XXVI - Il Lutto della Torre (pt.4)
Fu uno scossone a destare Kala dal suo impastato dormiveglia.
«Svegliati, cucciola: siamo arrivate», annunciò allegra la donna, dandole un veloce buffetto sulla guancia prima di aprire i lembi dello scialle con cui l'aveva protetta per il resto del viaggio. La ragazza sentì a malapena il vento freddo sostituire l'abbraccio caldo della vecchia: si sentiva vuota, come se stesse fluttuando in un mondo ovattato. Si allontanò dalla girovaga, gli occhi piccoli e arrossati, mentre quella iniziava a raccogliere le carte sparpagliate sul fondo del carro.
Una folata gelida le sfiorò i ricci annodati. Come stai?
Kala si rannicchiò contro la balla di fieno, stringendo le braccia al petto e osservando Enur prendere un sacchetto azzurrognolo dalla sua bisaccia bitorzoluta. Non rispose, ignorando il silenzioso sospiro del mago, e incassò la testa tra le spalle mentre la vecchia radunava le carte ancora sparse per il carro. Quando Enur aprì la saccoccia la ragazza fu convinta di scorgere il profilo di tre o quattro carte dall'aspetto stranamente metallico, prima che il mazzo scivolasse nella bocca scura della stoffa.
«Hai sbagliato lettera», disse la ragazza atona, mentre la vecchia chiudeva il sacchetto con un nastro nero. «La lettera ricamata è una "D", non una "E".»
Il sacchetto scomparve veloce nella bisaccia della vecchia. «È giusta, bambina: la "D" significa Denannan.»
«Dedanann? Ma il tuo nome non...» biascicò la ragazza, come se fosse ancora a metà tra il sonno e la veglia. Vuota: si sentiva vuota.
Una lieve risata danzò sulle labbra di Enur, mentre la vecchia le dava un buffetto sul capo. «Oh, cucciola: non credevi che "nonna" fosse il mio cognome, vero?»
La ragazza aggrottò appena le soppracciglia, gli occhi ancora gonfi e arrossati puntati sul nulla. «Ma i girovaghi non hanno un cognome», protestò senza voce, mentre Enur la guidava con tocco gentile giù dal carro.
Un sorriso, lieve ed effimero come un fiocco di neve. «Non tutti nascono girovaghi, bambina.» E con quelle parole la vecchia la condusse all'interno della città.
Havne era un tortuoso labirinto di mercanti, marinai di fiume e bancarelle ricolme di beni provenienti da ogni parte del Regno. C'erano sacchi interi di legumi e noci accanto a rotoli di stoffa colorata, e di fianco mucchi di corde intrecciate e pezzi di sartiame; c'erano interi pezzi di carne appesi ai ganci e grossi gioielli di rame. Tuttavia tutta quella merce e quel caos, che appena qualche ora prima avrebbe fatto spalancare incredula gli occhi a Kala, ora era grigia e indifferente come cenere. Senza neppure alzare lo sguardo dal ciottolato la ragazza passò davanti a una gabbia di pollame starnazzante, senza un verso si lasciò guidare dalla vecchia attraverso tende colme di gingilli tintinnanti e pellicce simili a quelle che suo padre vendeva nel sud della valle. Neppure quando oltre la ripida discesa di una strada apparvero le vele di decine e decine di imbarcazioni attraccate sulla riva del fiume, in uno spettacolo estraneo di acqua scintillante e stoffa, la giovane ebbe la minima reazione.
Vuota. Era semplicemente vuota.
«Andiamo a mangiare qualcosa, cucciola?»
Kala mugugnò, le braccia ancora strette al petto e gli occhi che scrutavano i ciottoli della strada senza vederli. La giovane si accorse a malapena del profondo sospiro di Enur e della gonna rattoppata che entrò nella sua visuale.
«Kala.» Il tono con cui la vecchia pronunciò il suo nome costrinse la ragazza ad alzare lo sguardo come se una forza invisibile le avesse sollevato il mento. Gli occhi di argento luccicavano nella penombra del viso, mentre Enur posava delicata ma ferma la mano sulla spalla della giovane. «Ascolta questa nonna: non chiuderti così, bambina. So che soffri, ma non chiuderti all'amore degli altri. Trova qualcuno, cucciola, qualcuno della tua età con condividere gioie e esperienze: è più facile riscoprire come sorridere quando puoi essere ascoltata e capita. Non essere da sola quando non è quello che il tuo cuore vuole.»
Kala si strinse nella mantella invernale e distolse in fretta lo sguardo dal volto di Enur, il ventre contratto. Sapeva cosa intendeva la vecchia — non sarebbe stata la prima a dirglielo: lei era quasi adulta ormai, avrebbe presto dovuto trovare un uomo a cui Unirsi. Avrebbe dovuto innamorarsi. La ragazza affondò le unghie nella lana, mentre gli occhi pizzicavano con una rabbia, il vuoto disturbato da un fastidio viscerale che non riusciva a definire né a capire. Perché non poteva essere lasciata in pace? Dabih, perché si sentiva così nauseata ogni volta che le ricordavano il suo dovere, il suo futuro? Era una ragazza: doveva innamorarsi, doveva volerlo. Mag Mell, cosa c'era di sbagliato in lei?
«Bambina.»
Una mano si appoggiò delicata sulla sua spalla, spingendo la giovane a voltarsi di nuovo verso Enur. Gli occhi argentati di Enur la guardavano pieni di amore, saggi, materni. E, per la prima volta, forse complici. La ragazza strinse le braccia al petto, nascondendosi istintivamente allo sguardo della donna. Era come se la vecchia stesse ammiccando a un segreto che lei aveva tenuto nascosto al resto del mondo; tuttavia lei non aveva idea neppure di cosa quel segreto fosse, Mag Mell.
«Posso dirti un segreto, cucciola? Una vita senza amore è triste e difficile.» Con un lieve sorriso Enur le accarezzò la guancia, impedendole di distogliere di nuovo lo sguardo, poi si chinò ancora più vicino verso la ragazza. I suoi occhi luccicavano saggi, ipnotici, come due infinite pozze di argento liquido. «Ma ascolta questa nonna, piccola: amore non significa innamorarsi. E tu lo sai già, bambina.»
Kala si girò verso la vecchia, gli occhi spalancati. «In che senso?»
La donna le sfiorò i ricci annodati, un triste sorriso sulle labbra. «Non si soffre in questo modo se non si ama, piccola mia. Se il tuo cuore sta sanguinando così tanto è perché il tuo cuore ha amato altrettanto. Tuo padre, tua madre e tua sorella, il tuo gatto. Le vie di Vahrel, le cime innevate delle montagne, gli odori dell'erboristeria e i tramonti della valle. Li hai amati, cucciola?»
Un singhiozzo scosse il petto di Kala. Al solo ricordo, alla sola menzione della sua famiglia, di Tebas e di Vahrel, una fitta insanguinata aveva attraversato il vuoto.
La vecchia le accarezzò i capelli con un sorriso, come se quel singulto fosse stata la risposta di cui aveva bisogno. Di cui Kala aveva bisogno. «E ti sei mai innamorata di qualcuno, bambina?» Non aspettò che un istante, come se già lo sapesse, poi sospirò. «Ho visto cuccioli innamorarsi senza mai amare, e altri amare senza essersi mai innamorati. Ascoltami, piccola: amare non è innamorarsi.»
La ragazza si strinse ancora di più nella sua mantella, in silenzio. Dei, cosa stava dicendo? Non era possibile non innamorarsi mai, non... non era possibile. Un lieve spasmo attraversò la mano sana. Non era possibile, vero?
Con un sospiro Enur le diede un'altra carezza, come se le avesse letto nello sguardo tutti quei pensieri — tutti quei dubbi, quelle paure —che la tormentavano. «Innamorarsi fa parte della vita di molti, vero. Ma non di tutti. Io lo so bene, cucciola.» Sorrise dolce, e Kala barcollò sotto quello sguardo saggio eppure inflessibile che non lasciava dubbi su cosa la vecchia stesse intendendo.
«Tu... tu non...?»
Enur scosse la testa, una lieve risata sulle labbra. «Mai, piccola: innamorarmi non è mai stato nel mio fato. Né lo è mai stato in quello di molti bambini.» Le sfiorò una guancia, cancellando la lacrima che si era formata all'angolo dell'occhio. «Ed è per questo che ti chiedo di ascoltarmi, cucciola: ama. Ama con tutto il fuoco e la passione di una stella incandescente. Ama il vento tra gli aghi di pino, ama lo sbriciolare dei fiori secchi sotto le tue dita, ama l'odore di resina e di salsedine, ama il sapore delle prime pesche. E ama il ricordo di tuo padre, le gioie che la tua famiglia ti ha donato; ama le persone — gli amici — che la strada ti farà incontrare. Ma non sentirti mai sbagliata se il tuo cuore non è stato creato per battere per qualcuno. Sei perfetta così.»
La ragazza fissò con occhi spalancati la vecchia, mentre attraverso il vuoto sentiva quelle parole scivolare lente dentro di lei, come il distante tepore di un camino acceso. Amare. Amare senza innamorarsi. Era possibile, dei?
Una folata di vento gelido le sfiorò la spalla, come un'incorporea mano. Kian non disse nulla, ma la giovane poteva quasi giurare di sentire la sua silenziosa presenza nei pensieri.
Enur sorrise dolce un'ultima volta poi si raddrizzò dandole un allegro buffetto. «Ora, bambina, andiamo a mettere qualcosa sotto i denti.»
*
La locanda che aveva scelto Enur era vicina al porto delle chiatte. Era un posto piccolo, caotico e scrostato — ma assai meno malfamato dei luoghi che di solito sceglieva la strega. Lì marinai e conduttori di chiatte prendevano pinte di alcolici dai nomi assurdi, o ordinavano appoggiati al varo mobilio cibi veloci da sgranocchiare prima di tornare al molo. Seduta su una delle panche contro il muro, offerte a chi non aveva tempo o soldi per sedersi ai tavoli al centro della sala, Kala sminuzzava con la mano sana ciò che rimaneva della focaccia di ceci e olive che la vecchia le aveva comprato. Con una lieve smorfia la ragazza strinse il ventre tra le braccia.
La donna abbassò la tazza sbeccata di liquore — rum, lo aveva chiamato — che stava sorseggiando come una tisana. Aveva preso solo quello per sé. «Cucciola, tutto bene?»
Kala scosse piano la testa, rintanata contro il muro. «Ho bisogno di millefoglie» mormorò, una punta di ansia nella voce.
Una lieve risata. «Oh, piccola: non penso che la millefoglie possa fare molto.»
La ragazza si accartocciò ancora di più, mentre lo sguardo che pareva alternare momenti di lucidità a lunghi istanti in cui fissava ancora il vuoto scivolava verso la gonna.
«Non è quel periodo del mese, cucciola: tranquilla.»
Kala bofinchiò piano. «Non puoi saperlo.»
Un lieve sorriso, seguito da una carezza. «Invece sì, bambina. Come ti ho detto, ad alcune speciali persone, il sangue arriva una volta ogni tre o quattro lune. Alle persone che hanno un certo dono, piccola.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia, senza capire. «Non ha senso», sbottò, lo sguardo fisso senza vedere sulla scala a chiocciola che portava alle stanze sopra la locanda.
«La natura è fatta bene, bambina: non sarebbe bello sopportare il sangue una volta al mese con una vita lunga come la tua.»
«Lunga come... Cosa stai dicendo?»
«Il seme della magia porta molti cambiamenti fisici», spiegò la vecchia, facendo trasalire con un verso allarmato la ragazza. Le dita della vecchia le accarezzarono la nuca. «Agisce sui nervi, sul sangue. E rallenta i segni del tempo sul vostro corpo, permettendovi di vivere fino a due secoli o poco più.»
La ragazza strabuzzò gli occhi, mentre la vecchia ricominciava a sorseggiare tranquilla il suo liquore. «Cosa?». Quasi duecento o più anni? La giovane spostò poi lo sguardo sulla vecchia e con il viso pallido si rannicchiò più lontano da lei.
«Oh no, cucciola,» Enur si lasciò sfuggire una lieve risata, notando l'espressione dell'altra, «per i Warlock è diverso. Mostriamo solo bene la nostra età: non viviamo così a lungo.»
La ragazza rimase rintanata contro il muro. «E che età hai?»
«Suvvia, non si chiedono queste cose a una nonna», la rimproverò divertita risata la donna. Poi si chinò verso di lei e le diede un rapido buffetto. «Tuttavia potrei avere qualche inverno in più di quanti ne dimostri.»
Nonostante la rassicurazione di Enur, la giovane aveva ancora la bocca secca. «Quanti?»
La vecchia le strizzò l'occhio, come se stessero condividendo un segreto tra nonna e nipotina. «Diciamo che sono più vicina ai cento anni che ai sessanta.»
Kala quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Cento?» Non aveva neppure sentito di una persona che fosse arrivata a così tanti inverni, Mag Mell!
«Oh, non di troppo», minimizzò la donna con un gesto della mano. «Quanto basta per aver viaggiato un po'.»
La diciassettenne aprì un paio di volte la bocca, incapace di produrre alcun suono, mentre la vecchia si dedicava noncurante alla sua tazza quasi vuota di liquore. Quando si rese conto che la conversazione era chiusa ed Enur non avrebbe spiegato niente altro, abbassò lo sguardo su ciò che rimaneva della focaccia. Con movimenti lenti e tremanti provò a portare alle labbra qualche altro pezzo di pane e oliva, ma un'altra fitta al ventre le impedì di inghiottire più di un paio di bocconi. Mag Mell, invocò silenziosa nei pensieri, mentre appoggiava il resto del cibo sulla panca, incapace di sopportare perfino l'odore di strutto e di quelle strane... cose rotonde. La sola sensazione di unto sulle dita le fece venire un conato di nausea.
Una mano delicata le accarezzò i capelli. «Bambina.»
Kala alzò il volto, incontrando lo sguardo paziente e amorevole della vecchia.
«Non aver paura, cucciola. È la cosa corretta.»
«Io non... non ho paura», provò a protestare senza voce la ragazza, mentre un'altra stretta ingabbiava i suoi organi.
Un lieve sorriso, il sorriso di chi aveva capito. «Un nuovo viaggio porta sempre ansia, piccola. Specialmente se è la prima volta che lo si affronta da soli.»
La ragazza si rannicchiò su sé stessa, stringendosi il ventre tra le mani come se in quel modo potesse far scomparire le fitte che rovistavano nel suo ventre e tacere i battiti frenetici del suo cuore. Vahrel si trovava a nord, a chissà quante settimane di viaggio a piedi, oltre decine di foreste infestate da banditi e città di furfanti. E lei era sola, senza nessuno che la potesse aiutare o guidare: perfino gli dei si sarebbero di certo rifiutati di proteggere una... una come lei. Sporca! Ingrata! Traditrice, abominio con la magia! Non disse nulla, ma Enur le sfiorò la guancia come se avesse detto tutto.
«Ascolta una cosa che questa nonna ha imparato nei suoi tanti anni, cucciola», le disse la vecchia, mentre si alzava dalla sua panca. «In queste città di crocevia passano tante vite, tante opportunità. Sono sicura che qui riuscirai a incontrare chi hai bisogno.»
Kala alzò lo sguardo, improvvisamente colmo di speranza, mentre la vecchia si metteva davanti a lei. «Riuscirò a tornare a casa?»
Gli occhi di Enur brillarono saggi, pieni d'amore, sfiorandole il viso con una mano. La giovane non notò — non riuscì mai a notare — anche l'impercettibile velo di tristezza che aleggiava nello sguardo della donna. «Solo se è ciò di cui hai bisogno. Prenditi cura di te, bambina mia.» E, lieve come le ali di una farfalla, le sfiorò la fronte con le labbra.
La ragazza strabuzzò gli occhi e sussultò confusa, girandosi di scatto in ogni direzione. «Enur?» chiamò angosciata, ma inutilmente. La donna era già svanita tra la folla, come se non fosse mai veramente stata lì.
Parte un pelo più corta del solito, ma ho preferito dividere quel che rimaneva del capitolo in due parti anziché tenerlo unito per evitare di rendere la lettura troppo lunga. E per pubblicare ancora una settimana prima della pausa ^^
Cosa dire di questa parte? Beh, lettori e lettrici e lettor* non binari... ormai è scritto, è esplicito e non si può discutere: la nostra cara cocciuta rossa è aromantica! 💚🖤 Chi mi segue su instagram lo sapeva di già, ma sono felice di essere riuscita a postare la scena che secondo me lo rende esplicito. Oltre a Kala, inoltre, in questo capitolo è stato svelato tra le righe anche l'orientamento Enur: pure lei aromantica, e da autrice vi dico pure asessuale. Abituatevi, ci sono tanti queer tra i miei personaggi e tanti aromantici/asessuali (o persone in quello spettro).
Parlando di Enur, come vi è parso il suo discorso sull'amore?
Question time: secondo voi, cosa sono le carte metalliche che Kala ha intravisto nel sacchetto? E perché c'era ricamata la prima lettera del suo cognome?
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