V - Segreti d'inchiostro (pt.1)
Nel buio della tenda, appena diradato dall'alone aranciato di una fiamma, il leggero raschiare della penna d'aquila sulla pergamena era l'unico suono che poteva essere colto da orecchio umano. La punta grondante d'inchiostro pareva danzare sulle pagine aperte del libro, tracciando sentieri scuri e saltando di tanto in tanto verso il calamaio. A condurre quei movimenti, a tratti morbidi ed armoniosi, a tratti secchi e spietati, erano delle dita marchiate da calli dovuti all'uso quotidiano di una spada.
Con la mano libera, l'uomo tirò indietro le ciocche aggrovigliate che minacciavano di scivolare davanti agli occhi. Molti avrebbero definito i suoi capelli rossi, e non avrebbero avuto neppure torto, ma chi avesse ascoltato si sarebbe immaginato qualcosa di diverso dalla realtà. La sua capigliatura, infatti, non era né di rame, né di fuoco, né di qualsiasi altra sfumatura che sarebbe comunemente venuta in mente. Da ragazzo aveva scherzato su quel colore, troppo chiaro per essere nero ma troppo scuro per risultare fulvo, paragonandolo al sangue appena versato; ora sapeva quanto quella similitudine fosse vera.
Dopo un paio di ultimi scatti del polso, posò la penna sul tavolino inclinato e osservò quello che aveva appena terminato. Disegni e scritte si intrecciavano fluidamente, servendo l'uno come spiegazione dell'altro. Controllò gli appunti senza intingere nuovamente la punta nel calamaio, confidente che non ci fossero errori: sapeva già che gli schizzi erano corretti.
Mentre soffiava sulla pergamena per far asciugare l'inchiostro, si rese conto che tutti i fogli che aveva riempito quella sera e le notte precedenti - e che avrebbe riempito nei giorni venturi - sarebbero serviti a lui e a lui soltanto. Alla fine, è la cosa migliore. Fece scivolare una foglia essiccata tra le pagine aperte. Preferisco che nessuno in grado di capirlo legga questo grimor.
Chiuse il volume con forza, quasi ferocia, e si alzò dallo sgabello, ma la sua mano rimase appoggiata alla copertina in cuoio. Alcune cose dovrebbero rimanere nascoste, ma non lo fanno. La paura nei loro occhi, il timore e il disgusto con cui mi guardano...
La sua attenzione cadde sulle due iniziali argentate che brillavano sul margine inferiore: A.W. Un tempo quelle lettere significavano poco; ora troppo. Un giorno, forse, sarebbero state solo le guardiane di un segreto d'inchiostro.
Tese la mano. La sfera di fuoco che rischiarava l'ambiente si posò sul suo palmo teso e lì continuò a danzare, ipnotica. L'uomo osservò per qualche istante i guizzi delle fiamme, rivedendo in esse i tetti della città in cui era cresciuto sbriciolarsi nel fumo e nelle scintille ardenti, poi serrò il pugno. Da quel momento, ci fu solo tenebra.
«Te l'ho già detto, sorellina», sbadigliò Kala stiracchiando le braccia verso l'alto. Strascicando un po' i piedi, si avvicinò al tavolo che separava il suo letto da quello della quindicenne e su cui era posata una bacinella colma d'acqua. Sfiorò con un dito la superficie limpida del liquido. Fredda. «Non ho idea di dove sia il tuo nastro preferito.»
Aryane, già vestita con abito color sabbia e una mantellina di lana scura, sbuffò platealmente. «Ero sicura di averlo messo qui», picchiettò con l'unghia il portagioie posato sul materasso.
«Forse la scorsa sera ti sei dimenticata di... cosa stai facendo?»
La ragazzina lasciò cadere la ciocca che aveva sollevato dalla chioma ingarbugliata della sorella. «Volevo controllare che non fosse stato rapito dei tuoi capelli. Scommetto che un giorno in questa matassa troverò un drago intero», ghignò. Smise di giocare ridacchiando con i ricci fulvi solo quando uno schizzo d'acqua gelida le arrivò in faccia. «Non è divertente! Se mi fossi bagnata i vestiti?»
«Puoi cambiarli», replicò la giovane, strofinandosi gli occhi e trattenendo a stento un altro sbadiglio. «Non avevi un nastro da trovare?» aggiunse prima che la sorellina potesse iniziare a discutere con fervore di colori e materiali. Era convinta che la ragazzina bionda avrebbe dovuto lavorare come sarta raggiunta la maggiore età, e non nell'erboristeria, se prima avesse imparato a prendere più cose sul serio.
Con una sonora linguaccia, Aryane tornò a concentrarsi sulla scatolina intagliata. «Dove sei, dove sei?» canticchiò mentre scuoteva il portagioie.
Kala si sforzò di ignorare la scena degna di un saltimbanco che si stava svolgendo di fianco a lei e si affacciò sulla bacinella. Con le mani unite a coppa, si sciacquò il viso e il collo, sbattendo i denti mentre il freddo penetrava sottopelle e rimuoveva ogni residuo di sonno rimasto. Quando aprì gli occhi, dopo essersi asciugata con uno straccio posto di fianco alla catinella, la superficie limpida le mostrò il suo riflesso, appena turbato da qualche increspatura.
Fu solo per caso che la ragazza notò qualcosa di diverso dal solito nell'immagine tremula. Inclinò il busto in avanti, avvicinando il volto all'acqua e scostando leggermente la camicia color burro che le copriva le braccia e il petto. Con un dito sfiorò il neo scuro che aveva sulla clavicola sinistra. Negli ultimi giorni era stata troppo occupata dalle sue preoccupazioni per accorgersene, ma ora si rese che la macchiolina, da sempre un piccolo cerchio perfetto, aveva iniziato a frastagliarsi come una goccia d'inchiostro lasciata cadere nell'acqua. Non se ne preoccupò tanto, pensando che si stesse ingrandendo: sapeva che a volte poteva succedere.
Un breve e improvviso scroscio fece capire alla diciassettenne che la sorella aveva rovesciato il contenuto del cofanetto sul pavimento; l'imprecazione e lo sbuffo le svelarono invece che il nastro non era ancora stato trovato.
«Hai provato a cercare nell'armadio?» Kala rivolse la schiena alla quindicenne e cominciò a sfilarsi la parte superiore della camicia da notte.
L'altra bofonchiò una risposta positiva, poi si precipitò verso il guardaroba e spalancò le ante con la delicatezza di una valanga. «Un giorno dovrai lasciare che ti scelga io gli abiti, per evitare gli accostamenti di colore che fai tu», annunciò, rovistando tra gli indumenti.
«Alla mia morte, sorellina.» All'ultima sillaba sgranò gli occhi e si morse un labbro talmente forte da farlo sanguinare, ma ormai aveva già finito di parlare. È solo un modo di dire, cercò di calmarsi. Non intendevo... oh, dei! Inconsciamente, fece scorrere le dita verso il petto e strinse il ciondolo che aveva al collo. Appena si rese conto di quello che stava facendo, spalancò il palmo e lo allontanò con una smorfia di ribrezzo in volto. Sua madre aveva ragione: dopo quasi una settimana di convivenza forzata con quell'amuleto, si stava abituando a sentire la fredda superficie lavorata al contatto della sua pelle nuda. Non vedo l'ora di poterlo rimettere nella saccoccia e chiuderlo per sempre da qualche parte. Anzi, se potessi aprirei un varco per il regno di Dabih e ce lo getterei dentro senza problemi. Se solo ci fosse un gioiello di ferro tra quelli di bronzo e rame che abbiamo, potrei già farlo ora! Maledetti i Wiht, se è di loro che si tratt...
Quasi urlò quando una sagoma scura e informe volò sopra la sua testa e le sfiorò i capelli ancora aggrovigliati. Solo quando la cosa fu atterrata sul suo letto, la giovane si rese conto che ciò che credeva ali o arti erano in realtà i lembi di una gonna marroncina e le stringhe di un corsetto della stessa tonalità.
«Aryane!» si voltò verso la sorella, incrociando le braccia davanti al petto scoperto.
Sul volto della ragazzina apparve un sorriso che tentava di apparire innocente. «Tranquilla, sono i vestiti che avevi già scelto ieri sera. Più un mio tocco personale contro il freddo», ammiccò. «Sbrigati a indossarli, che ho fame!»
Kala si affrettò a sfilarsi la camicia e a mettersi gli indumenti caldi, mentre la quindicenne continuava a mettere a soqquadro ogni cosa che reputava un possibile nascondiglio per il suo adorato nastro. Fu solo quando ebbe finito di districare la chioma fulva con un pettine d'osso - un lavoro che richiedeva più tempo di qualsiasi altro, data la natura selvaggia dei suoi ricci - che udì l'ululato vittorioso di Aryane, mentre brandiva una lunga striscia di stoffa tinta con tutte le sfumature dell'alba.
Finirono insieme di acconciarsi i capelli, poi scesero le scale che portavano in cucina, dove la madre aveva lasciato loro la colazione sul tavolo. La quindicenne si gettò felice sui biscotti, riempiendosi le mani quanto la bocca, ma Kala non iniziò subito a mangiare. Si diresse invece verso l'angolo più freddo della stanza - evitando accuratamente la parete dove c'era la nicchia per le statue e facendo dardeggiare lo sguardo inquieto verso due divinità in particolare - e prese la brocca di latte comprata il giorno prima. Versò il liquido biancastro in una ciotola che tenevano sempre sul pavimento per Tebas, prima di riempire la sua tazza fino all'orlo e afferrare una fetta di pane.
Durante il pasto fu principalmente la ragazzina bionda a parlare, scherzando di tanto in tanto sulle tracce bianche lasciate dalla bevanda sulle labbra della sorella maggiore. «Sembrano i baffi del nonno», sosteneva ridendo. La diciassettenne provò una segreta soddisfazione quando, dopo aver ricordato alla sorella che era il suo turno di lavare i piatti e di mettere a posto, vide il sorriso burlone venir sostituito da un broncio.
Mentre Aryane accatastava i piatti in un catino d'acqua e cercava di convincere Tebas che la carne secca era migliore dei topi che cacciava lui, Kala si dileguò attraverso la porta che portava al retrobottega per raggiungere la madre nel negozio.
Una volta entrata nell'erboristeria inspirò a fondo, esplorando gli aromi speziati che si intrecciavano nell'aria, pungendole con prepotenza il naso. La stanza era grande circa quanto la cucina, ma la maggioranza dello spazio era occupata da barattoli, mortai, erbe e radici poggiate su dei ripiani o appese alle travi del soffitto. Se non avesse avuto paura di dire una blasfemia, avrebbe paragonato quel luogo all'antro di una maga, invaso dagli ingredienti necessari a preparare misteriose pozioni. Tuttavia sua madre aiutava le persone, al contrario della maggior parte degli stregoni. Pensando a quello, la ragazza rabbrividì: non riusciva a capacitarsi che ci fossero persone in grado di rinnegare gli dei di Mag Mell e stringere uno scellerato patto con Minhar, pur di ottenere quei poteri arcani. Eppure, aveva sentito gli aruspici mettere in guardia contro quei servi dell'Ingannatore fin da quando era piccola: la realtà era diversa dalle leggende, e gli incantatori benigni non erano che un pugno di terra fertile in un campo arido. La giovane scosse appena la testa per allontanare quello sciame di riflessioni e si concentrò invece sulle fragranze naturali che aleggiavano attorno a lei. Nessun incantesimo in quel luogo: solo l'affascinante mondo delle piante e delle erbe officinali.
Isabhel era seduta al bancone, intenta a sminuzzare alcune foglie con un pestello. Non appena si accorse che la figlia era entrata, interruppe il suo lavoro e la salutò con un sorriso sulle labbra ma con la fronte corrugata.
«Non ho fatto nessun sogno strano questa notte», Kala anticipò la domanda mentre indossava un corto grembiule macchiato di tintura e clorofilla. «E non è successo nulla di insolito, se vogliamo escludere il fatto che oggi Aryane non mi ha urlato nelle orecchie per svegliarmi. Cosa devo fare?»
«Abbiamo quasi finito il composto antinfiammatorio alla verbena: potresti iniziare a preparare quello», suggerì passandole una ciotola in legno vuota. «Sei assolutamente sicura, nulla di sospetto? Neppure un'ombra particolare o un suon...»
«No.» Anche se per un attimo ho scambiato i vestiti lanciati da mia sorella per una creatura mostruosa, aggiunse tra sé, non ritenendo necessario esprimere il pensiero ad alta voce. «Madre, per quanto tempo ancora?» domandò supplicante indicando il ciondolo a forma di testa di gatto nascosto sotto il corsetto.
La donna scosse la testa. «Non lo so neppure io, Kala. Tuttavia, alla luce di quanto mi hai detto la sera del Giorno di Dabih, è meglio che continui a indossarla.»
«Il ferro allontana i Wiht», sbottò a mezza voce la ragazza. Non sapeva rimproverarsi abbastanza per non aver svelato subito alla madre che il ciondolo era appeso alle due statuette, per paura e ribrezzo di quello che esso rappresentava. Ora, pagava le conseguenze di quell'omissione. «Come un altro metallo.»
«Figlia, ne abbiamo già parlato: ti proibisco di passare le giornate con delle monete d'argento legate ai polsi.»
«Ma, madre, potrebbe funzionare! Non sarei più costretta a indossare questo maledett...»
«Kala!»
La giovane si morse un labbro per trattenere gli altri epiteti - assai più scandaloso - con cui avrebbe volentieri definito l'amuleto e iniziò a pestare i fiorellini bianchi che aveva prelevato da un barattolo alle sue spalle. A ogni colpo scaricava la sua irritazione e le sue paure, schiacciando i petali secchi con più forza di quanto fosse realmente necessaria. «Per quanto riguarda An, invece?»
Isabhel smise di lavorare e si voltò verso la figlia, le mani intrecciate in grembo. «Stanno tutti cercando di decifrare la profezia degli aruspici e, nonostante le teorie assurde di alcuni, non ho mai sentito pronunciare una sola volta il suo nome.» Sospirò. «Kala, sei veramente convinta che An sia l'inganno preannunciato? Non credi che forse tutto quello che ti ha spinto a dubitare di lei, dal suo colore degli occhi alle... visioni che hai avuto, fosse opera di un Wiht?»
La ragazza non fece in tempo a rispondere che la porta del retrobottega si spalancò per lasciare entrare una quindicenne bionda ed esuberante. Scosse solo velocemente la testa in segno di diniego, poi tornò a lavorare: sua sorella non sapeva nulla e voleva che rimanesse così.
Per il resto della mattinata, la giovane si occupò di pestare, sminuzzare e mescolare ingredienti, mentre la madre parlava con i clienti e la sorella correva per le strade della città, occupandosi delle consegne. Poco prima dell'ora di pranzo, in un momento in cui non c'era nessun acquirente, Isabhel si assentò per qualche minuto prima di tornare con una tracolla ricamata e una roncola.
«Bisogna andare a cogliere delle erbe?», le si avvicinò Kala, gli occhi luccicanti di gioia e nostalgia al pensiero delle fronde ombrose della foresta.
La donna pulì la lama di bronzo con un panno e annuì. «Alcune scorte stanno scarseggiando, come quelle di camomilla e felce. Oggi è il periodo migliore per la raccolta: questa notte ci sarà la luna piena.» Si avvolse un mantello invernale sulle spalle. «L'erboristeria è nelle tue mani, questo pomeriggio.»
La diciassettenne si sentì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo sulla guancia. «Eravamo d'accordo che sarebbe stato compito mio.»
«Preferisco che tu rimanga qui al sicuro», cercò di calmarla quella, sapendo che non c'era bisogno di un'altra spiegazione. «Almeno per il momento. Poi, questa primavera forse...»
«Madre, sono rimasta segregata in casa per quasi una settimana!» esclamò la ragazza, riversando in ogni sillaba la soffocante percezione di chiuso che si era accumulata quei giorni. Non riusciva più a sopportare le stanze dalle mura di pietra, dove solo aprendo una finestra poteva sentire il vento che scendeva dai ghiacciai. Bramava quel tocco freddo sul volto come un lupo affamato brama una vittima in cui affondare le zanne e il pensiero di non riuscire a recarsi nella foresta prima della bella stagione l'atterriva come l'immagine di una cella piccola e buia.
«No, Kala», la donna si oppose fermamente. «I Wiht sono spiriti della natura, per cui se veramente hanno deciso di tormentarti, andare tra gli alberi è la cosa peggiore che potresti fare.»
«Il ferro li allontana sempre, indipendentemente dall'ambiente, e questa collana sembra funzionare!» protestò, artigliando il ciondolo attraverso i vestiti. Deglutì, poi aggiunse con voce incerta: «Inoltre, se non fosse colpa dei Wiht?» L'aveva fatto: aveva appena confessato il timore che non aveva neppure osato ripetere a sé stessa.
«Non possiamo saperlo», la donna si rabbuiò. Sapevano entrambe cosa quella possibilità implicava: Kala avrebbe potuto non essere al sicuro neppure in una casa con argento e ferro a ogni parete. «Né possiamo chiedere il parere degli aruspici, ora che molte comari cercano solo qualcuno contro cui puntare il dito.»
Eppure, nessuno sembra mai considerare An, pensò amaramente. «I sacerdoti non sono gli unici a conoscere gli dei e gli spiriti: c'è qualcun altro che potrebbe trovare una risposta», azzardò. Ci aveva riflettuto quella notte, nel momento nebuloso in cui la veglia incontra il sonno, e ora sapeva che era la carta corretta da giocare.«Come ama ricordare lui stesso, "l'inchiostro ha più memoria di qualsiasi mente scalmanata".»
Muah ah ah! Speravate di rivedere Mik in questo primo tempo? E invece no! 😈 Dovrete aspettare la seconda parte😈😈😈
Queste emoticons potrebbero inquietare alcuni lettori.
Lo so! 😝 Io vivo per questo.
Riguardo al primo paragrafo (il flashback, per intenderci), avete notato il collegamento con il capitolo precedente? È solo un piccolo dettaglio fisico di colore, ma potrebbe avere una rilevanza maggiore di quanto sembri.
Like you have no idea. Inoltre, non dimenticatevi le due iniziali: A.W. Se sbirciate nell'immagine dei media, potreste avere qualche dubbio sul perché.
Niente anticipazioni, my dear! I lettori dovranno aspettare la fine del capitolo.
Inoltre, scusate il salto temporale di una settimana circa, ma nonostante i due o tre tentativi di scrivere il dialogo tra Kala e la madre in cui la ragazza confessa (quasi) tutto non ero ancora soddisfatta del risultato.
Devi lavorare di più sui dialoghi e lo sai.
Eh, mi sto impegnando. Così come ho fatto (con il salto temporale), tuttavia, riesco:
a. A far torturare ancora un po' Kala da Aryane.
Piccola vendetta per il cenone di Capodanno?
b. Introdurre la questione del neo che si sta frastagliando.
c. Spiegare qualche credenza sulla magia prima che arrivi Mik
d. Dire che quella notte c'è la luna piena 😌
Ora qualcuno dirà "Lupo Mannaro", me lo sento 😑
Inutile dire che i punti b. c. e d. potrebbero essere collegati in qualche modo.
Inutile, concordo. Tu colleghi sempre tutto, peggio di Lha...
E sta' zitto! Non ho l'ho ancora introdotto, lui.
Question time: credete che tutto quello che è successo a Kala sia veramente l'opera di un Wiht? Oppure è colpa di qualcosa/qualcun altro?
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