XIX - Sii acqua, sii fuoco (pt.3)

Il cacciatore inspirò a fondo l'aria pregna dell'odore della recente pioggia che impregnava il sottobosco. La schiena appoggiata a un tronco abbattuto da un fulmine, osservava il vento far tremare minacciosamente le prime foglie secche, portando con sé gli ultimi echi di calore dell'estate. L'uomo amava la foresta a settembre, anche se forse era più corretto dire che amava la foresta, punto. Al contrario di alcuni suoi amici e colleghi, lui non la considerava solo un luogo per trovare prede da uccidere: no, per lui la natura era il posto in cui rifugiarsi e semplicemente esistere, in sintonia con tutto. Adorava le vie della sua città, amava ancor di più Isabhel e le sue due figlie, ma non riusciva mai a stare per troppo tempo chiuso tra quattro mura di pietra. Per quanto la maggioranza del suo cuore giacesse con la sua famiglia, buona parte era anche sepolta lì, tra le radici degli alberi brulicanti di vita.

«Papà?»

Teucer si voltò verso la bambina di otto anni seduta al suo fianco, intenta ad osservare con attenzione i rametti piene di bacche scure in ciascuna mano. Le ciocche fulve che le ricadevano davanti agli occhi, sfuggendo al laccio con cui Isabhel aveva tentato di raccogliere quei capelli ribelli, sembravano accentuare ancora di più l'espressione corrucciata della piccola. Raddrizzando la schiena e torcendo lievemente il busto verso la figlia, le domandò: «Allora, hai capito qual è la belladonna?»

Senza esitare un istante, Kala gli porse il rametto che stringeva nella destra. Il cacciatore fece finta di esaminare con attenzione le bacche, aggrottando le sopracciglia con disappunto. Con la coda dell'occhio scorse la figlia iniziare a torturare nervosamente un riccio, mordicchiandosi il labbro inferiore. Era particolarmente nervosa, come se dall'esito di quella semplice prova a cui era stata sottoposta dipendesse il suo intero futuro. Il trentaduenne mantenne l'espressione delusa per ancora qualche secondo, poi la maschera si sciolse in un raggiante sorriso di orgoglio.

La bambina sgranò gli occhi color ghiaccio, incredula, poi con un urletto a metà tra l'entusiasta e l'arrabbiato si gettò nelle braccia di Teucer. «Papà, mi avevi promesso di non farmi più questo scherzo! Me lo avevi promesso!» brontolò, tirando piccoli pugni giocosi al cacciatore che sghignazzava divertito.

«Calmati, volpacchiotta», rise l'uomo, parando quei lievi colpi che, più che dargli fastidio, gli facevano il solletico. «Così rovini tutti i mirtilli.»

Kala si tirò indietro con un sonoro sbuffo, poi guardò preoccupata l'altro rametto colme di bacche scure che teneva nella sinistra. Il palmo era punteggiato da macchie di succo violaceo, ma fortunatamente la maggior parte dei frutti di bosco erano ancora intatti. Lesto come un falco in picchiata, il trentaduenne approfittò di quel momento di distrazione e rapì uno dei mirtilli più ammaccati, strappando alla figlia un'esclamazione di protesta.

«Devo controllare che siano ancora buoni», le sorrise con una strizzata d'occhio, prima di lanciare la bacca tra le sue labbra. Trovarne ancora un cespuglio pieno in quel periodo di settembre era stato un vero e proprio colpo di fortuna, che Teucer non aveva esitato a sfruttare per insegnare alla figlia a distinguere quei deliziosi frutti dalla loro gemella velenosa, la belladonna. Già la bambina aveva passato la mattina a scorrazzare nel bosco per familiarizzarsi con le piante che un giorno avrebbe raccolto per l'erboristeria; l'uomo non vedeva perché non poteva utilizzare quel tempo tra gli alberi anche per mostrarle qualche utile trucco di sopravvivenza.

Mentre la piccola finiva di mangiare i mirtilli, il cacciatore si alzò a controllare i resti fuoco. Le braci erano ancora impregnate dell'odore dei tomini di capra che l'uomo aveva riscaldato per il pranzo e, quando il trentaduenne ci versò sopra un po' d'acqua dalla sua borraccia, liberarono sfrigolanti una lieve scia di fumo.

«Direi che è ora di tornare a casa.» Teucer raccolse da terra il suo fedele arco, poi si issò in spalla la sacca per i viveri ormai vuoti. «Non vorrei che tua madre mi tirasse le orecchie per averti trattenuto troppo nella...» La sua voce si affievolì mentre i suoi occhi dardeggiavano alla ricerca dell'ultima cosa che mancava alla lista. Era certo di averla lasciata lì, vicino a quella roccia coperta di muschio e...

Il lieve cozzare delle aste delle frecce gli fece scivolare lo sguardo di lato. Le mani e il viso imbrattati di succo di mirtilli, Kala gli porse la sua faretra colma di dardi. «La stavi dimenticando appoggiata a quella pietra, papà», lo rimproverò con una punta di divertimento nella voce.

Con un mezzo sorriso il cacciatore scompigliò affettuosamente i capelli della figlia. Sarebbe morto prima di lasciare nel bosco il suo arco o le sue frecce, lui. «Grazie, volpacchiotta. Tu, piuttosto, hai tutto?»

La bambina annuì, appoggiando decisa la mano sulla saccoccia in cui aveva riposto le foglie di una decina di piante officinali. Piante semplici da riconoscere, note anche a molti che non erano erboristi o guaritori, ma che per lei rappresentavano i primi passi che l'avrebbero portata a seguire le orme di sua madre.

Per il viaggio di ritorno, Teucer lasciò che fosse la figlia a cercare di ritrovare la strada per la città, orientandosi con le ombre e il muschio sugli alberi come le aveva insegnato all'inizio di quell'estate. Non era neppure un disastro, per essere così piccola: la direzione generale era quasi sempre giusta e mai si ritrovava a dare le spalle alla parte della foresta in cui le mure di Vahrel erano nascoste. Ogni volta che una svolta graduale o repentina del percorso li portava più vicini a casa, il cacciatore non poteva fare a meno di gonfiare il petto con orgoglio. Per una futura erborista saper riconoscere le piante era importante, ma riuscire a ritrovare la propria via era una virtù che un giorno avrebbe potuto rivelarsi vitale.

Camminavano da ormai una ventina di giri di clessidra quando il trentaduenne si fermò di colpo, la mano che sfiorava il terreno tra le radici di un albero. Con i suoi occhi da predatore esaminava le tracce lasciate da un paio di zampetta ferite, forse da una trappola o forse da qualche animale. Probabilmente una trappola, a giudicare dalla quantità di sangue lasciata sugli steli d'erba.

«Papà? Se stai cercando di farmi ancora quello scherzo...»

L'uomo alzò lo sguardo verso la figlia, appoggiandosi al suo arco. «Credi che per cena vi piacerebbe uno stufato di lepre?»

Il volto della bambina si illuminò con entusiasmo e il cacciatore sorrise, facendole segno di seguirlo in silenzio. Teucer si muoveva come un lupo nel sottobosco, come il predatore che effettivamente era, acuendo i sensi fino a immergersi totalmente nella natura. Ora era un tutt'uno con gli alberi, con il vento, con gli steli d'erba frementi: non c'era fruscio od odore che gli sfuggisse, non c'era guizzo nell'ombra o scintillio nei raggi di sole che i suoi occhi chiari non cogliessero.

Il cacciatore seppe di aver trovato la lepre ancor prima di scostare delicatamente i rami dei cespugli che sorgevano al limite di una piccola radura. L'animaletto era lì, a una ventina di passi, intento a ruminare a fatica qualche stelo d'erba. Un profondo taglio imbrattava il fianco coperto da pelliccia marroncina e una delle orecchie ricadeva inerme ai lati del muso, probabilmente a causa di qualche tendine lacerato.

Fu la pietà a muovere la mano di Teucer verso la faretra. Una bestiola ferita così non sarebbe sopravvissuta a lungo nella foresta: per il dissanguamento o per un'aquila scesa dal cielo, la morte sarebbe arrivata dolorosa entro qualche giro di clessidra. Con una delle sue frecce, invece, la lepre sarebbe scivolata nelle braccia di Dabih senza un verso di sofferenza.

L'uomo udì la bambina alle sue spalle trattenere il respiro mentre le sue mani tendevano la corda dell'arco. Non le ordinò di voltarsi e non guardare: a differenza della sorellina e di sua madre, Kala non si lasciava impressionare dalla caccia e dalla morte. Il trentaduenne evitò tuttavia di mirare all'occhio della bestiola: anche se efficace, quello era un colpo che aveva disgustato perfino lui nei primi tempi.

Le dita protette da un guanto di cuoio scivolarono via dalla corda e la freccia sibilò per un istante nell'aria. Un lieve tonfo e la lepre cadde a terra, trafitta al fianco.

Teucer raggiunse lesto la preda, tallonato dalla figlia, e si tolse il guanto per toccare il petto dell'animaletto. Non sentiva nessun battito del cuore e già gli occhi scuri erano vacui, privi di vita: la bestiola era morta sul colpo, senza provare inutile dolore. Esattamente come le aveva mentalmente promesso.

Mentre il trentaduenne estraeva il dardo dalla carne della preda, accarezzandole il pelo come per ringraziarla, una domanda arrivò di punto in bianco. L'ultima domanda che lui si sarebbe aspettato di udire.

«Papà, mi insegni a cacciare?»

L'uomo alzò lo sguardo dalla preda, preso completamente alla sprovvista. Cacciare? Una ragazza? «Forse un giorno, volpacchiotta.»

La bambina incrociò le braccia, tenendo la testa china. «Intendi dire "mai", vero?» pigolò ferita.

Con un sospiro Teucer appoggiò la mano sulla spalla della figlia. «Non posso insegnarti a braccare cervi e caprioli, se mi stai chiedendo questo.» No, Kala non sarebbe mai potuta diventare una cacciatrice, anche se lo avesse voluto. Lei sarebbe diventata una ragazza, e non aveva mai udito di ragazze con le armi, se non in qualche leggenda mezza dimenticata. Eppure, ciò non toglieva il fatto che lui voleva che la sua bambina fosse capace di sopravvivere da sola nel bosco, anche se molti ribadivano che alle femmine non serviva quel tipo di conoscenza. Lui, tuttavia, non concordava: la natura era generosa quanto era crudele e, a differenza delle persone, non faceva distinzione tra uomini e donne. «Tuttavia, posso mostrarti come... nutrirti o difenderti, se sei in difficoltà.»

Gli occhi di Kala luccicarono, impazienti. «Davvero?»

Il trentaduenne annuì, poi fermò la mano della bambina che già si stava protendendo verso l'arma di nocciolo. «Ma non con questo.»

«Perché no? Durante il Ruith-Deràg le vedette si lamentano sempre che anche i bambini potrebbero utilizzare un arco.»

«Quelle vedette non hanno mai provato a tirare con uno di questi, allora», ribatté aspro Teucer, soppesando l'oggetto longilineo che aveva in mano. Non era sorpreso: quasi tutte le guardie preferivano le balestre, e non sapevano quanto la corda di un arco fosse difficile da mantenere tesa. Perfino lui non riusciva a contare fino a quindici prima di sentire le braccia tremare per lo sforzo. «Io stavo pensando a qualcosa di più piccolo, a qualcosa come... come questo.» Con un movimento fluido sguainò il pugnale dal fodero e lo tenne in equilibrio sul palmo teso. «Quando avrai dodici anni ti prometto che ti insegnerò come usarlo. Insieme a qualche trucco per cacciare lepri e turan.» Le strizzò l'occhio, prima di rinfoderare l'arma.

L'espressione soddisfatta della bambina venne sostituita con una esterrefatta. «Dodici anni?» ripeté con voce strozzata.

«Sei ancora troppo piccola per giocare con le lame, Kala. Ora, aspettami su quel tronco: devo sviscerare la lepre e non credo questo che ti piacerebbe.»

Mentre la figlia correva verso la carcassa dell'albero riversa a terra - non dissimile da quella che avevano utilizzato come schienale durante il pranzo - l'uomo afferrò il coltellaccio che teneva nascosto nella faretra e incise un lungo taglio sul ventre dell'animale. Avrebbe potuto fare quel lavoro a casa - molti cacciatori lasciavano perfino tutto alle mogli - ma sapeva che a Isabhel quel processo faceva assai impressione. Già doveva stare attento a non lasciare sul tavolo troppi residui di pelliccia, sangue o ossa quando trasformava le sue prede in ordinate striscioline di carne; non aveva voglia di rincorrere inoltre un cuore o uno fegato che aveva deciso di fuggire sul pavimento.

Avvolta la lepre sviscerata in un pezzo di tela che si portava sempre appresso per evitare che il sangue colasse sui suoi vestiti, Teucer versò l'acqua che rimaneva nella sua borraccia sulle mani e le strofinò contro un lembo di quel grezzo tessuto per pulirle il meglio possibile. Solo quando le uniche tracce di rosso rimaste furono quelle incrostate sotto le sue unghie, il trentaduenne si issò la carcassa in spalla e si diresse verso il tronco su cui la figlia si era accovacciata. Il cuore dell'uomo si strinse quando notò lo sguardo perso nel nulla e il riccio torturato nervosamente dalle dita ancora lievemente paffute di quella. Temeva di sapere cosa la stesse assillando. Lo temeva eccome.

«Stai pensando ancora all'altro ieri, vero?» sospirò il cacciatore, sedendosi di fianco a lei. Poi allargò le braccia. «Vieni qui.»

Senza esitare un istante la bambina si tuffò in quell'abbraccio, affondando il viso nella spalla del trentaduenne. L'uomo sentì il petto della figlia sussultare un paio di volte, poi quella scosse la testa con tale veemenza che il laccio rischiò di volare via dai ricci ribelli. «Non mi importa, papà!» Il modo con cui Kala calcò quelle ultime due sillabe evidenziò più di ogni altra cosa che quella non era una parola detta per abitudine o per rimanere attaccata al passato, ma una vera e propria rivendicazione. «Solo perché quella megera...»

«Kala.»

«Anche se quella vecchietta mi ha detto che... che non mi avete fatta tu e mamma, io sono ancora la vostra bambina!» Gli occhi di ghiaccio cercarono quelli del cacciatore, luccicando pieni di determinazione e sfida.

Con sorriso rassicurante Teucer accarezzò i ricci fulvi della piccola. Della sua piccola: ormai neppure quella chioma di fuoco e quegli occhi simili all'acqua più limpida gli ricordavano che quella che aveva davanti non era il frutto del suo amore per Isabhel. Sebbene razionalmente sapesse, si ricordasse delle circostanze in cui Kala era entrata nelle loro vite, lui nel suo cuore la considerava figlia sua tanto quanto Aryane. E sapeva che anche per sua moglie era così.

«Se è quello che senti qui dentro», e con l'indice indicò il petto della bambina, «allora lo sei. E nulla al mondo potrà cambiarlo; neppure quello che dicono gli altri.» Spettinandole amorevolmente i capelli ribelli, il cacciatore sciolse l'abbraccio. Rimase tuttavia seduto, permettendo alla figlia di tenere la testa appoggiata contro la sua spalla.

Dopo qualche istante di silenzio, il trentaduenne scorse Kala mordersi il labbro e ricominciare a torturare un riccio. «Papà, a Vahrel ci sono molte persone come quella vecchietta?»

«Per fortuna no, volpacchiotta. Ormai agli occhi di quasi tutti fai parte della famiglia Dileas.»

La bambina annuì, ma la ciocca di capelli rimaneva ancora attaccata al dito. «E ci sono persone che... che pensano qualcosa di peggio?»

Il cacciatore serrò con violenza le palpebre, mentre un respiro più profondo degli altri lo riportava a quel solstizio d'inverno di otto anni prima. Il peso della figlia contro di sé e la mano premuta con forza contro la corteccia ruvida erano le uniche due sensazioni che lo ancoravano alla realtà, mentre riviveva i frammenti di quella festa. Lui e Isabhel sapevano già che non tutti avrebbero approvato che una straniera senza origini fosse consacrata a Saiph nella loro città, e che c'era perfino la non tanto remota possibilità che alcuni avrebbero perfino guardato con sospetto la loro decisione di adottare una neonata che non proveniva dalla valle. Eppure, né lui né la sua amata avrebbero mai immaginato che qualcuno potesse spingersi così in là come quel cantastorie. Il ricordo di Garin che gli strappava di mano il pezzo di pergamena e la sua espressione - così folle, così arrogantemente convinta di essere nel giusto - mentre la gettava nelle fiamme gli fece battere furioso il cuore e ribollire il sangue nelle vene, come quella sera. Ed, esattamente come quella sera, si sentì d'un tratto febbricitante, come se un velo di calore gli avesse avvolto i sensi e il suo corpo stesse galleggiando inerme in una prigione d'acqua.

Poi, la voce preoccupata di Kala lo riportò al presente: «Papà? Cos'è questa puzza di bruciato?»

Il trentaduenne spalancò gli occhi, scorgendo la figlia arricciare il naso con fastidio, poi con i sensi esplorò teso la lieve brezza che li avvolgeva. Sì, nell'aria aleggiava una lieve traccia di quell'inconfondibile odore acre. «Probabilmente è solo qualcuno che ha deciso di accendere un piccolo fuoco per riscaldarsi il pranzo. Nulla di allarmante», le sorrise, alzandosi dal tronco di legno. Dopotutto, non erano pochi i cacciatori che in quel periodo dell'anno passavano le giornate nella foresta, in cerca di prede. «Ora è meglio andare, o tua madre mi tirerà veramente le orecchie.»

Teucer si incamminò tra gli alberi, la figlia al suo fianco e la lepre in spalla, inconsapevole del fatto che un paio di giri di clessidra più tardi si sarebbe accorto della cenere che gli copriva il palmo destro. Allora, tuttavia, sarebbe stato troppo lontano per vedere l'impronta di bruciato che sfigurava la corteccia dell'albero su cui si era seduto. Un'impronta che sembrava il calco perfetto della sua mano.

Ed ecco qui la fine del capitolo XIX, con un bel flashback su Kala da bambina e suo padre Teucer. Dunque, premetto che questa parte non era assolutamente pianificata, ma dopo averlo nominato così tante volte ultimamente, a un certo punto ho realizzato che era naturale dedicargli almeno una scena.
E con "a un certo punto" intende giovedì.
Ehm... msì, questa potrebbe essere la ragione per cui ho pubblicato un pelino più tardi ^^"

Ciancio alle bande...
Bando alle ciance, autrice.
Whatever! In questo flashback vediamo finalmente com'era Teucer in versione papà. Già ne avevamo avuto un piccolo assaggio nel Succubo, a dire il vero, ma essendo Kala più grandicella, anche il suo modo di essere padre era giustamente un po' più diverso. Qui invece lo abbiamo alle prese con una Kala di otto anni... e beh, si capisce benissimo perché la nostra cocciuta rossa ci fosse molto affezionata, non trovate? :3 Inoltre, in questa scena raccoglie gli echi di molte cose importanti: cos'è successo dopo la rivelazione della vecchietta, le prime introduzioni al mondo delle piante officinali e una promessa che porterà il cacciatore a insegnare alla figlia come utilizzare i pugnali.
E ciò potrebbe spiegare in parte perché Kala cerchi di resistere agli insegnamenti di Leahnne. Testardaggine a parte, naturalmente.
Ahahah esattamente XD Inoltre, forse alcuni dei lettori più attenti potrebbero aver notato che il titolo del capitolo, che invoca sia l'acqua che il fuoco, potrebbe avere più di un significato dietro... 👀

Ah, piccola curiosità: il commento di Teucer su quanto sia in realtà difficile utilizzare un arco deriva dal fatto che spesso, nei film/libri, ai personaggi più deboli vengono assegnati gli archi come arma. E, credete alla parola di una che ha il brevetto di tiro con l'arco: già se usate un arco sulle 20/25 libbre dopo mezz'ora avete le braccia ridotte a noodles; figuriamoci se la vostra arma ha un libbraggio di circa 35/40 (come l'arco di Teucer). Ecco, di certo non è un'arma per bambini, come sostengono le vedette 😜

E per il prossimamente... al momento non ho nessun indizio, sorry ^^" Ci sono più o meno due possibilità per il prossimo capitolo e, ovviamente, se mettessi l'indizio per una alla fine sceglierei l'altra. Quindi al prossimo sabato, alethiani!

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