XVII - Solstizio (pt.1)
Un grido di rabbia accompagnò il feroce lancio della bisaccia dall'altra parte della stanza, seguito dal volo di un cuscino contro il muro. Tebas miagolò allarmato, strusciando il muso contro il collo della sua padroncina e leccandole la guancia. Sentire la lingua ruvida dell'animaletto sulla pelle aiutò Kala a raffreddare almeno un poco il sangue ribollente che pulsava nelle sue vene. Le braccia tremanti, la ragazza affondò le unghie nel palmo della mano fino a sentire dolore perfino attraverso i guanti incantati.
«Quella strega!» inveì a denti stretti, chinandosi a raccogliere la tracolla. Il felino acciambellato sulle sue spalle come una sciarpa iniziò a giocherellare con una delle tante ciocche di capelli fulvi che erano sfuggite alla sua treccia.«Sai cos'ha fatto? È venuta sotto casa ad aspettarmi! Come se l'intera Varhel non sapesse del viaggio o io potessi scapparle.»
È inutile arrabbiarsi ora.
I denti digrignati, la giovane scosse violentemente la testa come se volesse allontanare quelle parole. «Dei, per favore, fateli smettere!» gemette, come quasi ogni volta che quei pensieri indesiderati saettavano nella sua mente. Quanto avrebbe voluto confidarsi con qualcuno - sua madre, sua sorella, qualche auspico - eppure era impossibile: la rete di bugie che aveva costruito non gliel'avrebbe mai permesso. C'erano così tante verità che - maledetta strega! - non poteva svelare. E un paio che non voleva.
Mantenere il segreto del bibliotecario è stata la cosa giusta.
«Oh, davvero? Allora perché mi punite così, dei? Perché?» sibilò, tendendo il laccio della bisaccia fino a far gemere il cuoio. Il miagolio perplesso di Tebas le ricordò che stava inveendo contro il nulla, lo sguardo fisso sulla sedia di fianco al suo letto come se lì ci fosse qualche interlocutore. «È vero: è un castigo», mormorò al gatto, accarezzandogli la coda. Ormai era l'unica creatura con cui potesse parlare senza trattenere nulla. «È tutto iniziato la mattina dopo il mio incontro con Mik, ricordi?»
Il felino stiracchiò le zampe davanti, sfiorando accidentalmente il rilievo causato dal ciondolo sotto il corsetto. La diciassettenne posò la mano sul petto, stringendo l'ormai familiare collana in una stretta morsa. Ci aveva pensato, all'inizio: era colpa della candida gemma, o più probabilmente di uno spirito malvagio. Eppure quegli irritanti pensieri non si erano interrotti quando qualche giorno dopo si era recata al tempio per il Mors en Vara, la festa in onore del dio delle tempeste. Se fossero stati un dispetto di qualche Wiht, attraversare la soglia di un edificio consacrato a Mag Mell avrebbe dovuto interromperli. No, gli dei avevano certamente deciso di ricordarle di non essere così indulgente con tutte le creature inumane. Eppure, Alnilam, lei sapeva come comportarsi se avesse scoperto qualche altro mostro nascosto, lo sapeva! Il bibliotecario sarebbe stata la sua unica eccezione, lo giurava!
E An.
Poco mancò che la bisaccia venisse scagliata per la seconda volta attraverso la stanza. «Quella dannata strega con la sua maledizione non conta! Minhar, se solo potessi dire a tutti che...» Un'invisibile forza incollò la lingua al palato e l'adolescente si trovò quasi strozzata dalle parole che la malia aveva ricacciato a forza nella sua gola. Tossicchiando come se un sorso d'acqua le fosse andando di traverso, Kala si alzò da terra. La ragazza sobbalzò e si coprì istintivamente la fasciatura sul polso sinistro con la manica nell'udire lo sbattere della porta, colpita da quindici anni di capelli biondi e furbizia.
«Ti stanno aspettando!» Aryane si stagliò sulla soglia, sventolando in aria un pezzo di pane: il bottino di un altro fruttuoso saccheggio della dispensa, senza ombra di dubbio. Un nastro arancio decorava i capelli dorati e il freddo le aveva tinto le guance di un vistoso rosso. Non un sorriso incurvava tuttavia le sue labbra screpolate né la sua voce era squillante come il solito. «Diòmas e la cantastorie dicono che è meglio partire ora. E con "ora" credo intendano appena tu metta il naso fuori dalla porta.»
La giovane non provò neppure a incrociare lo sguardo di sua sorella. Era da quando Aryane era stata messa al corrente della sua partenza che si comportava in modo così distaccato con lei. Solo con lei, anzi. Per Minhar, non era stata una sua scelta! Lei non avrebbe mai voluto allontanarsi da Vahrel, dalla sua famiglia. Già si era sempre rifiutata di pensare al prossimo Samahian e al ragazzo che avrebbe chiesto la sua mano dopo di esso: come poteva la quindicenne assumere che fosse stata lei a chiedere a quella donna corvina di portarla via? Maledetta strega!
Se partire, invece, fosse sempre stato nel futuro?
La diciassettenne digrignò i denti. Quello era uno degli argomenti con cui quella serpe aveva cercato di convincere Isabhel e, in seguito, tutti gli abitanti di Vahrel che avevano obiettato quella decisione. Lei sosteneva che la profezia non dovesse necessariamente alludere della morte di un giovane, così come lei sosteneva che con quella frase gli dei avevano voluto lasciare un bivio aperto. E, naturalmente, tutti avevano dato ascolto a lei. L'adolescente strinse con veemenza i lacci della bisaccia. Cosa ne poteva sapere una donna che aveva venduto l'anima a Minhar del volere di Mag Mell? Cosa?
Mentre Tebas iniziava a giocherellare con uno dei molti ricci fulvi che si erano ribellati alla treccia, Kala raggiunse Aryane sulla soglia, le labbra serrate e la mano stretta attorno al braccio. Esitava anche solo a sfiorare il varco con la punta dello stivale, spostando continuamente il peso del corpo da un piede all'altro. Con uno scatto quasi disperato della testa guardò indietro e affondò ancora di più le unghie nella carne. Il suo sguardo vagò irrequieto da una parte all'altra della stanza che per tutta la sua vita aveva condiviso con sua sorella. Mentre metà dell'ambiente era colmo del solito caos pieno di vita, l'altra metà era così... così...
«È così vuota.»
La ragazza trasalì a quella voce fioca e spostò l'attenzione sulla quindicenne. La fetta di pane, sollevata a mezz'aria in attesa di un altro morso, copriva buona parte del volto di Aryane, eppure i suoi grandi occhi grigioazzurri erano fin troppo visibili. Fissavano rabbuiati la parte di camera vicina alla parete opposta, quella che da quel momento in poi sarebbe rimasta fredda e deserta come un rudere abbandonato.
La giovane sentì una morsa stritolarle le viscere, nel vedere cosa era apparso dietro tutta quell'indifferenza delle ultime settimane. Quella era la ragazzina sempre pronta a impiastricciarle i capelli nel sonno e a lamentarsi di come accostasse i colori degli abiti. Quella era la sua sorellina, per Saiph!
Senza dare tempo all'altra di reagire, la abbracciò, stringendola a sé come aveva fatto quel gelido giorno d'inverno. Per un istante sentì Aryane irrigidirsi e per un terribile, eterno istante la diciassettenne ebbe il terrore che l'avrebbe allontanata. Poi i muscoli della ragazzina diventarono molli come impasto di pane e quella affondò il volto nella sua spalla, gli occhi serrati.
«Non avrei mai voluto abbandonare te e nostra madre.» Tebas miagolò piano come se volesse sottolineare quelle parole a modo suo, sfiorando con la coda il collo della quindicenne.
«Lo so.» Un tremito scosse il petto di Aryane. La voce spezzata della ragazzina rivelava quanto fosse difficile per lei pronunciare le parole seguenti. «Ero... ero invidiosa. Vorrei vedere anch'io il sud.»
Kala serrò le palpebre. Che cosa avrebbe potuto dirle? Assicurarle che avrebbe portato lei e sua madre con sé se ne avesse avuto l'occasione? Mai: quella strega corvina le avrebbe certamente manipolate per i suoi malvagi scopi. Prometterle che appena ne avrebbe avuto l'occasione sarebbe tornata a raccontarle tutto? Entrambe sapevano che probabilmente non sarebbe mai successo. No, l'ultima cosa che voleva era partire con un'altra bugia sulla coscienza, una che non era stata costretta a pronunciare.
Per rimediare al silenzio, la giovane strinse l'altra più forte a sé. Come per incanto, tutto parve svanire: non c'era più il vento che raschiava le pareti della casa; non c'era più la bisaccia ricolma che premeva contro il suo fianco né l'anonimo vuoto che aveva divorato metà stanza. Ormai c'erano solo loro, due sorelle unite in quello che temevano sarebbe stato il loro ultimo abbraccio.
«Se questo era un tentativo per permettere a Tebas di rubarmi il bottino, sappi che è fallito», ridacchiò la quindicenne, il volto ancora affondato nella spalla della ragazza. Allontanò la fetta di pane dal muso curioso del micio e gentilmente si divincolò dalla stretta della maggiore, scuotendo i capelli dorati. I suoi occhi grigioazzurri stavano tornando a sorridere. «E tu hai bisogno di una sciarpa. Non sai proprio accostare i colori, sorella!»
Prima che la diciassettenne potesse anche solo pronunciare il nome dell'altra, le ante dell'armadio vennero spalancate con una violenza inaudita e pezzi di stoffa iniziarono a volare in aria. In un battito di ciglia l'adolescente si trovò una lunga striscia di lana avvolta intorno al collo. Tebas si liberò l'orecchio rimasto impigliato nell'indumento, accompagnando con i suoi miagolii infastiditi le due sorelle che uscivano dalla stanza.
Troppo in fretta scesero le scale, troppo in fretta passarono dalla cucina alla bottega pregna di odori. Troppo in fretta la giovane vide per l'ultima volta quegli ambienti in cui era cresciuta e che aveva sempre sperato di non abbandonare mai veramente. Poi la porta del negozio si spalancò e Kala si ritrovò fuori.
Sbattendo i denti la ragazza si strinse nel mantello che aveva preso dall'erboristeria, avvolgendo con il bavero di pelliccia anche un Tebas percorso da brividi. Un vento che portava ancora con sé tracce della nevicata di quella notte faceva sbatacchiare l'insegna di legno e minacciava di portare via le decorazioni di nastri e bacche appese fuori dalle case. Non c'era portone o finestra - in quella o altra via di Vahrel - che non sfoggiasse ghirlande intrecciate o non custodisse la luce di una piccola candela protetta da un vasetto aperto. Perfino sugli stipiti della porta della bottega pregni di odore erano appesi rametti di vischio, una delle tante piante sacre alla dea della luna, Arrakis. Quel giorno, dopotutto, era il solstizio d'inverno.
«Eccoti», le sorrise Isabhel rassicurante, quando la diciassettenne raggiunse in qualche falcata il piccolo gruppo radunato al centro della via. Non erano neppure una decina: amici di famiglia e un paio di clienti che avevano deciso di rimanere nei paraggi qualche giro di clessidra in più. «Sei pronta?»
L'adolescente deglutì, stringendo forte i pugni. Come faceva sua madre ad apparire così tranquilla? Lei solo con la coda dell'occhio riusciva a scorgere la statuaria figura dalla chioma corvina intenta a osservare il cielo, eppure già quello era sufficiente per farle ribollire il sangue nelle vene e tremare i muscoli con spasmi d'ira. La donna, invece, aveva il viso disteso e ogni suo gesto era permeato dall'usuale affetto. Perfino i suoi capelli biondi erano in ordine, serrati da una...
Kala sgranò appena gli occhi. La retina! La retina che tratteneva in una crocchia la chioma color grano era di perline di legno dipinte di nero: era quella Isabhel che aveva usato al funerale di Teucer. La ragazza scrutò di nuovo il viso della quarantenne e, grazie a quel dettaglio, le sembrò di vederlo per la prima volta: sotto la tranquillità che le pervadeva i lineamenti c'era rassegnazione, ma sotto la rassegnazione c'era il dolore.
La giovane si costrinse a incurvare le labbra già violacee per il freddo e ignorare la cantastorie - la strega! - che aveva improvvisamente posato la sua attenzione su di lei. Quello sguardo di un colore inesistente bruciava sulla sua pelle come una brace, per gli dei! «Sì.» Dalla delicata stretta sulla spalla, la diciassettenne capì che sua madre non aveva creduto neppure a mezza sillaba.
«Tranquilla, andrò tutto... Aryane, non osarci neppure!» L'adolescente non aveva bisogno di girarsi per sapere che la quindicenne aveva tentato di scivolare di nuovo in casa per un altro saccheggio della dispensa: con il freddo il suo appetito diventava pari a quella di un intero branco di lupi. Perfino attraverso gli ululati del vento Kala riuscì a udire i borbotti della ragazzina e ciò le strappò un mezzo sorriso, effimero come un fiocco di neve esposto al sole. Isabhel, dopo aver scoccato un'occhiata di rimprovero verso la figlia minore, tornò a guardare la maggiore. «Andrà tutto bene, Kala: è il volere degli dei, questo.»
La ragazza serrò la mascella, e non solo perché riusciva a percepire lo sforzo con cui sua madre cercava di credere a quelle parole. Le parole create dal latte erano ancora vivide nella sua mente, così come l'avvertimento che si era creato allo stesso modo non appena aveva finito di leggere l'ordine. Era semplice, solo poche lettere: mantieni il segreto. Per evitare di disobbedire ai potenti di Mag Mell, quello era un evento che non aveva mai neppure osato ricordare a Tebas. «Lo so.»
Isabhel scosse la testa. «An potrà sostenere che gli dei abbiano voluto lasciare più di una porta aperta con quella frase, ma, figlia, fidati di me. Saiph, fino all'ultimo ho sperato che...» La donna si interruppe e guardò lontano, incapace di continuare.
«Madre?» Il suo cuore aveva iniziato a batterle con troppa velocità nel petto.
L'erborista strinse ancora una volta la mano sulla spalla della figlia. «Gli aruspici me l'avevano già confermato il giorno stesso. Il sogno che ho fatto la sera dopo la discussione con An non era opera di Minhar. Devi andare, Kala: se a Nuovo-Anno sarai ancora nella valle...» Inspirò a fondo e serrò le palpebre, come se volesse scacciare una lacrima di paura.
La diciassettenne deglutì a fatica: i brividi che le correvano lunga la schiena non erano causati solo dalle dita gelide del vento. Tebas, che come sempre sembrava capace di leggere il suo stato d'animo come un libro aperto, strusciò il muso contro il suo mento con delle rassicuranti fusa. «Cosa significa, madre? Cosa...»
La donna le accarezzò la guancia, sforzandosi di mantenere il suo debole sorriso rassicurante. «Non è importante, figlia mia.»
Non le credeva: stava nascondendo qualcosa, qualcosa che la stava facendo soffrire forse ancora più della sua partenza.
Forse il sogno è stato per lei più simile a un incubo.
Quello era ovvio. Prima che l'adolescente potesse porre un'altra domanda, tuttavia, una voce alle sue spalle le gelò il cuore nel petto e le fece ribollire il sangue nelle vene: «I sogni possono essere fonte di saggezza quanto di stoltezza: è sempre bene ascoltarli senza affidare ad essi il proprio futuro.»
Kala non osò neppure voltarsi verso la donna corvina. Non aveva bisogno del pizzicore alla nuca o dell'odore di piante esotiche e tempesta per sapere che An era a meno di un paio di falcate da loro. Le sue mani tremarono mentre afferravano con forza la gonna. Tutti gli altri presenti - perfino Aryane - erano rimasti in disparte per lasciare a lei e sua madre un po' di tranquillità per quegli ultimi momenti insieme. La strega non aveva neppure rispetto per quello, per gli dei?
«È per questo che ho consultato gli aruspici, An Lokai: Minhar è subdolo e ama ingannare le persone.»
E quella maga era più subdola del dio stesso!
«Non avevo dubbi sulla vostra accortezza. Mi perdoni se vi è sembrato che vi stessi offendendo, Isabhel.»
Dei passi maschili sulla neve scricchiolante coprirono le ultime sillabe, anticipando l'arrivo di un uomo nerboruto e avvolto dal mantello orlato di pelliccia tipico dei cacciatori. Dalle spalle pendeva la sacca di tela cerata in cui aveva riposto la sua balestra per proteggerla dall'umidità e dal freddo. «Scusate se vi interrompo,» esordì, abbassando la sciarpa per evitare che la sua voce burbera venisse soffocata dalla lana, «ma dobbiamo iniziare ad incamminarci. Il vento è cambiato e vorrei evitare che una tormenta ci sorprenda nel mezzo del cammino.»
«Avete ragione, Diòmas», la quarantenne annuì in direzione del cacciatore che si era offerto di accompagnare la figlia e An fino al confine meridionale della valle. «Kala...»
La diciassettenne non esitò un momento: si fiondò tra le braccia aperte di sua madre, serrando le palpebre per scacciare quel fastidioso pizzicore agli occhi. Lasciò che la donna le accarezzasse i capelli ricci e le baciasse la fronte, come aveva sempre fatto per rassicurarla. L'adolescente avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre. Invece, non durò che un istante.
Isabhel le consegnò la sacca che fino a quel momento era appoggiata per terra, vicino ai suoi piedi. «Ho aggiunto un barattolo di pomata antisettica. Sei sicura di non voler farmi vedere com'è il taglio?»
Con un sussulto la ragazza strinse a sé il polso fasciato, balbettando: «È solo un graffio. Non è nulla di grave.» Ancora una volta, percepì l'occhiata rovente della strega sulla sua schiena.
La quarantenne la guardò con un pizzico di rimprovero, ma non disse nulla. Mentre la ragazza si allontanava di qualche passo per salutare il resto dei presenti, ciascuno dei quali sembrava avere una parola di saggezza per lei, si rivolse alla cantastorie corvina: «Prendetevi cura di mia figlia.» Raramente il suo tono di voce era stato così serio.
La donna portò il palmo sul cuore e poi lo porse all'erborista. «Avete la mia parola, Isabhel Satavari.»
Solo con la coda dell'occhio Kala notò le falangi dell'arto nascosto sotto il mantello intrecciarsi in modo sospetto e la pietra turchese incastonata nel bracciale ammiccare come se fosse stata attraversata da un debole fulmine. Il suo cuore perse un battito quando, in una frazione di istante, capì cosa quel lieve fulgore fosse. No! Il grido di avviso si infranse contro la lingua incollata al palato e la ragazza si piegò sotto un violento colpo di tosse, causato dalle sillabe che era stata costretta a inghiottire. Qualcuno - Aryane, a giudicare dalla forza - le picchiettò sulla schiena per aiutarla a respirare di nuovo correttamente. Quando la ragazza sollevò di nuovo lo sguardo, la strega stava stringendo la mano alla quarantenne in un cordiale gesto di saluto. Non appena quel breve contatto si interruppe, tuttavia, la donna bionda si portò le dita ai lati della testa con una discreta smorfia di sofferenza.
«Madre!»
Quella si massaggiò ancora un paio di volte la tempia. «È solo una lieve emicrania, non preoccuparti.»
Alla giovane sembrò che il pugnale nascosto nello stivale pulsasse rovente contro il suo polpaccio. Cos'aveva fatto quella strega? Serrò con forza la bisaccia, tastando il rigonfiamento che nascondeva un piccolo oggetto di metallo che aveva avvolto in un panno. Gliel'avrebbe fatta pagare, per Mag Mell!
Non qui. Non ora.
La diciassettenne allentò la presa. Dopotutto, non era certa se quel gingillo avrebbe funzionato. Anzi, aveva più dubbi che speranze a riguardo.
Prima che un paio di comari facenti parte del gruppetto potessero prendere l'adolescente in disparte per impartirle i loro consigli, An puntò il suo sguardo d'acciaio nella loro direzione. «È giunto il tempo: dobbiamo essere celeri, giovine.» La donna corvina aveva assai più autorità di Diòmas, e non solo perché superava in altezza lui e la maggior parte degli uomini di almeno un palmo. I pochi presenti si dispersero con un ultimo saluto, un ultimo cenno del capo, fino a che non rimasero solo Isabhel e Aryane attorno alla ragazza. «L'inverno non perdona.»
Dandole le spalle - la strega non le avrebbe rovinato gli ultimi istanti con la sua famiglia! - Kala si avvicinò alla sorella e alla madre. Il vento gelido arrossava i suoi occhi umidi e le sferzava le guance, tuttavia non riuscì a intaccare in alcun modo il calore di quell'ultimo abbraccio. Non avrebbe mai voluto lasciare Vahrel: se avesse potuto, se non fosse stato il volere degli dei, avrebbe lottato come Tebas iniziò a fare quando Aryane cercò di prenderlo in braccio. Nonostante la gentilezza e i numerosi tentativi, infatti, il micio affondava le unghie nel corpetto e soffiava con il pelo irto non appena un paio di mani cercavano di sollevarlo dalle spalle della ragazza. Con le labbra screpolate e la voce rotta dal pianto, la giovane mormorò allora contro la pelliccia del felino: «Tebas, non puoi venire.»
Non puoi seguirci, cucciolo.
Il gatto d'un tratto smise di agitarsi: ritrasse le unghie, lasciando che la sua padrona lo consegnasse a Isabhel. Si rifugiò nelle braccia della donna, continuando tuttavia a guardare la diciassettenne con occhi sgranati. L'adolescente dovette presto distogliere lo sguardo: la sofferenza che leggeva nelle iridi ambrate del suo micio era troppo profonda, troppo umana. Non poteva tuttavia evitare di udire: fu così che i miagolii disperati dell'animaletto e gli ultimi saluti della sua famiglia continuarono a echeggiarle nelle orecchie fino al portone incastonato nelle mura. Poi Kala si trovò fuori da Vahrel.
Dopo due settimane di pausa, ecco finalmente a voi la prima parte del capitolo XVII 😜 Ci stiamo finalmente concentrando di nuovo su quella cocciuta dai capelli rossi, dopo un luuuungo periodo in cui non l'abbiamo neppure nominata.
Più di due mesi, se mi ricordo correttamente.
Argh, davvero? 😵Ecco perché non ero quasi più abituata a scrivere dal suo pov. Quasi 😉
Anyway, questa è la parte dedicata agli "addii". Se alcuni si riveleranno definitivi e altri solo un lungo arrivederci, ancora non ve lo posso dire 😈
Perché non hai ancora deciso con sicurezza, autrice.
Shhhh, Kianuccio, non si dicono queste cose ^^" Dettagli per il futuro a parte, questo capitolo si è rivelato più impegnativo del previsto da scrivere. E non solo perché non ho la minima idea di come un rapporto tra sorelle possa funzionare 😒😅
Leggete tra le righe: se avete fratelli o sorelle, non esitate a dire se le dinamiche scritte nel capitolo sono completamente assurde.
Grazie per i sottotitoli. Vieni qui che ti faccio un grattino sotto il mento.
Graaaaur! Solo perché sono nella mia forma a quattro zampe non sei autorizzata a trattarmi come un gattino.
Come Tebas 😍😭 Povero cucciolooooo 😭😭
... passiamo alla domanda.
Question time
Secondo voi cos'è successo quando An ha stretto la mano a Isabhel? Ha utilizzato la magia come Kala ha sospettato? Se sì, perché?
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