X - Il cuore di Vahrel (pt.3)
Un boato fece tremare la roccia e Kala fu certa di scorgere - o meglio, di percepire - un palpito di energia più intenso degli altri allargarsi in ogni direzione. L'istante dopo, l'unica luce che rimase fu la figura evanescente dell'uomo.
«È fatta», mormorò quello, accendendo di nuovo la piccola stella nella sua destra. Quella volta, tuttavia, il chiarore scemò un paio di volte prima di tornare a essere costante. «Ricordati: da questo momento, il tempo potrebbe essere veramente poco.»
La giovane, che nel frattempo si era avvicinata cautamente, scorse l'Incantatore accostare il palmo alla maniglia. In uno scatto istintivo tese il braccio in avanti come se potesse fermarlo. «Kian, l'argento!»
L'altro afferrò con decisione il pomolo a forma di corna di cervo, poi spalancò la porta. Quando si voltò verso di lei, mostrandole la mano, la diciassettenne non riuscì a fermare l'esclamazione di sorpresa. La pelle simile a cristallo era completamente liscia, priva delle bruciature e delle piaghe che quel metallo nemico della magia avrebbe dovuto infliggere.
«Hai ancora tanto da imparare», la rimproverò dolcemente prima di attraversare la soglia.
Dei, cosa mi è preso? pensò la diciassettenne, seguendo la sua guida nel varco. Quando aveva visto le dita dell'uomo così vicine al pomolo, si era spaventata. Non per sé stessa, ma per lui, come se Kian fosse un amico d'infanzia invece che un mago sconosciuto. Un brivido di disgusto e paura le corse lungo la spina dorsale: era lui che le aveva gettato addosso una malia? No, era peggio: dentro di sé sentiva una sconcertante affinità con quell'uomo vestito di azzurro. L'aveva negato e avrebbe continuato a farlo, ma era quell'impulso irrazionale che le aveva impedito di allontanarsi da lui, anche nei momenti in qui la sua mente le diceva di scappare. Era come se ci fosse un legame profondo tra loro due, qualcosa che andava oltre la sua comprensione, e ciò la atterriva.
Si guardò intorno: in ogni direzione non c'era altro che muri di buio pesto. La luce evocata dall'Incantatore si era notevolmente indebolita, trasformatasi da una stella fulgente a una debole fiammella. Era inutile affidarsi a essa per capire qualcosa dell'ambiente in cui si trovava, così l'udito sostituì la vista. L'echeggiare infinito e solitario dei passi sul pavimento, sussurrava una sola cosa alle orecchie dell'adolescente: la stanza - se effettivamente di quella si trattava - era immensa.
Kian si fermò improvvisamente, gli occhi fissi davanti a sé come se potesse penetrare quel drappo di oscurità senza alcun problema. «Il cuore di Vahrel», sussurrò. Poi allargò le braccia e schioccò le dita.
Quattro bracieri si accesero sfavillando, inondando tutto con un fulgore sovrannaturale. Kala, dopo i primi istanti in cui fu costretta ripararsi gli occhi da quel bagliore più intenso di qualsiasi fuoco, riuscì a distinguere il luogo in in cui l'uomo l'aveva portata. E ne rimase folgorata.
Davanti a lei si ergeva un cerchio di pietre monolitiche, ciascuna alta quanto una quercia secolare e talmente larga che neppure dieci persone sarebbero riuscite ad abbracciarla. Segni argentati percorrevano la superficie di tutte quelle rocce, intrecciandosi in un minuzioso intrico di curve che alla ragazza ricordò l'edera sul muro di un edificio. La sala in cui quella costruzione mastodontica sorgeva, tuttavia, non era meno impressionante. A prima vista le sembrò grande quanto la piazza principale della città, tuttavia quella stima era probabilmente una riduzione. Le pareti, di un colore simile a quello della sabbia, erano decorate con decine di immagini, tutte unite da una cornice di rampicanti e altre piante rigogliose. Quando sollevò lo sguardo, la giovane scoprì che il soffitto la volta brillava con i pigmenti cangianti di un elaborato affresco, ma la distanza vertiginosa che la separava da esso rendeva impossibile riconoscere cosa ci fosse rappresentato. Le parve tuttavia di scorgere quattro figure, tutte alate.
Fu la mano del mago posata sulla sua spalla a risvegliarla da quella meraviglia ipnotica, così simile a quella che aveva provato quando l'essere misterioso della radura aveva iniziato a salmodiare il canto. «Non dobbiamo perdere tempo. A nessun costo», la rimproverò gentilmente Kian.
La diciassettenne annuì - seppur con un'espressione tra l'incerto e il sospettoso in volto - e si lasciò condurre dall'altro davanti all'unica statua di quel luogo. In confronto al resto dello spazio, era piccola, quasi modesta, e l'adolescente non si sorprese più di tanto a non averla notata prima. Quello che la spiazzò, invece, era chi era rappresentato in quel blocco di candido marmo. Quando l'Incantatore le aveva detto che il Cromlech - qualsiasi cosa significasse - era un posto di magia, lei si era immaginata effigi di Minhar ovunque, architetture grottesche e forse perfino coltelli e altari per truci sacrifici. Invece, la stanza era del tutto diversa dalle sue aspettative e la divinità scolpita nella pietra non avrebbe potuto essere più diversa dall'Ingannatore.
Il simulacro raffigurava una donna dallo sguardo gentile e la mano posata sul capo di un cervo. La pelle del viso era solcata da rughe, ma ciò non la sfigurava: le donava anzi un'aurea di profonda saggezza e un aspetto simile per molti versi a un'affettuosa nonna. Il suo abito era un insieme esotico di stoffa e pendenti che avrebbe fatto sembrare qualsiasi altra persona stravagante, ma su di lei non faceva altro che conferirle un segno di leggerezza e misticità ineguagliabili. Un arco e la rispettiva faretra erano appoggiati contro la sua gamba sinistra, mentre dalle scapole partivano due maestose ali piumate.
«Non conosco questa dea», mormorò perplessa Kala mentre al suo fianco l'uomo si inchinava come un cavaliere davanti al re, una mano sul cuore e l'altra appoggiata al pavimento.
Kian si rialzò velocemente e con un passo deciso scavalcò le ciotole piene di cenere e i fiori di cristallo che erano stati posti da qualche fedele o sacerdote ai piedi della statua. «Dagda è un Araldo, non una divinità», mormorò con voce atona. Le sue iridi cerulee erano puntate sul basamento in marmo che stava esplorando con le dita. Stava cercando qualcosa tra quelle decorazioni a forma di viticcio e ciò pareva rubargli tutta la sua intenzione.
La ragazza scoccò un'occhiata perplessa al simulacro. Ancora non riusciva a capacitarsi che in quel luogo non ci fosse nessun riferimento a Minhar. E se quella donna non era una dea, perché le sembrava che fosse il fulcro del culto di chiunque avesse costruito il tempio?
Il lieve boato che scosse la stanza interruppe quei ragionamenti. Accompagnato dal rumore, un pezzo di parete alto quanto un bambino sprofondò gemendo nel pavimento, rivelando una nicchia polverosa nella cui penombra scintillavano oggetti di vetro e di metallo.
«Per qualcuno che continua a dire che non c'è tempo, mi sembra che tu abbia fatto in modo di spenderne il più possibile», commentò amareggiata la giovane, scrutando le fauci di tenebra che si aprivano nel muro, a meno di cinque passi da loro.
L'uomo picchiettò sullo spigolo del basamento. «Gli ingranaggi e l'interno della statua sono fatti di taenite: i miei poteri non avrebbero funzionato neppure se ci avessi provato.» Indietreggiò fino a trovarsi di fianco alla diciassettenne. «Ho bisogno che tu cerchi lì dentro lo scrigno con i gessi. Non toccare nulla che non riconosci.»
«Non sono così ingenua», protestò sottovoce Kala, ben sapendo che il mago era abbastanza vicino a lei per sentirla. «E non credo tu abbia bisogno di me per...»
«Probabilmente mi serviranno anche l'oro e l'argento», la interruppe, puntando le iridi senza pupilla verso un punto preciso del soffitto. «Anche dell'olio, se riesci a trovarlo.»
«Del cosa?»
«Dell'olio. Ora, ricordati della promessa.»
Io non ho mai promesso nulla, protestò in silenzio la giovane, tuttavia le sue gambe la portarono davanti l'apertura simile a una piccola entrata di una caverna. Con la coda dell'occhio scorse l'Incantatore avvicinarsi ai monoliti, e le parve che le falde del cappotto stessero ondeggiando in un modo più vorticoso del solito. Vuole che io esegua il suo lavoro mentre ride alle mie spalle, pensò amaramente. Eppure non era così, lo sentiva nel profondo della sua anima. L'altro era determinato, ma per quanto assurdo alla sua mente sembrasse, una parte di sé le diceva che desiderava veramente aiutarla. Non era solo il sottile legame che percepiva con lui, era un vero e proprio istinto, quasi come quello di un animale.
L'adolescente si chinò, riponendo il pugnale ancora nel suo palmo nello stivale, poi spostò l'attenzione sulla cavità. Sui tre ripiani in cui lo spazio era diviso, erano ammassati una quantità assurda di fiale, barattoli, contenitori dalla forma strana e dal contenuto ancora più misterioso e altri oggetti che la diciassettenne si rifiutò di identificare. Trovare il cofanetto fu facile - aprendolo si rese conto di aver indovinato al primo colpo - mentre per i due metalli dovette infilare le dita tra due flaconi a goccia decorati con un inequivocabile segno di pericolo: un teschio ghignante.
Non riuscì tuttavia a capire quale boccetta contenesse l'ultima richiesta, né ebbe il coraggio di controllarne qualcuna per scoprirlo. Non sarà importante: non vedo cosa un mago possa fare con dell'olio, rifletté mettendosi in piedi, gli altri oggetti stretti tra le sue braccia. Né con nessuno di questi, a dir la verità.
Kala fece a malapena in tempo a voltarsi che la voce baritonale dell'uomo la invitò con fermezza a raggiungerlo. Kian era all'interno del cerchio di pietre, una boccetta colma di un liquido scuro tra le mani. Fu solo quando fu vicina abbastanza che la ragazza si accorse del colore esatto di quella sostanza e un terribile dubbio si insinuò nei suoi pensieri, spronandole il cuore come un fantino avrebbe fatto con il proprio destriero.
«Hai trovato tutto?» le domandò l'altro, appendendo la fiala alla sua cintura grazie al tappo metallico simile a un uncino - o a un artiglio. C'era una lieve tensione nella sua voce baritonale, che tuttavia non traspariva nei suoi movimenti. «Passami i gessi, per favore.»
La giovane ubbidì e osservò con crescente inquietudine l'altro spezzare due di quei bastoncini biancastri e poi far fluttuare ciascuna metà agli angoli di un immaginario quadrato. Le mani luminescenti cominciarono allora a danzare nell'aria, dettando i movimenti sfreccianti di quelle stecche friabili. Linea dopo linea, curva dopo curva, le scie biancastre sul pavimento si moltiplicarono sotto gli occhi sempre più perplessi della diciassettenne, finché la ragnatela di segni diventò un intricato mandala. Poi uno dei gessi si ruppe con uno schiocco.
L'Incantatore si gettò a terra e cancellò con le dita uno dei simboli più vicini, gemendo: «No, no! Ho sbagliato.»
«Kian...»
«Silenzio!» L'uomo chiuse gli occhi e si portò il palmo alla fronte, mormorando una catena ininterrotta di parole incomprensibili. Sembrava setacciare ciascuna di quelle sillabe come un cercatore d'oro, scartandole mano a mano come dei volgari ciottoli di fiume. Schioccò le dita quando finalmente trovò la sua pepita preziosa, tuttavia quel gesto euforico era rovinato da una vena di dubbio. «Dovrebbe andare bene», sibilò tra i denti tracciando una figura simile - ma non completamente uguale - a quella che aveva spazzato via.
L'adolescente avrebbe volentieri obiettato che non vedeva una grande differenza in quel cambiamento, tuttavia si morse un labbro per fermare quell'osservazione. «È tutto a posto, ora?» domandò invece.
«Lo spero.» Il mago le fece cenno di dargli i due sacchetti con i metalli. «C'è un motivo per cui preferisco la magia gestuale a quella runica: così tante regole intransigenti, e se solo un segno è fuori posto...»
Quella frase lasciata in sospeso fece rabbrividire la ragazza. «Eppure sei riuscito a rompere il sigillo prima», tentò di rassicurare entrambi. Aveva infatti l'impressione che, se ci fosse stato qualcosa di sbagliato nel disegno sul pavimento, non sarebbe stato solo l'altro a pagarne le conseguenze.
Con gesti nervosi Kian fece rotolare i pezzetti di argento e oro sul suo palmo teso. «Eseguire un incantesimo già conosciuto è un conto.» Strinse il pugno e ruotò il polso in senso orario. Una luce incandescente si sprigionò da esso, arroventando l'aria intorno come le fiamme di un rogo. «Crearne uno invece è completamente diverso.» Aprì la mano, rivelando un ammasso informe di metallo incandescente.
Kala non sapeva se essere più confusa per il fatto che l'altro avesse fuso insieme due materiali così preziosi senza alcun motivo apparente o per la poltiglia sfrigolante che, nonostante fosse a contatto della sua carne, non lo stava bruciando. Quando tuttavia lo vide far danzare le dita e il metallo fuso ubbidire ai suoi ordini, serpeggiando verso il centro del mandala di segni, riuscì a darsi una semplice spiegazione per entrambe le cose: magia.
L'Incantatore si issò in piedi, le dita già posate sulla fiala dal macabro contenuto che aveva alla cintura. Esitava: era evidente dal modo con cui accarezzava il cristallo, seguendone i ghirigori con le unghie.
«Dimmi quello che è succo di lamponi o vino», sibilò la giovane a labbra strette.
«Nessuno è stato ucciso per riempire quest'ampolla, tranquilla.» Scoccò un'occhiata al soffitto lontano, poi - curandosi di non calpestare i segni - attraversò il disegno fino a raggiungerne il cuore. Lì la pozzanghera liquefatta d'oro e d'argento aveva assunto la forma di uno di quei simboli articolati che interrompevano la geometricità della ragnatela di gesso. Era ancora di un color arancio vivo e sprizzava scintille, tant'era rovente.
La diciassettenne percepì un'ondata di ribrezzo stringerle le viscere quando l'uomo inclinò il flaconcino per rovesciare il liquido scarlatto. Era solo sangue, era vero, ma il fatto che fosse utilizzato per...
La luce che si sprigionò dalle tracce biancastre, non appena la prima goccia vermiglia cadde sulla superficie incandescente, fece indietreggiare l'adolescente finché lei non sentì contro la schiena una delle rocce monolitiche. Stava succedendo qualcosa, e quel qualcosa era l'incantesimo di Kian. Il mago si stagliava nel mezzo di quei lampi di energia, le braccia tese e con i palmi rivolti verso il basso. Iridescenti fiamme liquide colavano dalle sue dita, nutrendo quel mandala ormai di puro chiarore.
Una melodia arcana cominciò a vibrare nell'aria, intonata dal cerchio stesso di pietre. Kala si tappò subito le orecchie quando si rese conto che le note erano pericolosamente simili a quelle che aveva udito nella radura, prima che l'essere misterioso iniziasse a cantare. La differenza, quella volta, era che davanti a lei c'era... Oh, dei. I suoi occhi sgranati erano puntati sull'uomo che, così attorniato da volute baluginanti, d'un tratto assomigliava terribilmente alla creatura evanescente. Era solo un caso, tentò di rassicurarsi. Tuttavia se invece non lo fosse stato?
La realtà stessa parve contrarsi per un istante, poi con un lieve boato sia il suono che la luce svanirono. La ragazza si arrischiò a guardare intorno a sé: non le sembrava che fosse cambiato nulla. «Non credo abbia...» Le parole le morirono in gola non appena la sua attenzione tornò sull'Incantatore.
Il chiarore evanescente all'interno di Kian era quasi scomparso del tutto, mentre le falde del suo cappotto avevano rallentato il loro ondeggiare fino a sembrare immobili. Il mago cercò di reggersi sulle gambe sempre più incerte, ma non fu la sua forza di volontà a vincere. Gli occhi cerulei incastonati nell'ombra tremolarono come braci morenti, poi si spensero.
In un istante l'istinto prese il sopravvento. La giovane corse in avanti, chiamando strozzata il nome dell'altro e cercando invano di afferrarne il corpo prima che quello si accasciasse sul pavimento. Si stava già inginocchiando a un passo da lui quando un grido di ribrezzo e terrore le graffiò la gola: Kian si stava dissolvendo. I suoi arti erano sempre più trasparenti e sembravano perdere solidità, trasformandosi in evanescenti forme frastagliate.
La diciassettenne lo udì mormorare qualcosa con voce simile al fruscio del vento tra le foglie, poi scorse il pugno ormai mezzo invisibile chiudersi a fatica. La nebbia vitrea in cui l'uomo stava mutando smise di disperdersi e cominciò lentamente a tornare indietro. Stava cercando di ricomporsi, in un modo che l'adolescente non riusciva a comprendere.
«Avv...icinati», sussurrò il mago, e quelle parole parvero provenire dalle viscere dell'oltretomba.
Kala rimase paralizzata, il suo essere lacerato dal conflitto che infuriava dentro di lei: la sua mente gridava di fuggire, la sua anima di fare come le era stato chiesto. L'Incantatore, tuttavia, non era preda della stessa battaglia interna, per cui colse quei momenti di immobilità per sollevare tremante un palmo fatto d'aria solita. Con l'indice scheletrico sfiorò lo sterno della ragazza, nel punto preciso in cui la stoffa si incurvava lievemente per rivelare il ciondolo sotto di essa. Il freddo che allora la invase la fece boccheggiare senza fiato e serrare le palpebre con forza. Una nausea intensa e un senso di vertigini le fecero perdere per qualche istante la cognizione della realtà, poi tornò in sé stessa. Si accorse quindi di avere un palmo posato sulla spalla.
«Tranquilla, ho solo preso in prestito un po' della tua energia.»
«È... è pericoloso?» ansimò la giovane, aprendo gli occhi. Il mago era seduto a gambe incrociate davanti a lei, nuovamente corporeo e integro.
«No: le anime viventi riescono a rigenerarla molto in fretta.» Le iridi senza pupilla luccicarono con vergogna e colpa. «L'incantesimo mi ha richiesto più forze di quante ne avessi realmente. Non sono più potente come una volta, Kaislentheya.»
La diciassettenne alzò il volto di scatto, sentendosi sempre meno e meno spossata. L'altro aveva ragione: le sue energie stavano tornando normali straordinariamente in fretta. «L'incantesimo! Ha funzionato?»
L'Incantatore abbassò lo sguardo verso il simbolo di metallo. «Sì», mormorò ambiguo. «Ora ha solo bisogno di una cosa per riportarti nel tuo corpo: devi spezzare quella runa centrale.»
«Solo questo?» l'adolescente sospirò sollevata. «Allora è facile! Sono disposta ad affidarmi ancora alle tue malie se...»
«Forse non mi sono spiegato bene. Devi essere tu a romperla, non io: l'ho infusa di magia, in modo da garantire un passaggio sicuro a chi la infrange. Solo e unicamente a chi la infrange; l'altro rimarrà intrappolato nel Succubo quando questo si frantuma.»
Il cuore di Kala si fece di piombo. L'altro si stava veramente sacrificando per lei? Oppure era un inganno?
Kian voltò di scatto la testa, come se avesse udito un rumore terrificante. «Per il Corvo del Nord, è qui!» imprecò, ogni lettera traboccante di tensione e astio. Si voltò di nuovo verso di lei. «Qualsiasi cosa accada, rimani all'interno di questo simbolo arcano e cerca in tutti i modi di fare come ti ho detto.»
«Non posso rompere del metallo a mani nude!» protestò agitandosi la ragazza, contagiata dall'angoscia dell'altro.
«Hai tutto quello di cui hai bisogno qui.» Indicò il petto sempre più frenetico dell'altra. «Non ho tempo di insegnarti, ma devi usare la magia per riuscirci. La tua magia.»
Il grido di disgusto e diniego che fuggi dalla gola della ragazza sembrò un incrocio tra lo stridio di un corvo e un ruggito di una belva. No, lei non era... dei, non riusciva neppure a pensarlo. Non aveva fatto nessun patto con Minhar, ne era sicura! Lei non poteva avere... lei non poteva essere...
Il mago le accarezzò con dolcezza i ricci del capo. «Non avere mai ribrezzo di quello che sei. Delle tue azioni sì, ma non di quello che sei.» Si alzò e indietreggiò di qualche passo, senza tuttavia mai lasciarla con lo sguardo. «Non fare il mio stesso errore.»
La giovane si accorse veramente che l'Incantatore si era allontanato solo quando lo vide superare i monoliti. Allungò il braccio verso di lui, sperando di riuscire a trattenerlo. Lui si stava sbagliando, stava mentendo! Aveva bisogno del suo potere per riuscire a spezzare la runa, oppure... dei, stava veramente chiedendo aiuto a un servo dell'Ingannatore? Che Mag Mell intera la perdonasse!
«Non uscire dal cerchio di pietre! Il Cromlech amplifica qualsiasi magia e indebolisce la negromanzia: è la tua unica speranza ormai», le ordinò sollevando entrambe le mani verso l'altro. Una muraglia di fiamme bianche avvolse l'esterno della costruzione di roccia, diventando poi simile ad aria tremolante.
Fu grazie a quella trasparenza che la diciassettenne riuscì a vedere una sostanza iridescente, simile quasi a del cristallo liquido, colare dai palmi dell'uomo. Essa volteggiò attorno a chi l'aveva evocata un paio di volte, poi coagulò in due corte lame gemelle che l'Incantatore impugnò con forza, già teso in una posizione di combattimento. L'adolescente raddrizzò la schiena rabbrividendo: sentiva un fastidioso pizzicore alla nuca.
Dei passi lenti ma inesorabili echeggiarono nella stanza, avvicinandosi sempre di più. Nelle tenebre del corridoio che si estendeva oltre la porta spalancata turbinò la tetra figura ammantata di un cavaliere dalla spada sguainata. All'ombra bastò una falcata per passare dall'oscurità alla luce dei bracieri: fu così che il Nemico entrò nella stanza.
Ehm... sì, anche il capitolo X sarà diviso in quattro parti anziché tre. Ma voi siete felici di questo, no? Scommetto che non vedete l'ora di sapere come Kian se la cava in un duello 😉
Non so se questo sia una cosa positiva o negativa...
Positiva, dai! Secondo te i lettori fanno il tifo per il Nemico?
Ora passiamo al Cromlech (che come ha spiegato Kian, è il cerchio di pietre, non la stanza) e il tempio che lo contiene. Ora, purtroppo non ho potuto spiegarlo veramente, ma esso si trova esattamente sotto la piazza principale di Vahrel (l'avevo tuttavia fatto intuire nella prima parte del capitolo, ricordate?). E no, non è una coincidenza.
Con te, mi chiedo se le coincidenze esistano veramente.
Eddai, Kian, magari sì. Magari 😈 Comunque, ora che sei qui, puoi spiegare cosa ti è successo prima?
Le mie labbra sono cucite, mi dispiace. Non voglio fare spoilers, io.
Ah-ah! E quindi vuoi far soffrire i lettori! Lo sapevo che anche tu eri sadico come me, in fondo.
Ma... lasciamo perdere. Ci vediamo nella prossima parte di capitolo.
Kian, no! Ho ancora un sacco di domande da farti, a nome dei lettori. Ti prometto che... ok, se n'è già andato 😒
QUESTION TIME: Secondo voi, perché Kian si stava dissolvendo, dopo aver speso troppe forze per quell'incantesimo? E come ha fatto ad assorbire parte dell'energia di Kala per "ricomporsi"?
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