X - Il cuore di Vahrel (pt.1)

L'impatto con il suolo non fu minimamente così violento come Kala si aspettava. La superficie solida si era sostituita al vuoto in modo sì improvviso, ma allo stesso tempo delicato: cadere dal letto avrebbe probabilmente fatto più male. Le viscere ancora contratte per difendersi da quella sensazione di nulla nel petto, la ragazza si mise tremante a quattro zampe. Strizzò gli occhi di ghiaccio, cercando inutilmente di fendere le tenebre che la circondavano.

Era intrappolata. Sottoterra. Senza via d'uscita.

Quella consapevolezza esplose nella mente della giovane e il suo cuore già frenetico cominciò a aumentare rapidi i battiti, mentre i respiri della ragazza si fecero sempre più spezzati. Era in una piccola conca soffocante, ne era sicura! Ai lati pietra, sopra di lei pietra. E la roccia ghignava, ondeggiava verso di lei per chiuderla in un abbraccio eterno. Ne era certa, lo sentiva! La terra voleva asfissiarla, intrappolarle gli arti, privarla dell'aria e della luce, e si beffava di lei mentre si tendeva verso di lei, sempre più vicina...

Uno spasmo attraversò il corpo dell'adolescente mentre un tocco deciso le artigliò la spalla sinistra. «Cerca di calmarti», mormorò la voce baritonale del mago con una dolcezza assente nella sua presa.

La diciassettenne era talmente paralizzata dal terrore che riuscì a malapena a scuotere la testa. Sentì la mano dell'altro allentare la morsa, poi il lieve rimbombo degli stivali di cuoio sul pavimento. Alzò a fatica lo sguardo solo per vedere l'uomo stagliarsi immobile nell'oscurità assoluta, la luminescenza che lo attraversava incapace di rischiarare alcunché all'infuori delle sue ondeggianti vesti cerulee.

"Non lasciarmi soffocare" avrebbe voluto supplicarlo Kala, tuttavia dalle sue labbra non scappò che un biascichio confuso.

L'altro fece brillare il suo sguardo di ghiaccio, ma quasi subito abbassò le palpebre, rendendo il suo volto un velo compatto di oscurità. La ragazza lo vide incrociare i polsi e far scorrere i palmi l'uno sull'altro. Quando le mani combaciarono perfettamente, un crepitio saettò intorno alle dita, poi un bocciolo di luce fiorì e costrinse il buio a ritirarsi.

Non appena vide dove si trovava, l'adolescente riuscì a dimenticare per qualche istante di essere intrappolata sottoterra, il terrore rimpiazzato solo dalla meraviglia. Davanti a sé si stendeva un infinito corridoio, abbastanza largo da riuscire a farci passare due carri affiancati. Il lastricato era tutto un intarsio di marmo, mentre a distanze regolari delle colonne segnavano l'apertura di nicchie scavate nella parete. Quando alzò gli occhi, tuttavia, quel momento di ammirazione passò. Il soffitto, ornato da una miriade di incisioni e bassorilievi astratti, era talmente basso che il mago quasi lo sfiorava con il capo. D'un tratto lo spazio le parve angusto come una cella e la giovane si ritrovò a respirare più pesantemente, mentre nel suo ventre rinasceva la familiare stretta di ansia. E se quella volta così decorata non fosse riuscita a sostenere le tonnellate di pietra malevola sopra la sua testa? Oppure se i muri scavati nella nuda roccia fossero collassati?

«Non pensarci.» L'uomo si inginocchiò di fronte a lei, tenendo la luce lontana dal suo viso. «Concentrati su qualcos'altro, non sulle tue paure.»

«Come?» sibilò frustata la diciassettenne.

«Distraiti. Prova a parlare, magari.»

«Parlare? Questo è il tuo consiglio? Non potresti...» Schioccò le dita in un gesto eloquente.

L'altro sembrò sorridere sornione da sotto il cappuccio. «Vorresti quindi stringere un patto con un Incantatore?»

Kala ritirò istintivamente il busto e serrò un lembo della gonna sporca. «Mai! Fare un accordo con voi servi di Minhar è quasi uguale a farne uno con l'Ingannatore in persona.» Nutrendosi della forza che le parole le infondevano, si alzò traballante in piedi. «Io non rinnegherò Mag Mell: piuttosto resto qui ad aspettare che la terra mi crolli addosso.»

Il mago, che nel frattempo si era drizzato e ora teneva un braccio teso in avanti, pronto ad afferrarla se fosse caduta, la scrutò cercando di sembrare rassicurante. «Alla fine, discutere funziona.»

L'adolescente annuì, guardando l'altro in modo ancora sospettoso. Quando lui indietreggiò di un passo e le fece cenno di seguirlo, lei tentennò. Aveva dovuto affidarsi allo sconosciuto a causa di quei... quei ghoul nelle strade, ma ora poteva veramente farlo di nuovo? Le sue ginocchia tremarono, colpite da una nuova ondata di timori.

«Stavo scherzando, prima» sospirò l'uomo. «Non ho intenzione di stringere nessun accordo né di allontanarti dalla tua religione. Continua a parlare, Kaislentheya.»

«Tu conosci il mio nome» affermò la giovane, raggiungendolo in qualche titubante falcata. E non solo, aggiunse mordendosi un labbro in silenzio. L'altro aveva già dimostrato di sapere altre cose che non avrebbe dovuto, come chi fosse la sua famiglia e riuscire a orientarsi nella sua stessa città.

«Sì. Vorresti sapere come?»

La diciassettenne si strinse nelle spalle. «Qualche stregoneria, immagino.» Cercò invano di guardare oltre la maschera di tenebra dell'Incantatore. «Io, invece, non ho la minima idea di quale sia il tuo. Se sono costretta a chiacchierare con te, un perfetto sconosciuto, non dovresti almeno dirmi come ti chiami?»

L'altro esitò, scrutandola negli occhi con angoscia. «Io... io... non posso farlo.» Abbassò lo sguardo, prima di mormorare con ira e rassegnazione cinque semplici parole: «Io non ho un nome.»

Kala aprì e chiuse la bocca un paio di volte come un pesce appena tirato via dal fiume prima di essere di nuovo capace di pronunciare qualsiasi cosa. «Cosa dici, mago? Tutti ce ne abbiamo uno: è scritto nelle leggi degli dei!»

«Io ce l'avevo un tempo», si corresse quello. «E forse anche ora, ma è come se non ce l'avessi. Anche se ora lo dicessi davanti a te, sarebbe inutile.»

«Mettimi alla prova», si affrettò a ribattere la ragazza. Era convinta di aver scorto una crepa sospetta in una delle colonne e voleva evitare un'altra invasione di paura. Non devo pensarci, si ripeteva di continuo, cercando un appiglio nella voce e nell'aspetto peculiare del suo interlocutore.

L'altro fece luccicare le sue iridi senza pupilla. «Non dipende da te, né da me. Tuttavia, se desideri tentare...» Articolò una sola parola, il tono appena tremante a causa di una speranza che - lui già lo sapeva - era falsa, poi tacque in attesa della reazione della sua interlocutrice.

Quella si morse un labbro e afferrò un ricciolo fulvo. «Puoi ripetere più lentamente?» bofonchiò. Vide l'altro annuire, poi lo udì scandire nuovamente il suo nome. Come la prima volta, la giovane lo udì con chiarezza e riuscì a capirlo, ma non appena il silenzio cadde nel corridoio esso era già scomparso dalla sua memoria. Eppure lei riusciva a ricordarsi chiaramente la voce baritonale e gli occhi quasi fiammeggianti del mago mentre glielo diceva, perfino la cadenza e il tempo con cui esso era stato pronunciato. Le sillabe che lo componevano, tuttavia, erano scomparse come se non fossero mai esistite.

Cedendo alle sue richieste, l'uomo concesse un terzo tentativo. La diciassettenne si concentrò allora su ciascuna lettera pronunciata, ma con inquietudine si accorse che non appena udiva la seguente, quella prima era già svanita nel nulla. Alla fine ne rimase solo una, che l'adolescente mormorò incerta: «Mi è sembrato... alla fine c'è una "n", vero?»

Le iridi cerulee del mago brillarono intensamente e per un istante la ragazza venne investita da dei sentimenti che era certa non fossero i suoi: incredulità, amarezza, speranza. «Sì» rispose quello, un'evidente vena di emozione nella sua voce. Subito dopo quella luce nel suo sguardo si spense e l'individuo ammantato aumentò il passo. «Non chiedermi più di ripetere il mio nome: chi mi ha imposto questo sigillo non è qualcuno che vorresti avere come avversario.»

Kala rimase in silenzio abbastanza a lungo per percepire di nuovo la pressione della roccia che cercava di far crollare il soffitto. Cercò di rimediare il prima possibile affiancando dopo una breve corsa la sua guida e dando fiato al primo pensiero che le venne in mente. «Allora posso dartene uno io?»

L'altro sospirò, anche se quel gesto parve più un modo per dissimulare una risata arrugginita che un'espressione di disperazione. «Hai la morsa più salda di un Drago, ragazza: hai deciso che tutti devono avere un nome?»

«È Alphard, il re degli dei, che l'ha decretato», cercò di giustificarsi l'altra.

«Come mi vorresti chiamare, quindi?»

La giovane si guardò intorno, in cerca di ispirazione. Era particolarmente intrigata da quelle nicchie che scorrevano a entrambi i lati e che venivano solo brevemente illuminate dalla stella ardente nella destra dell'incantatore. Gli affreschi che riusciva a intravedere avevano una cura dei dettagli che lei non aveva mai visto, esattamente come le statue poste in modo curioso su ciascun blocco di pietra calcare. Non passò tuttavia molto tempo prima che l'adolescente si rivolgesse al suo interlocutore, certa della sua scelta. «Kian.»

L'uomo si fermò e la guardò incredulo. «Kian», le fece eco. «Come il primo Incantatore, secondo le vostre storie.»

Alla diciassettenne non sfuggì l'ironia nella frase dell'altro. «Anche tu sei un mago», ribatté sulla difensiva.

«Quindi hai deciso di soprannominarmi come il ragazzo che è letteralmente impazzito d'amore e ha messo a ferro e fuoco il regno pur di non vedere le sue colpe.»

«L'ha fatto nel nome di Minhar, con cui ha stretto quel patto» precisò con veemenza, torcendosi un ricciolo. «Dei, perché qualcuno dovrebbe rinnegare Mag Mell?» Inspirò. «Tu perché l'hai fatto?»

«Io ti risponderò, ma solo se mi dici perché sei convinta che una persona effettivamente possa scegliere di essere un Incantatore.»

«Perché?» La voce di Kala fu fin troppo acuta nel pronunciare l'ultima vocale. «Perché lo raccontano le leggende, ecco perché. Lo dicono gli dei e gli aruspici!»

«Quindi tu non mi crederesti se cercassi di spiegarti che avere la magia è come avere gli occhi azzurri: è qualcosa con cui si nasce e che si eredita, non che si può ottenere.»

La ragazza non si concesse neppure un dubbio: l'altro mentiva. «Vuoi solo confondermi: sei pur sempre un servo dell'Ingannatore.»

L'uomo lasciò vagare lo sguardo lontano, ben oltre la tenebra che a un certo punto riprendeva possesso di quell'infinito corridoio. «Se tu sapessi chi stringe veramente le mie catene...» mormorò. Un paio di secondi colmi solo di silenzio passarono, e solo quando ce ne fu uno di troppo l'individuo si riscosse: «Non smettere di parlare.»

La giovane sbirciò dentro un'altra di quelle conche ad arco scavate nelle pareti. Il personaggio rappresentato nel dipinto dai colori vividi era quella volta un cavaliere dall'armatura lucida, dietro cui sventolava uno stendardo bluastro. Un simulacro simile al ritratto era anch'esso presente nella nicchia, appoggiato come sempre in quel modo curioso alla lastra di pietra sottostante. «Kian, non siamo più a Vahrel, vero?»

«Siamo sotto la città», la corresse indicando l'alto soffitto. «Il centro di questo luogo si trova esattamente sotto la piazza principale. Perché questa domanda?»

Stringendosi nelle spalle l'adolescente cercò di non indovinare quanti passi di roccia ci fossero sopra la sua testa. Troppi, solo questo sapeva. «È colpa di queste statue. Non hai notato che sono sdraiate, invece di essere in piedi? Non è normale, almeno non nella valle. Poi, non capisco perché utilizzare dei blocchi tanto grandi come piedistalli: se fossero cavi ci entrerebbe facilmente perfino Ruten.» Forse lui no, pensò subito dopo la ragazza: il borgomastro non aveva ancora perso la corporatura massiccia e le spalle larghe, segno del suo passato da fabbro.

Il mago la guardò con una strana espressione negli occhi senza pupilla, tuttavia non disse nulla. Quel gesto fece scivolare addosso alla diciassettenne una sensazione di fastidio. L'altro le stava nascondendo qualcosa, qualcosa di decisamente importante. Senza avvisare girò sui tacchi e si avvicinò a una di quelle nicchie per osservare meglio l'affresco e la figura di pietra coricata sul suo giaciglio che custodiva. I suoi passi iniziavano già a risentire dell'angosciante oppressione della terra sopra di lei quando raggiunse il blocco di roccia intagliato. Quella scultura non poteva che essere opera di un artigiano straordinario: neppure i simulacri degli dei che si ergevano nel tempio sembravano così reali come quello che ora si trovava davanti a lei. Le pareva quasi che l'uomo raffigurato si fosse addormentato, e mentre era nel regno di Minhar qualcuno lo avesse dipinto di grigio. Controllando meglio i dettagli del volto, Kala notò una una profonda crepa vicino al collo e le parve di vedere qualcosa sul fondo di essa, come se stesse scrutando l'interno di un baule dalla serratura.

«Kian», chiamò voltandosi. L'altro era già a meno di una falcata da lei, il braccio con l'incantesimo di chiarore sollevato come una torcia. «Puoi cercare di illuminare questa fessura?»

«Io se fossi in te non lo farei», la ammonì lentamente.

«Voglio solo capire cosa c'è in questa statua», cercò di convincerlo. «Non mi crederai, ma credo che sia una specie di scrigno.»

Il mago replicò a denti stretti: «Non è una statua e non contiene nessun oggetto prezioso. Ora, vieni.»

«No.» La ragazza appoggiò la mano sulla pietra. L'unica spiegazione che riusciva a darsi era che lì dentro fosse contenuto qualcosa di letale per uno come lui. Forse c'era un'arma di ferro o argento, o qualche amuleto che annullasse gli incantesimi. Forse quel cofano era perfino appartenuto a un eroe perduto che aveva combattuto contro i servi di Minhar, e Kian era solo riluttante ad avvicinarsi ai suoi due ritratti: uno dipinto sul muro e l'altro immortalato nella roccia. «Solo un'occhiata, niente di più», promise.

L'altro inspirò come per cercare di calmarsi. «È una tua scelta.» Scivolò al suo fianco, poi senza una parola spinse con violenza la figura addormentata. La pesante lastra su cui essa riposava scivolò di lato come se fosse stata leggera quanto un ciottolo del fiume e cadde con un forte tonfo, svelando la cavità del piedistallo. E l'orrore contenuto al suo interno.

Con un ululato la giovane saltò all'indietro, solo per inciampare nei suoi stessi piedi e finire distesa sul pavimento intarsiato del corridoio. Puntellandosi sui gomiti continuò ad arretrare finché il muro opposto non premette sulla sua schiena con talmente forza da farle male. Pur volendo solo serrare le palpebre per dimenticare ciò che era ancora impresso nei suoi occhi, non riusciva a staccare lo sguardo dal cofano di pietra. Solo per un istante aveva visto le orbite vuote del teschio, la cui mandibola era appena aperta in quello che le era parso un ghigno di scherno o una smorfia di dolore; solo per un istante aveva scorto i brandelli di pelle simile a pergamena marcia attaccati alle ossa giallastre. Eppure era già stato abbastanza.

«Dabih!» Si ritrasse ancor di più contro la parete, cercando di sfuggire agli occhi senza pupille del mago che si stava avvicinando con cautela. Gli puntò contro un dito accusatorio. «Tu lo sapevi da sempre!»

Kian fece brillare fredde le sue iridi di ghiaccio. «Che ci fossero dei corpi nei sarcofagi? Sì.»

«Nei?» La diciassettenne lanciò una febbrile occhiata intorno, soffermandosi su ciascuna delle nicchie che custodivano quelle tetre statue.

«Esatto: in ciascuno di essi», l'uomo parve rispondere direttamente ai suoi pensieri. Poi si incupì e mormorò in modo appena udibile: «Tranne in uno, almeno.»

«Per Minhar e tutti i suoi servi!» imprecò, rimettendosi a fatica in piedi, gli arti ancora aderenti alla parete. «In che posto mi hai portata, stregone?»

«Incantatore», la corresse con una nota di stanchezza nella voce. «Questo luogo, invece...» abbracciò con la luce e lo sguardo tutto quello che poteva, «potrei quasi considerarlo il cuore di Vahrel. Un cuore antico, pieno di memorie e potere; un cuore dimenticato dai suoi stessi figli per troppe generazioni.»

«È una tomba!»

«Il termine esatto è catacombe. Devi seguirmi: se il Nemico riesce a capire che siamo qui sotto...»

Kala istintivamente strinse attraverso la stoffa del corpetto il ciondolo con l'opale. «Il Negromante», mormorò in un fiato: si era solo illusa di aver dimenticata la minaccia che vagava nelle strade della sua città, ma in realtà non era mai riuscita ad estirpare dalla mente l'immagine della spada nera che trafiggeva il ventre di Teucer. O di quello che, secondo l'altro, di Teucer aveva solo l'aspetto. La sua mano scivolò verso il pugnale nascosto nello stivale. «Sei pazzo se mi hai fatta nascondere qui. Anzi, un traditore.»

«Ti stai sbagliando: io sto cercando di aiutarti.»

«Siamo circondati da dei cadaveri!» Gridò l'ultima parola mentre estraeva l'arma. Quella lama aveva già ferito uno Spettro; avrebbe potuto fare lo stesso con Kian. «Se tu fossi davvero dalla mia parte, non mi avresti portata in un corridoio pieno di corpi che aspettano solo di essere trasformati in... in quei cosi

L'altro parve sorridere mesto nell'ombra che gli nascondeva il volto. «Oppure l'avrei fatto, sapendo che era ed è tutt'ora la nostra unica possibilità.»

La ragazza non si lasciò intimidire dalla luce di avvertimento che fiammeggiava nello sguardo dell'uomo. Impugnò istintivamente il coltello in modo da farlo aderire al polso, e con un pizzico di repulsione si accorse che aveva assunto la stessa posa di quando il suo corpo era controllato da quella volontà estranea. «Stai mentendo.»

«Senza offesa, ma pur non essendo un alchimista credo di conoscere meglio di te i limiti della magia. E della negromanzia» aggiunse in un sussurro. Le tese la mano. «Ora, andiamo.»

La lama scintillò minacciosa nella luce di quella stella chiara che l'individuo impugnava nella destra. «Solo se mi sveli almeno un valido motivo per cui siamo qui», sibilò. «E giura su ciò che hai di più caro che non mi stai mentendo.»

Quello portò due dita unite alla bocca, poi appoggiò la sinistra sul cuore. «Prometto nel nome di Meredith e del suo amore che le mie labbra non pronunceranno alcuna falsità, Kaislentheya.»

La giovane avrebbe voluto chiedergli chi fosse Meredith, ma il modo in cui il mago aveva pronunciato quel nome la fece desistere. Quelle poche sillabe erano intrise di un dolce e al tempo stesso struggente dolore, simile a quello che permeava la voce di Isabhel quando parlava del suo defunto marito. Annuì guardinga, ma non abbassò l'arma.

«Un negromante non può creare quanti ghoul desidera», cominciò Kian. «Ci sono dei limiti che dipendono dalle sue stesse forze e dallo stato dei corpi. Animare questi richiederebbe troppa energia, energia che il Nemico non può permettersi di sprecare. Non se vuole riuscire a uscire dal Succubo indenne, almeno.»

«E questa è l'unica ragione?»

L'altro scosse il capo. «No. Al centro delle catacombe sorge un... tempio, potremmo definirlo. Se vuoi svegliarti, ho bisogno che tu raggiunga quel luogo insieme a me.» Quando vide la sua interlocutrice esitare, commentò amaro con una semplice frase: «Un tempo la parola di un Incantatore valeva come quella di qualsiasi altro.»

Tentennando, la diciassettenne seguì la figura luminescente della sua improvvisata guida nel lungo corridoio. Il manico del suo pugnale, tuttavia, rimase saldamente attaccato alla sua destra. Tenne il silenzio più a lungo che poté, ma i frequenti rimproveri dell'altro e la crescente oppressione causata dalle tonnellate di roccia sopra di lei le impedirono di continuare per molto. Iniziò a parlare delle erbe medicinali, tralasciando sempre qualsiasi dettaglio della sua vita a Vahrel: non voleva che quei ricordi preziosi cadessero tra le grinfie di un uomo che aveva rinnegato gli dei per servire Minhar. Eppure dal modo in cui talvolta quello commentava, senza fare mai domande laddove chiunque sarebbe stato almeno incuriosito, le sembrava quasi che lui conoscesse molto su di lei. Troppo.

Di tanto in tanto, durante la conversazione, il suo sguardo ceruleo si spostava inevitabilmente nelle nicchie per posarsi sui sarcofagi, come il mago aveva chiamato quelle statue maledette. Aveva scoperto con sgomento che il ribrezzo con cui inizialmente aveva reagito era dovuto alla sorpresa, e non a quello che realmente provava. Come davanti alla prima vedetta morta che aveva visto, dopo essere entrata a Vahrel, sentiva nell'animo una specie di fascino per quei cadaveri. In parte compiangeva quelle persone, i cui resti non avevano trovato pace in nessuna pira sacra, tuttavia un istinto primordiale quasi ringraziava la loro presenza. Fu così che, durante uno di quei momenti in cui i suoi occhi scivolavano ipnotizzati di lato, vide l'affresco raffigurato nella prima di tre cavità insolitamente vicine tra di loro.

«Aspetta», mormorò, fermandosi per vedere meglio. Sentì al suo fianco Kian irrigidirsi e voltarsi a guardare il ritratto che lei stava osservando. E che era convinta di sapere chi rappresentasse.

To', un altro cliffhanger. Chi l'avrebbe mai detto?
Io sì di certo.
Quante volte ti ho detto che tu non vali? E poi, era perfino una domanda retorica!

Ordunque, in questo capitolo abbiamo modo per vedere ancora Kala e "Kian" interagire. Io non so voi, ma la storia che l'Incantatore sia condannato a non avere nome mi fa una tristezza...
E allora perché l'hai inserita in primo luogo? Anzi no, non rispondere che lo so: sadica.
Bando alle ciance, ora che è comparso "veramente" da quasi un intero capitolo, cosa ne pensate di lui? 
Rispondete pure a questa domanda: sono curioso anch'io, devo dire.
Ma guarda questa vocina che si appropria dei miei spazi autrice. Bah!

Ora, riguardo al setting del capitolo: a che punto avete capito che Kian aveva fatto precipitare la ragazza in delle catacombe? Che poi, vi ricordo che a Vahrel si usa cremare i cadaveri e non metterli in dei sarcofagi: tutto questo non vi pare un po' strano?
Se stai cercando di convincere i lettori che sparpagli parole e fatti a caso sulle pagine, credo che questa non sia la tecnica migliore. Ora, passiamo alla fine di questa tortura?
Ma... oggi ti sei svegliato con la luna storta o cosa? Comunque, hai ragione: è tempo di passare alla temutissima... 

Question time: Ah ah, questa sono sicura che non la sapete, ma io lo domando lo stesso: a chi appartiene il ritratto che Kala si è fermata a guardare?

AVVISO EXTRA: in occasione del "compleanno" della nuova versione, anticiperò la pubblicazione della prossima parte il 17 maggio. Stay tuned!

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