VIII - Lama incandescente (pt.2)
«Non aver paura, Kaislentheya.»
La diciassettenne distinse a malapena quelle parole pronunciate da una voce cavernosa ma eterea al tempo stesso dalla melodia ipnotica che riverberava attorno a lei e che sembrava intonata dalla natura stessa. Mille odori che non conosceva si mescolavano nei suoi respiri, alcuni delicati e altri talmente pungenti da farle quasi venire la nausea, mentre il freddo che scorreva nel suo corpo si alternava a vampate di calore e sentiva un vento quasi viscoso scorrere sulla sua pelle.
«Guardami.»
Raccogliendo tutto il coraggio di cui era capace, la ragazza tolse il palmo dal volto. Puntando davanti a sé l'arma che impugnava convulsamente nella destra, sollevò le palpebre. Volute di energia serpeggiavano nello spiazzo, mescolandosi in un caleidoscopio di colori e bagliori. A volte le sembrava che forme distinte affiorassero in quei flutti, ma tutte scomparivano prima che riuscisse a capire cosa fossero. Tutte, tranne una.
Una figura evanescente si ergeva in piedi di fronte alla giovane, a tal punto tremula da sembrare solo un riflesso nell'acqua increspata di un laghetto. Kala non riusciva a distinguere nulla con chiarezza, salvo forse il cappuccio calato sul volto e le dita semitrasparenti chiuse attorno a un piccolo ciottolo biancastro. Alzò il pugnale verso il petto della creatura. «Perché?» domandò spezzata dalle lacrime di rabbia che minacciavano di scenderle sulle guance.
L'essere abbassò il capo, assomigliando d'un tratto a un uomo sconfitto e ferito a morte. «Io non sono chi temi. Lei non è ancora qui per te.» C'era dolore in quelle frasi e ad esso si aggiunse una disperata richiesta di perdono. «Non ho scelta, così come non ne ho avuta allora. Così come un giorno non ne avrai tu. Ma questo non ha importanza.» Alzò il braccio offrendole la pietruzza. «È ora o mai più: questa Neahmnaid deve risorgere e incanalare ancora una volta il potere di un Omega. Deve.»
La giovane indietreggiò. «S-sta' lontano da me», balbettò, afferrando il manico dell'arma con entrambe le mani.
Con un sospiro, l'altro tese lentamente un palmo verso di lei. «Dagda!» invocò d'un tratto. «Araldo Smeraldo, Cervo dell'Ovest, ascolta le mie parole in questa notte di luna piena.»
La ragazza provò a scappare, ma si rese conto con orrore che i suoi piedi non riuscivano neppure a sollevarsi dal terreno, come se gli stivali fossero stati di ferro puro o se fossero diventati di pietra. «Cosa vuoi farmi?» urlò disperata. Per solo un istante riuscì a incrociare lo sguardo nascosto dall'ombra del cappuccio e credette di leggervi non bramosia o malvagità, bensì una sconfinata, riluttante tristezza. Poi la creatura iniziò a salmodiare un canto ancestrale di una struggente armonia e la diciassettenne smise di ribellarsi. Alla prima sillaba, infatti, un'immensa forza l'aveva investita con l'irruenza di un fiume in piena e aveva colmato ogni angolo della sua anima, cancellando ogni emozione salvo forse per una calma meraviglia. A malapena di ricordava chi era e perfino l'ansia che l'aveva accompagnata da quando era rimasta segregata nella foresta per la notte d'un tratto pareva insignificante. Ora c'era solo la melodia, le cui strofe le scivolavano addosso per incidersi a fuoco nel suo stesso essere. Incredibilmente sapeva che, pur non riuscendo a capirle, pur non avendole mai udite, sarebbe stata in grado di ripetere con la giusta cadenza ogni singola parola.
Appena il ritmo iniziò ad aumentare, Kala ebbe la certezza che quello che era l'intenzione ultima di quell'inno si sarebbe realizzato a momenti e ne fu estasiata. Ebbra di quelle note travolgenti, non si preoccupò quando sentì la propria anima iniziare a ribollire né quando, annunciata da una lieve stilettata di dolore, vide una scintilla incandescente emergere dal suo petto e volare nella mano tesa dell'essere. La favilla sembrava così debole, ma allo stesso tempo così invincibile, si ritrovò a pensare la giovane. Era quella il fulcro di tutta la musica e, nell'istante in cui la brace iniziò a pulsare come un cuore palpitante, la ragazza seppe che qualcosa di meraviglioso e arcano stava per accadere.
Quando la creatura avvicinò il ciottolo biancastro alla piccola stella, ormai diventata grande quanto l'unghia del mignolo e circondata da un'aura rossastra, la diciassettenne udì come una nota stridente nel salmo. Perfino attraverso il nulla che le ottenebrava la mente, percepì una lingua ovattata di paura scivolarle lungo la spina dorsale. Il suo sguardo di ghiacciò saettò da una mano evanescente all'altra, poi cercò di scrutare il viso nascosto con inquietudine e rimprovero. Sta sbagliando: non è così che dovrebbe andare.
Quello ricambiò l'occhiata e, interrompendo il canto, pronunciò due semplici parole: «Lo so.» Sbatté poi con violenza i palmi tra di loro, schiacciando in quella morsa spietata la pietra opaca e la scintilla. Un'ondata di freddo rovente si spanse per la radura, facendo scomparire con un il suo crepitio tonante ogni eco dell'antico canto e scompigliando le volute caleidoscopiche di energia.
Il velo di calma che le circondava i pensieri si lacerò e Kala si sentì nuovamente annegare nel terrore. Quella era magia, il peggiore degli inganni di Minhar!
«E se ti sbagliassi?» L'essere tese in avanti le mani ancora unite, circondate ora da un turbinio di fiamme biancastre. «Se le storie che conosci fossero in realtà diverse?»
«No», la ragazza si rifiutò anche solo di considerare ciò mentre minacciava con il pugnale quello, che aveva iniziato a scivolare sul terreno verso di lei. «Stai solo cercando di confondermi: quella tua stregoneria di prima non è riuscita a soggiogarmi, e adesso cerchi di usare le parole per farlo!»
La creatura si fermò. «Se mi fosse concesso, ti spiegherei tutto. Ora, tuttavia, non posso che dirti questo: non fidarti sempre di quello che hai imparato dalle leggende.» Le dita evanescenti si aprirono come la corolla di un fiore per rivelare una gemma ardente più candida della neve appena caduta. Per un paio di istanti essa rimase sospesa in aria, pulsando in sintonia con il cuore frenetico della giovane, poi si avventò come una freccia su di lei.
Con un grido di sorpresa la diciassettenne serrò gli occhi, cercando di ripararsi con gli avambracci. Sentì un lieve colpo riverberarle nel petto, unito a un fastidioso stridio metallico, e un bruciore alla clavicola sinistra, seguito subito dall'acre odore di pelle strinata. Eppure - quella era la cosa sorprendente - la sensazione di avere un tizzone incandescente appoggiato alla base del collo non le provocava nessun dolore: fastidio forse, ma anche un innaturale sollievo, come se si fosse appena liberata di un peso di cui non era mai stata a conoscenza finché non le era stato tolto.
Tutto finì d'un tratto: la luce talmente intensa che filtrava perfino attraverso le palpebre chiuse, il gelo a tal punto estremo che era impossibile distinguerlo dal calore, gli odori sconosciuti, ogni suono. Tutto. Con il petto che si alzava e si abbassava ancora velocemente, Kala osò di nuovo guardare quello che c'era intorno a lei e rimase semplicemente incredula. Il chiarore della luna pieno delineava d'argento i confini della radura, identica filo d'erba per filo d'erba a come l'aveva vista appena ci aveva messo piede. La pietra si era ricomposta e perfino il sangue che ne aveva colmato le incisioni era scomparso.
Quasi pregando gli dei che ciò che era accaduto fosse stata l'illusione di un Wiht particolarmente potente, si controllò l'avambraccio sinistro. Una leggera cicatrice che sembrava vecchia almeno un paio di mesi appariva appena sulla sua pelle lattea, visibile grazie allo squarcio nella stoffa della manica, ancora impregnata di un tiepido liquido scuro. Magia, rabbrividì con repulsione la giovane: non poteva che essere stata una magia.
«Ma questo non è possibile!» imprecò tra i denti la ragazza, sperando che il suono della propria voce riuscisse a cancellare ciò che quello implicava. Il pugnale e il ciondolo erano di ferro, e il ferro -come l'argento - era il nemico di qualsiasi creatura incantata. Contemplò il coltello, la cui lama affilata brillava rassicurante. Avrebbe dovuto piantarlo in quell'essere, in fondo era così che un'arma era supposta funzionare. Invece la collana, quel maledetto gioiello che le ricordava ogni volta che lo sentiva sulla pelle che lei non era veramente figlia di chi considerava i suoi genitori, non aveva nessuna scusa: era il suo compito proteggerla dalla magia, e quell'inutile pezzo di metallo aveva fallito!
Artigliò con le dita l'amuleto, desiderando ardentemente di essere in grado di stritolarlo e infine spezzarlo a metà. Ne percorse con le unghie la superficie fredda e intagliata, sperando inutilmente di riuscire a lasciarvi qualche graffio.
È inutile prendersela con qualcosa che non ha colpa.
Non le importava: se fosse riuscita a tornare a casa all'alba, lo avrebbe riposto nel sacchetto di tessuto e poi nel portagioie, e quello sarebbe rimasto lì finché la ruggine l'avrebbe consumato. Voleva dimenticare ogni singolo dettaglio che aveva imparato a conoscere, sebbene non ancora alla perfezione: non si ricordava che le fauci del gatto, per esempio, fossero così aperte, né che contenessero un rigonfiamento stranamente tiepido...
Rendendosi conto di quello che i polpastrelli le avevano appena svelato, la diciassettenne prese con il cuore in gola il ciondolo e lo portò all'altezza del viso. Nell'incavo creato dalle zanne insolitamente lunghe del felino era incastonata una pietra ovale poco più piccola dell'unghia del suo indice. Kala non aveva dubbio che fosse la stessa che aveva visto nel pugno della creatura e ciò la fece sprofondare nella disperazione. Quello che successo era fin troppo reale, non poteva più neppure sperare di negarlo. Eppure, ora che la osservava meglio, era anche certa che quella piccola gemma aveva qualcosa di diverso: la sua superficie lattiginosa non era più spenta come un ciottolo del fiume, ma era rischiarata da lucentezza quasi vitrea. Piccoli frammenti di arcobaleno erano intrappolati all'interno di essa e sembravano mutare a ogni movimento, donando al minerale un'iridescenza in continuo movimento.
Opale. È un opale.
La giovane aggrottò le sopracciglia mentre rimirava la pietra. Ne aveva sentito parlare un paio di volte da un mercante delle isole Sabdkosh che talvolta si univa alla comitiva estiva dei carovanieri. Da quel poco che sapeva, essa era preziosissima, a tal punto che solo i nobili potevano sperare di possederne qualche esemplare. Eppure c'era anche qualcos'altro che avrebbe dovuto ricordarsi ma che in quel momento le sfuggiva. Un significato o una credenza, forse.
Si costrinse a lasciar ricadere il gioiello sul petto. Guardare i raggi della luna riflettersi in quella gemma candida aveva qualcosa di ipnotizzante e capace di rendere difficile articolare pensieri che non fossero incentrati su di essa. Percepirne invece il lieve peso attraverso i vestiti era come avere sulla punta della lingua il dolce sapore del miele d'api, ma ancora più forte: non ne avrebbe mai avuto abbastanza e la separazione avrebbe lasciato un gusto troppo amaro da sopportare.
Cosa sto farneticando? pensò d'un tratto la ragazza, sentendosi appena destata da un irrazionale sogno ad occhi aperti. Detestava il ciondolo con tutta sé stessa e se avesse potuto distruggerlo, l'avrebbe fatto in quell'istante stesso.
Annientando così l'unica difesa contro il pericolo?
Digrignò i denti: quel pezzo di metallo non aveva fatto granché per evitare ciò che quell'essere le aveva fatto.
E cosa, di grazia?
Affondò le unghie della destra del manico di legno del pugnale. Non ne aveva la minima idea, ma se quella era stata realmente magia, allora nulla di positivo, ne era certa. Lanciò fugaci occhiate intorno a lei. A tal proposito, non era neppure prudente rimanere nella radura.
Mentre si aggiustava la cinghia della bisaccia sulla spalla si domandò se anche Teucer avesse avuto un'esperienza del genere, in quel luogo. Scacciò tuttavia subito il pensiero: lo conosceva troppo bene per anche solo prenderlo realmente in considerazione. Suo padre non le aveva mai imposto di starci lontana e sospettava che non avrebbe neppure mantenuto segreto qualcosa di simile, se fosse accaduto. Lei, invece, cosa avrebbe fatto se fosse sopravvissuta al resto della notte? Avrebbe avuto il coraggio di confessarlo a sua madre, con il timore di non poter più uscire nella foresta, che ancora amava nonostante avesse rischiato di perderci almeno un paio di volte la vita quella sera? Esplorò con occhi vigili le ombre degli alberi prima di decidere una direzione, decidendo di non interrogarsi oltre. Da come era iniziata quella notte, c'era il rischio che quei dubbi sarebbero presto risultati inutili.
Mai sottovalutare le proprie capacità di sopravvivenza.
Le labbra di Kala, violacee per il freddo, si piegarono in una smorfia. Non era delle sue abilità che dubitava, bensì di un volere avverso superiore. Senza il fuoco della torcia, avrebbe dovuto avanzare in certi punti particolarmente fitti quasi a tentoni e non c'era modo di sapere quali bestie sovrannaturali e non si nascondessero nelle tenebre. Eppure, nonostante tutto era certa di una cosa: finché avesse avuto una sola possibilità di vedere di nuovo l'alba, l'avrebbe accolta a braccia aperte. Aveva in fondo già stretto con gli dei il patto dei disperati, cosa avrebbe potuto fare di più?
Aveva appena superato le radici dei primi alberi quando un brivido le corse lungo la schiena. Un'ombra aveva oscurato la luna per meno di un respiro, gettandole addosso un'inquietante presentimento. I suoi muscoli si erano tesi senza che lei glielo ordinasse e i suoi sensi erano all'erta come quelli di un predatore a caccia. Oppure di una preda che sa di essere braccata. Per la seconda volta il chiarore dell'astro argentato si affievolì.
Nel bosco, ora!
Contemporaneamente a quel pensiero un grido agghiacciante echeggiò nell'aria, simile allo stridio di una lama arrugginita su una lastra di pietra. La giovane non osò neppure controllarsi alle spalle: si gettò a capofitto tra i tronchi e cespugli, correndo come non aveva mai fatto nella sua vita.
Cos'è quello? si domandò a fatica quando il secondo verso spettrale salì alle sue spalle, molto più vicino del primo. Mai avrebbe pensato di trovare un suono che le facesse battere il cuore e tremare gli arti più dell'ululato di un lupo; non fino a quell'istante almeno. Quell'urlo acuto invece le instillava terrore in ogni nervo, stritolandole l'anima stessa in una morsa velenosa da serpente, e le scompigliava ogni pensiero razionale, rendendo vicino all'impossibile perfino muovere un dito.
Guai.
Quello era certo. La diciassettenne combatteva con tutta la sua volontà contro l'effetto paralizzante di quella voce - se così poteva effettivamente chiamarla - eppure le sembrava che i suoi movimenti si facessero sempre più impacciati, come quelli di un neonato che a malapena sa come tenersi seduto. Fu per quello che la rassegnazione superò la sorpresa quando la punta del suo stivale si piegò in modo innaturale e sentì un vuoto nelle viscere appena prima di vedere il tappeto di foglie avanzare rapidamente contro di lei.
No!
Una folata di vento la investì con la forza di un torrente in piena, sostenendola per un attimo a mezz'aria e facendola tornare barcollante in posizione eretta. Kala si scostò una ciocca fulva dalla fronte con il manico del pugnale, mentre con la mano sinistra stringeva febbrilmente la tracolla di cuoio. In nome di tutti gli dei!
Non c'è tempo. Ha trovato la scia ed è ancora... maledizione!
Quella volta neppure la furia delle raffiche riuscì a impedirle di finire con la schiena contro la ruvida corteccia di un albero, scagliata come una bambola di pezza da una colonna di roccia che aveva squarciato il terreno con un cupo rombo. Kala tossì mentre si accasciava impotente e sentì in bocca un preoccupante sapore metallico. Il sapore di sangue.
«Bene bene, cos'abbiamo qui? Una giovincella che si aggira da sola di notte: nessuno ti ha avvertito dei pericoli della foresta, insulsa umana?»
La ragazza alzò lo sguardo verso la sagoma scura che era appena emersa dagli alberi e in quel momento maledisse la bestia che l'aveva inseguita al tramonto ma non l'aveva sbranata.
Bisogna alzarsi, fuggire: quello è...
La diciassettenne si lasciò sfuggire un singhiozzo. Oh, lei sapeva benissimo cosa quella creatura fosse: lo aveva capito fin dall'istante in cui le tenebre che ricoprivano quel corpo scheletrico non si erano diradate una volta colpite dai raggi dalla luna. Si era spaventata alla sola vista del disegno trovato nel libro misterioso della biblioteca, eppure neppure quei disegni troppo realistici avrebbero mai potuto prepararla a ciò che ora aveva di fronte. Brandelli di pura oscurità, ondeggianti come strisce di stoffa immerse in un ruscello irrequieto, pendevano dalle spalle e dalla vita in una rivoltante imitazione di una tunica stracciata. Le dita tese bramose verso il suo cuore frenetico invece erano un incrocio tra delle falangi carbonizzate e degli artigli rapaci, mentre gli occhi erano semplicemente braci sanguigne incastonate nelle orbite vuote di un teschio spolpato.
«Spettro», riuscì a mormorare con il fiato spezzato dal dolore e dal terrore.
Quello socchiuse la bocca ornata da aguzzi denti triangolari nell'espressione più simile a un ghigno che l'assenza di labbra poteva permettere. «La piccola dinas affaroniana conosce la mia natura, chi l'avrebbe previsto?»
Lo spirito dannato mosse un polso, ornato da una fascia argentata su cui era incastonata una piccola gemma opaca. Kala non fece in tempo a sbattere le palpebre che fasce di pietra le intrappolarono mani e gambe, mentre il legno dell'albero ondeggiò con fastidiosi scricchiolii, cingendole il busto in uno stritolante abbraccio. «No!» ululò, cercando di inarcare la schiena e torcere gli arti per liberarsi, ma l'unica cosa che ottenne fu una stridente risata di scherno. Smise di ribellarsi: cosa poteva fare lei, in fondo?
Arrendersi ora è arrendersi per sempre!
«È inutile provarci: sei impotente, e lo sai.»
La giovane trovò ironico e terrificante che solo in quel momento, immobilizzata dai poteri della creatura e mezza annegata dal panico, nei suoi pensieri emerse ciò che prima non era riuscita a ricordare sull'opale. Si diceva che portasse fortuna a coloro che ne erano degni, mentre agli altri che osavano indossarlo non attirava che terribili catastrofi. Mugolò quando la frustata di un ramo acuminato le riaprì la ferita che aveva sulla guancia e sentì colare sulla pelle un nuovo rivolo si sangue.
Una goccia di quel liquido carminio volteggiò in aria fino al dito artigliato dello Spettro, il quale ci giocherellò incantato. «Non è incredibile come qualcosa di così banale possa essere simbolo stesso della vita?» rifletté, prima di far scivolare in gola quella perla rossastra.
La ragazza cercò di rannicchiarsi su sé stessa, il petto scosso da una nuova ondata di tremiti e di gelo. Non aveva altra garanzia se non la calma dell'avversario, il quale non sembrava aver udito nulla, che l'assordate ruggito che le aveva appena fatto rizzare i capelli sulla nuca fosse stato solo opera della sua mente.
«Bene,» quello si rivolse nuovamente a lei, scrutandola con gli occhi fiammeggianti, «è tempo di chiudere definitivamente questa faccenda.» Tese il braccio e la pietra incastonata sulla polsiera mandò un tetro bagliore, poi esplose in mille frammenti. Si ricompose meno di un battito di cuore più tardi, trasformata in una lancia a due punte.
La vista di quell'arma ebbe l'effetto di una catinella d'acqua fredda sulla diciassettenne, la quale riprese a dimenarsi con foga. Lei non voleva morire, non voleva! Avrebbe piuttosto sopportato qualsiasi dolore atroce; anzi lo avrebbe ringraziato, perché finché avesse sofferto avrebbe avuto la certezza di non essere ancora caduta tra le grinfie di Dabih. Sentire la pelle sfregarsi e sbucciarsi contro la roccia che le imprigionava gli arti, il vento ghiacciato morderle il viso, il cuore tamburellare contro il suo petto talmente forte da sfondarlo: si aggrappava a tutto quello come un uomo trascinato da una valanga a uno spuntone di roccia.
Non opporre resistenza.
Lo sguardo ghiacciato dardeggiò verso la lama scheggiata che si avvicinava ogni istante di più. Inevitabile, mortale, ineluttabile. Eppure, invece di abbandonarsi e singhiozzare in silenzio, Kala infuse più vigore nel suo contorcersi simile a quello di una lepre presa al cappio.
Non opporne.
No, lei non l'avrebbe mai fatto! L'unica cosa che bramava era riuscire a vivere ancora un altro giorno.
Infatti: non resistere.
Perché avrebbe dovuto?
Un atto di fiducia.
La giovane guardò impotente lo Spettro che ormai la sovrastava sollevare lentamente il braccio, preparandosi a trapassarle la gola. Lacrime silenziose le offuscavano la vista, eppure la punta della lancia che stava per farla precipitare tra le braccia dell'Oscuro era nitida quanto le pupille sanguigne della creatura.
Un atto di fiducia, si ripeté, mentre l'immagine di un gioco che faceva con sua sorella da bambina si intrometteva tra tutti gli altri ricordi che avevano cominciato ad affollarle i pensieri. Aryane cadeva verso di lei dandole la schiena, e lei ogni volta la afferrava prima che toccasse terra. E così decise: rilassò i muscoli e lasciò scappare dalle labbra livide l'ultimo respiro, permettendo anche alla propria mente di sciogliersi come cera. Si era appena gettata all'indietro e sperò che alle sue spalle ci fosse qualcuno abbastanza forte da sostenerla. O anche semplicemente qualcuno.
In quell'istante un gelo mortale si insinuò nel ciondolo, accumulandosi come una rabbiosa nuvola in tempesta, poi si riversò dentro di lei. La ragazza sgranò gli occhi di ghiaccio ed esplose in un urlo disperato, mentre il suo corpo avvampava in un rogo di fiamme bianche.
Hey, cosa sono quelle facce? Perplessi, preoccupati, intrigati? Eppure ve l'avevo detto che la quiete era ormai finita 😈
Dunque, ora ho deciso di tenere il commento breve e...
*aspetta*
*si guarda intorno*
E a quanto pare sono stata lasciata da sola a farlo. 😑 Comunque, alzi la mano chi crede che l'opale che si è incastrato nell'amuleto di Kala abbia un ruolo importante nella trama.
Bene. La verità è ora mi muovo un po' in un campo minato di spoilers, per cui non so cosa dire. La scena iniziale verrà spiegata più avanti, la pietra bianca verrà spiegata più avanti, l'epilogo con lo Spettro verrà svelato nella prossima parte di capitolo... vedete dove voglio andare a parare?
Question time: chi è la creatura misteriosa che abbiamo incontrato a inizio capitolo? E perché ha dato a Kala la gemma?
Ps: la superstizione sull'opale non me la sono inventata. Si dice infatti che indossare un ciondolo con quella pietra, se non è una di quelle legate al tuo segno zodiacale, porti grande sfortuna. E io sono Toro, per cui le mie pietre sono smeraldo, quarzo rosa e opale 😎
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