II - Samahian (pt.2)
«Credi che ci sarà?» domandò uno degli uomini che si erano riuniti sotto il palco, prima di guardarsi vigile intorno. Un anziano dalla folta barba candida stava saggiando con discrezione le corde di una piccola arpa, imitato da qualche apprendista, e i rari giovani facevano scorrere lo sguardo stanco su ruvidi rotoli di pergamena per imprimere nella memoria gli ultimi dettagli. La maggior parte era invece intenta a discutere sottovoce, aiutandosi con i gesti quando la musica si faceva troppo intensa.
«Spero di no. È da molti mesi che non si vede, forse ha capito che questo non è un compito da femmine.»
«Svanita nel nulla così com'è apparsa, non mi sorprenderebbe se lei fosse anche una strega o un'illusione di qualche Wiht.» L'oratore sputò per terra in un segno di disgusto. «Vederla scomparire definitivamente non sarebbe che un bene per la valle, date retta a me.»
«Non credi di esagerare, Garin?» lo rimproverò uno dei suoi compagni. «Anche io non ho mai approvato che una donna, per di più straniera, potesse avere il nostro stesso ruolo. Tutti noi lo pensiamo, ma io personalmente non mi augurerei mai una cosa del genere. Non sei forse troppo accecato dall'invidia?»
«Non sono io a essere cieco, Kinnor,» esclamò puntando il dito prima verso il suo petto e poi verso gli altri «e l'invidia non c'entra niente. Nessuno sa niente di lei, tranne quel poco che ha raccontato, e mai una sola domanda è sorta sul suo passato. Per Dabih l'Oscuro, sono stato l'unico a prestare attenzione alle parole degli aruspici?»
Nella penombra gettata dalle travi sopra il suo capo, l'uomo scorse a malapena i volti dei suoi interlocutori impallidire mentre puntavano lo sguardo vitreo oltre le sue spalle. Un odore di foresta che si insinuò nelle sue narici e dietro di sé udì il ticchettio di stivali sulla pietra. Stivali di cuoio, stivali da femmina. Un improvviso pizzicore alla nuca lo fece rabbrividire involontariamente e fu allora che il bardo ne ebbe la conferma: lei era lì.
«Non è savio invocare con tale leggerezza il signore della Morte, Garin Oran. Mai si può difatti sapere quando decida di prestare ascolto ai discorsi dei mortali.»
Il malcapitato si voltò, indietreggiando fino a raggiungere i suoi compari. «A-an», balbettò più sorpreso che impaurito. La sua voce riassunse tuttavia presto un tono arrogante e ostile. «Non pensavamo che saresti venuta oggi.»
«Il verbo adoperato è errato, entrambi ne siamo coscienti», commentò gelida, sollevando un sopracciglio arcuato. Non si dimostrava sorpresa né lo era: ben sapeva infatti dell'astio che i bardi, in particolar modo i più tradizionalisti, provavano nei suoi confronti. Al suo arrivo a Vahrel, sette anni prima, non pochi avevano notato la sua dimestichezza con le parole ed erano rimasti rapiti dal racconto, seppur conciso e scarno, che aveva usato per spiegare la sua presenza nella valle. Toccando le volubili corde dei sentimenti aveva sempre dirottato ogni quesito, facendo credere ai suoi ascoltatori quello che avrebbero voluto udire. Pochi sapevano resistere alla sua voce ammaliatrice e quando l'oste che la ospitava temporaneamente aveva creduto di scoprire il talento innato nel narrare storie, aveva convinto i suoi avventori a chiedere di concedere alla dama di diventare cantastorie. In molti si erano opposti, temendo il significato di un ruolo tipicamente maschile offerto alla pellegrina, tuttavia le pressioni dell'altro partito erano ancora maggiori. Alla fine si era giunto a un compromesso: An non avrebbe raggiunto la compagnia ma sarebbe stata libera di esibirsi insieme a loro nelle maggiori feste dell'anno. Solo in seguito alcuni, tra cui Garin e il cacciatore Teucer, si erano accorti che quella restrizione era in realtà una pericolosa libertà, obiettivo della donna fin dall'inizio.
Prima che l'atmosfera carica di rancore che in quel momento avvolgeva il bardo adirato potesse degenerare in una disputa poco consona al luogo, il corno che scandiva il susseguirsi di eventi fece vibrare l'aria con il suo ruggito. Le fanciulle che avevano condotto la cerimonia si ritirarono tra i tavoli, le gote rosee per la danza e per l'emozione di un passaggio così importante della loro vita. Ruten salì sul palco per augurare alle giovani un avvenire prospero e ammonire i loro futuri mariti sui doveri che li aspettavano, poi si rivolse direttamente al pubblico in trepidante attesa.
«In questa sera sacra a Saiph abbiamo udito le nostre figlie, le figlie di Vahrel, affidarsi alla loro protettrice per il compito che entro l'anno le attenderà», esordì. «Abbiamo danzato, mangiato e bevuto guardando dal basso il regno degli dei che sempre splendono e che, per mezzo degli aruspici, ci hanno avvertito sul futuro. Ora è giunto il momento in cui ci eleveremo oltre il tempo stesso per raggiungere grazie alla poesia impavidi eroi benedetti da Mag Mell. Che i bardi mi raggiungano per svelare la loro arte!»
Obbedendo a quel segnale, i cantastorie si arrampicarono uno a uno sulla scala, emergendo dalle assi di legno come delle apparizioni mistiche. Mano a mano che raggiungevano il borgomastro per una stretta di mano, venivano annunciati da una guardia e applauditi dalla folla a seconda della loro bravura. I nuovi suscitavano perlopiù un medio interesse e l'intensità del vociferare era spesso una sorta di incoraggiamento. Tutto cambiava quando veniva presentato chi da tempo faceva quel mestiere: molti ricevevano un caloroso benvenuto ma per taluni il flebile brusio che li accompagnava era chiaro segno della loro inadeguatezza al ruolo.
L'apparizione della donna tra gli ultimi fece scendere il silenzio sulla piazza. Raggiunse l'orlo estremo del palco accompagnata dal solo rumore dei suoi stivali sul legno e scostò appena la mano dal mantello per porgerla a un esterrefatto Ruten. Un mormorio serpeggiò tra i tavoli mentre il suo nome volava esitante nell'aria. An raggiunse con passi misurati i seggi su cui gli altri bardi l'attendevano con un ghigno soddisfatto sui volti e si apprestò a occupare il suo posto. Fu allora che un boato esplose come un fiume da troppo tempo schiavo della diga, con un entusiasmo di gran lunga maggiore dei precedenti. I cittadini accoglievano dopo più di mezzo anno di assenza quella che, secondo loro, era tra i migliori cantastorie che Vahrel avesse mai conosciuto. Occhiate di invidia volarono verso la dama, impassibile tranne per una leggera increspatura delle labbra che avrebbe potuto essere l'ombra di un sorriso.
*
Garin si interruppe per prendere fiato e si osservò intorno con soddisfazione. Quella sera era riuscito a superare sé stesso, rapendo l'attenzione degli spettatori fin dalle prime frasi. Aveva con cura scelto la quasi sconosciuta storia di Er, un pastore che ebbe l'opportunità di visitare il regno degli Elfi ma si inimicò questi ultimi tentando di rubare la corona del loro sovrano. Ora adulti e bambini pendevano dalle sue labbra, gli occhi lucidi e il busto in avanti per meglio ascoltare il finale tragico.
Il trovatore inspirò e continuò con voce tonante: «Lo sciagurato vedeva già in lontananza il suo casolare e le pecore che lo attendevano docili. Al di là di essi le mura della città in cui sperava di trovare rifugio tremolavano nell'afa estiva. Il suo cuore si riempì di speranza, ignaro del dardo argenteo scoccato in quell'istante. Il ragazzo crollò a terra e il giallo dell'erba secca venne tinto di rosso. L'arciere incappucciato allora si avvicinò e sottrasse al cadavere del ladro ciò che era stato rubato, innalzando al cielo la corona d'oro e gemme inestimabili. "Hai ricambiato l'ospitalità con l'offesa, la gentilezza con l'inganno. Ora che il sangue ha cancellato le tue azioni, ti perdono nel nome del mio popolo" mormorò, coprendo il corpo senza vita con la giubba di lana caduta durante la fuga. L'Elfo allora si allontanò tra gli alberi, andando incontro con passo vittorioso al corteo del re. Così si compì la triste sorte di Er, come l'indovino gli aveva predetto: "Guardati dalle stelle multicolori di chi ti ospiterà, perché la bellezza sarà il tuo veleno".»
L'ultima parola echeggiò nell'aria, soccombendo lentamente al silenzio commosso degli ascoltatori, interrotto solo da qualche singhiozzo e stropicciare di fazzoletti. Due mani si accostarono l'una all'altra, seguite da un altro paio, un terzo, un quarto, trascinando gradualmente l'intera piazza nello scrosciante rombo.
Il cantastorie piegò il busto in avanti, una mano sul cuore e l'altra tesa come l'ala di un fringuello, crogiolandosi nella meritata ovazione. A causa del lungo parlare sentiva la gola pizzicare e la lingua arida, tuttavia sapeva che quello era il segno del successo.
Tornò in posizione eretta e fece per raggiungere la schiera degli altri trovatori. Alcuni lo guardavano invidiosi di sottecchi, altri avevano in volto solo i segni dell'ammirazione, quelli che restavano erano invece in preda all'ansia. L'unica eccezione in quel quadro variopinto di reazioni era An, seduta sul seggio con la schiena rigida e le mani posate in grembo. Di fronte all'indifferenza che sempre mascherava il volto della donna, l'animo di Garin cominciò a ribollire. Erano in molti a pensare che l'astio dell'uomo nascesse dall'invidia e dalla rivalità, per primo lo aveva creduto per anni, tuttavia quella che per i suoi colleghi era l'unica causa per lui non era che una goccia in un vaso ripieno. Gli stessi elementi che nella folla provocavano ammirazione, in lui suscitavano un viscido quanto inspiegabile sospetto: l'autocontrollo spinto fino all'eccesso, il velo di mistero sul passato, un talento apparentemente innato nel parlare. E poi, cosa dire del pizzicore alla nuca che lo coglieva ogni volta che quella donna era nei paraggi? Poteva contare sulle dita della mano sinistra, priva del mignolo a causa di un incidente, le persone che avevano confessato provare qualcosa di simile nei confronti della forestiera. Tra di loro, forse solo Teucer - Teucer, l'uomo che per diciassette anni aveva odiato, ricambiato! - aveva realmente capito quell'angosciante sensazione. Dopo anni dalla discussione, conclusasi con un saggio "aspetteremo e vedremo", a quel calderone già incandescente si erano aggiunte le parole degli aruspici che sembravano, almeno secondo Garin, confermare ogni dubbio.
Ora, guardando il luccichio smeraldino negli occhi severi, l'uomo fu convinto di scorgere anche una beffa. Da un lato voleva denunciare ciò che credeva realtà, dall'altra il suo orgoglio bramava umiliare. Era costretto ad ammettere a sé stesso che non aveva prove per dimostrare i suoi sospetti, eppure si promise che le avrebbe trovate. A qualsiasi costo, avrebbe provato che lui aveva sempre avuto ragione. Esitò a muovere il primo passo verso il suo seggio: già ora avrebbe potuto ottenere una piccola vendetta nei confronti della straniera. Poteva, e l'avrebbe fatto.
«Molti ritengono l'identità dell'arciere che uccise Er un mistero», disse, attirando nuovamente su di sé l'attenzione, «tuttavia tempo fa ho scoperto un antico manoscritto chiarisce ogni dubbio.»
Un brusio di morbosa curiosità si propagò come le increspature causate sull'acqua da una pietra lanciata per gioco. Il bardo deglutì: ben sapeva dell'inaffidabilità della sua fonte, trovata mentre esplorava i sotterranei della biblioteca alla ricerca di una storia sconosciuta e ancora in buone condizioni. Eppure, in quelle parole polverose e sbiadite aveva trovato un singolo dettaglio, talmente ardito da sembrare falso, che avrebbe avuto il potere di gettare una nuova, dubbia luce su ciò che aveva appena raccontato.
«Quell'Elfo sarebbe, secondo il testo, un personaggio appartenente a una leggenda che nella valle viene tramandata dai padri ai figli e che, probabilmente, risulterebbe estranea a molti viandanti» Calcò l'ultima parola con eccessiva enfasi, non nascondendo affatto la persona a cui era riferita. Ora imparerai, strega! Vuoi ingannare gli altri, pretenderti una cantastorie migliore? Ebbene, qui c'è un uomo che non si lascia abbindolare dalle tue parole.
Nell'istante di silenzio creato con maestria da Garin, molti sguardi del pubblico corsero verso la donna dai capelli corvini. Si aspettavano un'espressione, una smorfia, un sorriso, un qualsiasi gesto involontario. Niente.
«La freccia fatale venne scoccata non da una guardia o un soldato, bensì dall'amata figlia del sovrano, colei che sarebbe ascesa al trono durante le Grandi Guerre: nientemeno che la regina Elynor!»
La rivelazione ammutolì i presenti, che cercava di far coincidere il perfido arciere con la grandiosa figura della regina. Elynor, sovrana degli Elfi! Elynor, capo degli ultimi baluardi contro il Nemico! Elynor!
In quel silenzio, un lieve rumore parve un cupo tuono alle orecchie del trovatore: lo scricchiolio del legno sottoposto a troppa pressione, il gemito della sedia sotto la mano d'acciaio di An.
Ed ecco a voi il primo di una serie infinita di cliffhanger con cui terminerò i capitoli😈
Li utilizzerà per tutti e quattro i libri, per cui abituatevi.
Hey, a me piace così, ok? Magari ai lettori di meno, ma...
Non divagare.
Giusto, giusto. Solo due notizie così, al volo:
1. La festa si Samahian è tratta dal culto celtico, dove simboleggia la fine dell'Estate. Ad Alethia, invece, è a metà tra Halloween e un rito propiziatorio.
2. I nomi delle divinità sono tratti da stelle. In particolare, Alnilam è una stella di Orione (e chi può mai essere, d'altro canto, il Cacciatore Celeste?)
3...
Non avevi detto "due notizie?"
Come avrete capito (spero) sono passati circa sette anni dagli eventi del primo capitolo e, accidenti, ne sono successe di cose!
4. Cosa ne pensate dei vari personaggi finora apparsi? Dite, dite, non vi mordono mica.
Be', dipende...
5. L'espressione "freccia fatale" è in realtà una inside joke: nelle primissime bozze della saga (una di quelle mai pubblicate su Wattpad) un capitolo del secondo libro si intitolava così. Ora la storia è cambiata, quindi non ci sarà più. Forse😏
Avrei veramente tanto altro da dire, ma alcuni dettagli possono aspettare momenti più opportuni.
Autrice, devi ancora girarci intorno per tanto tempo? Di' loro il tuo progetto.
Ah, ora? Sicuro sicuro? Dunque, tra poco (intendo veramente poco) inizierò a pubblicare una raccolta di "cose" sulla saga, e questo suddetto libro verrà intitolato "Alethia - appunti di viaggio". Che dire, se vi interessa... ^^"
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