XVII - Solstizio (pt.3)

Oh no.

Le mani di Kala fremettero. Oh, quella era decisamente una cosa che voleva fare, ma in quel momento il sospetto - e un pizzico di paura, doveva ammetterlo - superava qualsiasi suo istinto di rabbia repressa. «Non credere che non sappia che utilizzerai la magia, strega!»

La donna alzò un sopracciglio. «Per quale scopo, se posso chiedere? E, giovincella, ti sconsiglio caldamente dall'appellarmi in quel modo.»

Ignorando - o meglio, sforzandosi di ignorare - quella minaccia che era tutto fuorché velata, la ragazza serrò i denti. «Per vincere: è quello che voi incantatori fate! Voi utilizzate sempre i poteri derivanti dal vostro patto scellerato con Minhar per ingannare e barare!»

Gli occhi di quel colore inesistente si ridussero a fessure e vennero attraversati da un guizzo di freddo divertimento. «Sei così arrogante da credere che io necessiti di un incanto per avere la meglio, o di sapere quale sia la causa della mia magia? Ora, lo ripeterò una sola volta ancora: attaccami. Sguaina pure il coltello nascosto nel tuo stivale, se ciò aumento il suo valore.»

La diciassettenne trasalì, anche se cercò in tutti i modi di nasconderlo. Come faceva a...

Di certo utilizza trucchi simili anche lei. Meglio seguire il suo consiglio. Subito.

Con non poca titubanza l'adolescente afferrò il pugnale. Era quello di suo padre, quello a cui si era aggrappata con tutte le sue forze durante parte di quell'interminabile notte di luna piena. Era stata sua madre a porgerglielo, qualche mattina prima, con un triste: "ha infranto la promessa. Ormai lui non tornerà più." Sebbene lei non sapesse di quale promessa Isabhel stesse parlando, non le era stato difficile intuire a cosa la donna si stesse riferendo.

Rigirò l'arma tra le mani, poi i suoi occhi scivolarono verso la sua bisaccia, che giaceva appoggiata alle altre sacche lontane dal fuoco. Il cuoio consunto lasciava intuire la presenza degli angoli smussati di un libro - il taccuino del nonno di Mik - e di un piccolo fagotto bitorzoluto.

«Se indugi così, giovincella, potresti costringermi a fare mia la prima mossa.»

No, non lasciarla iniziare!

Il suo sguardo dardeggiò ancora verso la tracolla e mosse un passo verso di essa. Se il bibliotecario si era lasciato sfuggire la verità su An, quell'oggettino sarebbe stata la sua arma migliore. Tutti sapevano che gli Elfi fuggivano da...

Attenta!

Kala d'istinto saltò di lato quando un movimento saettò veloce - troppo veloce! - nel suo campo visivo. Una stretta impietosa le torse il braccio, strappandole un grido di sorpresa e dolore, poi una spinta tra le scapole la fece finire a gattoni. Un piede le ancorò la gamba e anche quel supporto venne a mancare, facendola crollare definitivamente a terra. Strinse convulsamente le dita attorno al manico di legno del pugnale, sollevando la testa verso l'ombra che oscurava i guizzi del fuoco.

An la sovrastava, guardandola dall'alto in basso con occhi privi di ogni pietà. «Ancora.»

La ragazza si rialzò, portando il coltello davanti al petto. La donna si era allontanata di qualche falcata e aveva di nuovo assunto la posa di prima, con una mano tesa in avanti, il palmo all'insù, e il piede alla fine del semicerchio che aveva appena tracciato. L'impassibile indifferenza su quel volto faceva ribollire il sangue nelle vene della giovane. Non aspettò che quella strega potesse prenderla ancora di sorpresa: impugnò l'arma come suo padre le aveva mostrato di nascosto, per insegnarle a uccidere lepri e turan in caso di necessità, poi si gettò in avanti. Non le importava che una ragazza come lei non avrebbe dovuto combattere, non le importava che Teucer le avete detto di non svelare mai a nessuno - nemmeno a Isabhel - che le aveva insegnato quel paio di trucchi: voleva solo dare sfogo al rogo di energia che le stava bruciando il corpo.

La lama affondò dove qualche momento prima si era trovato il braccio di An, trovando solo aria. La giovane barcollò, arrestando appena in tempo i passi instabili per lo slancio eccessivo. Si girò, poi riprovò ancora e ancora, ma l'unica cosa che ottenne fu una quasi totale perdita di equilibrio.

I piedi. I piedi devono essere saldamente appoggiati a terra.

Con uno sbuffo la diciassettenne allontanò una ciocca di capelli ricci dal volto, gli occhi incandescenti d'ira fissati sulla donna che aveva evitato ogni suo colpo semplicemente torcendo il busto di lato istanti prima dell'impatto con la lama. Portò di nuovo il coltello in avanti, poi il suo sguardo scivolò verso la bisaccia che riposava sulle sacche. Esitò: ormai lei distava dalla pila dei bagagli quanto dal fuoco e dal corpo senza sensi di Diòmas. Se...

Il colpo al petto la inchiodò al muro e la mano stretta attorno al collo la fece boccheggiare nel disperato tentativo di ritrovare il respiro mozzato. «Mai distrarti, ragazzina. Una sola distrazione potrebbe portare alla tua perdizione. Ancora.»

Tossicchiandosi e massaggiandosi la gola, la diciassettenne si allontanò dalla parete. Umettò nervosamente le labbra con la lingua, mentre il suo sguardo dardeggiava quasi febbricitante per la stanza e il pugnale tremava nel suo palmo. La strega era a un paio di falcate di distanza, nuovamente in quella strana posa.

Ora era la sua occasione.

Scattò a destra, la mano già tesa in avanti. Arraffò la bisaccia, le dita che già cercavano frenetiche di sciogliere i lacci. Alnilam, fa' che ci riesca in tempo! La sua mano senza pugnale strinse il pacchetto avvolto nella stoffa un istante prima che l'alta ombra gettata dalla donna coprisse quella dell'adolescente. Kala rotolò di lato, imprecando in silenzio quando il ciondolo che aveva sotto il corpetto si conficcò nella sua carne. Dal suo pugno chiuso provenne, ovattato e quasi intuibile, un argenteo tintinnio.

La ragazza si rialzò più in fretta che poté, fendendo l'aria con il pugnale per tenere lontana la sua avversaria. Fu tutto inutile: la donna corvina fermò facilmente la lama con i palmi e la torse, strappandole di mano l'arma. La maga girò poi su sé stessa, tenendo la punta del coltello minacciosamente verso l'esterno

Indietreggia!

La diciassettenne cercò di saltare indietro, tuttavia perse subito l'equilibrio e si ritrovò seduta per terra. Mentre An di avvicinava lenta e inesorabile - e lei di conseguenza arretrava -, la giovane strappò freneticamente l'involucro di tessuto e affidò le sue ultime speranze all'oggetto metallico che lanciò con forza, pregando tutti gli dei di Mag Mell che la strega fosse un'Elfa.

Fu tintinnando sgraziatamente che i campanelli atterrarono davanti alla donna. Invece di piegarsi dal dolore - era sempre così che gli Elfi reagivano a quel suono argenteo, nei racconti che aveva udito - quella si limitò ad alzare un sopracciglio. Nei suoi occhi baluginava tuttavia un'espressione di fredda soddisfazione, come se avesse appena scoperto che un evento che aveva meticolosamente pianificato fosse avvenuto esattamente come aveva previsto. Il suo sguardo si spostò poi verso la diciassettenne e con la punta dello stivale calciò i sonagli lontano.

L'adolescente arretrò a tentoni, mentre il cuore batteva forte nella gabbia toracica fino a farle quasi male. Mik le aveva mentito! Anzi, quella strega gli aveva ordinato di mentirle, ne era certa! Per l'intera Mag Mell, come aveva potuto lasciare che quel vecchio le mettesse la pulce nell'orecchio, le attizzasse il dubbio che An potesse - forse, contro ogni logica - essere un'Elfa? Lei non aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri, né dalla sua chioma corvina spuntavano come piccole corna le punte delle sue lunghe orecchie. E - dei, perché per un istante l'aveva ignorato? - aveva sempre solo sentito di umani talmente scellerati da stringere il patto con Minhar.

La donna sollevò l'arma come se volesse sferrare un colpo fatale e d'istinto Kala sollevò le braccia sopra la testa, serrando gli occhi. Una mano le afferrò con violenza il polso fasciato, costringendola ad alzarsi, poi glielo torse dietro la schiena. L'istante dopo, la lama sfiorò minacciosa contro la sua gola.

«Come sospettavo: è stata solo la tua buona ventura a permetterti di sopravvivere a quello Spettro. Patetico», commentò la donna senza alcuna traccia di indulgenza nella voce. «Fuori dalla valle si celano numerose insidie e, se non sei cauta, troppe sono quelle in cui potresti rimanere invischiata. Orbene, Kaislentheya Dileas, sappi questo: io non sono un cavaliere che accorre non appena una donzella è in periglio.»

La ragazza si dimenò, cercando inutilmente di liberarsi. Smise subito quando il filo del coltello premette appena più forte sulla sua pelle. «Io non chiederò mai il tuo aiuto, strega», sibilò tra i denti.

«Né io te lo concederò a meno che non sia almeno la tua vita a essere in periglio. Ti consiglio pertanto di apprendere più di quanto i tuoi gracili arti possono dal duello a cui ogni sera verrai sottoposta.»

Il cuore della giovane iniziò a palpitare nella gabbia toracica. «Non puoi farlo! Ci saranno altre persone insieme a noi nel viaggio e... e...» Cosa le garantiva che non fossero tutti complici di quella donna? Oh, dei!

«Non ti crucciare: troverò sempre il modo, anche se dovessi destarti quando la luna è al suo apice. Rimembra: la scelta tra sfruttare l'avvenimento o ricavare solo dolore da esso è unicamente tua.» An allontanò il coltello dalla gola della diciassettenne, lasciandola libera di voltarsi verso di lei. Le sue dita, tuttavia, continuarono a serrare l'arto dell'adolescente. «Ora, sveliamo cosa celi con così tanta premura.»

Capite le intenzioni della donna, Kala strattonò il braccio per liberarlo da quella morsa d'acciaio, ma fu inutile: la benda attorno al polso venne strappata via con forza, rivelando ciò che la ragazza aveva tentato in tutti i modi di nascondere. I suoi occhi color ghiaccio scivolarono di lato, evitando di guardare la ferita appena sotto il palmo. Per almeno un terzo di pollice attorno al taglio la pelle - la finta pelle, quella creata dall'illusione magica - tornava a essere semplice stoffa. Eppure, non era quella la parte peggiore: lo squarcio nel guanto incantato rivelava l'ammasso di carne lucida e vermiglia sottostante, sfigurata ancora dalle bruciatore. Era la sua mano, la sua vera mano.

La ragazza sentì le dita affusolate dell'altra sfiorare i lembi slabbrati e sfilacciati del taglio e per un istante - che tutta Mag Mell la perdonasse! - la ragazza si trovò a sperare che la strega mettesse a posto il guanto incantato. Aveva atteso giorni nella speranza che esso si rimarginasse come avrebbe fatto la pelle normale, ma non era mai cambiato nulla. Ormai non riusciva più a sopportare l'arto carbonizzato che vedeva sotto lo squarcio, amaro ricordo indelebile di quello che era successo quella notte.

«Tra meno di due lune il danno vanificherà del tutto la magia», le comunicò secca la donna lasciando la presa. «Dimostrami di essere meritevole, se desideri che consideri di rimediare all'errore con cui hai così incautamente rovinato il mio dono.»

Con un'imprecazione a denti stretti - per Mag Mell, lei non avrebbe mai fatto nulla per sembrare meritevole agli occhi di una strega -, la diciassettenne strappò la fascia dalla mano tesa dell'altra e iniziò a coprire di nuovo la ferita. Intanto scrutava di sottecchi il coltello di suo padre, ancora stretto nel pugno dell'altra. Non gliel'avrebbe lasciato, anche a costo di sottrarglielo mentre stava riposando: anche gli incantatori dormivano, giusto?

Aveva appena finito di formulare il pensiero quando An le consegnò l'arma, commentando noncurante quanto il suo sonno fosse leggero. Nonostante il tono di voce neutrale, quegli occhi severi svelavano cos'era veramente quella frase: un avviso e una minaccia. Una che la ragazza, dopo aver appena sentito il filo della lama premerle contro la gola, sapeva che non avrebbe facilmente dimenticato.

***

Il sole era già alto nel cielo quando i tre viaggiatori raggiunsero Laron, il villaggio più a sud della valle. Circondato da campi innevati separati tra loro da recinti di legno, era un agglomerato di meno di una trentina di edifici. Nonostante quello, era uno dei paeselli più grandi della punta meridionale della valle e negli anni era diventato un punto di contatto assai importante con Adaed e il resto del Regno. Qualsiasi mercante o carovana che volesse andare a far affari in quel territorio racchiuso tra i monti più settentrionali doveva infatti passare dalla gola scavata dal fiume Argat, e Laron si trovava ad appena due miglia da essa.

Fin da quando l'aveva avvistato in lontananza, dopo essere uscita dalla foresta sempre più rada, la giovane Kala aveva pensato che non sarebbe stato così diverso da i villaggi a malapena mezz'ora di cammino più a nord che un paio di volte aveva visitato con la sua famiglia. Era già capitato in passato, infatti, che Teucer decidesse di portare con sé la famiglia in quei paeselli in cui ogni tanto si recava per vendere le pellicce in eccesso ai "mercanti di fuori", come li chiamava.

La ragazza mantenne la sua opinione anche quando attraversò il varco creato in un muro di difesa di mattoni e ardesia alto neppure quanto un edificio intero, ma fu subito costretta ad aggiustarla non appena si inoltrò di qualche falcata nel paesello. Almeno quattro osterie si affacciavano con le loro insegne dipinte a mano sulla strada lastricata, larga il doppio delle viuzze di terra battuta dei villaggi dedicati al commercio di pelliccia. Dalle stalle provenivano con regolarità dei brevi nitriti e all'angolo poteva vedere un gruppo di mercanti vestiti con stoffe colorate e con borselli di cuoio lucido alla cintura discutere passandosi di mano in mano una bottiglia di liquore.

Quasi tutte le ricchezze commerciali della valle passano a un certo punto da Laron. La cittadina vive di questo.

Vero: perfino lei riusciva a notarlo, una volta superato lo stupore iniziale. Tolte le insegne colorate delle osterie e la strada lastricata per far passare meglio carovane e destrieri, Laron era un paese... vuoto, avvizzito. Forse Vahrel non riceveva tanti visitatori - a parte le carovane dei mercanti girovaghi - né l'insegna della sua unica taverna sfoggiava colori così sgargianti, eppure era una città salda e sicura come una montagna. Quel paesello, invece, se avesse perso l'appoggio dei mercanti sarebbe diventato più debole di un coniglio azzoppato.

«Dove vi dovete incontrare?» domandò burbero Diòmas, aggiustandosi in spalla la sacca cerata in cui teneva la balestra. Per tutto il viaggio di quella mattina lui e An avevano ripreso la loro danza di sguardi e piccoli gesti, tuttavia non appena le mura erano apparse in lontananza l'uomo si era scurito in volto. Era dispiaciuto, e forse anche invidioso.

La giovane si morse l'interno della guancia e tirò nervosamente una ciocca di capelli. Come faceva il cacciatore a essere ancora ammaliato da quella strega? Non si ricordava della tisana e del veleno?

Evidentemente no.

«Al varco meridionale.» Con un guizzo serpentino del collo, la donna lasciò scivolare la lunga chioma corvina dietro la schiena. «Reputo tuttavia che abbiamo ancora un poco di tempo, abbastanza per rifocillarsi.»

Il cacciatore parve saltare in piedi come un cagnolino chiamato dal padrone e le condusse alla taverna più vicina, un locale rumoroso indicato dall'insegna di un oca che teneva in becco un'otre di vino. La giovane non era mai stata ai Tre Pini, l'unica osteria di Vahrel, quindi quella volta non poté fare paragoni con la città che amava così tanto e di cui già sentiva la mancanza. Doveva ammettere, tuttavia, che quel luogo non le dispiaceva: il soffitto abbastanza alto era sostenuto da travi che sfoggiavano scene di caccia e un elegante palco di cervo era appeso sopra la porticina che portava alle cucine. Come nel resto della città, addobbi di agrifoglio dondolavano appesi alle finestre: era di buon auspicio tenerli anche il giorno seguente al solstizio d'inverno. Guizzanti lingue di fuoco scoppiettavano nel piccolo camino, riscaldando piacevolmente l'aria pregna dell'odore di deliziose pietanze.

Trovare posto fu abbastanza difficile: delle tre tavolate, grandi a malapena per una decina di persone, già due erano talmente affollate che neppure un bambino sarebbe riuscito a sedersi. Alla fine si accomodarono all'estremità dell'ultima panca libera, che fino a quel momento nessuno aveva occupato a causa della sua vicinanza a una finestra dal vetro incrinato. E, come borbottò nei suoi pensieri la diciassettenne mentre cercava di proteggersi dagli spifferi con la sciarpa di lana, anche perché era la più lontana dal fuoco. Ogni suo malcontento venne messo da parte quando la moglie dell'oste, una donna rubiconda e dalle braccia forti come quelle di un uomo, le mise davanti delle costolette di agnello e dei cubetti di verdure aranciate che l'adolescente identificò subito come delle samise. Affondò con bramosia la forchetta della carne: aveva bisogno di consolare il suo palato, dopo il disastroso stufato della sera prima.

Mentre ripuliva con un pezzo di pane ogni minima traccia residua del pranzo che aveva divorato con gusto, l'attenzione di Kala cadde su uno degli ultimi avventori entrati nel locale, che stava pagando proprio in quel momento la pinta di birra che l'oste dietro il bancone gli aveva appena consegnato. Ci impiegò qualche istante a capire cosa ci fosse di strano nell'individuo, poi si rese conto che lui era l'unico nella sala a non essersi tolto il cappello per il caldo. La sua mantella invernale, tuttavia, era già appesa al suo braccio. Come se non bastasse, c'era anche il laccio di cuoio che fuoriusciva dal suo pugno chiuso, come se stesse serrando le dita attorno a un ciondolo.

Affondando il volto nel bicchiere di legno come se stesse sorseggiando l'acqua, la ragazza scrutò l'individuo sospetto avvicinarsi al fuoco per riscaldare le dita rattrappite dal gelo. O, almeno, così sarebbe sembrato alla maggior parte delle persone presenti nella taverna, concentrate unicamente sul loro cibo. La giovane tuttavia notò che l'uomo stava scrutando il gioiello trasparente - un pezzo di vetro o un cristallo, probabilmente - nel suo palmo. La superficie sfaccettata sembrava baluginare di tenui riflessi aranciati e bianchi, alternati a intense scintille di... turchese e nero? Dei, non poteva essere il riflesso del fuoco!

La lieve inquietudine della ragazza iniziò a trasformarsi lentamente in angoscia quando l'individuo si incamminò nella loro direzione, facendo vagare lo sguardo nella sala come se stesse cercando posto. Eppure, Saiph, secondo lei era così chiaro che lui sapesse già esattamente dove andare!

La diciassettenne si rannicchiò contro il muro, facendo scivolare discretamente la sua mano verso lo stivale in cui custodiva il pugnale di Teucer. Con il cuore palpitante lanciò occhiate di allarme a Diòmas e An, i quali tuttavia erano troppo impegnati nella loro delicata danza di seduzione per accorgersi dell'uomo che ormai aveva quasi raggiunto la tavolata. Le dita dell'adolescente strinsero tremanti il manico dell'arma e fece finta di essere estremamente interessata al suo piatto vuoto. Ormai lo sconosciuto era talmente vicino da torreggiare su di loro. Oh, dei!

«An?»

La donna alzò gli occhi verso lo sconosciuti l'aveva chiamata con tono incerto. Non c'era paura né sorpresa sul suo volto: l'unica traccia di emozione era un sopracciglio lievemente inarcato. «Buondì, Varnid.»

«Vi conoscete?» domandarono la giovane e il cacciatore in contemporanea, anche se in modo diverso: la prima con voce strozzata e il secondo con tono burbero. E, forse, anche un poco geloso.

«In passato è capitato che le nostre strade si incrociassero per qualche tempo», rispose casualmente la donna corvina, sbucciando con un coltello un frutto dalla dura scorza color vinaccia e la polpa bianca. Era un saas, un agrume che resisteva anche al freddo di quella valle settentrionale: fuori dalla città c'era più di un campo punteggiato dagli alberi che lo producevano.

«In parole povere, abbiamo viaggiato qualche volta con lo stesso gruppo di mercanti», tradusse Varnid, abbozzando un sorriso di scusa. Uno dei suoi incisivi era appena scheggiato, come se durante una colluttazione qualcuno gli avesse tirato un pugno in volto. Dopo aver bevuto un sorso della sua birra, si rivolse alla donna corvina: «An, prima che mi dimentichi: i carri non sono più nei pressi della porta sud ma più avanti sulla strada, nei campi del vecchio granaio.»

Le dita affusolate della maga staccarono uno spicchio color avorio dal saas. «Vi ringrazio per l'avviso. Io e la giovine li raggiungeremo al tempo prestabilito nella missiva.»

«Un consiglio? Arrivate un poco prima. Bran ha avuto qualche problema con un altro viandante - sapete di cosa sto parlando - e non vorrebbe rimanere troppo tempo a Laron.» L'uomo alzò gli occhi neri come carbone al cielo. «Non cambierà mai.» Con un cenno di saluto, Varnid si allontanò di nuovo tra i tavoli, sorseggiando l'alcolico ambrato.

Fu solo quando il suo cappello fu scomparso fuori dalla porta della locanda che la diciassettenne rinfoderò completamente il pugnale nello stivale. Cercò inutilmente lo sguardo della donna: non avrebbero viaggiato con lui, vero? Dei, non sapeva cosa fosse - magari era il modo in cui l'uomo si muoveva come se fosse un animale braccato, in costante allerta e diffidente delle persone, o magari la sua fugace e sospetta apparizione -, ma lei non si fidava di quello sconosciuto. Anche Diòmas sembrava non apprezzare quell'individuo, ma per motivi totalmente diversi. Fu senza sorpresa quindi che, quando i tre raggiunsero il vecchio granaio, alla vista dell'inconfondibile copricapo di Varnid tra la i mercanti l'adolescente e il cacciatore ebbero reazioni tutt'altro che di gioia.

A Diòmas non fu neppure dato il permesso di incontrare Bran, l'uomo che il gruppo aveva eletto come proprio capo per quel tragitto: gli fu gentilmente - ma fermamente - chiesto di tornare in città. Aveva svolto il suo compito, ma ora le due donne facevano parte del loro gruppo. O, almeno, finché fuori dalla valle non ne avrebbero raggiunto un altro. Kala aveva già sentito parlare di quel fenomeno: i mercanti e i viandanti spesso formavano comitive per un viaggio, che scioglievano non appena arrivavano a destinazione. Dei, era quella la vita che avrebbe avuto da quel momento in poi?

La ragazza non guardò il cacciatore allontanarsi con struggente lentezza, né ascoltò le parole di benvenuto di Bran o i saluti gioiosi di una bambina di dieci anni, figlia di uno dei commercianti. I suoi occhi color ghiaccio erano rivolti ancora una volta a settentrione, così come il suo cuore.

Il piccolo corteo di bestie, carri e persone iniziò a incamminarsi non appena la giovane e An posarono le loro sacche sul traino che custodiva le stoffe di Varnid. Ci volle quasi mezz'ora per trovarsi a ridosso delle pareti di pietra dei monti, anche se si trovarono immersi nel gorgoglio del fiume Argat e nell'ombra delle vette molto prima. La gola che si apriva in essa era uno spettacolo naturale talmente affascinante che neppure la diciassettenne riuscì a rimanere indifferente di fronte a esso. Il corso d'acqua tagliava le montagne come una lama, creando una ferita dai muri rocciosi talmente alti che parevano sfiorare il cielo e un percorso serpentino talmente lungo di cui - neppure avendo gli occhi di un falco - era possibile vedere la fine.

Fu con una stretta al cuore che Kala poggiò lo stivale sul primo pezzo di strada scavata nella roccia, abbastanza larga da permettere a un carro intero di passare senza difficoltà. Aveva mosso il suo primo passo fuori dalla valle, lontano da quel luogo protetto dalle montagne che mai in diciassette anni aveva neppure sognato di lasciare. Da quel punto in poi, c'era solo un vasto mondo sconosciuto.

Mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma non mi andava di tralasciare qualcosa di importante dalla narrazione.
O di dividere il capitolo in due ulteriori parti, da meno di duemila parole l'una.

Err... touché.

Anyway, nella prima metà di questa parte vediamo Kala che, in modo assai disastroso, affronta Leahnne, la quale - ve lo dico io - si stava impegnando zero. Dopotutto, aveva valutato correttamente le abilità combattive della nostra ragazza 😅
E, soprattutto, non voleva usare tutta la sua conoscenza di combattimento con una giovane che a malapena sa impugnare un coltello.
Scaffolding e ZPD are the way 😎 A parte questo, la nostra cara cocciuta protagonista si affida a una delle sue superstizioni nella speranza di riuscire a sconfiggere la maga: dei campanelli, che tutte le leggende dicono che siano assai pericolosi per gli Elfi. Very smooth, Kala: per una volta che eri vicina alla verità, hai deciso di allontanarti di nuovo da essa dopo che una stupida superstizione ha fatto cilecca. Considerare l'ipotesi che magari è la superstizione a essere sbagliata no? 😒
In sua difesa, Leahnne non ha mai fatto nulla per farle capire che è un'Elfa. Non aveva elementi per il beneficio del dubbio.

Nella seconda metà, vediamo il trio che raggiunge Laron, una cittadina commerciale che sorge praticamente davanti all'unico passaggio per accedere alla valle e l'incontro con Varnid, un individuo assai sospetto secondo Kala che sembra conoscere An e viaggerà con loro. Qual è stata la vostra prima impressione su di lui? Cosa credete sia quel cristallo che teneva in mano? 😉

PROSSIMAMENTE

L'indizio è il disegno digitale di una scena:

Potrei chiedervi chi è secondo voi questo nuovo personaggio... se il personaggio non fosse effettivamente mai comparso fin'ora. Ebbene sì, lo avete già incontrato, anche se una sola volta e per una misera decina di paragrafi. Riuscite a capire di chi sto parlando? 😏
Ora, io in questo disegno ho nascosto molti dettagli e indizi. In particolare, ce ne sono cinque che reputo estremamente importanti: riuscite a trovarli tutti e a capire cosa significano? 😜

Leggerete questa scena e risolverete (forse) i vostri dubbi nel prossimo capitolo, I morti non parlano.

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