XI - Shabti (pt.2)

Nell'udire il lieve schianto alle sue spalle, An increspò lievemente l'angolo della bocca: il veleno che aveva somministrato alla giovane aveva appena fatto effetto. Senza fretta finì di tagliare il pane alle noci appena prelevato dalla credenza, poi ne intinse la prima fetta nella brodaglia. Il forte odore di menta le pizzicava l'olfatto in modo poco piacevole, tuttavia la cantastorie lo ignorò. Aggiungere quella pianta della pietanza era stato fondamentale, per evitare conseguenze... spiacevoli.

Finì il pasto con calma, aggiungendoci qualche strisciolina di carne salata, poi posò la scodella vuota sul ripiano di pietra sopra le fauci del camino. Le fiamme scoppiettavano vivaci, divorando il ceppo coperto di cenere e gettando sul volto impassibile della donna una tetra luce aranciata. Il bracciale che aveva al polso rifletteva i guizzi rossastri delle vampe, sembrando a tratti una scultura di metallo incandescente. Il turchese incastonato tra quelle volute argentate, invece, pareva pulsare come un cuore, attraversato da una miriade di bagliori simili a lampi azzurrini.

La maga fece rigirare tra le dita affusolate il cucchiaio senza decorazioni - quello con cui si era premurata di mescolare la zuppa destinata alla sua ospite. Un abbozzato sorriso senza gioia apparve sulle sue labbra, mentre una sinistra ombra attraversava gli occhi smeraldini. Era deludente, rifletteva, come la diffidenza potesse essere infranta con una semplice prova, come assaggiare una pietanza sospetta. Mai nessuna delle sue vittime era riuscita a capirlo in tempo: non era il cibo a essere impregnato di veleno, ma una posata.

Gettò senza esitazione il cucchiaio nel focolare: era troppo pericoloso lasciarlo in giro. Le fiamme crepitarono violacee e tossirono delle odorose volute di fumo scuro quando intaccarono i residui della pozione rimasti tra le fibre del legno. Fu solo quando le vampe tornarono di un colore normale, avendo consumato ogni traccia di intruglio, che An si voltò verso il letto dove Kala giaceva immobile.

I ricci della diciassettenne sparsi sul cuscino e coperti da un gioco di luci e ombre sembravano quasi una macchia di sangue, sebbene il loro colore fosse in realtà più simile a quello del fuoco. Il corpo esanime era accasciato sopra le coperte, simile a una bambola di pezza abbandonata sul palco dal proprio burattinaio, mentre le labbra pallide erano appena socchiuse. La donna non si fece impietosire dalla mano fasciata che additava accusatoria la ciotola rovesciata sul pavimento, da cui colava un sottile rivolo di zuppa. Era da tempo, infatti, che il suo cuore non conosceva il caldo tremore della compassione. Né le terribili scosse del pentimento, se era per quello.

La maga si accostò al capezzale della ragazza con passo felpato, i lunghi capelli corvini che le accarezzavano la schiena come una setosa mantella nera. Si chinò appena su di lei, premendo l'indice e il medio sulla gola dell'adolescente. Per un momento non successe nulla, poi sotto i polpastrelli percepì il lieve sussulto della carotide. Il cuore dell'altra batteva, rallentato ma stabile. Esso era ancora debole, tuttavia era assai migliorato rispetto a quando la cantastorie aveva recuperato la giovane, mortalmente ferita.

Delle guizzanti scariche elettriche saettarono sulla superficie del turchese e la donna ridusse gli occhi a fessure. La presenza di tre Spettri nella valle nella stessa notte in cui la Bianca Spada aveva di nuovo visto la luce non poteva essere una mera coincidenza. Se era riuscita a ricostruire correttamente la cronologia degli eventi, era successo tutto in modo troppo casuale e al tempo stesso ordinato per non essere stato orchestrato in qualche modo. I Lacci dell'Araldo si erano fatti assai più stretti, se il suo sospetto era fondato.

An raddrizzò il busto, poi con una rapida sequenza di gesti fece fluttuare la ciotola rovesciata vicino all'altra, sul ripiano di pietra, e ripulì il pavimento di pietra dagli schizzi di zuppa. Fu tuttavia senza l'aiuto di alcun incantesimo che scostò le bende che ricoprivano le mani della diciassettenne per controllarne lo stato. I muscoli erano lucidi e scarlatti, se non addirittura carbonizzati, tuttavia non erano impregnati del distintivo odore di carne arsa. Non era stato un fuoco a ridurre quegli arti in quel modo: la causa di quello sfregio era stata la magia. O qualcosa di assai peggiore.

La donna evocò tra le unghie un acuminato e cavo ago di ghiaccio che fece poi scivolare sotto la pelle bruciata dell'altra. Lo tirò fuori quasi subito, osservando in controluce i frammenti di tessuto che era riuscita a intrappolare nell'acqua cristallizzata. Appena le fosse stato possibile li avrebbe analizzati per capire con precisione l'origine quella sfigurante ferita. Se, come temeva, l'organismo dell'adolescente era stato in qualche modo sopraffatto dalla sua stessa energia, non c'era garanzia che qualcosa di simile non si sarebbe ripetuto in futuro.

Dopo aver riaggiustato le fasce macchiate, la maga si allontanò dal letto di Kala. Contro il palmo chiuso percepiva la liscia superficie della sostanza simile all'ambra in cui aveva trasmutato il ghiaccio per evitare che si sciogliesse. In qualche passo si trovò davanti alla finestra opposta al giaciglio, tuttavia il suo obiettivo non era controllare la foresta dormiente al di là della lastra di vetro appannata. I suoi occhi infatti non si soffermarono neppure un istante sulle tenebrose fronde, ma rimasero posati sul piccolo scrigno che riposava sullo scaffale.

Con uno schiocco di dita la cantastorie fece scattare la serratura. Il coperchio decorato con qualche incisione floreale si aprì di colpo, svelando ciò che la scatolina custodiva. In un angolo dell'interno foderato di stoffa erano compattati dei mozziconi di candela, un cristallo appuntito e delle stecche mezze consumate di gesso. Il resto dello spazio era invece occupato da fiale dalla forma a goccia: ce n'erano almeno una decina, tutte colme fino all'orlo e contenenti una straordinaria varietà di liquidi. Alcuni erano trasparenti, altri invece variavano da delicati colori pastello a sfumature cangianti. Veleni.

Nel riporre il bozzolo contenente i frammenti di carne, la mano di An sfiorò una boccetta lievemente in bilico, che racchiudeva una quantità di intruglio assai minore delle altre. Era stata quella pozione che la donna aveva utilizzato quella sera sulla giovane. Completamente inodore e traslucida, riusciva a uccidere la vittima in pochi secondi attaccando simultaneamente i nervi e gli organi vitali. Quello che la rendeva unica, tuttavia, era la straordinaria proprietà che acquisiva quando veniva mescolata con la menta: da sostanza letale, diventava una potente quanto innocua droga soporifera.

Mentre si apprestava a richiudere lo scrigno, la cantastorie fece scivolare lo sguardo di lato, fino al fagotto legato con stringe di stoffa che giaceva sul tavolino al suo fianco. Insieme al suo grimor e alla sua Neahmnaid, quello era uno dei tre beni da cui non si sarebbe mai separata in nessun viaggio. Scartare l'involucro che lo ricopriva, tuttavia, avrebbe significato una sola cosa: morte, sebbene non per lei.

Istanti prima che il coperchio si abbassasse completamente, un flebile bagliore si accese nel buio del cofanetto, palpitando come un cuore. Pausa. Luce. Luce. Pausa. Luce.

Gli occhi di An si ridussero a fessure quando le sue dita affusolate sottrassero alle tenebre l'oggetto che aveva iniziato a pulsare. A primo sguardo esso sarebbe potuto sembrare una scheggia di quarzo percorsa da una ragnatela di crepe, tuttavia qualsiasi Incantatore avrebbe riconosciuto in quella sequenza di minuziose incisioni delle rune. Lo soppesò sul palmo aperto. Era sette anni che l'olocristallo era rimasto silente, freddo e spento come un volgare coccio di vetro. L'accaduto doveva essere assai grave, se l'individuo che stava cercando di contattarla era chi sospettava.

Stringendo il minerale tiepido nel pugno, la maga tese con veemenza il braccio verso il paravento, il quale scivolò stridendo sulla pietra fino a coprire alla vista il corpo addormentato della giovane. Quello era un segreto che non voleva svelare per il momento, neppure a chi avrebbe dovuto essere un suo alleato: la diffidenza era la chiave non solo per la sopravvivenza, ma anche per la vittoria.

«Finuèr» sussurrò la donna alla mano ancora chiusa, prima di lanciare per aria il gingillo palpitante. Quello mandò lampi sempre più intensi non appena raggiunse l'apice della traiettoria, mentre lei faceva scattare entrambe le braccia in avanti. Il tempismo fu perfetto: il cristallo si ritrovò imprigionato in una lastra di ghiaccio nello stesso momento in cui al suo interno esplodeva un caleidoscopio di energia.

La cantastorie osservò paziente i colori colare all'interno dello specchio di puro gelo che aveva creato con i suoi poteri, aspettando che essi si distinguessero l'uno dall'altro e coagulassero in un'immagine distinta. L'argento si riempì di riflessi più scuri e diventò una tunica leggiadra; l'oro invece mutò in una lunga chioma, il nero e il marrone nella stanza immersa nell'ombra sullo sfondo.

L'uomo apparso appena sotto la superficie trasparente scoccò ad An un'occhiata colma solo di irritazione e, con in volto l'espressione di chi era costretto a ingoiare un boccone amaro, chinò rigidamente il busto in avanti. Così facendo, alcune ciocche si spostarono in avanti rivelando le orecchie, troppo piccole e appuntite per essere umane. «Lefey», la salutò formale portandosi due dita intrecciate davanti al volto. Sullo zigomo sinistro, la pelle caramellata era marchiata da un tatuaggio azzurrino a forma di foglia d'edera.

La donna ricambiò il gesto, tenendo tuttavia il volto alto e fiero. «Di quale critica nuova siete portatore, cancelliere Tarazed?», domandò, appoggiando una mano sull'altra dietro la schiena. Il suo portamento si era improvvisamente fatto ancor più austero, assumendo un'aria quasi militare. «Essa deve essere assai importante, se il Concilio ha ritenuto necessario interpellarmi.»

L'altro strinse le labbra sottili, prima di ribattere: «Non potete essere sicura che sia il Concilio a voler discutere con voi.» La sua voce echeggiava lievemente distorta nell'aria, danzando sul ritmo di un marcato accento esotico.

«Voi dite? Eppure, dubito che sia stata una vostra iniziativa, né che l'ordine sia stato pronunziato per sola volontà sua

Nonostante fosse stato offeso, se non addirittura pugnalato, dal rancore che si nascondeva in quell'ultima parola, l'uomo fece visibilmente uno sforzo per reprimere quello che avrebbe voluto dire. Inspirò a fondo per calmarsi, abbassando per un attimo le palpebre. Quando le sollevò di nuovo, rivelò i suoi occhi neri come il carbone, tipici degli Elfi originari della costa. «È stata invece proprio la regina a suggerirlo, Lefey.»

An sollevò un sopracciglio arcuato. Sembrava tiepidamente sorpresa da quel fatto, tuttavia aspettava il resto del racconto prima di decidere se quell'emozione era fondata o meno.

Mano a mano che il silenzio si prolungava, il cancelliere si faceva sempre più nervoso e cercava di fuggire dall'implacabile sguardo smeraldino della sua interlocutrice. «Potrebbe essere stata convinta a suggerirlo», confessò a denti stretti. «La gravità della situazione era più importante della vostra... divergenza di opinioni.»

Il turchese incastonato nel bracciale baluginò con un minaccioso guizzo. La donna sapeva tutte le sfumature che una divergenza d'opinioni poteva assumere, e ciò che si frapponeva tra lei e la sovrana non era di certo quello. «Se dite il vero, non avete ancora adempito al vostro dovere», la maga scandì con rimprovero, cominciando a misurare continuamente con i propri passi la lunghezza della lastra trasparente «Quale questione è talmente urgente da farvi usare l'olocristallo nel cuore della notte?»

Perfino attraverso le lievi crepe che percorrevano la superficie ghiacciata, il mutamento sul volto di Tarazed fu ben visibile. Era inquieto, non riusciva a nasconderlo, e sollevato del fatto che l'altra non si trovasse realmente davanti a lui. «Il Concilio ordina che voi torniate a Tyrièm al più presto, lasciando qualsiasi cosa state tramando tra gli Umani. Sì, siamo riusciti a capirlo», aggiunse a denti stretti. «Siete scomparsa per sette anni: se foste rimasta all'interno di Alethia, vi avremmo rintracciata prima.»

Le dita affusolate si contrassero in uno scatto di irritazione. «Dinas Affaraon è ancora Alethia, e il Concilio è formato da stolti se reputa che costringermi a tornare in patria sia la mossa migliore.»

«Dinas Affaraon?» l'Elfo ripeté ironico. «È crollato, perduto per sempre! Quel nome appartiene solo alla storia e alle leggende, ormai. Voi dovreste saperlo: avete vissuto lo Scisma, avete visto il Palazzo d'Ambra cadere in fiamme con i vostri occhi.»

Un'aura di potere si sprigionò dalla statuaria figura di An, mentre smetteva di camminare e volgeva il viso verso lo specchio di gelo. I suoi occhi smeraldini parevano racchiudere millenni di storia e d'un tratto quel volto senza età sembrò antico quanto le vette delle montagne. «Quel regno sta risorgendo, cancelliere. Già stava iniziando a riaffiorare quando i principati degli uomini sono stati aggregati sotto il dominio di un'unica corona, sei secoli or sono.»

«Non potete esserne certa.»

Un sorriso senza gioia, freddo quanto una notte di dicembre, affiorò sulle labbra della maga. Una parte di sé compativa l'assoluta cecità del suo interlocutore, l'altra invece non provava che piatta indifferenza. «Voi non scorgete che un infimo angolo della tavola da gioco, Tarazed. Pretendete di capire le regole di una partita, quando a malapena siete cosciente dello scopo delle pedine che vi circondano. È questa vostra mancanza di lungimiranza a impedirvi di interpretare correttamente lo schema degli eventi.»

L'uomo allargò le braccia in un gesto di resa. «È vero, ve lo concedo. Io non riesco a vedere un disegno preciso laddove tutti non vedono altro che una concomitanza di casi.» Inspirò a fondo, le iridi nere guizzanti. La leggera deformazione del tatuaggio sullo zigomo tradiva la tensione dei muscoli del volto, che si sciolse solo quando le tanto amare parole trovarono fiato. «Quella siete voi, Lefey. Voi siete la migliore stratega che il Concilio conosca, voi siete una delle nostre risorse più preziose in quello che si sta preparando. La regina richiede, anzi ordina, che voi torniate in patria.» Si interruppe brevemente, intrecciando le dita con nervosismo. «Se non obbedite al più presto, la vostra fedeltà rischierà di essere messa in discussione.»

«Ritengo che voi, come il resto del consiglio, siate coscienti che c'è solo una persona in cui ripongo la mia lealtà», ribatté la donna con voce tagliente come una spada. «Me stessa.»

«Per tutti gli...» L'altro si portò il pugno davanti alla bocca per soffocare l'imprecazione che stava per sfuggirgli. «Che vi piaccia o meno, il vostro onore è legato al regno di Tyrièm e rispondete alla nostra sovrana. Oppure stare tra gli Umani vi ha fatto dimenticare a quale Stirpe appartenete, Leahnne Lefey?»

La maga abbassò le palpebre nell'udire il suo nome completo, quello vero. Per gli Elfi venir chiamati per intero equivaleva a un ultimatum. E lei era un'Elfa.

«Io non ho mai obliato e mai potrò», mormorò prima di spalancare gli occhi smeraldini. «Ed è questa mia memoria a impormi di obiettare, cancelliere. Tuttavia, avete la mia parola che entro il fiorire dell'estate io sarò entro i confini della mia patria.»

Vedendo l'altro annuire soddisfatto, la donna si trattenne dall'incurvare le labbra in un sorriso calcolatore. A volte cedere era la tattica migliore per non spezzarsi e per acquisire un vantaggio determinante. Con il pensiero corse alla ragazza addormentata nel letto alle sue spalle. Sarebbe tornata, era vero, ma non avrebbe varcato la frontiera del più orientale dei Sette Regni da sola. Alla fine, le parole degli aruspici avrebbero potuto rivelarsi più vere di quanto aveva creduto.

«Ora che avete con successo imposto il mio rientro,» scandì calma, trafiggendo con un'occhiata d'acciaio l'immagine nel ghiaccio del suo interlocutore, «non sarebbe savio riferire il vero motivo per cui mi avete contattata nel cuore della notte?»

La pelle caramellata dell'uomo assunse una sfumatura più cinerea. «Lo sapevate fin dall'inizio.»

Con un gesto del polso, Leahnne attirò verso di sé una delle statuette schierate sulla lastra da gioco appoggiata sul tavolo. «Lo avete ammesso voi stesso: nessun disegno nascosto può rimanere a lungo tale ai miei occhi», rispose rigirando tra le dita affusolate il piccolo oggetto. Era stato scolpito in modo da rappresentare un Drago avvolto su sé stesso che spalancava le fauci. «Dal movimento di una sola pedina io ho imparato a fare validi congetture sulle strategie di un avversario sconosciuto. Invece voi, Tarazed... voi e il Consiglio siete diventati per me prevedibili. Questa, se volete, è la prova della mia lealtà.» Strinse il legno fino a farlo gemere. «Mai in questi millenni ho cercato di eliminarvi dalla tavola da gioco.»

«Shabti», mormorò il cancelliere, quasi ridendo per il sospetto e il nervosismo. «È interessante che abbiate usato proprio ora una metafora relativa agli shabti

La statuetta scomparve nel palmo ferito. «Vi ascolto.»

«È successo intorno a mezzogiorno, o poco dopo l'inizio del pomeriggio», cominciò il cancelliere, gli occhi neri che baluginavano cupi. «Una nave è stata attaccata da dei briganti, nel suo viaggio tra Amirtha e Tyrièm. Ciò che conteneva sono affari segreti, tuttavia sappiate solo che il capitano rispondeva direttamente agli ordini dei sovrani.»

«Dove è avvenuto ciò?» domandò con voce bassa la donna, pur non avendone bisogno. Sapeva cosa si trovava in quel tratto di mare aperto ed era certa che era stato quello il luogo teatro del massacro.

«Le Zanne, Lefey. L'assalto è avvenuto all'altezza del Taenia.»

Il Taenia. Un fitto arcipelago di scogli nel mezzo delle onde, circondato da nebbia eterna. Molti erano naufragati lì, attratti dalle potenti correnti elettromagnetiche e dalla stolta speranza di accedere agli unici giacimenti di un metallo dalle proprietà più uniche che rare. «Quanti sopravvissuti?» chiese la maga a bruciapelo.

«Non è la parte importante della...»

«Quanti?»

«Nessuno», si arrese Tarazed. «I soccorsi sono arrivati poco prima del calare della sera e hanno trovato tutti i corpi radunati in un'unica insenatura.»

«I cadaveri degli assalitori? Senza testimoni, come potete altrimenti asserire che i perpetuatori di tale atto erano dei briganti?» Leahnne aveva iniziato a picchiettare con l'indice il suo bracciale argentato, accarezzando di tanto in tanto il turchese palpitante.

L'interlocutore spostò discretamente il peso da una gamba all'altra. «I morti erano solamente quelli dei nostri, secondo gli esploratori. Alcuni giurano di aver scorto dei lampi di fuoco nelle nuvole temporalesche, mentre tutti riferiscono della presenza di uno strano odore dolciastro. Incenso, secondo i più.» Si spostò verso un lato dello specchio, tendendo il braccio per raccogliere qualcosa oltre il limite visivo dell'olocristallo. «Tuttavia, chiacchiere infondate non è l'unica cosa che hanno riportato. Attaccato sul pugnale che sporgeva dal petto del capitano, hanno trovato questo.»

La maga scrutò il pezzo di pergamena piegato a metà che l'altro Elfo le stava tendendo. Era insanguinato agli angoli e in alcuni punti era sfigurato da striature di bruciato. «Qual è il messaggio, cancelliere?»

«Il mio ordine non è dirvelo», rispose a labbra strette quello. «Il mio ordine è mostrarvelo.» Mentre diceva questo distese il foglietto, rivolgendolo verso di lei.

Non appena gli occhi smeraldini si posarono sulle lettere tracciate dall'inchiostro e le decifrarono, il mondo interò crollò addosso alla donna. Percepì un dolore lancinante al cuore, seguito da un pericoloso bruciore al petto, tuttavia non se ne curò. Non esisteva più la stanza, non esisteva più Alethia, non esistevano più il futuro o il presente: c'era solo quella parola. Un saluto, una minaccia, un ricordo. Shabti.

«Lefey», la chiamò balbettante Tarazed, impallidendo e indietreggiando. Il suo sguardo osservava terrorizzato qualcosa sul collo della donna. «Lefey, cosa...» Non riuscì a finire la frase. Lo specchio di ghiaccio scoppiò con forza, infrangendo le immagini dentro di esso. Il cristallo cadde a terra tintinnando, mandando dei bagliori sempre più deboli fino a spegnersi del tutto.

Leahnne avanzò come in trance fino al tavolo. Non sentiva né provava nulla, tanto la sua anima stava annegando in quelle sillabe. Shabti.

Si fermò solo quando fu a un passo dal suo obiettivo. Il suo sguardo si posò allora sulle pedine disposte ordinatamente sulla lastra quadrettata. Con calma rimise a posto quella a forma di drago, poi ne prelevò una da ogni schieramento e le pose l'una di fronte all'altra, in modo che nessuna delle due potesse fuggire dall'altra. Poi qualcosa dentro di lei si ruppe. Shabti.

Con un grido inumano la donna spazzò via il gioco, sentendo nello schianto del legno contro il muro lo scricchiolio di ossa spezzate. Le sue mani caddero pesanti sul tavolo, raschiandone la superficie con le unghie. Teneva la testa china e ansimava lievemente, mentre le sue braccia tremavano come foglie al vento.

Aveva riconosciuto all'istante quella calligrafia che non aveva visto per millenni e che aveva cercato di dimenticare. Forse il Concilio credeva che il messaggio fosse rivolto a loro, eppure si sbagliavano: esso era rivolto solo a lei. Una semplice parola, un gioco di strategia in cui solo uno poteva uscire vincente. Era una richiesta di rivincita.

La maga digrignò i denti. Era tornato. Dai suoi sogni più proibiti, dai suoi incubi più cupi, lui era tornato.

Lentamente si portò le dita al petto, sopra il cuore. Era stato lì che lui aveva impresso un marchio indelebile. Era stato con quel singolo gesto che lui l'aveva distrutta e, senza volerlo, le aveva fornito la forza per rinascere nella vendetta. Serrò le palpebre. Se l'era spesso domandato, ma non aveva mai pensato che un giorno avrebbe avuto la risposta. Lei aveva creato il suo mostro, esattamente così come lui aveva creato il proprio.

Lo sguardo scivolò verso il basso, specchiandosi in un frammento di ghiaccio che giaceva ai suoi piedi. Sotto la pelle nuda del collo, una vena palpitava di luce nera. A ogni battito del cuore pareva ispessirsi ed estendere le sue sinistre propaggini; già i primi accenni d'ombra serpeggiavano sul lato sinistro del mento. L'Elfa sentiva il richiamo delle tenebre crescere, nutrendosi di ogni oncia d'ira e d'astio che scorreva nel suo sangue. Lasciò quell'oscurità cercare inutilmente di sedurla come un parassita velenoso quanto inebriante: non era il buio che controllava lei, ma lei che controllava il buio. Gli ordinò quindi di ritirarsi, e quello ubbidì.

Alzò il volto - nuovamente privo di ogni traccia scura - verso la luna piena che brillava oltre la finestra, oltre la distesa di alberi. Dovunque fosse, lui poteva vedere quella luce argentata.

Gli occhi smeraldini della donna brillarono di una luce folle, assassina, mentre le sue labbra pronunciavano un solo nome impregnato d'odio: «Pendragon!»

Ok, questa parte di capitolo è un po' lunghetta, ma... chissene! Tanto a voi piace An, no?
Leahnne.
È così che l'ha chiamata il cancelliere Tarazed: Leahnne Lefey. Comunque, in questo capitolo abbiamo imparato un po' di cose su di lei, tuttavia svelando anche altri segreti 😏
Rassegnatevi: per ogni nodo che scioglie deve crearne un altro.
Suvvia, senza mistero che gusto ci sarebbe? Comunque, quale tra le caratteristiche svelate di Leahnne vi intriga di più? La sua passione per i veleni? La sua abilità nella strategia? La sua natura elfica?
Io direi... la sua implicita rivalità con questa INNOMINATA regina.
Ce l'hai ancora per quel dettaglio del tuo nome, caro?
Indovina 😒

Ora, vorrei solo farvi notare che con questo capitolo ho iniziato a collegare due scene che, inizialmente, sono parse fuori trama. La prima è l'incontro tra Lhamo e Than. Se vi ricordate, erano all'interno del Taenia e la bambina era seduta in una spiaggia piena di cadaveri. Esatto, erano i corpi di quella nave attaccata menzionata da Tarazed. La seconda, invece, si riassume con un solo nome: Pendragon. Incuriositi? Avete già qualche teoria sul legame tra questi ultimi due personaggi? 😏
In tutti i casi non dovranno aspettare mol... ouch!
Le gomitate funzionano sempre :)

Question time: secondo voi, cosa sono quelle vene nere apparse sul collo di An/Leahnne?

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