XIII - Vecchio scoiattolo (pt.1)
Kala alzò lo sguardo verso il cielo coperto da tetre nuvole color perla, cercando di rifugiarsi ancora di più nella spessa sciarpa di lana che aveva avvolto più volte attorno al collo. Il vento che scivolava con le sue dita ghiacciate tra i vestiti portava con sé un odore inconfondibile, un sentore che tutti gli abitanti della valle avevano imparato a cercare nell'aria non appena l'ultima settimana di novembre inizava: quello di neve. Già le punte dei monti erano stato inghiottiti dalla nebbia chiara che indicava una tormenta e dallo stato del firmamento non era difficile intuire che entro qualche ora il primo fiocco ghiacciato sarebbe caduto anche in valle.
Con le dita rattrappite dal freddo nonostante i guanti, la ragazza controllò il nome che sua madre aveva scribacchiato su una tavoletta di cera e il miscuglio di radici essiccate corrispondente. Era tutto il giorno che lei e sua sorella scorrazzavano per le strade di Vahrel, distribuendo tisane e rimedi a coloro che erano già stati colpiti dall'influenza stagionale. Alcuni guaritori che prenotavano gli intrugli per conto dei pazienti troppo malmessi per alzarsi dal letto borbottavano che quell'anno il malore era assai più tenace e che, se l'inverno si fosse rivelato così rigido come annunciato, la cittadina correva seri rischi di un'epidemia di polmonite.
La giovane scosse la testa, mettendo velocemente da parte la questione. Mancava meno di un mese dal solstizio: quelle temperature più adatte a metà dicembre che al ventottesimo di novembre erano l'ultimo dei suoi pensieri, al momento. Raccolse da terra la sacca di tela cerata che aveva sostituito la sua solita bisaccia a tracolla e bussò delicatamente alla finestra del fabbro. Fu la moglie ad aprire, gli occhi piccoli e lucidi a causa della febbre e il naso screpolato. La donna annuì alle parole soffocate dalla sciarpa della diciassettenne e, dopo aver preso il sacchetto di tela destinato alla sua famiglia, fece cadere sul palmo dell'adolescente qualche moneta di bronzo tintinnante.
Kala si allontanò controllando i dischetti di metallo, prima di farli scivolare nella saccoccia dissimulata tra la pieghe della pesante gonna in lana. Batté qualche volta i piedi strofinandosi le mani per riscaldarsi: nonostante la sottoveste e i calzoni lunghi fino al ginocchio, avrebbe desiderato poter indossare un buon paio di pantaloni per ripararsi dal freddo che saliva anche dal ciottolato, a causa delle lastre di ghiaccio incastrate tra una pietra e l'altra.
Ancora due consegne. Ancora due consegne e poi posso rintanarmi sotto le coperte con una buona tisana e Tebas sulle ginocchia, cercò di darsi coraggio, imboccando una via in cui metà delle botteghe erano sprangate e i rari gruppetti di persone discutevano preoccupati del tempo. Non vedeva l'ora di tornare a casa e rintanarsi nella sua stanza con solo il suo gatto come compagnia. Negli ultimi tempi era diventato il suo confidente più segreto: appena ne aveva l'occasione lo prendeva in disparte e, mentre ne accarezzava il pelo color ocra, gli sussurrava a un'orecchio tutto ciò che la maledizione di An le impediva di pronunciare ad alta voce in presenza di sua madre e sua sorella. A volte si sorprendeva nel sibilare la pelliccia insulti che mai avrebbe pensato sarebbero usciti dalle sue labbra, mentre altre la bagnava semplicemente con fiumi torrenziali di lacrime o la usava per soffocare risatine isteriche che salivano dalla sua gola. Inizialmente, quando ancora non aveva iniziato a essere vittima di quegli sbalzi d'umore, si era interrogata sul perché la malia non avesse effetto quando era da sola con il micio, poi la frase esatta che aveva utilizzato la maga le era pian piano tornata in mente. L'incantesimo le impediva di confidarsi con un'anima umana, ma il felino non era umano. Aveva quindi preso l'abitudine di raccontargli tutto quello che altrimenti sarebbe rimasto chiuso nei suoi pensieri, fermandosi tuttavia non appena sentiva la lingua incollarsi al palato: aveva capito che quando succedeva ciò, c'era qualcuno abbastanza vicino a lei da riuscire a origliare le sue parole.
Erano già passati venti giorni dalla notte di luna piena, rifletté la ragazza mentre passava di fianco alla porta chiusa del fornaio, eppure ancora quello che le era accaduto la tormentava. Talvolta i ricordi emergevano indesiderati durante il giorno, per esempio nel vedere una viuzza deserta o un viso pallido a causa di un raffreddore, ma aveva velocemente imparato a esorcizzarli. Il suo metodo non era tuttavia perfetto, quindi capitava ancora che una macchia di sporcizia incastonata nel selciato si trasformasse per qualche istante in una crosta di sangue secco o che l'interno di una finestra buia mostrasse improvvisamente stanze distrutte e deserte. La piazza di Vahrel, che un tempo amava, ora era diventata il posto che la giovane evitava: lì le sovrapposizioni tra la realtà e il sogno, tra la folla indaffarata e il cumulo di cadaveri senza vita erano talmente incontrollabili, talmente violente da farla tremare in preda alla nausea. Eppure non era da sveglia che veniva perseguitata in modo più cruento dalla sua mente: la parte peggiore di tutte avveniva quando calava la notte.
Gli incubi erano iniziati la sera successiva al Succubo, e da allora ogni paio di notti tornavano a torturarla nel sonno. Si trovava nuovamente rinchiusa nelle catacombe con mille scheletri che cercavano di soffocarla; correva nelle stradine di Vahrel inseguita dai corpi della sua famiglia; assisteva il Nemico e Kian combattere finché il primo aveva la meglio sull'altro o, peggio ancora, i due non si fondevano in una sola creatura. Poi, puntuale come la rugiada all'alba, arrivava la spada nera che trafiggeva un indifeso Teucer. Allora la giovane si svegliava - talvolta urlando o con il cuore frenetico - con il rumore del metallo che squarciava la tenera carne, non prima tuttavia di assistere impotente alla vita spegnersi negli occhi chiari di suo padre: quella era sempre l'ultima cosa che lei vedeva prima di ritrovarsi sudata nel suo letto. Nell'ultima settimana le tisane calmanti preparate da Isabhel - la quale credeva il trauma fosse causato dal suo incontro coi lupi e quanto la situazione dovesse averle ricordato le circostanze della morte del cacciatore - erano fortunatamente riuscita a calmarla un poco, sebbene le occhiaie che sottolineavano il suo sguardo ceruleo erano la prova di quanto ancora le sue notti fossero agitate.
Occupata a rovistare nella borsa alla ricerca di uno dei dolcetti di miele e noci che usava per mantenere le forze in quel gelo, la diciassettenne non riuscì ad accorgersi in tempo del trio d'uomini fermi a un angolo a borbottare sottovoce. «Dei, scusate», biascicò all'individuo che aveva inavvertitamente urtato con un gomito, prima di bloccarsi, la bocca aperta a formare ancora la ultima "e". Sentiva un lieve fastidio formicolare sulla nuca, trasmettendole lungo la spina dorsale piccoli guizzi di energia. Era lo stesso tipo di pizzicore che aveva provato in presenza di An, solo più blando e meno simile a una scarica elettrica.
Temendo di esser nuovamente incappata nella maga, l'adolescente alzò nervosamente lo sguardo, incontrando un viso maschile squadrato coperto da un'incolta barba marroncina e un paio di occhi spiritati, che in quel momento esprimevano solo sorpresa e repulsione. «Cos'hai fatto, ragazzina?!» ruggì Garin, artigliandole un braccio con la mano priva di mignolo e iniziando a scuoterla, fuori di sé. «Cosa. Hai. Fatto!»
«Calmati, ti ha solo urtato; ha perfino chiesto scusa», cercò di fermarlo uno degli altri uomini, un bardo che Kala riconobbe subito come Kinnor. Le sue parole, tuttavia, furono vane.
«Mi lasci! Sono terribilmente dispiaciuta, non avrei dovuto... Ahia!» gridò, mentre le ossa scricchiolavano minacciosamente sotto la presa del cantastorie.
«Basta, le stai facendo male!»
«Dei, così le spezzi un braccio! Smettila!»
«Voi non capite, nessuno mi capisce!» tuonò Garin, schiumando di rabbia e afferrando anche l'altro polso della ragazza dimenante. «È il pizzicore, maledizione, lo stesso che mi tormenta quando quella strega corvina è nei paraggi! Oh, sono certo che il cacciatore mi avrebbe dato ragione: anche lui provava la mia stessa sensazione quando...» L'uomo si interruppe sgranando gli occhi, come se solo in quel momento avesse realizzato con chi stesse parlando. «Traditrice! Tu sei la bambina che lui aveva trovato nel bosco, vero? Sei la neonata che ha portato a casa invece di un pezzo di carne. L'ho sempre detto che è stato cieco a farlo, ottuso e stupido come...» Il cantastorie cadde in ginocchio con un gemito, colpito dal calcio ben assestato della sua prigioniera.
«Non nominate più mio padre!» ringhiò la giovane, approfittando del momento di debolezza dell'altro per liberarsi dalla sua presa. Indietreggiò con balzo e prima che l'altro potesse rialzarsi, corse a perdifiato fino a che non riuscì più ad udire le invettive del bardo. Allora si appoggiò al muro di un edificio, reclinando la testa per riempire meglio i suoi polmoni con l'aria fredda. Tenne gli occhi chiusi finché non udì uno scalpiccio provenire dalla strada che aveva appena percorso, accompagnato dalla voce di un uomo
«Scusalo», biascicò affannato Kinnor alla diciassettenne, fermandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato. «Mi dispiace se ti ha spaventata, ma è da qualche settimana ormai che... Alnilam, corri molto veloce, ragazzina.» Dopo aver inspirato roco un paio di volte, l'uomo alzò il volto verso la diciassettenne. «È da qualche settimana, dicevo, che Garin si comporta in modo così estremo.»
«Aggredisce le persone per strada?» sibilò la diciassettenne, sussultando nell'udire il suo tono di voce simile a un ringhio di un lupo. Sentiva così tanta ira dentro di sé, che crepitava nella sua anima come un fuoco alimentato da qualche spirito maligno. Tutti i suoi pensieri coscienti sembravano venir gradualmente consumati da quelle fiamme, lasciando solo sprazzi di lucidità che le permettevano di rimanere cosciente. Stava accadendo ancora, era di nuovo vittima di uno dei suoi violenti sbalzi d'umore che avevano iniziato a coglierla alle spalle nell'ultima quindicina di giorni.
Il bardo dagli occhi color nocciola rimase un attimo sbalordito da come l'adolescente gli aveva risposto. «N...no. Quello no», balbettò, arretrando impercettibilmente. «Tuttavia la sua ossessione lo sta logorando, non l'hai visto?»
In effetti Kala aveva notato l'aspetto estremamente trasandato del bardo arrogante, ma non ci aveva più fatto caso quando il rogo dell'ira era esploso nel suo cuore, subito dopo che quello aveva stretto troppo il suo braccio. «Questo non giustifica quello stronzo!» Dei no, non era quello che avrebbe voluto dir... anzi sì, erano esattamente le parole che le sue labbra bramavano pronunciare.
Ancora una volta il suo interlocutore indietreggiò di un passo, troppo sorpreso da quell'aggressività per rimproverarla di aver usato un linguaggio che non si addiceva a una femmina. «Secondo me è rimasto ferito da come An abbia reagito alle sue provocazioni, durante il Samahian. Aver messo un piede in fallo deve essere stato un bel colpo, per il suo ego smisurato. Tuttavia, da insultarla per la sua bravura all'accusarla di essere l'inganno annunciato dagli aruspici, perfino di essere una strega...» In quella frase l'uomo, da esperto cantastorie, riuscì a imprimere tutta la sua incredulità, la sua derisione e la sua pietà.
Mai come in quel momento la ragazza, ancora ottenebrata dall'incendio del suo cuore che stava tuttavia perdendo d'intensità, odiò la forza che le aveva prontamente incollato la lingua al palato.
«Comunque, capisco che il suo comportamento ti abbia offesa», continuò ignaro l'altro. «L'hai appena sfiorato, non è una tragedia. Anche se... ora che ci penso è strano.» L'uomo assunse un'espressione improvvisamente pensosa. «Ha fatto scattare infastidito il collo, come se un insetto si fosse posato sulla sua nuca, istanti prima che tu lo urtassi. Prima, non dopo.» Alzò le spalle in un gesto perplesso e, dopo essersi ancora scusato per il comportamento di Garin, si allontanò tornando nei suoi passi.
La giovane osservò il lembo del mantello di Kinnor scomparire alla prima curva, mentre i suoi pensieri tornavano di nuovo a scorrere in modo lineare. Quasi tutta l'ira era svanita in un istante, così improvvisamente come era avvampata. Ora, tuttavia, la diciassettenne si sentiva vuota e fiacca, come il giorno successivo a un periodo di febbre molto intensa. Appena li trovò si avventò sui dolcetti di miele e noci che avevano inavvertitamente causato l'incidente, incamminandosi di nuovo verso la sua meta successiva. Addentava l'impasto morbido e appiccicoso con la stessa ferocia con cui un felino lacerava le ali dell'uccellino appena catturato. Il furore divampante poteva essere scomparso, tuttavia parte di sé fremeva ancora per aver udito il bardo portare in causa suo padre. Teucer detestava, se non addirittura odiava, quell'uomo, anche se lei non aveva mai saputo il perché. Mai il cacciatore gli avrebbe dato ragione, né si sarebbe alleato con lui, e il fatto che quel verme avesse osato insinuarlo faceva imbestialire Kala. Come aveva osato il bardo infangare così la memoria di suo padre?
Mentre il ciottolato incrostato di ghiaccio scorreva sotto i suoi stivali, nella mente dell'adolescente fiorì la presa di coscienza di un dettaglio, piccolo ma vivido come una corolla di petali carmini nella neve. Il pizzicore: anche Garin lo aveva provato prima del loro scontro e sosteneva di venirne tormentato in presenza di An. L'idea di avere qualcosa in comune con il bardo faceva tuttavia ribrezzo alla ragazza, la quale quasi si vergognava di aver giurato a sé stessa di allearsi con lui per svelare il segreto della cantastoria, quando ancora la credeva uno Spettro. Era stata così cieca, se ne rendeva conto: la donna non era affatto uno spirito maledetto. Lei era qualcosa di assai peggiore.
Rimuginando su quelle cose fino a ingarbugliare più ragionamenti di quanti riuscisse a districarne, anche a causa della sua irritazione, raggiunse la casa del più giovane dei panettieri, situata di fianco all'edificio a un piano che fungeva da scuola. Rivedendo i muri scrostati tra cui - due volte alla settimana tra il suo sesto e nono anno di età - aveva imparato i rudimenti della scrittura e del calcolo, alla diciassettenne improvvisamente tornò di quando aveva provato a leggere le sue prime frasi. Si trovava in piedi su una sedia della cucina, con Teucer di fianco a lei che la aiutava a trasformate quel groviglio di linee incise sulla tavoletta di cera in lettere e poi parole. Era un'immagine sfocata che neppure si ricordava di avere, eppure fece dilagare nel suo cuore una magnifica sensazione di sole e pace nell'animo.
Consegnò il penultimo sacchetto di erbe e radici con un gran sorriso sulle labbra, scuotendo allegramente la testa quando un ragazzino raffreddato si arrampicò alla finestra e le chiese perché fosse così felice. Con cadenza saltellante si allontanò, meravigliandosi di quanto bella fosse Vahrel illuminata dalla luce grigiastra del cielo. Si sentiva di istante in istante sempre più euforica e il culmine di questa percezione arrivò quando un fiocco di cielo cade volteggiando sul suo naso. Allora come una bambina si mise a rincorrere i puntini bianchi che svolazzavano nella via, saltando per prenderne qualcuno al volo e ridendo di gusto. Poi, mentre imboccava una stradina laterale, il vortice dorato in cui si stava crogiolando esplose.
Dei! L'adolescente si appoggiò a un muro con un gomito, portandosi l'altra mano alla fronte. Dei, cos'è successo? Un altro sbalzo? Sì, non poteva che essere stato uno dei suoi cambiamenti repentini dell'umore. Era la prima volta che ne capitavano due così ravvicinati e questo preoccupò assai Kala: solitamente passavano almeno un paio d'ore da un guizzo all'altro, non un paio di giri di clessidra.
Provò a fare un passo in avanti, ma subito una smorfia di disappunto si dipinse sul volto: non si ricordava che la borsa fosse così pesante. Le sembrava che fosse piena di massi, e non di qualche dolcetto e un po' di preparato per infuso. Camminando traballante e a zig-zag come se dal suo braccio stesse pendendo un cinghiale intero e non un pezzo di stoffa cerata, raggiunse la fine della viuzza per trovarsi in una delle strade principali della cittadina, gremita di botteghe. Esausta, lasciò cadere la sacca ai suoi piedi e iniziò con dita tremanti a cercare il barattolo in cui custodiva la sua scorta di zuccheri personale. Si strofinò le mani più per abitudine che necessità - i guanti incantati che avevano sostituito i suoi veri arti le impedivano di provare troppo caldo o troppo freddo - poi fece scattare il gancio che chiudeva il contenitore.
Vuoto.
Mentre con un sospiro sofferente faceva ricadere la scatola metallica nella borsa, dal costante chiacchiericcio originato dal viavai di persone guizzò una voce che la ragazza non avrebbe non potuto riconoscere.
«Ah, Kaisa, tutto a posto?»
La diciassettenne sollevò lo sguardo, certa di chi avrebbe visto, e quella volta non sbagliò. Gli occhi vispi e costantemente assorti di Mik facevano capolino tra gli strati di sciarpe in cui si era imbacuccato. Nonostante l'incredibile quantità di lana che aveva indossato per proteggersi dal freddo - l'uomo aveva sempre odiato le pellicce - il capo calvo e le mani del sessantenne erano scoperte. Stava rigirando tra le sue dita bronzee una noce, che sgusciava con piccoli movimenti scattanti che all'adolescente ricordarono immediatamente quelli di uno scoiattolo.
«Solo una borsa troppo pesante per me.» Si strinse nelle spalle. «Sei uscito per goderti l'inizio della nevicata?» aggiunse con un pizzico di preoccupazione. Non aveva passato l'ultima ventina di giorni a evitare la biblioteca solo per paura di rivedere il corpo sgozzato di Mik rovesciato sugli scallini, ma a anche causa del taccuino che aveva nascosto in fretta sotto il materasso del suo letto prima di consegnare la bisaccia con le erbe raccolte a sua madre. Ogni volta che usciva si dimenticava o non riusciva di prenderlo, e sapeva che l'uomo era apprensivo nei confronti dei suoi libri più di una madre con il suo primo nato.
«Neve? Un vecchio scoiattolo come me non ama il freddo», borbottò rabbrividendo perfino attraverso gli strati di indumenti. «I miei piccoli hanno paura delle briciole e io non oserei mai spaventarli solo per cedere alla tentazione di queste deliziose ultime noci.» Abbassò di poco la sciarpa e, come se volesse dimostrare quello che aveva appena detto, lasciò scivolare tra le labbra un pezzo di gheriglio chiaro. «In un trattato di un certo Herin viene detto che mangiarne un paio al giorno aiuta a mantenersi in salute. Mi sembra che le menzioni perfino come rimedio contro certe malattie del cuore. Poi, come ignorare l'erbario...»
Kala, come quasi ogni volta che il bibliotecario iniziava a snocciolare per sua iniziativa titoli e fatti, si perse nel torrente in piena di parole, riuscendo a riemergerne solo quando il sessantenne tacque. «C...certo», balbettò, ancora un po' stordita.
«Ah, stavo per dimenticarlo: aiutano anche a riprendere le forze» disse, tendendole un guscio ancora integro che aveva prontamente tirato fuori da una saccoccia. A causa delle sciarpe era difficile vedere se stesse sorridendo, ma l'espressione nei vispi occhi scuri era sufficiente per capirlo comunque.
La ragazza strinse la noce tra le dita rattrappite mormorando un imbarazzato ringraziamento. Quel gesto di gentilezza era arrivato del tutto inaspettato e lei sapeva che per il sessantenne esso era anche stato un piccolo sacrificio. Mik era ghiotto di frutta secca: erano in molti a raccontare che le uniche volte che avevano scorto il bibliotecario fuori dalla città, era vicino a qualche cespuglio di nocciole con un cestino già ricolmo al suo fianco. In effetti, guardando la soddisfazione del vecchio mentre rosicchiava quel cibo non le era difficile credere che...
Con un grido di sorpresa la giovane saltò sul posto, spaventata dallo schiocco esploso nella sua mano e dalle schegge marroncine che le erano volate davanti agli occhi. «Oh, dei! Non l'ho fatto apposta, mi dispiace!» Il fiume di scuse istintive si interruppe non appena lo sguardo azzurrino si posò sui residui della noce ancora imprigionati tra le sue falangi. L'aveva schiacciata, senza neppure rendersene conto.
«Non fa nulla, Kera. Probabilmente era marcia», Mik liquidò la questione con una scrollata di spalle e un gesto della mano.
La diciassettenne scosse discretamente la testa, incredula. Era debole a causa del freddo: non avrebbe dovuto essere in grado neppure di incrinare il guscio, figurarsi distruggerlo così, con solo due dita. «Sì. Dev'essere stata, sì», rispose l'adolescente cercando di incurvare le labbra in un sorriso imbarazzato e attorcigliando la cinghia della borsa attorno ai palmi sudati. L'istante dopo la sacca si ritrovò penzolante a qualche piede dal suolo, sollevata come se fosse stata più leggera di una piuma.
«Ti capitano spesso, queste fluttuazioni di energia?» domandò improvvisamente il bibliotecario, rosicchiando un altro gheriglio. Se avesse avuto una coda e delle orecchie con ciuffi pelosi in testa sarebbe stato uguale in tutto e per tutto a un grande scoiattolo.
Kala si morse un labbro, iniziando a camminare insieme al vecchio lungo la strada gremita di persone. «Dei, no! Già mi bastano questi sbalzi di umore», sbuffò, arricciando il naso quando un fiocco di neve si posò vorticando sulla punta.
«Sbalzi di umore? Quando sono iniziati, Keva?»
«Un po' dopo...» Ecco, aveva di nuovo la lingua incollata al palato. La malia aveva deciso che ogni riferimento a quella dannata notte di luna piena era proibito, apparentemente. «Qualche giorno fa», tagliò corto. «È dovuto all'arrivo della brutta stagione, credo.»
«Capisco», concordò Mik. Non si mise tuttavia a elencare nessun libro per supportare quell'idea e ciò fece capire all'altra che non ne era veramente convinto. «Ah, non te l'ho mai chiesto: com'è andata la raccolta?» aggiunse di punto in bianco, svoltando insieme a lei in un lungo vicolo deserto che portava nei pressi della biblioteca.
«Non sono riuscita a tornare in tempo prima del tramonto», sibilò lugubre la giovane, desiderando ardentemente potersi confidare con qualcuno che non fosse Tebas. «Maledetta legge.» Maledetta creatura invisibile, maledetto Spettro e maledetta An.
«Ho sentito. Sapevi che qualche secolo fa un editto simile simile a quest...»
«È stato orribile essere inseguita da quel... quei lupi! Ero così vicina alle mura e mi hanno ricacciata indietro nella foresta, correndo sempre dietro di me come se fossero stati spronati da Minhar in persona. Alnilam e Saiph, perché? Poi dopo che sono arrivata in quella radura tutto è precipitato! Lo Spettro, la forza che mi controllava, l'incubo, Kian e infine An! Dabih, lo sai cosa mi ha fatto quella strega? Mi ha avvelenata e... e...» La diciassettenne sbarrò gli occhi, rendendosi conto delle frasi che erano volate via dalle sue labbra. La maledizione. Non avrebbe dovuto essere capace di pronunciare una sola parola in presenza di un'essere umano, ma con lei c'era solo...
Alzò tremante lo sguardo fino a incrociare quello esterrefatto del bibliotecario. Con il cuore che batteva forte nel suo petto, indietreggiò come se si trovasse di fronte al Negromante in persona. Lo scricchiolio della prima neve sotto i suoi stivali echeggiò nella via deserta, accompagnando il guizzo di comprensione che apparve nelle iridi quasi nere del vecchio.
Con espressione forse ancora più terrorizzata di quella dell'adolescente, Mik si schiacciò contro un muro e si lasciò cadere a terra. «Oh», mormorò, portando una mano tremante alla fronte calva. «Quella serpe!»
Zan-zan! Ora, lo so che tecnicamente questo non è un plot twist perché già lo sospettavate in molti, ma... Ve l'aspettavate? 😎
Intende come la rivelazione è avvenuta, non la rivelazione stessa.
Che, tecnicamente, non ho ancora scritto in modo esplicito 😅 Mi piaceva l'idea che fosse lo scambio di sguardi e le rispettive reazioni a parlare, non i pensieri di Kala. Che ne dite? Si capisce lo stesso oppure è meglio che metta da qualche parte la conclusione della realizzazione della ragazza?
Facendo un passo indietro, in questo capitolo (che si ambienta una ventina di giorni dopo il precedente) Kala fa ben due incontri: Garin e Mik. Entrambe le volte sono causate da quei dolcetti, ed entrambe le volte la ragazza viene a conoscenza di qualcosa che forse il lettore già sapeva/intuiva.
Come tuttavia questi due incontri paralleli si siano svolti, è tuttavia un cicinino diverso, autrice.
Ma nooo, Garin è stato gentile ed educato quanto il nostro adorabile bibliotecario 😜
Un vero gentiluomo 😑
Question time: secondo voi, qual è la causa degli sbalzi d'umore di Kala?
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