XX - Il prezzo della magia (pt. 2)

Tremando, la giovane conficcò le unghie nel legno e si appoggiò al tronco, troppo debole perfino per indietreggiare. Neppure il freddo pungente che le sferzava il viso con qualche fiocco di neve riusciva a strapparle una reazione più forte delle palpebre strizzate con fastidio. «Dei!» implorò in un singhiozzo, mentre lacrime silenziose si congelavano sul suo volto pallido come un cadavere. Un altro conato quasi le mozzò le ginocchia, ma quella volta precedette solo un violento colpo di tosse.

Un refolo di vento gelido le scostò una ciocca da davanti al volto, evitando che si impigliasse nelle sue labbra socchiuse imbrattate di sangue. Alla diciassettenne parve anche che un tocco più leggero di una piuma le sfiorasse la fronte, come per sostenerle il capo, tuttavia non riuscì a reagire neppure nei suoi pensieri: ogni cosa - i suoi arti, la sua mente - sembrava galleggiare in un vuoto febbrile e ovattato.

È tutto passato, ora.

L'adolescente chiuse gli occhi, appoggiando la guancia alla ruvida corteccia fino a sentire ogni solco e ogni rilievo premere contro la sua pelle. Per la prima volta dopo giorni, non ribatté a quei pensieri. Era troppo spossata per riuscire negarlo, anche a sé stessa: il tono di quella semplice frase e il freddo innaturale che sembrava circondarla come un abbraccio, in qualche modo assurdo la rassicuravano.

Kala non seppe dire quanto rimase aggrappata a quell'albero, in un confuso stato tra la veglia e uno svenimento, in cui le uniche certezze erano le gambe che a malapena la sorreggevano, la ruvida corteccia premuta contro la pelle e quei delicati soffi di vento che le sfioravano come rassicuranti carezze. Le forze tornarono lentamente, ostacolate dai conati e dai colpi di tosse che ancora le mozzavano regolarmente il respiro. Con timore cercò di vedere se riusciva a stare in piedi senza l'appoggio della pianta, poi traballante si allontanò dalla macchia scura che imbrattava le radici dell'albero.

Mentre si chinava per raccogliere un po' di neve con cui pulirsi le labbra, il suo sguardo scivolò stanco verso il basso e la ragazza trasalì con un grido soffocato, paralizzandosi mentre il cuore palpitava forte nel petto. Un'ombra si stagliava sul terreno, la sagoma mostruosa di una creatura alata circondata dalle volute serpentine di una catena galleggiante. Quando si voltò, tuttavia, non scorse nessun mostro alle sue spalle: all'orizzonte c'era solo uno strano giovane vestito di rosso che si allontanava dal tempio, senza una parola o uno sguardo.

Rimproverandosi per aver creduto a uno scherzo di luci ed ombre - perché quello era uno scherzo di luci ed ombre, doveva esserlo -, la giovane si rimise in piedi  e mosse qualche passo incerto verso la folla radunata attorno agli aruspici. Poi si fermò, le mani tremanti appoggiate al petto che ancora bruciava. La maledizione di An. Non era ancora infranta, per tutti gli dei: cosa poteva assicurarle che non l'avrebbe tradita nel momento stesso in cui si fosse avvicinata alle altre persone? L'avrebbero catturata, massacrata a colpi di pietra e mandata al rogo se avessero scoperto con chi viaggio. Ma lei era fedele a Mag Mell, lo giurava: la seguace di Minhar era quella strega corvina, non lei! Che Alphard stesso le fosse testimone!

Pensi che crederebbero a queste parole? Altre persone le hanno gridate prima di venir arse vive.

Con la differenza che nel suo caso erano la verità!

Forse anche nei loro casi lo erano, ma ciò ha fermato le fiamme?

La diciassettenne scosse con veemenza il capo, rischiando tuttavia di cadere a causa di un breve ma vertiginoso giramento di testa. No, gli dei erano giusti e i sacerdoti incarnavano il volere degli dei: un innocente non sarebbe stato mandato sulla pira! Gli aruspici non avrebbero mai commesso un simile errore.

Allora perché hai paura?

Gli occhi di ghiaccio si sgranarono fino ad assomigliare a due piccole lune cerulee e i palmi premettero sullo sterno come se volessero soffocare i battiti frenetici del cuore. No, non era vero: lei non aveva... Non riuscì a finire il pensiero: quella volta, perfino lei si accorgeva che era una menzogna troppo grande da ignorare.

Con un senso di gelo che le attanagliava le viscere, si affrettò lungo la strada che portava alla città, per evitare i fedeli che da lì a qualche giro di clessidra l'avrebbero invasa per tornare a casa dopo il rito. La donna corvina era l'aspettava già alla fine della via, le braccia conserte e le iridi fredde che scrutavano i tetti delle case come un giocatore di shabti avrebbe fatto con la tavoletta di legno. Quando vide il suo viso cadaverico, le labbra e gli arti ancora tremanti, la strega ridusse gli occhi a fessure e senza una parola la trascinò nella taverna più vicina per un pranzo frugale prima del viaggio. L'adolescente divorò con velocità la zuppa di pesce - Mag Mell, la maga sembrava vivere solo di quello! - che An aveva ordinato per lei, ignorando il bruciore causato dalla pietanza bollente sulla lingua. Apriva il meno possibile la bocca, pronta a serrare le labbra non appena la malia avrebbe iniziato a farla parlare, e per il resto del viaggio tenne il capo chino rintanato nel cappuccio del suo mantello, una mano sempre vicina al petto per zittirsi con la forza, se si fosse rivelato necessario.

La sera, Kala si rintanò nella camera dell'osteria fatiscente che la donna corvina aveva scelto, completamente logorata dalle ore passate con il cuore in gola e con la mente tormentata da un solo, terrificante pensiero. Aspettò la strega accovacciata sul letto bitorzoluto, il volto pallido e tirato non per il malore di quella mattina, ma per la tensione che l'aveva consumata per tutto il cammino. Fu con tono sibilante, quasi iracondo per nascondere tutta la paura che aveva nel cuore, che ricordò alla maga la parte finale della maledizione.

«Ora devi scioglierla, strega. Devi!» concluse, gli occhi che sembravano sia fuggire via con terrore che fiammeggiare con cieco furore.

An intrecciò le dita davanti al volto. Il suo volto era freddo e calcolatore, come sempre. «Esponimi una sola ragione per cui dovrei appagare la tua richiesta.»

«Una...» Il viso della ragazza si fece paonazzo come una fragola di bosco, prima di ripetere con voce stridula: «Una ragione? Ci manderanno entrambe al rogo se il tuo maledetto incantesimo mi fa parlare, ecco una ragione! No, che dico? Probabilmente esso mi ucciderà prima, se mi farà ancora vomitare sangue come questa mattina!»

Lo sguardo della maga scattò improvvisamente verso il volto della sua interlocutrice, una luce di improvvisa quanto sinistra comprensione nelle iridi chiare. «Rivelami ciò, irrispettosa giovinetta: con quali prove accusi la mia malia del tuo malore?»

«Non ho bisogno di prove, strega: io so che è così!»

La giovane non fece in tempo a finire la sua iraconda protesta che An si alzò dal bordo del letto su cui si era accomodata, sovrastando la sua interlocutrice con la sua statuaria presenza. «Non ci sono altri responsabili all'infuori della tua arroganza per questo malessere, Kaislentheya Dileas.»

Non peggiorare le cose.

La diciassettenne serrò le labbra, soffocando la risposta che già danzava sulla punta della lingua. Si limitò a scrutare con sfida la sua opponente, rannicchiata istintivamente sul letto e con la mano sull'elsa del pugnale. L'adolescente tuttavia non riuscì a sostenere lo sguardo di quella a lungo e dovette abbassarlo, gli occhi che pizzicavano come dopo aver tentato di scorgere il viso del sole.

«E la maledizione? Devi scioglierla, per gli dei. Devi!» Kala ritrovò la voce quando An si mise al centro della stanza, tracciando con un piede quel dannato semicerchio che indicava l'inizio dell'allenamento.

La donna alzò un sopracciglio. «No.»

«Ma...» La ragazza fu costretta a rotolare giù dal giaciglio, per evitare che una foglia di metallo si conficcasse nella sua spalla. «Così finiremo sul rogo entrambe! È questo che vuoi, strega?» protestò con il volto paonazzo, facendo istintivamente danzare il pugnale tra le dita con notevole grazia e fluidità.

«Ti dissi che l'impulso di svelare ogni cosa ti avrebbe pervasa allo scoccare della mezzanotte del nuovo anno, giovine. Orbene, rispondimi: è accaduto ciò?»

La giovane sgranò gli occhi, colpita dalla verità come un fulmine a ciel sereno. «Maledetta! Hai...» Troppo lentamente, troppo goffamente, mosse i polsi per proteggersi dal colpo della sua avversaria. In un istante il pavimento prese il posto del soffitto e la diciassette si ritrovò scaraventata con forza a terra. Tossendo per riprendere fiato dopo l'impatto sulla cassa toracica che le aveva mozzato il respiro, sibilò: «Hai mentito: la maledizione non mi avrebbe mai fatto parlare. Anzi, mi avrebbe fatto stare in silenzio per sempre! Sei una serva di Minhar fino al midollo, strega. Hai mentito!»

Il luccichio negli occhi severi dell'altra fu una conferma più schiacciante di qualsiasi parola. Le lame a forma di foglia baluginarono tra le dita mentre la diciassettenne si rialzava da terra, poi scomparvero nella manica. «Immagina di tenere tra le mani una sfera di fuoco, giovine, e combattine i movimenti. Ancora» ordinò poi secca, allontanandosi di qualche passo e riassumendo la posizione iniziale.

L'adolescente guardò con diffidenza la sua avversaria corvina, impassibile come sempre. Le aveva... le aveva appena dato un consiglio su come combattere? An non dava mai consigli. Mai.

Allora è meglio tenerlo bene a mente.

Kala scosse il capo: no, lei non avrebbe seguito le parole di quella serva di Minhar! Anzi, avrebbe fatto l'opposto del suo suggerimento! Si mise in posizione di combattimento, allontanando con uno sbuffo una ciocca di capelli che era ricaduta davanti al volto, poi scrutò con determinazione la sua avversaria. Sì, esattamente l'opposto.

Ci vollero due sere - e numerosi lividi, causati dagli attacchi inspiegabilmente più violenti - prima che la ragazza riuscisse ad assecondare i guizzi di quell'esile frusta d'acqua che immaginava di avere in mano. E, per la prima volta, riuscì a parare tre colpi consecutivi prima di finire contro il muro. Orgogliosa, lanciò un' occhiata di sfida alla sua avversaria, non scorgendo così il balugino soddisfatto che per un istante aveva attraversato il volto della donna. Fu tuttavia nel dormiveglia che un pensiero sorse, un timore che la mattina dopo sarebbe già stato dimenticato: il dubbio che che, forse, An non aveva mai veramente voluto che lei pensasse al fuoco.

Passò una settimana, una settimana in cui la giovane non aveva più menzionato la maledizione alla strega e si era quasi illusa che quello che era successo al tempio non si sarebbe più ripetuto. Poi, esattamente sette giorni dopo quella fatidica mattina, il malore la colpì di nuovo. Si trovava sulla via maestra, e fece a malapena in tempo a raggiungere l'inizio dei campi innevati prima che un conato più forte degli altri le facesse ancora riversare a terra la sua colazione annegata nel sangue. An rimase tutto il tempo in disparte, a osservarla dal ciglio della strada con espressione di distaccato rimprovero. Non le tese mai una mano, neppure quando sette albe dopo la nausea colpì di nuovo la giovane, e sette albe dopo ancora. Si limitava a scrutarla con quello sguardo indecifrabile e a fermare chiunque tentasse di aiutarla, come se la reputasse l'unica responsabile di quello che le stava accadendo.

La diciassettenne, dal canto suo, imparò a rimanere in piedi anche quando la debolezza e la nausea erano talmente forti da rendere le sue ginocchia simili all'impasto del pane e a capire in anticipo quando il malessere stava per colpirla. Con il tempo si abituò perfino alla regolarità di quei malori, arrivando a svegliarsi la mattina sfortunata quasi sperando che essi la colpissero il prima possibile, in modo da non farla stare in ansia per tutto il giorno. Fu per questo che quando essi non si presentarono, la seconda settimana di febbraio, al sollievo si mescolò la preoccupazione.

Quella sera le due viaggiatrici si erano fermate in una taverna più pulita e grande di quelle in cui si fermavano di solito: avvicinandosi sempre di più al centro del Regno, il paesaggio di messaggeri reali e nobili con le loro comitive di faceva sempre meno raro, a tal punto che perfino parecchie locande di periferia si erano adattate a quel particolare tipo di clientela. All'adolescente, tuttavia, non importava la ragione di quegli inaspettati lussi, come la sala con una tinozza tiepida nascosta nel seminterrato del Falco Grigio. L'unica cosa che le interessava era riuscire finalmente a lavarsi con acqua riscaldata, e non con la solita secchiata gelida che l'aspettava quasi tutte le mattine.

Immergersi in un bagno tiepido dopo tutto quel tempo fu a dir poco appagante per Kala, che con uno sbuffo di soddisfazione si lasciò affondare il più possibile sotto il pelo dell'acqua. Anche così rannicchiata, tuttavia, la testa sporgeva dal bordo della vasca e solo le punte dei ricci si ritrovavano libere di fluttuare nelle piccole onde causate dai guizzi del suo corpo.

Afferrato il cubo marroncino appoggiato al piccolo tavolo di fianco alla tinozza di legno - su cui riposava anche il pugnale di Teucer -, la ragazza iniziò a pulirsi gli arti pallidi. Ancora faticava a credere quello fosse sapone: non l'aveva mai visto solido, talmente duro da sembrare quasi un pezzo di legno. Nella valle c'era solo liquido, com'era giusto e normale che fosse. Dopotutto, che altra consistenza poteva avere un misto di olio, grasso, cenere e erbe aromatiche?

La saponetta passò sulla pelle pallida e segnata da numerosi lividi - alcuni ormai giallastri, altri ancora violacei come macchie di succo di mirtillo -, tracciando i profili appena abbozzati dei muscoli che stavano iniziando ad affiorare. Il suo corpo stava lentamente cambiando, diventando più tonico e scattante; eppure lei non riusciva ad accorgersene: le uniche cose che vedeva, quando si guardava, erano gli ematomi e i tagli che le sfregiavano gli arti.

Risciacquandosi con l'acqua tiepida, la sua mano sfiorò accidentalmente lo sterno e la diciassettenne non poté fare a meno di rendersi conto con ribrezzo quanto le sembrasse strano non sentire più il ciondolo contro il petto. Rassicurata dall'atmosfera tranquilla della taverna - e non volendo rischiare di rovinare il cordoncino di cuoio, già pericolosamente consunto dalle sue unghie - l'aveva lasciato in camera, nascosto nello piccolo scrigno di legno che custodiva i suoi averi più preziosi. Ora, tuttavia, una parte di sé ne sentiva terribilmente la mancanza.

Kala cercò di districarsi i ricci ingarbugliati con le dita. No, era inutile pensare all'amuleto: inutile! Aveva fatto il suo dovere, permettendole di tornare normale dopo gli sbalzi di umore e di forza: ormai non ne aveva più bisogno. Insomma, quel pezzo di metallo non aveva fatto nulla per prevenire quei malori, e... Dei, perché non era ancora successo nulla quel giorno? Per Dabih, non era normale!

La giovane serrò le palpebre e scosse la testa con veemenza, cercando di scrollarsi di dosso l'inquietudine che si era annidata nel petto mano a mano che il sole avanzava nel cielo. Era più che felice di non essere stata male: doveva esserlo! Allora perché - perché, per Mag Mell? - si sentiva anche inquieta? Certo, per più di un mese quei malori l'avevano colpita ogni settimana con inquietante regolarità, precisi e dolorosi come... come...

«Oh, per Saiph!» La diciassettenne artigliò con violenza il bordo della vasca, tirando il busto fuori dall'acqua in una miriade di piccoli spruzzi. Con gli occhi sgranati e il volto improvvisamente cadaverico, l'adolescente iniziò a contare tremante a fior di labbra. Ormai non le importava più nulla del ritardo del malore: non era mai stato veramente quello a inquietarla. Arrivata al risultato, scosse la testa e contò ancora e ancora, con voce sempre più flebile, finché più nessuna scusa o timore di uno sbaglio riuscirono più a negare la semplice e terrificante verità.

Con in viso l'espressione di chi ha appena visto i morti camminare, l'adolescente si lasciò ricadere nella tinozza, poi gemendo si prese la testa tra le mani. Non poteva essere! Dei, non poteva... Lei non era vecchia, per tutta Mag Mell! E, soprattutto, lei era ancora pura.

Trattenendo il respiro con un sibilo, fece scivolare le dita sotto l'ombelico. Era certa di aver fatto bene i calcoli: l'ultima volta era stata pochi giorni dopo il suo incontro con Mik e l'inizio degli irritanti pensieri nella sua testa. Erano ormai più di due mesi, quindi. Più di due mesi, per Minhar! E non poteva essere per quello!

Si strofinò rabbiosa gli occhi per asciugarli dagli schizzi causati dal suo violento pugno nell'acqua, cercando di trattenere le lacrime che premevano contro le sue palpebre. Sapeva che c'erano solo due motivazioni per un ritardo del genere. Lo sapeva: sua madre gliel'aveva spiegato! La vecchiaia di certo non poteva essere e, per quanto riguardava all'altra motivazione, quella di nove mesi... Lei era ancora inviolata, che Saiph le fosse testimone: nessun uomo o ragazzo l'avevano mai spogliata e derubata della sua innocenza!

Le unghie si conficcarono nella pelle della fronte e gli occhi di ghiaccio si spalancarono di colpo, ricolmi di ira o di odio. Oh, sapeva di chi era la colpa: lo sapeva eccome. Lo sguardo quasi folle di Kala si posò sul pugnale appoggiato sull'orlo della vasca, guizzando poi sui lividi che fiorivano sul suo corpo. Non aveva idea sul come, ma la strega corvina e i suoi maledetti incantesimi erano responsabili, lo sentiva! Per qualche suo perverso scopo l'aveva privata di una cosa che la rendeva donna; forse lo stesso per cui aveva voluto trascinarla fuori dalla valle.

La ragazza rimase accovacciata nella vasca, la testa fra le mani e il cuore rapito dall'astio verso la strega corvina, fino a quando l'acqua perse ogni traccia di calore. Allora, sbattendo i denti per i brividi di freddo, si asciugò con un ruvido pezzo di tela e iniziò a rivestirsi. Si stava già allacciando gli stivali ormai consunti, quando un minaccioso bagliore turchese accompagnò il sommesso "click" della serratura che si apriva. La porta si spalancò con inaudita violenza, spegnendo le candele posate lì vicine, e una statuaria figura femminile si stagliò sulla soglia: una donna i cui occhi di un colore inesistente baluginavano nella penombra colmi d'ira.

Con passo deciso An entrò nella stanza, i lunghi capelli corvini che turbinavano sulla sua scia come il mantello di Minhar stesso e il gioiello attorno al suo polso circondato da minacciosi guizzi azzurri. «Kaislentheya Dileas!» tuonò, furibonda. Mai la voce della maga era sembrata così letale, così simile al minaccioso crepitio di un fulmine.

La giovane si appiattì sibilando contro la vasca di legno, simile a un grosso gatto fulvo intrappolato alla mercé di un lupo affamato. Il momento in cui la donna tese imperiosa il pugno in avanti, l'adolescente si portò la lama davanti al petto per proteggersi dall'incantesimo che era certa l'avrebbe colpita al cuore. Poi, scorse il ciondolo stretto tra le dita affusolate come artigli.

«Spiega, giovine!»

La paura si mutò in un istante in rabbia. «Quello? Era tutto solo per quello?» Kala cercò di rialzarsi proprio mentre un familiare conato le risaliva l'esofago. Serrò le dita attorno al pugnale e cercò di ignorare la nausea che lentamente si faceva strada nelle sue viscere.

Il laccio di cuoio gemette sotto la stretta di An e il turchese incastonato nel suo bracciale venne attraversato da un piccolo fulmine turchese. «Mai devi separartene, Kaislentheya. Hai ben inteso? Mai!»

«È solo uno stupido amuleto difettoso!» protestò con veemenza la ragazza, appoggiandosi alla vasca con mani e viso pallido.

«Non sfoggiare oltre alla tua irritante ignoranza, giovincella. Troppe sono le cose che non sai.»

«Che non so?» ripeté con voce acuta Ira, nausea e adrenalina si mescolavano nel petto della diciassettenne, facendole ribollire il sangue nelle vene, facendole palpitare dolorosamente il cuore. «Oh, ma ora qualcosa ho capito, strega. Non ho idea del perché, ma so cosa mi hai fatto!»

La donna corvina alzò un sopracciglio arcuato. «Ancora mi accusi di atti che non ho mai commesso, giovine? Tale è il tuo astio da spingerti a incolpare me di ogni tua sciagura?»

«Perché sei colpevole! Sei una serva di Minhar!» Affondò le unghie nel legno e immaginò di avere una frusta d'acqua tra le mani, quel flusso trasparente che aveva scoperto la aiutava non solo a difendersi ma anche ad attaccare. E mai come allora nella sua mente l'immagine fu così vivida, così guizzante, così reale.

«Non ho intenzione di discutere oltre con una bambina così patetica. Ora indossa il ciondolo, giovinetta.»

Bambina. Patetica. Quella fu una sola goccia di pioggia nel temporale, ma fu la famosa goccia che fece traboccare il vaso. Con un grido l'adolescente fece scattare il braccio di lato, per attaccare, per sferzare quel severo volto marmoreo e farlo scomparire dalla sua vista. Mai come in quel momento aveva bramato di avere quell'immaginaria frusta di acqua tra le mani, mai come in quel momento aveva percepito con chiarezza cosa si provava ad avere quella frusta, a essere quella frusta. E, mentre la mano fendeva l'aria, un minaccioso rombo si levò dalla vasca.

Con uno scatto sovrumano la donna scansò il ribollente tentacolo d'acqua, tuttavia non riuscì ad evitare gli schizzi in cui quello si frantumò quando si abbatté a terra. Gocciolante, posò gli occhi sulla ragazza e la luce d'ira nel suo sguardo si trasformò in qualcosa di assai diverso: compiacimento.

Kala ritirò ansimante la mano protesa in avanti verso il petto, mentre le sue iridi di ghiaccio scattavano piene di terrore da una pozzanghera all'altra. No! No, no, no! «Cos'hai fatto, strega?» gridò con voce strozzata, tremando come una foglia secca all'inizio dell'inverno. Doveva essere stato un inganno! Ogni fibra del suo corpo che le sussurravano la sua colpa, il formicolio residuo dell'energia che mentre il tentacolo cristallino si innalzava l'aveva invasa e aveva fatto scomparire ogni traccia di nausea... Un inganno! Tutto solo un inganno!

«Io, giovine?» Gli occhi severi luccicavano ancora di crudele e fredda soddisfazione, mentre con un elegante guizzo del polso faceva evaporare ogni traccia di umido. «Il tuo sangue e il tuo animo ben sanno di chi era l'incanto.»

«No!» L'ululato della ragazza mentre si accasciava a terra con la testa tra le mani fu simile al grido di un lupo ferito a morte. Lacrime copiose le striavano le guance mentre scuoteva con veemenza il capo, ripetendo quella semplice e vuota sillaba come un mantra: «No, no, no, no...»

«Non schermarti con ulteriori menzogne, Kaisletheya: è patetico.» Il tintinnio del ciondolo lasciato cadere a terra sottolineò quell'ultima parola come una crudele risata del destino, poi la maga si allontanò con passo leggiadro.

Quando la porta si richiuse con un severo tonfo, la sala cadde nella penombra. Solo l'opale incastonato tra le fauci dell'amuleto pareva essere per qualche strana ragione immerso nella luce, e fu quello che la giovane guardò con occhi offuscati, singhiozzando senza ritegno. Non staccò l'attenzione da quello neppure quando a fatica si trascinò in camera e si appallottolò in posizione fetale sul letto. Aveva usato la magia. La magia! Perché, dei? Lei non l'aveva mai voluto, lo giurava: lei sarebbe morta prima di fare il patto con l'Ingannatore! Lei sarebbe morta!

Con quei pensieri in testa, sentendosi sporca, indegna, traditrice, la diciassettenne pianse. Pianse finché i suoi occhi furono completamente secchi, pianse finché la sua mente non scivolò in un sonno pieno di ombre e timori. Fu così che non vide mai la candela accesa sul comodino tremare agonizzante come nel mezzo di una tempesta e inclinarsi di lato, mentre un freddo sovrannaturale circondava il giaciglio. Poi la fiamma si tramutò in fumo e ci furono solo gelo e tenebra.

Ed eccoci qui, con la fine del capitolo XX , in cui - finalmente - Kala capisce quello che tutti avevano intuito da qualche secolo: ha la magia. Evvai!
*esplosione di coriandoli*
Ora, non farò un commento molto lungo viste le 3800 e passa parole di capitolo. Volevo solo dirvi: io sono l'unica ad aver notato l'assenza di certi pensieri durante l'ultima parte di capitolo? 👀
Un buon motivo ci sarà di sicuro, autrice. Ora, non hai qualcosa da mostrare come teaser della prossima parte?
Giusto, Kianuccio: breve spazio autrice ;)

PROSSIMAMENTE
Okey dokey, l'indizio è questo schizzo:

Cosa rappresenta? E che collegamento ha questo simbolo/creatura con il resto della storia?
Scoprirete tutto (e rivedrete un personaggio assai amato) nel prossimo capitolo, Cockatrice

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