, tuttavia, era già scivolato sull'illustrazione della carta, guidato dal dito affusolato della donna. La Torre: quella che secondo Enur era simbolo di protezione, l'ancora di una persona.

«Oggi il mondo ha deciso di ricordarmi il dolore che una Torre spezzata può causare», mormorò la vecchia, le sillabe ancora affaticate, stanche. «E non voglio che accada anche a loro. Cucciolo, ti prego: devi diventare tu la loro Torre, la loro ancora nel mezzo della tempesta. Devono avercene un'altra, prima che questa cada.»

Il patriarca sentì i suoi respiri farsi più veloci e un senso di paralizzante impotenza scendere su di lui, come in balia delle onde di una tempesta. «Adesso ti accompagno: hai bisogno di riposare, l'hai detto tu stessa», decretò, cercando di allontanare quelle sensazioni. Afferrò la spalla di Enur e fu allora che lo sentì.

Qualcosa di umido. Viscoso.

Di nuovo quei timori, quel senso di premonizione, tornarono a tormentare l'uomo, mentre a fatica la girovaga raddrizzava la schiena e i capelli attorno al suo collo scivolavano sulle spalle. Alla flebile luce delle torce una sottile scia scura luccicava sulla pelle della donna, ancora calda e umida, unendo l'interno dell'orecchio allo scialle verdastro su cui si trovava la mano di Balor. «Vecchia, stai sanguinando! Cosa ti sta succedendo, nel nome di Mag Mell?»

Enur sospirò. «Vago per queste strade da tanto, tanto tempo, cucciolo. Abbiamo sempre saputo che, un giorno, non avrei più potuto viaggiare con voi.» Si girò lenta verso di lui, abbassando tremante le dita macchiate di scuro con cui aveva nascosto il viso. «E quel giorno sta arrivando, bambino.»

Il patriarca indietreggiò con occhi spalancati, mentre i timori che aveva percepito serpeggiare durante la conversazione si addensava in un macigno sopra il suo petto. Densi rivoli di sangue grumoso scendevano dalle narici della donna, imbrattando le labbra di rosso e mescolandosi sul mento alle silenziose lacrime che le striavano le guance. Sopra ogni cosa, tuttavia, fu lo sguardo a far tremare Balor: la luce decisa negli occhi stanchi, incastonati in un volto cadaverico e circondati da occhiaia. Uno sguardo che conosceva, che rivelava la spaventosa determinazione della donna. Lo sguardo di chi si sarebbe gettato su una spada pur di proteggere i suoi bambini.

Pur di non avvizzire davanti alla famiglia, pur di non farli soffrire più di quello che avrebbero già fatto.

A conferma dei suoi timori vennero le parole di Enur. «Non so quanto rimane, cucciolo: so solo che sono una nonna. E una nonna proteggerà sempre i suoi cuccioli con il suo ultimo respiro.»



Vi avevo detto di tenere ancora vicino i fazzoletti, giusto?
Ora, prima che voi lettori mi tartassiate sulla questione di Enur (e forse del cliffhanger con Kala e An, anche se ho il sospetto che la maggior parte dei commenti saranno sulla nostra nonnina cara e per cui non ho affatto piani malvagi), passo agli avvisi. Questo è l'ultima parte del capitolo XXV, quindi sapete cosa significa. O forse no, ma ve lo dico: da oggi inizia una nuova PAUSA PER LE PUBBLICAZIONI. Purtroppo ho un impegno in questi mesi assai... importante, ecco, e devo mantenere le mie forze per scrivere altre cose.
Non so ancora quando riprenderò a pubblicare, ma spero tra non più di qualche mese. Intanto ecco il mio piano relativi la saga per i mesi di assenza:
- sistemare alcune cose. Non sto parlando (ancora) di una revisione massiccia, ma di piccoli dettagli, tra cui sostituire un paio di pronomi per gli Araldi. Lhamo ormai sono dichiaratamente non-binary (agender forse) e usano esclusivamente il pronome neutrale, baby!
- continuare a scrivere, quando mi sarà di nuovo possibile, e portarmi avanti il più possibile con i capitoli
- continuare, sempre quando potrò di nuovo, la sorpresina che dopo la ripresa mi piacerebbe pubblicare insieme alla storia principale
- dividere il libro in tre parti. Non cambia nulla nel testo, solo che pubblicherò tre capitoli "divisori" con grafiche carine che separano le varie parti del libro. Per i curiosi, i tre atti della storia sono:
* PARTE 1 - LACCI (capitoli I-XVI)
* PARTE 2 - FUOCO (capitoli XVII-XXV)
* PARTE 3 - DESTINO (i capitoli che pubblicherò dopo la pausa)
Diciamo che forse ora è chiaro perché ho deciso di interrompere la pubblicazione a questo capitolo XD
Solo forse, autrice.

Tornando ora alla storia, vi lascio un piccolo contenuto multimediale in cui potrei aver lasciato un indizio in più rispetto al testo...

... e poi, l'indizio del prossimo capitolo. Immancabile, anche se in mezzo c'è una pausa 😏

PROSSIMAMENTE

Riconoscete il personaggio (o meglio... i personaggi)? Cosa rappresenta questa scena? Lo scoprirete dopo la pausa del capitolo XXVI — Tra le Ombre delle Lanterne

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