XIV - Crocevia (pt.1)
La volpe avanzava sicura, facendo oscillare a ogni passo la folta coda color fiamma. Trotterellava senza fretta e a ogni falcata percorreva mille e nessun miglio al tempo stesso. Le distanze non esistevano in quel non-luogo, in quello spazio vuoto che non apparteneva a nessuno strato di realtà, in quel non-mondo di transizione. Le morbide zampe della creatura si posavano senza suono nel nulla, tracciando nell'aria inesistente scie simili a quelle delle stelle comete. Tutt'intorno al piccolo animale, distanti e al tempo stesso vicini, fiorivano intrecci di luci, forme e colori, che punteggiavano con il loro tripudio di bellezza le tenebre come le galassie avrebbero fatto con il freddo dello spazio.
D'un tratto una costruzione di marmo cangiante apparve davanti agli occhi ambrati della bestiola, la quale con un solo poderoso balzo raggiunse il bordo del pavimento. Il lieve raschiare degli artigli sulla pietra echeggiò squillante nel silenzio fino ad allora ininterrotto. Il luogo che la volpe aveva raggiunto aveva l'aspetto di un vecchio tempio in rovina: maestoso, sfigurato da crepe e intriso di una solennità che solo un posto sacro poteva avere. Quel posto, tuttavia, era assai di più di qualsiasi costruzione eretta dai mortali. Sulle lastre intarsiate che coprivano il suolo spiccava un intrico di cerchi concentrici e stelle: una rosa dei venti. Ciascuna delle quattro punte di quel simbolo sfiorava la base di una colonna massiccia, in cui erano stati ricavati due troni adiacenti. Per ognuna di quelle coppie di scranni ce n'era uno decorato magnificamente e uno ridotto solo a un cumulo di macerie, incatenato dalle volute di sigilli di pura energia. Tre di quei simboli arcani brillavano sicuri; uno - quello che imbrigliava la metà rovinata del pilastro settentrionale - era invece spento, lacerato da una profonda crepa dai bordi marci.
Otto seggi, otto esseri che un tempo lì si riunivano: metà ora caduti e sconfitti, metà invece ancora rigogliosi e vittoriosi.
Fu su uno dei troni integri - quello che germogliava dal pilastro più a oriente - che l'animale si accomodò, maestoso come un re. Con il muso appuntito esplorava le vaste profondità del nulla colmo di tutto che circondava quell'isola solitaria di roccia iridescente. A ogni movimento del collo la pelliccia color fuoco si piegava incandescente e pareva sprizzare piccole scintille dorate, mentre di tanto in tanto nelle iridi arancioni apparivano guizzi di un luminoso vermiglio. Le orecchie appuntite si muovevano a scatti, pronte a intercettare ogni suono che avrebbe potuto infrangere il silenzio.
Un fruscio impercettibile, un lieve tintinnare di squame metalliche contro la roccia. Poi una calda voce pacata, simile al cadere di granelli di sabbia in una clessidra, parlò: «Eccoti, fratello caro.»
La volpe si girò verso sinistra, verso la colonna a meridione, dove il suo sguardo venne ricambiato dagli occhi cobalto della creatura sinuosa che aveva preso posto su uno dei troni. «Dov'è nostra sorella?» domandò con irritazione al nuovo arrivato, sbattendo la coda crepitante sulla roccia per sottolineare il suo nervosismo. «Avrebbe già dovuto essere qui.»
L'altro essere fece dardeggiare la lingua bifida, mentre le sue spire dorate scivolavano con calma sul seggio di pietra. Le fauci, in quel momento socchiuse, erano abbastanza grandi da inghiottire un bambino umano, mentre il lungo corpo avrebbe potuto senza sforzi avvolgersi più volte attorno al tronco di una robusta quercia. Nonostante il suo aspetto minaccioso, tuttavia, il serpente pareva il meno pericoloso dei due animali presenti. «Impaziente come sempre, Destino», sibilò senza rimprovero, posando la testa triangolare sul ventre squamato come se si stesse apprestando a sonnecchiare. «Prima o poi lei arriverà: devi solo aspettare.»
«Aspettare non è nella mia natura, Khonsu.»
«Ho notato, dopo tutti questi millenni.» L'ouroboro chiuse gli occhi di quel blu intenso come le profondità dell'oceano. «Anzi, ho sbagliato: dopo tutte queste ere.»
«Per essere il Tempo, sembri dimenticare facilmente quanto veloce esso scorra», ribatté la volpe, mentre la punta dorata della coda prendeva letteralmente fuoco.
«Dall'Orizzonte degli Eventi si vedono le cose assai diverse.» La lingua bifida saettò ancora una volta fuori dalla testa triangolare. «È qui, se ti interessa», aggiunse, e subito dopo uno zoccolo scintillante emerse dalle tenebre per posarsi sul pavimento intarsiato.
«Sei in ritardo, Dagda», la creatura dal pelo fulvo sbottò in direzione del maestoso animale che era apparso di fianco al pilastro più occidentale. Il manto era di uno scuro color nocciola, tuttavia sul dorso e sulle zampe esili esso era attraversato da sinuose linee verdi muschio che, muovendosi fluidamente senza sosta, andavano a create tutte le rune esistenti. Le corna simili a rami erano invece di argento puro e parevano brillare di luce propria, simile a quella con cui la luna irrora il paesaggio notturno.
Il cervo si accucciò sul trono che gli spettava, rivolgendo un affettuoso cenno di saluto al serpente alla sua sinistra. Poi si voltò verso la volpe con tutt'altra espressione. «Sai bene cos'ho deciso di fare per riportare equilibrio alla magia, Lhamo», disse con melodiosa voce femminile.
«Nonostante i miei consigli di fare diversamente.» L'animale dal muso appuntito fece guizzare la punta infiammata della coda. «Vista l'assenza del Corvo del Nord, sarò io a tenere le redini di questa riunione. Qualche obiezione?»
Dagda alzò gli occhi al cielo senza dire nulla, sapendo assai bene che l'ultimo Araldo non mancava per caso, mentre l'ouroboro dorato non si degnò neppure di aprire le palpebre. Sembrava fosse caduto in un sonno profondo, tuttavia gli altri due esseri sapevano che quello era assai sveglio: dormire era una caratteristica dei mortali, non di loro Araldi.
«Direi che possiamo iniziare, allora.» Un brivido scosse la pelliccia rossa, come se la pelle sottostante fosse scossa da onde concentriche simili a quelle create da un sasso caduto in uno stagno. Per un istante il fenomeno parve acquietarsi, poi il corpo della volpe esplose in fiamme, squarciato dall'interno da un turbine vermiglio. Come un liquido denso simile alla lava quella sostanza che non era materia ma neppure energia si increspò, ondeggiò, si espanse, si intrecciò in una forma sempre più umana. Sprazzi di colore iniziarono ad apparire mentre il vortice si faceva sempre più solido, infine gli ultimi residui di carminio si levarono come un telo di seta, rivelando un giovane uomo dai capelli color ebano e gli occhi a mandorla.
Seduto sul suo trono come un re, Lhamo osservò i residui di volute argentee e sabbia luccicante disperdersi, mostrando i corpi di sua sorella e suo fratello. Davanti a lui, al posto del cervo, c'era ora una donna dall'aspetto saggio - non vecchio - il cui volto solcato da rughe sembrava quello di un'affettuosa nonna. Teneva i capelli attraversati da qualche ciocca grigia raccolti in una treccia che iniziava dall'altezza delle spalle anziché dal cuoio capelluto, mentre il suo abito era un insieme di stoffe decorate e pendenti neri, verdi e metallici. Aveva le ali simili a quelle di un condor di un vivido colore smeraldo, esattamente come le rune che si intrecciavano senza sosta sulle sue braccia e sul suo collo.
Il ventenne spostò poi lo sguardo verso la sua sinistra, dove le immense spire dell'ouroboro avevano lasciato spazio a un uomo dalla carnagione scura come la terra bruciata dal sole. Indossava una tunica senza maniche di un blu intenso simile alle profondità marine, tessuta in modo da sembrare composta da migliaia di squame luccicanti. D'oro massiccio erano invece le sue ali da falco, le fasce metalliche che si incrociavano sul petto e quelle strette attorno ai suoi avambracci, il serpente ricamato sulla cintura di stoffa e le sottili linee d'inchiostro che circondavano le sue palpebre chiuse. I lineamenti del viso erano distesi, marcati eppur capaci allo stesso tempo di inspirare calma e fiducia a chiunque li avesse scorti.
«Magia. Tempo», il giovane dai capelli d'ebano chiamò prima la sorella e poi il fratello. «Come sapete, vi ho convocati qui per discutere di una cosa molta importante.»
«Than», lo anticipò Dagda, mormorando piano il nome come se temesse che la pallida bambina avrebbe potuto sentirla.
Anche solo udire quelle quattro semplici lettere furono sufficienti a far crepitare le piume vermiglie dell'Araldo con guizzi di fiamme iraconde. «Sta andando troppo oltre, sorella e fratello. Siete a conoscenza dei suoi piani, è inutile negarlo. Eppure, perché finora sono stato l'unico a cercare di opporsi? Lo squilibrio lei che si sta apprestando a creare rischia di essere troppo per la bilancia, che è già pericolosamente vicino al punto di rottura! Le abbiamo già permesso una volta di stravolgere l'equilibrio cosmico, di plasmare un'aberrazione confidando nel fatto che con essa sarebbe riuscita a riportare definitivamente l'ordine. Non potete aver dimenticato cos'è successo.»
Fu l'anziana donna a prevenire che il silenzio calasse nel tempio sospeso nel nulla, circondato dagli sprazzi cangianti di non-materia che guizzavano sfidando le leggi della natura. Il Crocevia, si chiama quel luogo: il punto di convergenza tra tutti gli strati di realtà, l'incarnazione tangibile delle braccia della bilancia cosmica. «Quindi cosa stai suggerendo, Lhamo?» domandò, inclinando la mano per enfatizzare la sua domanda e facendo tintinnare i bracciali d'ematite e argento che aveva al polso. «Che dovremmo tutti ostacolare Than quando si presenterà l'occasione più opportuna?»
«Quello è troppo tardi per te», ribatté stizzito il ventenne. La sua voce simile al crepitio delle fiamme si mescolava allo sfrigolio della sua tunica incandescente, rendendo i due suoni quasi impossibili da discernere. «Quella notte di luna piena lei ha già ottenuto quello che desiderava da te, Magia.»
«Io rispondo a chiunque invochi il Deàs-Gnath, Volpe dell'Est! È il mio compito, uno a cui non posso sottrarmi.»
«Hai mescolato i tuoi poteri con quelli di Morte, in modo da rendere possibile a quel Keevar ka-Than di eseguire il rituale.» Gli occhi d'ambra erano ormai diventati quasi interamente rossi d'ira. «Non negare: voi due eravate d'accordo da ben prima di quella notte.»
Dagda si irrigidì sul seggio, mentre una maschera di puro gelo calava sul suo volto, nascondendo l'espressione da nonna affettuosa. Ogni traccia di dolcezza era svanita, lasciando solo la severità di un'animo diventato inflessibile come l'acciaio. «Se posso agire per proteggere una delle mie creature da un fato orribile sai che non esiterò a intervenire. L'ho fatto con i Warlock, per evitare di essere costretta a far sbocciare i loro poteri e condannarli al rogo per mano dei sacerdoti; l'ho fatto con quella giovane Incantatrice, per darle una via di fuga dalla maledizione che grava sul suo sangue.»
«Peccato che in tal modo tu l'abbia costretta imboccare una strada con solo due finali possibili: venir consumata dalla Bianca Spada, o diventare un pericoloso squilibrio per l'ordine del mondo.» Le ali di Lhamo erano ormai roghi di vampe vermiglie e i suoi Lacci, fusi nella tunica come ricami dorati, guizzavano con una tale veemenza da affiorare sempre più spesso dalla stoffa rossa. «Senza contare il fatto che le tue azioni potrebbero avere ripercussioni serie sulle persone della vall...»
«Come difendi le tue azioni, allora?» una voce pacata ma inflessibile, calda e frusciante come lo scorrere della sabbia, echeggiò nel Crocevia. Non era minacciosa, né assordante, tuttavia la calma di cui era permeata portò il silenzio più velocemente di un fragoroso tuono.
Sia il giovane che la vecchia si voltarono di scatto verso la colonna a meridione, scrutando sorpresi l'Araldo che solo ora aveva deciso di prendere la parola. Khonsu sollevò lentamente le palpebre contornate dall'inchiostro metallico, come se non riuscisse a percepire - o meglio, non gli importasse - l'aura di fremente attesa emanata dagli altri due. I suoi occhi, blu come due lapislazzuli quando era un serpente, ora erano perle di puro oro fuso. «Fratello, rimproveri entrambe nostre sorelle del loro recente intervento nella valle Adaed, quando tu stesso hai influito in modo non indifferente sugli eventi di quella notte.»
Lhamo serrò le labbra ma non rispose, così l'uomo tese un braccio in avanti. Il sottile rilievo a forma di serpe che spiccava sul bracciale si animò e scese sul gomito, sull'avambraccio, sul polso finché non giunse nel palmo teso. In un vortice giallo e bluastro si trasformò in una lancia a due punte. Mentre le due estremità metalliche erano decorate con intarsi dei due colori che caratterizzavano le vesti dell'Araldo dalla pelle scura, l'asta pareva essere un lungo bastone di diamante cavo, dentro cui scorreva ininterrottamente un rivolo di sabbia incandescente. Con un gesto deciso il quarantenne conficcò l'arma a terra e un vortice di polvere dorata esplose nel centro della rosa dei venti, proiettando tutt'intorno un continuo flusso di immagini. I tre esseri videro una donna dai capelli corvini correre nella foresta e venire scaraventata contro un albero dagli artigli di uno Spettro; il volto della stessa dama riempirsi di ramificazioni nere mentre il turchese incastonato nel gioiello del polso si trasformava in una katana circondata da fulmini; una creatura traslucida affondare la mano nel cuore di una ragazza fulva intrappolata dalle radici di un albero; una spada di un candore accecante lacerare il petto di un altro spirito d'ombra; una terza anima oscura avvicinarsi lentamente a un corpo gracile attraversato da una profonda ferita al fianco.
«Tre Spettri non si ritrovano per caso nella stessa valle sperduta, Volpe dell'Est», osservò Khonsu, facendo svanire con un gesto della lancia quei frammenti di passato. Anche se quelle parole non avevano alcuna traccia di accusa, le piume vermiglie del ventenne fremettero di stizza e forse un pizzico di imbarazzo.
«Era tutto equilibrato», spiegò secco Lhamo, rigido sul seggio come si stesse difendendo dallo sguardo pacato del fratello e quello più alterato della sorella. «Ho fatto sì che anche l'Elfa si trovasse nei paraggi, impedendo inoltre ai Kevaar ka-Xibalba di raggiungere la giovane Umana prima che si fosse legata all'Opale. Come vedete, ho controbilanciato gli eventi in modo la lasciare alla diciassettenne uguali probabilità di sopravvivenza o morte.»
«Comunque sia, sei intervenuto.»
«Dovevo, sorella. Quando ci siamo confrontato alle Zanne del Mare, Than mi ha lasciato questo indovinello.» Schioccò le dita e lingue di fuoco scaturirono sulla colonna settentrionale - quella che avrebbe dovuto spettare alla bambina, se fosse stata presente - formando guizzanti le parole della filastrocca.
Un'anima di sangue maledetto,
Un corpo di potere affetto.
L'Inganno è l'unica speranza,
Sebbene oscura sia l'alleanza.
Un'anima non dalla Volpe designata
Per essere al Corvo immolata.
l'Incantatore la avvolge nel suo manto
E non visto le cammina accanto.
Un'anima a una candida pietra legata,
Una lama più di un artiglio affilata.
C'è una mano stretta attorno al suo cuore,
Ma, fratellino, non è quella del Mietitore.
Per qualche istante un silenzio assoluto cadde sul Crocevia: perfino il crepitio delle fiamme che ogni tanto sprizzavano dalla tunica o dalle ali del ventenne pareva essersi spento. La prima a prendere la parola fu la donna, che si aggiustò gli abiti verdi e neri prima di mormorare: «Già da tempo sapevamo cosa Morte volesse fare, Lhamo.»
«In questi millenni avrebbe potuto cambiare idea. Sembrava che avesse cambiato idea», replicò con voce quasi sfrigolante l'Araldo Vermiglio, mentre la scritta svaniva. «Io non desidero che Than porti a termine il suo piano.»
«Nonostante le conseguenze che ciò potrebbe avere sulla bilancia?»
Il giovane strinse con forza i braccioli del suo scranno di pietra, serrando la mascella mentre i ricami dorati affioravano dalla stoffa vermiglia per esprimere quell'emozione che il volto si rifiutava di mostrare. «L'ordine è gia fragile, minacciato dalla liberazione del Negromante», ricordò piano ai presenti, scegliendo con cura le sue parole. «Ciò che voglio, che tutti dovremmo volere, è riuscire a togliere quello squilibrio senza evitarne di crearne uno opposto che, un giorno, potrebbe rivelarsi altrettanto pericoloso.»
«Hai suggerimenti, fratello? Oppure conosci di già un'alternativa?» domandò Dagda, incrociando le braccia tintinnanti. Il suo volto ornato da rughe aveva assunto un cipiglio severo come quello di una nonna in procinto di discutere con i genitori dei suoi nipotini preferiti.
«Al momento no», fu costretto ad ammettere il ventenne tra i denti digrignati. «È anche per questo che vi ho convocati qui, impedendo al Corvo del Nord di raggiungere il Crocevia: dobbiamo trovare una soluzione.»
«Conosco quel tono», sibilò la donna, aggiustando stizzita la treccia su una spalla. A ogni gesto delle braccia piene di rune guizzanti i differenti monili cozzavano tra di loro, riempiendo l'aria con un armonioso tintinnio cristallino. «Non posso permettermi di passare più di qualche ora lontana da Alethia, pertanto non osare neppure proporlo.»
«Mi hai chiesto un'alternativa, sorella, quindi non protestare se ora resteremo qui fino a che...»
«Un'alternativa che nei secoli non abbiamo mai trovato!»
«Sempre troppo impaziente, Destino», intervenne una voce pacata e simile allo scroscio dei granelli di sabbia. Khonsu era seduto in modo rilassato sul trono e guardava con occhi socchiusi l'Araldo alla sua destra. Il modo in cui quelle iridi dorate luccicavano calme attraverso la sottile linea delle palpebre circondate da inchiostro metallico aveva qualcosa di serpentino, come se la pupilla che a malapena si intravedeva fosse d'un tratto diventata quella di un rettile.
«Non è il momento della tua spiegazione sull'importanza di imparare ad attendere, fratello», replicò quello, spiegando e poi richiudendo le ali crepitanti. Si rivolse nuovamente a Dagda. «I tuoi affari nel Cardine Primario possono aspettare, per quanto mi riguar...»
«Invece questo è precisamente il momento, Volpe dell'Est: i mortali dicono che il tempo porta consiglio.» Per la seconda volta le parole dell'uomo dalla pelle scura troncarono il tentativo di discussione del ventenne vestito di rosso.
Lhamo si voltò verso Khonsu, le iridi simili a perle di lava incandescente e le piume circondate da un alone di fuoco, tuttavia la donna fu più veloce. «Cosa stai suggerendo, Serpe del Sud?» intervenne, sporgendosi verso l'altro e inclinando il palmo in un gesto di interesse.
L'Araldo Cobalto guardò prima il giovane e poi la vecchia, senza traccia alcuna di fretta in volto. Appoggiò la testa allo schienale di pietra e, se non fosse stato per un lieve scintillio che ancora si intravedeva attraverso le ciglia, sarebbe parso a chiunque che avesse chiuso gli occhi. «Fratello, ti comporti come se non ci sia più tempo oramai.»
«Perché non c'è», sibilò sfrigolante il ventenne.
«Se ci fosse anche solo un secondo prima di un evento, ci sarebbe comunque», ribatté pacato l'altro. «Percepisci come se non ci fosse più tempo, allora crealo. Sappiamo che Than non potrà agire subito, pertanto non abbiamo bisogno di prendere una decisione ora. Quello che possiamo fare, invece», aggiunse, spalancando le palpebre per evitare che Lhamo intervenisse, «è sfruttare i mesi che abbiamo a disposizione. Né io né Dagda abbiamo intenzione di metterci contro la più potente di noi, tuttavia non desideriamo neppure che lo squilibrio che lei creerà si riveli una minaccia per la bilancia. Ciò che io propongo è agire come tu hai fatto durante la notte di luna piena, Volpe dell'Est.»
La donna dalle ali smeraldine quasi balzò in piedi. «Prima rimproveri giustamente nostro fratello per essere intervenuto contro una delle mie creature, poi consigli di metterle contro degli Spettri ogni quando? Sii almeno coerente, Khonsu!»
Quello non si scompose né davanti all'incredulità della vecchia né davanti all'espressione di perplesso disappunto del giovane, il quale era visibilmente smanioso di riprendere la discussione dal punto precedente a quell'interruzione. «Delle prove», spiegò imperturbabile. «Ciò che io propongo è di sottoporre alla diciassettenne a delle prove equilibrate che ciascuno di noi creerà con i nostri poteri per tentare di ottenere quello che vogliamo: nel caso mio e del Cervo dell'Ovest, elementi per un'eventuale decisione e per testare l'anima della giovane; nel tuo caso, la possibile eliminazione della ragazza dagli schemi di Than. In tutti i casi, rallenteremo i suoi piani senza tuttavia fermarli del tutto.»
Lhamo serrò le labbra e si avvolse le spalle con le ali incandescenti, tuttavia chinò rigidamente il capo in un cenno d'assenso, costretto a riconoscere la proposta dell'altro come al momento vantaggiosa. Dagda invece rimase pensosa per qualche momento, la testa china, prima di sbattere con impotenza un fragile pugno sul bracciolo di pietra. Le catene del sigillo verdastro che intrappolavano lo scranno in macerie accanto al suo parvero per un istante perdere la loro vividezza, come se avessero patito la scossa di quel colpo improvviso. «Non posso accettare, Khonsu. Destino farà di tutto per far in modo che Kaislentheya muoia e io non posso permetterlo.» La sua voce tremava nel dire quelle parole, eppure era anche decisa.
«Smetti di affezionarti a tutti i mortali, trattandoli come se ciascuno fosse unico e speciale», la rimproverò stizzito, quasi annoiato, il ventenne. «Periscono tutti, alla fine. Se la giovane perderà la sua vita in un modo o nell'altro, Than sarà costretta a trovare un'altra anima per le sue trame perverse e noi avremo più tempo per trovare un'alternativa.»
«Questo non significa che...» Con un urlo lancinante la vecchia si portò le mani alla testa, scivolando giù dal trono in ginocchio mentre un'assordante stridio squarciava l'aria. I due Araldi rimanenti si precipitarono volando dalla loro sorella accasciata a terra, coprendola con le ali mentre il Crocevia veniva scosso dal rombo di un terremoto. Tutto intorno a loro la pietra antica come il mondo sussultava agonizzando, lottando contro le crepe che volevano insinuarsi nel suo corpo marmoreo e tossendo nuvole di densa polvere soffocante. Uno sgradevole odore di vegetazione in decomposizione saettò in quel non luogo, ferendo sadico l'olfatto dei tre esseri.
Dagda, kev taraan, la voce incorporea di un bambino gracchiò, spandendosi nell'aria come una macchia di pece nell'acqua. Dagda, ik geran-ya! GERAN-YA!
Le scosse si interruppero e tutto parve tornare alla normalità. Solo il gelido silenzio che aveva cristallizzato tutto e gli sfregi apparsi come cicatrici sui bordi più estremi del tempio circolare sospeso nel vuoto testimoniavano la gravità di cosa fosse appena successo.
«"Dagda, gemella mia. Dagda, sto arrivando! Sto arrivando!"» tradusse Khonsu mentre ripiegava le ali dietro la schiena e aiutava la donna anziana a rialzarsi.
Lhamo, che stava vaporizzando la polvere che si era posata addosso ai suoi vestiti con lo sfrigolio incandescente dei serpeggianti decori dorati, gli scoccò un'occhiata irritata, in cui tuttavia traspariva preoccupazione. «Sappiamo anche noi la Lingua Araldica, fratello.» Il suo sguardo scivolò poi verso il simbolo che imbrigliava le rovine del seggio adiacente a quello della sorella. «Così come sappiamo cosa significa questo», aggiunse piano, la voce ridotta al crepitio di una brace nascosta in un pezzo di legno. Indicava l'incrinatura che intaccava la parte inferiore del sigillo di energia, ammorbandone la luminosità smeraldina come un'infezione.
«Marduk», mormorò la vecchia, aggrappandosi ancora con una mano alla spalla dell'uomo. Era pallida e tirata in volto, come se fosse appena uscita da una lunga malattia e ora fosse a malapena in grado di reggersi in piedi. Si voltò verso il pilastro settentrionale, imitata dagli altri due esseri, scrutando preoccupata l'intrico di simboli e catene giaceva spento e spezzato sulle macerie dello scranno rovinato.
«Tra poco Xibalba non sarà l'unico Devoër in libertà.»
Bene bene bene, con questa prima parte di capitolo avete finalmente conosciuto tutti e quattro gli Araldi.
Più o meno. Per alcuni hai ancora mantenuti nascosti dettagli molto importanti.
Beh, mica posso svelare tutto subito, no? 😜 Anyway, al momento qual è l'Araldo che vi piace di più?
Ora, questa parte è molto particolare perché, senza un paio di informazioni importanti che ancora non sapete, alcuni passaggi e/o azioni dei personaggi potrebbero sembrare incoerenti o quasi privi di senso. Tuttavia non potevo metterla dopo aver svelato queste suddette informazioni perché... Beh, sapete, il continuum.
Traduzione: aggiungiamoci un pizzico di mistero perché non ce n'è abbastanza.
Traduzione della traduzione: sono sadica e amo farvi soffrire mentre vi ingarbugliate il cervello 😈
Questo lo sapevamo già.
Così come sapete che non dovete dimenticare questo capitolo perché è un pezzo molto importante del puzzle 😇
QUESTION TIME: cos'è successo, secondo voi? E chi sono Xibalba e Marduk?
E vi beccate random questo disegno fatto con l'Ipad di Khonsu perché sì XD
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