IV - Gatti e crisantemi (pt.2)
Il vento scompigliava le foglie raccolte ai lati dei ciottolati che si diramavano con l'agilità di un serpente tra le tombe. Il cimitero, grande due volte la piazza di Vahrel, era protetto da un muro alto quanto un uomo e ornato da bassorilievi di dei ed eroi. C'erano due entrate protette da cancelli di ferro battuto: quella più grande era rivolta verso i bastioni della cittadina che svettavano oltre qualche campicello coltivato, distanti meno di quattro giri di clessidra a piedi; la più piccola si apriva invece direttamente sul tempio degli dei. L'edificio aveva forma circolare, assai insolita per l'architettura della valle, ed era decorato con qualche tocco di marmo e d'oro, doni effettuati dalle famiglie più abbienti nel corso dei secoli.
Kala si inginocchiò davanti a una lapide. Come la maggior parte dei suoi compaesani, alla fine della cerimonia in onore del sovrano dell'Oltretomba era rimasta in quel luogo sacro quanto tetro per portare offerte ai sepolcri dei cari defunti. La ragazza stringeva tra le mani una corona funebre che aveva costruito lei stessa nel corso delle ultime settimane, quando non era occupata a imparare a gestire l'erboristeria. Ciascuno dei tre elementi utilizzati aveva un significato: le foglie bronzee erano la foresta, le piume di fagiano la caccia, i crisantemi infine simboleggiavano l'autunno o la morte.
La ragazza non era stata la prima a visitare quella tomba: già altri due oggetti giacevano appoggiati alla lastra, e Kala non ebbe alcuna difficoltà a capire che erano stati creati dalla sorella e dalla madre. Il suo sguardo chiaro si posò sulla superficie grigia, i cui bordi ancora integri svelavano che era stata collocata lì da poco. Le incisioni che la percorrevano raffiguravano un volto maschile, una preghiera agli dei e infine un nome: Teucer Dileas.
«Puoi ascoltarmi, vero?», mormorò alla pietra, dopo aver messo il proprio dono vicino agli altri. «Anche se non sei qui. Non veramente», premette la mano sul terreno. Si era sempre comportata come se i resti del padre si trovassero realmente sepolti sotto la lapide, tuttavia ogni volta che udiva le fronde della vicina foresta stormire, la realtà si incuneava con violenza nei suoi pensieri. I muscoli si tesero sotto la pelle arrossata dal freddo, mentre la giovane digrignava i denti. Non c'era stata pira funebre per il corpo di Teucer, né la benedizione di un'urna destinata a contenerne le ceneri. Il cacciatore, un giorno di gennaio di due anni prima, era morto per mano delle creature che non aveva mai temuto: i lupi. Quelle fiere voraci non avevano lasciato nulla di lui, tranne qualche brandello di stoffa ingarbugliata nei rimasugli di carne e undici frecce spezzate. La ragazza, che aveva non aveva mai amato cani e i loro cugini selvatici, da quel giorno aveva imparato ad odiare anche il semplice suono di un latrato o di un ululato.
Il volto della giovane si contrasse in una smorfia nel tentativo di reprimere le lacrime. Strizzò le palpebre e inspirò profondamente, cercando di calmare i singulti che le interrompevano il fiato. «Vorrei chiederti come stai, ma mi pare inutile: in fondo, queste conversazioni sono molto unilaterali.» Si asciugò gli occhi con la manica dell'abito e cominciò a raccontare quello che era successo negli ultimi mesi, soffermandosi in particolare sulla sera di Samahian e la breve discussione di quella mattina con la madre. «Forse anche voi cercate di comunicare,» rifletté quando ebbe finito di confidarsi, «ma noi vivi non riusciamo a sentirvi. Cosa mi diresti ora, padre?»
Un corvo sorvolò gracchiando il campo di lapidi. Kala alzò lo sguardo al cielo nuvoloso e non poté fare a meno di riportare alla mente la storia di come l'animale fosse stato scelto dall'Oscuro per essere il suo messaggero. Era tutta colpa di un tradimento e di un fuoco che aveva annerito le piume della creatura, o così si ricordava. Prima egli era bianco come la neve ed era uno dei valletti della sovrana dei venti, Ankaa. Un giorno aveva incontrato Minhar il quale, sfruttando l'indole maliziosa dell'uccello, lo aveva convinto essere suo complice nell'ennesima frode. Grazie all'aiuto del nuovo alleato, l'Ingannatore era riuscito a intrufolarsi nelle camere della dea assumendo le finte sembianze del marito. Era da quell'unione che era nato il governante dell'oltretomba, astuto e crudele come il padre ma sfuggente come la madre. Nella leggenda, rifletté la ragazza, nessuno veniva veramente punito: perfino il corvo, condannato al rogo per il misfatto, si era infine salvato stipulando un contratto eterno con Dabih.
La giovane scosse la testa e si rivolse nuovamente alla lapide: «Mi piacerebbe sapere cos'hai pensato quando hai trovato qualcosa di completamente diverso dal daino che stavi cacciando nella foresta.» Accarezzò i bordi della pietra con aria assente. Non aveva mai posto quella domanda per timore della risposta e, ora che non aveva più modo di conoscere la verità, scopriva di voler sapere. Diciassette anni prima il cacciatore aveva trovato una neonata sotto una roccia, coperta da qualche straccio e con al collo un ciondolo, ai primi chiarori dell'alba. «Non hai avuto paura che fossi in qualche modo collegata con la morte, come l'animale che è appena passato sopra di noi? Era il giorno di Dabih, dopotutto.»
Un refolo di vento le sfiorò la spalla e il collo, tirandole con delicatezza un riccio che si era ribellato al resto dell'acconciatura. Alle sue orecchie giunse il suono ovattato dalla distanza delle campane che annunciavano l'inizio dell'ultima ora prima della sera. La ragazza si alzò allora in piedi, scuotendo la gonna per togliere le tracce di terra e di foglie marce. «Ora devo andare, padre. Prometto che non farò passare troppo tempo prima di tornare a trovarti.»
La diciassettenne si allontanò senza guardarsi indietro e solo quando ebbe percorso metà della strada collegava il cimitero alla Porta Est della città, si rese conto del significato ambiguo delle sue stesse parole. Mentre rallentava momentaneamente il passo, inquietata da quel pensiero, udì in lontananza il gracchiare di un corvo. Rabbrividì: per un attimo, tra i versi aspri e gli schiocchi, le era parso di distinguere una soffice risata femminile.
*
La porta si aprì scricchiolando e Kala entrò in cucina. Il fuoco del camino donava un piacevole tepore all'aria, costringendo la ragazza a togliersi la mantella che l'aveva riparata dalle folate gelide che si erano levate poco dopo aver lasciato il cimitero. Era arrivata a casa prima della madre e della sorella per avere un po' di tempo prima della discussione che l'attendeva con Isabhel. La donna, pur avendola già rimproverata per la menzogna di quella mattina, le aveva infatti concesso solo fino a sera prima di affrontare l'argomento.
Si abbandonò su una sedia, affondando il volto nelle mani. "Il verdetto dei sacerdoti non andrebbe mai sottovalutato", sussurrava la voce della madre, seguita da quella dell'aruspice: "Il dolore attende chi ha già sofferto e un inganno serpeggiante tra le mura rivelerà la sua vera identità."
Non è possibile che io scorga gli occhi di An di un colore diverso. Per quanto frugasse nei propri ricordi, tuttavia, il verde che tutti dicevano di scorgere non appariva mai. Dei, tra il mal di testa e questo non so più cosa pensare. Un Wiht mi sta conducendo sui primi passi della pazzia? No, so quello che ho visto. Alnilam e Saiph, io lo so!
Un miagolio fece alzare il capo a Kala. «Tebas?», lo cercò con lo sguardo senza successo. Al secondo richiamo, la ragazza scattò in piedi e girò attorno al tavolo. Trovò il gatto accovacciato per terra, vicino ai resti del vasetto che era servito a contenere il crisantemo. «Tebas, cos'hai fatto?», gemette mentre raccoglieva la corolla sgualcita del fiore arancio.
Con la coda oscillante l'animale sfiorò i cocci di vetro, poi si alzò con le orecchie appiattite, soffiando e inarcando la schiena. La giovane guardò nella direzione indicata dagli occhi del gatto e scorse solo la nicchia nel muro che conteneva le statue degli dei.
«Non c'è nessun pericolo», mormorò, allungando cautamente la mano. Quel gesto aveva sempre avuto il potere di calmare il felino, anche in situazioni estreme come dopo uno scontro con un cane. Tebas tuttavia, invece di abbassare il pelo e leccare le dita tese com'era solito fare, alzò una zampa e per poco non graffiò la giovane. Ignorando l'esclamazione sorpresa e il rimprovero della padrona, assunse una posizione di attacco e fece sfuggire dalla gola un ringhio basso. Poi scattò in avanti.
Fu con espressione esterrefatta che Kala vide il gatto correre verso la parete e saltare con gli artigli sfoderati. La diciassettenne balzò in piedi mentre scorgeva quello che era sfuggito alla sua prima occhiata: uno scintillio si nascondeva tra le figure di creta, quasi invisibile nella penombra. Si avvicinò, un passo alla volta, fino a distinguere un laccio di cuoio da cui pendeva una piccola forma metallica. La ragazza sussultò di sorpresa: le era impossibile non riconoscere quel ciondolo, modellato in modo da ritrarre il muso di un felino dalle fauci socchiuse.
Non avrebbe dovuto essere lì. Da quando le era stata affidata, aveva sempre tenuto quella collana nel fondo del proprio portagioie, rifiutandosi di indossarla o perfino di tirarla fuori dalla saccoccia in cui era custodita. In quel modo sperava di cancellare il significato che portava con sé, tuttavia a volte si sorprendeva a scrutare quel cofanetto in legno e a interrogarsi sul passato di quell'amuleto. In quei rari momenti scopriva con sgomento di voler conoscerne la storia, il precedente possessore e, sopra ogni altra cosa, perché era legato attorno al suo collo quando il padre l'aveva trovata nel bosco. Poi, il ribrezzo per quella sciagurata che l'aveva messa al mondo - si rifiutava di chiamarla madre: Isabhel e Teucer erano i suoi genitori, per Mag Mell! - cancellava quello stupido desiderio e il pezzo di metallo finiva puntualmente scagliato nel punto più lontano della stanza.
Mentre il gatto rilassava i muscoli e iniziava a lisciarsi il pelo, Kala protese con odio la mano la collana. Ora torni nel portagioie, inutile pezzo di ferro. Per tutti gli dei, non so perché non ti abbia già gettato in qualche fiume! Un basso miagolio le fece distogliere l'attenzione dall'odiato amuleto, permettendole di vedere come se fosse la prima volte le statuette attorno a cui il gioiello era stato legato.Una delle due figure di creta aveva un elmo che assomigliava a un teschio e un uccello appollaiato sullo scettro d'ossa, l'altra indossava una maschera e dall'orlo del mantello uscivano tentacoli di nebbia. L'arto della giovane fu scosso da un tremito. Quelli non erano degli dei qualunque: erano figlio e padre, morte e menzogna, l'Oscuro e l'Ingannatore. Dabih e Minhar.
Nonostante il calore emanato dal camino, la ragazza si sentì intrappolata in una cappa di gelo, come se davanti a lei ci fosse una finestra spalancata in pieno inverno. Mentre ritraeva il braccio, percepì qualcosa toccarle la caviglia e abbassò lo sguardo. Tebas stava strusciando il capo contro i suoi stivaletti di cuoio, emettendo un basso ronzio di fusa. Pur istigando numerose domande sul cambiamento improvviso di atteggiamento, quel sono familiare infuse calda sicurezza nella giovane.
Inspirando a fondo, Kala fece scivolare le dita nella nicchia della parete. Erano solo due statuette di creta: non significavano nulla. Nulla! Dopo aver rinchiuso quel disgustoso ciondolo nel portagioie, avrebbe dimenticato la faccenda. Non le importava chi era il colpevole di quello scherzo di cattivo gusto - perché era uno scherzo: nessun dio, Wiht o spiritello ci aveva messo lo zampino! - né per quale motivo l'aveva fatto. Non è mai successo nulla, si ripeté, mentre con i polpastrelli sfiorava l'amuleto con stizza e disgusto, come se avesse dovuto raccogliere a mani nude del letame.
In un istante fu cosciente di dettagli che le erano sfuggiti fino ad allora: il debole odore di foresta e di fumo che aleggiava nell'aria, il tepore del metallo sulla pelle, un luccichio evanescente tra le ombre della nicchia, dei sussurri che le accarezzavano le orecchie, delle dita gelate che parevano insinuarsi nella sua nuca. Un dolore improvviso esplose dietro la fronte, poi vide il buio.
Lampo
Muah ah ah!
Risata malvagia: sempre un grande modo per iniziare uno spazio autrice.
Sei ironico, per caso?
Non hai bisogno che ti risponda, visto che i-
*gli tappa la bocca* Non date retta a questa mia vocina, ok? O meglio... non ancora. Comunque, cosa ne pensate di questo secondo tempo? Vi dico solo che c'è più di quanto ne incontra a prima vista l'occhio.
All'inizio scopriamo tre cose molto importanti: le circostanze della morte di Teucer, un mito molto interessante sul rapporto corvi-morte (per favore, ricordatevelo: non l'ho messo lì solo per allungare il paragrafo), le origini di Kala.
"Origini" è un'esagerazione: hai solamente svelato che è stata trovata nel bosco all'alba del giorno di Dabih.
E la collana? Ti sei dimenticato il ciondolo a forma di gatto?
Siamo proprio sicuri che quello che sia rappresentato sia un gatto e non... qualcos'altro?
Uffa! A-
*le tappa la bocca* Non date retta a questa autrice, né ora né mai, ok?
*si libera* Parlando di felini vari, cosa ne pensate di Tebas? Su tre volte che appare, due si comporta in modo strano. Non a caso, il "gatti" del titolo si riferisce anche a lui; per "crisantemi"... anche questo fiore è nominato un paio di volte (mi sembra ^^"), ma se confrontate il primo tempo con il secondo, potreste notare qualcosina di molto interessante.
Dulcis in fundo, cosa succederà alla nostra cara protagonista? Credete che ci siano più collegamenti di quello che pensa, oppure questi sono solo i primi segni di una lunga discesa verso l'abisso?
Io credo di averne una vaga idea...
Direi proprio di sì, caro. Direi proprio di sì. Anyway, ho qui con me la mappa di Vahrel. Volete darci un'occhiata?
PS: la piazza principale non è abbastanza grande, ma amen ^^"
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